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Autore: Nihal_Ainwen    18/07/2013    5 recensioni
Kim Jongin è un abile killer in cerca di vendetta;
Park Chanyeol un normale studente universitario;
Oh Sehun è il figlio viziato del capo di una banda di criminali;
Byun Baekhyun è semplicemente autodistruttivo.
Cosa avranno in comune? Niente, apparentemente.
Genere: Angst, Dark, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Baekhyun, Baekhyun, Chanyeol, Chanyeol, Kai, Kai, Sehun, Sehun
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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[Di solito evito sempre l’angolo autrice, ma questa volta credo di dover precisare un paio di cose.

In questo primo capitolo, viene trattato un argomento un po’ delicato, di cui si sente tanto parlare ultimamente soprattutto tra i giovani. Volevo chiarire che io assolutamente non sono “a favore” di comportamenti simili, però capisco chi possa trovarsi in una situazione simile e quanto sia difficile uscirne. Perciò, chiedo in anticipo scusa per eventuali e totalmente involontarie mancanze di rispetto. Se leggete qualcosa che non gradite o per la quale vi sentite offesi, fatemelo notare e vedrò di aggiustare il tutto.
Grazie infinite dell’attenzione, e grazie ancora di più se decidete di continuare a leggere.
XOXO]
 
 

 
 
“Sono malato, malato in tutti i sensi possibili.”
Ecco cosa stavo pensando in quel momento, mentre quello strano ragazzo cominciava a spogliarmi, o forse sarebbe meglio dire a strapparmi i vestiti di dosso, facendo saltare i bottoni e lacerando la stoffa. Lo lasciavo fare, lo assecondavo, perché in fondo era così che mi piaceva: doveva fare male. Non era la prima volta che decidevo di divertirmi in quel modo, ma comunque avveniva raramente rispetto a tutto il resto. Solo quando il mio corpo non poteva reggere roba più forte, solo quando non sentivo più le braccia e mi rendevo conto che la testa stava per saltare in aria, solo a quel punto decidevo di farmi fottere. Non avevo mai fatto l’amore, ma il sesso era un buon modo per sopperire alle mie necessità quando non avevo alternative.
Le mani del ragazzo erano scese rapidamente verso la cerniera dei mie pantaloni, mentre io mi divertito a sbottonargli lentamente la camicia, osservando i bottoni sgusciare fuori dall’asola invece che tutto il resto. Non mi interessava come fosse fatto lo strumento che utilizzavo per farmi del male, cercavo sempre di tenere il più possibile gli occhi chiusi o di guardare altrove. Ma a questo non stava bene, non era un semplice bisturi, era un’affilatissima lama di diamante: voleva essere osservato. Perciò, mi prese con forza il viso con una mano, costringendomi ad alzare lo sguardo verso di lui, che ancora aveva dipinto sulle labbra lo stesso sorriso della prima volta che ci eravamo visti. Il nostro primo incontro risaliva appena a qualche ora prima, in uno stupido locale in cui mi ero fatto accompagnare da una delle poche persone che aveva ancora il coraggio di avere a che fare con me. Basti pensare che l’avevo mollato lì da solo, per farmi portare a casa di un completo sconosciuto che aveva voglia del mio corpo: chi frequenterebbe una persona del genere? Kim Jongdae, uno dei ragazzi più buoni e stupidi dell’intero creato.
Ora che avevo modo di guardarlo meglio, ora che ero obbligato a guardarlo meglio, dovetti ammettere con me stesso che aveva tutti i diritti di pretendere attenzione. Aveva decisamente un bel fisico, ben fatto e di sicuro allenato, le pelle color cioccolato e i capelli castani che gli ricadevano in ciocche scomposte intorno al viso. La frangia, incollata alla fronte per il sudore, era tinta d’argento in un perfetto contrasto con il resto della chioma. Il viso era semplicemente perfetto: lineamenti eleganti, occhi scuri profondi come pozzi, labbra piene. Sicuramente qualsiasi ragazza sarebbe impazzita per un tizio del genere, ma a me non faceva nessun effetto, e di certo non perché ero un ragazzo. Lo sentii stringere la presa ai lati del mio viso, girandomi di lato in modo che gli mostrassi il profilo, per poi riprendere l’operazione di slacciarmi i pantaloni con la mano libera. Sentivo ancora il cotone della camicia sulle spalle, mentre sfilavo la sua lasciandola cadere per terra dietro di lui, ansioso di passare al prossimo stadio. Non ero interessato ai preliminari o allo spogliarsi a vicenda, volevo solo che si brigasse e che mi concedesse quello a cui tanto aspiravo. Voltai il viso di scatto, ribellandomi alla sua stretta solo per la fitta di dolore che ne fu la conseguenza, gioendo per lo scricchiolare della mia mascella costretta tra le sue dita. Finalmente si decise a togliermi i pantaloni e a guidarmi con malagrazia verso il letto al centro della stanza, strattonandomi per un braccio ancora coperto dalla stoffa nera della camicia. Eravamo entrambi mezzi nudi, ma a parti invertite: lui troneggiava su di me a torso nudo, con le ginocchia strette intorno ai miei fianchi e le gambe fasciate dai jeans scuri; io me ne stavo abbandonato sul letto con il petto ancora parzialmente coperto, con solo i boxer a dividermi dal cavallo dei suoi pantaloni attillati fino all’estremo.
-Come ti chiami?- mi chiese all’improvviso accarezzandomi le cosce, rivelando una voce roca ed estremamente sensuale. –Voglio sapere solo questo.- insistette dato che non rispondevo, troppo preso dal suo tocco.
-Baekhyun.- lo accontentai, anche perché in fondo non me ne importava nulla del mio nome come di tutto il resto.
 
Durò parecchio, più di qualsiasi altra volta in cui ero stato costretto ad usare quel metodo per farmi pervadere dal dolore che tanto bramavo. Ero ancora sdraiato con la schiena affondata nel materasso per riprendere fiato dopo l’orgasmo, con il peso di quello strano ragazzo che gravava sulla mia cassa toracica, ancora avvolta nel tessuto della camicia nera ormai strappata in più punti. Dopo la storia del nome, non aveva perso altro tempo, aspettando che gli togliessi anche gli ultimi vestiti prima di sfilarmi i boxer e prendermi senza nemmeno un accenno di preparazione. Inutile specificare che avevo gradito, mentre urlavo tutta la mia sofferenza contro la sua spalla e le lacrime cominciavano a bagnarmi il viso. Poi avevo cominciato a ridere, beandomi di ogni stilettata di dolore che portavano le sue spinte, totalmente indirizzate al suo piacere personale senza pensare minimamente al corpo caldo con cui si stava dilettando: era quello che volevo.
-Sei vivo qua sotto?- mormorò facendomi sentire nuovamente la sua voce profonda, mentre si tirava su per poi ricadere sdraiato al mio fianco. Io mi limitai ad annuire, cominciando a fare i conti con il bruciore dei graffi che avevo sulle gambe e con il male che mi procuravano i principi di ematomi che mi costellavano il corpo.
-Ti piace il dolore.- affermò fissando il soffitto bianco sopra le nostre teste. –Solo un pazzo non avrebbe protestato per i miei metodi.- aggiunse socchiudendo gli occhi e respirando profondamente.
Lo ignorai bellamente, realizzando che quello non era il solito idiota che godeva nel dominare qualunque essere vivente: si era comportato in quel modo, perché aveva capito che era quello che io cercavo di avere da lui. Mi alzai ignorando le fitte che mi trafissero quasi in ogni parte del corpo, cercando con lo sguardo i miei vestiti sul pavimento della camera da letto. Lui rimase sdraiato, spostando però lo sguardo dal muro a me senza dire niente, con un sorriso divertito ad ornargli le labbra ancora gonfie di baci. Quando finalmente trovai i miei boxer ai piedi del letto, sospirai di sollievo, chinandomi con cautela per poterli prendere senza gemere di dolore davanti a quel tipo.
-Davvero pensi di poter andare da qualche parte in quelle condizioni?- esclamò lui sorpreso, mentre io mi stavo già rinfilando i pantaloni grigi che portavo quella sera. –E’ già un miracolo che tu non sia svenuto, vomiterai.- continuò costringendomi a girarmi per guardarlo, grazie alla sua ultima sentenza poco rosea.
-E tu che cazzo ne sai?- gli risposi acido squadrandolo dalla testa ai piedi, completamente nudo, con il corpo lucido sotto la luce della lampada da comodino a causa del sudore.
-E’ uno dei requisiti che servono per fare il mio lavoro, saper cogliere ogni informazione possibile dal corpo di una persona.- mi spiegò senza alcun imbarazzo, tirandosi su a sedere.
-Sei un dottore?- chiesi con una strana punta di curiosità, cosa che non mi capitava da parecchi anni, forse troppi.
-Dimmi, ce lo vedi un dottore a sfondarti in quel modo?- mi prese in giro lui scoppiando a ridere, portandosi una mano sulla pancia piatta con un abbozzo di addominali.
-Sei veramente uno stronzo.- sibilai tra i denti mentre mi voltavo verso la porta, quella scintilla di interesse decapitata da quella sua risata così tremendamente piacevole.
-Scusa, hai ragione.- ammise lui, anche se in quel momento le sue parole erano un mero sottofondo, superflue.
Sentii chiaramente lo stomaco rivoltarsi sotto sopra all’interno del mio corpo, installando in me una sensazione di profondo schifo per il seme del bastardo che ancora macchiava il mio corpo. C’era qualcosa che non andava; non mi era mai capita una cosa del genere e inoltre cominciavo anche a sentire le gambe molli, come quando mi affondavo troppo la lama nel braccio. La testa prese a girarmi vorticosamente, rendendomi difficile anche solo mettere a fuoco la dannata maniglia dorata della porta.
-Che ti avevo detto?- sentii dire al ragazzo mentre si alzava dal letto sbuffando. –Non vomitarmi lì per favore.- si lamentò con quello che sembrava un tono di voce supplicante.
Repressi i conati di vomito che mi stavano sconquassando il corpo, più per non dargli soddisfazione che per altro, mentre lo sentivo armeggiare con qualcosa alle mie spalle. Quando comparve nel mio campo visivo, indossava dei larghi pantaloni di una tuta blu e aveva in mano quella che aveva tutta l’aria di essere una siringa.
-Adesso stai buono e fatti aiutare, mi hai sentito?- quasi mi urlò nell’orecchio, forse per trapassare il ronzio che sentivo ormai da qualche minuto in testa.
-Lasciami stare.- sbiascicai cercando di allontanarmi, dato che ero solito non fidarmi degli aghi, figuriamoci di quelli in mano ad uno sconosciuto con cui avevo appena scopato.
-E’ solo un tonico, io lo uso ogni fottutissimo giorno.- mi sbraitò strattonandomi per un braccio con la mano libera.
Continuavo a non credergli, ma non avevo altra scelta che ubbidirgli e stare il più buono possibile, dato che avrei potuto vomitargli addosso da un momento all’altro e che comunque non avrei avuto la forza per fare qualsiasi altra cosa, non rimanendo in quelle condizioni. Mi sorrise non appena capì che mi ero deciso a collaborare, tendendo una mano verso di me per farmi capire di stendere il braccio. Io eseguii meccanicamente, sforzandomi con tutte le mie forze di non rimettere all’istante quella che era stata la mia misera cena, mentre lui mi tirava su la manica della camicia slacciando i bottoni del polsino. Peccato che non si trovò davanti quello che si aspettava: invece della pelle candida del mio braccio, la sua mano trovò delle bende bianche ormai decorate da delle vistose macchie rosse.
-Ma che cazzo...- imprecò spalancando la bocca, mentre io gli scoppiai a ridere in faccia, trovando non so bene dove la forza per permettermi un azione del genere. –Smettila di ridere o ti ficco direttamente la siringa in bocca.- mi minacciò lasciandomi il braccio con stizza. –Non dirmi che anche l’altro è ridotto così...- mormorò facendosi serio.
-E’ anche peggio, sono mancino.- gli rivelai visto che si trattava del braccio destro, e mi era davvero più semplice infierire su quello rispetto al sinistro.
-Sono alquanto sfigato, non trovi? Di tutti, dovevo decidere di portarmi a letto un autolesionista di debole costituzione.- sospirò passandomi un braccio intorno alla vita, indovinando all’istante che le mie gambe stavano per cedere sotto il peso del mio corpo ferito.
-Ho un bel faccino, e poi te lo meriti, stronzo.- ribattei, lasciandomi guidare fino al bagno senza opporre resistenza.
-Io sì, ma tu non credo.- mi rimproverò, chiudendosi la porta alle spalle per poi accendere la luce. –E adesso rimetti. Non posso iniettarti questa robaccia con le braccia ridotte in quel modo.- mi ordinò facendomi inginocchiare davanti al water con cautela, attento a non farmi ulteriormente male.
 
Dopo circa un’ora in cui era stato un continuo di conati di vomito, senso di nausea ed effettive vomitate nel bellissimo water del bagno del ragazzo, mi sentii completamente svuotato, persino dai succhi gastrici. Lui era stato tutto il tempo appoggiato al lavandino, osservandomi in modo quasi apprensivo e aiutandomi quando gli avevo dato l’impressione di averne bisogno. Finalmente mi rimisi in piedi sulle gambe malferme, raggiungendo il lavello a passi incerti, per sciacquarmi la bocca dell’orrendo sapore che ci aleggiava da troppo tempo. Il tipo mi lasciò fare senza dire nulla, sedendosi sul bordo della vasca da bagno li affianco, continuando però a fissarmi insistente.
-Che hai da guardare?- mormorai alla fine, con ancora la voce rauca ma non più impastata di saliva e saporacci.
-Devi fare una doccia, hai ancora il mio sperma in mezzo alle gambe.- mi ricordò alzando un sopracciglio esasperato.
-Non ce la faccio, sono troppo stanco.- ammisi tenendomi stretto al lavandino, per non scivolare di nuovo a terra. –E poi non avrei con che cambiarmi.- aggiunsi per giustificarmi abbassando lo sguardo.
Lo sentii sospirare e avvicinarsi a me, passarmi di nuovo un braccio intorno alla vita per sorreggermi e poi mi condusse di nuovo verso il water, abbassando la tavoletta e facendomi sedere delicatamente. Ovviamente non avevo la forza ne la voglia di protestare, perché in fondo sembrava essere un bastardo di quelli gentili. Cominciò a sfilarmi i calzini, per poi passare a sbottonarmi e togliermi di nuovo i pantaloni, questa volta però in modo molto più accurato e attento della precedente. Alla fine, passò a sbottonare i pochi bottoni ancora attaccati alla camicia nera.
-Devo aspettarmi qualche altra sorpresa?- mi chiese, alzando lo sguardo e incatenando i suoi occhi con i miei.
Scossi la testa, capendo immediatamente a cosa si riferisse con “sorpresa”, e deglutii a vuoto, stranamente vergognandomi per come mi ero comportato poco prima quando aveva visto le bende sporche sul mio braccio. Lui mi tolse finalmente l’indumento sbrindellato e ancora leggermente umido di sudore, gettandolo a terra invece che nella cesta dei panni sporchi insieme al resto. Rimase per un secondo ad osservarmi, a studiarmi quasi, soffermandosi sulla manciata di cicatrici che deturpavano il mio addome per poi salire verso i pettorali. Fece arrampicare lo sguardo su per le mie spalle, solo per poi riscendere sulle braccia fasciate, mentre poggiava una mano sulla mia coscia destra inginocchiandosi davanti a me. Avevo un brutto livido sul collo e un ematoma abbastanza esteso sulla spalla destra, notai abbassando lo sguardo dove lui teneva puntato il suo, mentre continuava con gli occhi il sentiero tracciato dalle ferite, vecchie e nuove, che coprivano il mio corpo.
-Su quelli c’è la mia firma.- affermò tagliente, sfiorando i danni citati in precedenza. –E anche su questi.- sospirò facendomi allargare le gambe, per mostrarmi dei graffi e un grosso livido nell’interno coscia.
-Cazzo, mi stai facendo sentire in colpa.- imprecai chiudendo di scatto gli arti inferiori. –Fregatene.- sibilai.
Lui si limitò ad alzare le spalle, per poi prendermi una mano tra le sue e facendomela poggiare sul mio stesso ginocchio, mentre le sue dita scioglievano esperte il complicato nodo delle mie bende, scoprendo cioè che c’era nascosto sotto. Per la prima volta lo vidi rabbrividire, quasi inorridito dai tagli che decoravano la mia carnagione chiara, ormai segnata per sempre da cicatrici su cicatrici. Quelli più recenti si erano riaperti, insanguinandomi tutto l’avambraccio, facendo sembrare tutto molto più grave di quello che non fosse in realtà.
-Non dovresti farti questo.- mi disse mentre passava a togliermi l’altra fasciatura. –Dovevano essere molto peggio qualche giorno fa, non è così?- indovinò senz’alcuna difficoltà, alzandosi per buttare via le bende sporche.
-Come ti chiami?- gli domandai, perché sapevo che in fondo sapeva benissimo da solo quale sarebbe stata la risposta alla sua domanda puramente retorica.
-Non posso dirti il mio vero nome, ma puoi chiamarmi Kai se ti va.- mi confessò sincero, aiutandomi ad alzarmi e a sfilarmi i boxer, l’unico indumento che avevo ancora addosso.
-Devi fare qualche lavoro fottutamente figo, o no?- dedussi, ridacchiando e arrossendo leggermente per la situazione in cui ci trovavamo, considerando che eravamo partiti dal sesso violento.
Lui si spogliò dei pantaloni della tuta scuotendo la testa, e non mi meravigliai di constatare che sotto non portava nient’altro, probabilmente perché prima non aveva avuto il tempo di ritrovare le sue mutande finite chissà dove.
-Il mio lavoro fa schifo Baekhyun, veramente schifo.- sbuffò lui aprendo il vetro della doccia, deludendo le mie aspettative di fare un bel bagno caldo con tanto di bollicine.
-Lo sospettavo, certi mestieri sono belli solo nei film.- mormorai entrando prima di lui, che si chiuse la vetrata alle spalle per poi tornare a sorreggermi per i fianchi.
Il tempo di essere investito dal getto d’acqua calda e di sentire le sue mani che vagavano gentilmente sul mio corpo, che gli crollai praticamente addosso, troppo stanco e spossato per reggermi in piedi da solo. Lo sentii insaponarmi per bene con la spugna, passandola più delicatamente dove la mia pelle era ferita ed evitando accuratamente di far finire il bagnoschiuma sui tagli aperti. Dopo un po’ mi fece appoggiare con la schiena ad una delle pareti della cabina, chinandosi sulle ginocchia per lavarmi le gambe, mentre io me ne stavo inerme a guardarlo con gli occhi socchiusi. Quando finalmente spense il getto d’acqua e mi portò fuori, coprendo entrambi con il suo accappatoio ed un grosso asciugamano bianco, mi sentii quasi bene, come sollevato da un enorme peso. Dopo avermi asciugato per bene addosso, passò a tamponarmi con un asciugamano azzurro i capelli impregnati d’acqua, sorridendo quando la mia tinta rossa andò a macchiare il celeste della stoffa. Raggiunto il risultato desiderato con la mia chioma, sparì per qualche secondo nella camera adiacente, lasciandomi seduto per l’ennesima volta sulla tazza del suo water. Tornò con addosso una tuta grigia svariate taglie più grande di quella che doveva portare lui, sorridendomi rassicurante con in mano quelli che avevano l’aria di essere disinfettanti. Ed infatti lo erano: acqua ossigenata, mercurio cromo e altra robaccia di quel genere con cui avevo a che fare tutti i giorni. Mi medicò amorevolmente ogni livido, graffio o ferita che incontrò sul percorso delle sue mani, dedicando una speciale attenzione ai profondi tagli che mi deturpavano le braccia magre e pallide. Le fasciò di nuovo, molto meglio di come avrei potuto fare io o qualsiasi altro medico di mia conoscenza, legando le bende in modo che non mi dessero fastidio ne che mi prudessero a contatto con la pelle.
-Che ne dici di rimanere a dormire qui?- mi chiese retoricamente sorridendo divertito, mentre mi prendeva in braccio senza dimostrare la minima fatica. –Sono già le quattro, adesso ti metto a letto.- mi informò rientrando in camera e chiudendo la porta del bagno con una gamba.
Notai velocemente che aveva cambiato le lenzuola, sostituendo quelle color crema su cui ci eravamo dati da fare quasi tre ore prima, con un bellissimo corredo bianco perla: dovevo essere rimasto solo in bagno più di quello che mi era sembrato, visto che aveva avuto il tempo di rifare il letto. Avrei protestato di norma, dicendogli che non mi piaceva essere trattato in quel modo, ma in realtà avrei mentito sia a lui che a me; perciò rimasi in silenzio, lasciandomi cullare dal ritmo regolare del suo respiro e dal battito del suo cuore. Mi accorsi che mi aveva fatto stendere sul letto e che mi stava infilando un paio di boxer puliti, solo perché avevo smesso di oscillare e perché il materasso era decisamente più freddo del suo petto.
-Ti odio.- sbadigliai, stiracchiandomi come un gatto e continuando a tenere gli occhi chiusi, rendendomi conto che non mi ricordavo quando le mie palpebre si fossero abbassate. –Però grazie.- mormorai mentre lo sentivo tirarmi su con cautela, mentre mi infilava una maglietta leggera e un paio di pantaloni larghi, mettendoci così tanta cura da farmi pensare che avesse paura di rompermi.
-Dormi e non dire altre cazzate.- mi intimò ridacchiando, per poi farmi accomodare con la testa sul cuscino e sdraiarsi al mio fianco, coprendo entrambi con il lenzuolo di cotone.

Mi addormentai quasi immediatamente, con ancora nelle orecchie il suono della sua risata, che avevo inconsciamente iniziando ad adorare quasi più di quella di chiunque altro. In verità, c’era solo una persona che possedeva un modo di ridere che amavo più di quello di Kai: Park Chanyeol.
   
 
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