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Autore: Soqquadro04    18/07/2013    5 recensioni
Ambientata in uno dei possibili Futurverse in cui - in qualche modo - Elena riesce a prendere la cura insieme a Stefan, che finisce con un "tutti vissero felici e contenti insieme a una figlia troppo curiosa".
La piccola Salvatore, infatti, riesce a portare all'attenzione della madre una vecchia fotografia...
Se sbirciassimo da sopra la sua spalla, vedremmo un uomo e una donna, ridenti e accecati dal flash della macchina fotografica e dal riverbero del sole. La bambina spalanca gli occhi – scuri, enormi, perennemente sgranati. Un giorno, molto presto, inizieranno a venire definiti simili a quelli di una cerbiatta – quando riconosce sua madre in quella ragazza sorridente, abbracciata a un uomo dai capelli scuri che non conosce, sorridente anche lui. Le piace quel sorriso: le fa immaginare feste di compleanno e biscotti al cioccolato. Felicità, insomma.
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Fotografia

Le fotografie possono raggiungere l'eternità attraverso il momento.
Henri Cartier-Bresson

La luce filtra attraverso le persiane, lasciando lame pallide di sole sul parquet e illuminando i granelli di polvere che volteggiano impalpabili nel fascio di luminosità.

Una bimba di circa sette anni, inginocchiata davanti a un pesante baule di legno intagliato, con il busto quasi del tutto infilato nello scomparto, rovista in cerca di qualcosa.
Si sente uno sbuffo, poi la piccola si solleva, scuotendo la testa, le dita serrate attorno a quella che sembra una fotografia leggermente rovinata sui bordi.

Dev'essere passato abbastanza tempo da quando qualcuno l'ha guardata per l'ultima volta.
Sorride, vittoriosa, mettendo in mostra una finestrella fra gli incisivi superiori, mentre la osserva meglio, mettendola sotto la luce.

Se sbirciassimo da sopra la sua spalla, vedremmo un uomo e una donna, ridenti e accecati dal flash della macchina fotografica e dal riverbero del sole. La bambina spalanca gli occhi – scuri, enormi, perennemente sgranati. Un giorno, molto presto, inizieranno a venire definiti simili a quelli di una cerbiatta – quando riconosce sua madre in quella ragazza sorridente, abbracciata a un uomo dai capelli scuri che non conosce, sorridente anche lui. Le piace quel sorriso: le fa immaginare feste di compleanno e biscotti al cioccolato. Felicità, insomma.

Scatta in piedi, velocissima, lanciando un'occhiata dalla finestra per verificare la posizione della madre e precipitandosi verso la porta della camera, la fotografia ben stretta in mano e una determinazione incrollabile – che molto spesso ha fatto capolino negli occhi chiari dell'uomo della foto – ad accenderle lo sguardo.

***

La bambina corre verso una donna dai lunghi capelli bruni che si crogiola al sole, seduta in giardino, un libro chiuso appoggiato in grembo. Sventolando il piccolo foglietto quadrato, la bimba grida qualcosa per avvertire la madre. Nonostante i tratti siano inteneriti dall'affetto e dal tempo, il viso dai lineamenti fanciulleschi della giovane della fotografia è perfettamente riconoscibile.

«Mamma! Mamma! Guarda cos'ho trovato!» la bimba la raggiunge, lasciandosi accarezzare i capelli, per poi tendere la manina verso il suo viso, piazzandole sotto gli occhi il foglio, ansiosa di condividere la sua scoperta.

Elena riconosce, distrattamente, la carta lucida da fotografia. Non è ancora riuscita a vedere il soggetto, ma immagina sia l'ennesima istantanea che ritrae lei e Stefan durante una gita, o magari quella famosa dei loro primi giorni insieme, in cui lei gli è praticamente arrampicata addosso, le espressioni allegre intrappolate per sempre, quei momenti magici racchiusi e catalogati in modo da poter essere tirati fuori all'istante quando ce n'è bisogno.

Non ha notato i bordi rovinati, così non è preparata alla domanda della figlia che, curiosa, la osserva mentre abbassa gli occhi.

«Chi è questo signore, mamma? E' tanto pallido!» continua la piccola, consegnando l'immaginetta in mano alla madre, che s'irrigidisce quando un pensiero le attraversa rapido la mente.

Non può essere. Non può aver scovato quella. Nemmeno lei sapeva più dov'era finita.
Stringe automaticamente il lato bianco. Tutta la calma che l'aveva invasa mentre se ne stava tranquillamente al sole si è volatilizzata. Spera con tutte le sue forze che il “signore” in questione sia un giovanissimo Jeremy che la bimba non ha riconosciuto. Cerca di convincersi che magari la figlia ha scartabellato un po' fra le sue vecchie cose e ha riportato alla luce una delle tantissime foto che la ritraggono insieme a Matt, anche se crede di averle perse tutte. Qualsiasi opzione sarebbe meglio di quello spiraglio di possibilità che le si apre davanti.

Lancia un'occhiata cauta alla foto e, prima di sobbalzare, come scottata, fa in tempo a scorgere una chioma di capelli neri. Troppo scuri e troppo disordinati per essere quelli di suo fratello, e tanto meno quelli del biondissimo Matt Donovan.

Un rantolo le esce dalle labbra, mentre si fa coraggio e scruta attentamente la carta lucida.

Scorge il sorriso familiarmente inclinato, le ciocche nerissime artisticamente disordinate. E quelle iridi azzurre, che la trapassano da parte a parte come se l'avesse di fronte. Appoggia il mento sulla sua spalla, sfidando con un'occhiata l'obbiettivo mentre le circonda la vita, la solita arroganza dipinta in viso e le sopracciglia inarcate con la tipica malizia. Lei tiene le mani mollemente adagiate sui suoi avambracci, e sorride apertamente con le palpebre socchiuse. Sta sicuramente ridendo per quello che lui le ha sussurrato appena prima del flash. Parole che ormai non ricorda più, ma che pensa avessero a che fare con il passante che, avendoli scambiati per una coppia, si era gentilmente offerto di immortalare il momento.

Sforzandosi, le pare di rammentare un “Esatto, proprio così, amore” terribilmente sarcastico – ma con un fondo di desiderio che, quello no, non aveva mai scordato. Perché sapeva che lui avrebbe voluto fosse vero.
Veloci e attese, le lacrime si fanno strada sulle sue ciglia. Le asciuga con gesti irritati, quasi dimentica della bambina che, paziente, osserva quella reazione insolita.

Le dispiace che la mamma sia diventata triste, ma vuole sapere chi è quel signore così bello, e perché la abbraccia come ha sempre visto fare solo a papà. E poi lei sembra così felice!
Non capisce proprio perché stia piangendo, ora, se lui la faceva sorridere.
Le scuote piano una spalla, cercando spiegazioni.

«Mamma?» chiama, titubante. Elena si volta leggermente verso di lei, facendole cenno di sedersi sulle sue ginocchia. La piccola lo fa, continuando a studiare gli occhi lucidi e il tremito appena visibile che le ha preso le mani, mentre tiene fra le dita un angolo della fotografia.
Con l'altra mano carezza piano la schiena esile e i lunghi capelli castani, calmandosi.

«Elizabeth, tesoro... questo signore era... è...» esita un attimo, Elena, chiedendosi se sia il caso di svelarle dell'esistenza del “nuovo” parente. Poi si dice che non ha senso mentirle. Che prima o poi l'avrebbe scoperto comunque.

In realtà, nel profondo, sa che ha semplicemente bisogno di ricordare. Di ricordarlo. Soprattutto oggi, oggi che sono dieci anni senza notizie, senza frecciatine, senza sorprese. Così, semplicemente, Elena sputa fuori una verità nascosta da troppo tempo «... il fratello grande di papà. Ci siamo sempre voluti tanto bene, ed eravamo molto amici.» le si stringe lo stomaco, mentre un flash che la riporta ad una sera lontana e ad un “ti amo” ancor più lontano le fanno venire voglia di ridere. Solo tanto bene, vero?

Elena si trattiene, fissando ancora la fotografia senza vederla davvero, persa nel racconto.

«Era anche più grande di me, e quindi era un po' come un baby-sitter che doveva tenerci d'occhio entrambi. A volte era veramente insopportabile, sai?» s'interrompe un secondo per prendere fiato e ricacciare giù un'ondata improvvisa di pianto. La bimba la fissa per qualche secondo, registrando ciò che ha appena sentito. Il fratello grande di papà? Non sapeva che papà avesse un fratello. Ma... se zio Jeremy è il fratello piccolo di mamma, ed è zio, allora...

«Zio?» mormora, stupita, cercando una conferma che non tarda ad arrivare. La madre annuisce, una volta sola, mordendosi nervosamente le labbra.

«Sì, stella.» Elena la guarda, cercando una reazione alla notizia di avere qualcun altro in famiglia. Elizabeth, però, non sembra per nulla turbata. E' corrucciata, questo sì, e ha spostato gli occhi sulla fotografia, inclinando la testa di lato, come per studiarla meglio. La donna riprende a parlare, cercando di spiegarle il motivo per cui è venuta a conoscenza solo ora, e solo per caso, della sua esistenza.

«Però è da moltissimo tempo che non vediamo questo zio.» Elizabeth alza di scatto il capo, osservando, scettica, la madre.
Non ci parlano più, né mamma né papà?”

«Perché non parlate?» secondo lei, non è molto intelligente come soluzione. Ma si sa, i grandi sono strani.
«Perché la mamma, una volta, ha fatto una cosa che lo zio non ha voluto accettare. Stava molto, molto male per questa cosa, si è arrabbiato con mamma e papà e ha voluto andare via, in modo da stare un po' meglio.» come spiegare ad una bambina quella storia? Meglio tenersi sul vago ed evitare qualsiasi riferimento a triangoli, amori tormentati, vampiri, licantropi e altre creature soprannaturali assortite.

Elena sospira, stringendo con più forza il foglietto lucido, rammentando senza nostalgia i giorni in cui Mystic Falls era un luogo di pericoli e morti gratuite.

Anche se ormai tutto appartiene al passato, ancora lei fatica a lasciarlo andare.
Alcune di quelle situazioni l'hanno segnata irrimediabilmente. Altre, semplicemente, sono legate a persone che non vuole lasciar partire.

Qualche altra lacrima le scorre sulle gote, ed Elizabeth la guarda, ansiosa. Scrutando meglio la figlia, attraverso il velo che le è calato sulle iridi, riconosce quell'espressione. E sa che non è possibile che non si sia mai accorta prima di quanto gli assomigli, che quell'impressione è dettata dai ricordi tornati a galla. Eppure, non può fare a meno di pensare che quell'atteggiarsi apprensivo è fin troppo familiare.

Sta per crollare, Elena, lo sente nella gola che brucia, nelle dita che tremano incontrollate.
Si appoggia la fotografia in grembo, lisciandola col palmo, avvertendo sotto i polpastrelli anche la rigidità del libro.
Serra le palpebre, deglutendo a fatica, e imponendosi di resistere finché la bambina non si sia allontanata.

«Elizabeth, tesoro, puoi portare un fazzolettino alla mamma?» glielo domanda con voce quanto più dolce possibile, gli occhi ancora chiusi.

Probabilmente la figlia ha annuito, ma non può esserne sicura. Comunque, sente i passi veloci e leggeri allontanarsi. Si permette di riaprire le palpebre.
Proprio davanti a lei, il bosco è nero e immobile, le cime degli alberi splendenti di gemme, mentre il sentiero che conduce all'interno è completamente buio. Le pare di vedere un movimento, ma non ci fa troppo caso, perché in quel momento la voce acuta di Elizabeth le pone una domanda che sperava di non ricevere.

«Come si chiama lo zio, mamma?» Elena non si volta, le iridi ancora fisse sugli alberi secolari, incurvati dal peso del tempo e degli elementi, e il cuore manda una fitta dolorosa alla prospettiva di rispondere alla bambina.

Deglutisce ancora, cercando di limitare il groppo che le ostruisce la trachea.
Non sa se Elizabeth l'ha capita, o se l'ha anche solamente udita, perché il nome di lui è soltanto un sussurro che vibra in modo strano sulle corde vocali.

«Damon.» per un attimo, Elena ha una percezione assurda della sua risposta. Per un attimo, l'ha chiamato con lo stesso tono che usava quando aveva bisogno di farsi ascoltare, di catalizzare l'impulsività di quel corpo ingestibile.

E, per un attimo, Elena spera solamente che, in qualche modo, lui l'abbia sentita.

***

Damon Salvatore inspira profondamente, nascosto fra i tronchi larghi degli alberi centenari.
Sul viso pallido – esattamente identico a com'era undici anni prima, il giorno in cui la fotografia trovata da Elizabeth era stata scattata da un passante volenteroso – spicca la traccia umida e dolorosa di un'unica lacrima, solitaria e ormai asciugata da dita frettolose.
Lancia un ultima occhiata sofferente ad Elena, sorridendo a malapena quando la vede rassicurare sua nipote.

Sua nipote.

Era stato così strano non esserci, in quegli anni. Del resto, non sarebbe stato utile avere uno zio come lui.

Pericoloso. Egoista. Innamorato della madre.

Non potrebbe mai intrappolare una bambina in un'altra faida fra lui e suo fratello. Non lo farà.
E anche se non riesce ad illudersi che queste brevi visite annuali bastino a sedare il costante bisogno di lei – perché quelle ore prima del tramonto sono solo terribilmente amare, nulla di più – continuerà a tenersi a distanza.

Per il suo bene, come è sempre stato.
E, da qualche anno a quella parte, anche per quello di una piccola stella che non può permettersi di spegnere.


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N/A - Note dell'Autrice

Buonsalve, lettori.
Come vedete, ennesima OS sul Fandom (vi sto infestando, sul serio, lo so che sono una rompiballe)... stavolta non c'è Fluff Delena, solo malinconia e struggimento. Eh beh, questa storia era vecchia: era rintanata nel computer da chissà quanto tempo (sicuramente pre-quarta stagione), e oggi sono riuscita a finirla... così ve la beccate voi ù.ù
Oggi ho anche già pubblicato, ma ho deciso che questa storia poteva essere adatta ad un pomeriggio troppo caldo per pensare (almeno, da me è così)... magari vi sarà stata utile per distrarvi da qualche altra cosa ù.ù
Se vi interessa, vi lascio il link della mia pagina qui su EFP (non sia mai che qualcuno sia interessato a qualche altra mia storia): Soqquadro04
Se volete fare felice una povera autrice (che sa fare pure le rime), potreste lasciare un commentino piccino picciò? **
A presto,
la vostra Soqquadro

 

   
 
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