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Autore: BowieHalloweenJack    18/07/2013    2 recensioni
[Altri attori/telefilm]
Salve a tutti! Ho voluto cimentarmi in una fanfiction con Damian Lewis,un attore che io amo quasi alla stregua di Johnny Depp. Quasi. Lasciate parecchie recensioni, VI PREGO,perché è una storia alla quale tengo molto. Le critiche sono accettatissime. :)
“Cosa ti porto?” chiese Joe,asciugandosi le mani in uno strofinaccio. Damian alzò le spalle,sempre con la faccia da cane bastonato: “Vodka and tonic. Doppio,per favore”.
“Hai intenzione di ubriacarti?”
“Forse…”
“Non è che poi mi vomiti sul bancone?”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Londra,23/12/2012 ore 00:15

 

Quando il freddo è tutto ciò che senti e non hai nessun motivo che ti convinca a continuare. Quando senti di aver perso tutto,di aver fallito,quando senti di essere tu stesso un fallimento totale. Allora non importa cosa ti dicano gli altri. Tanto,cosa ti diranno gli altri di nuovo? Ti diranno che non devi arrenderti,che la vita è piena di difficoltà. La vita stessa è una difficoltà e il nostro compito è quello di “abbatterla” . Tutte cosa già sentite. Sai,mi dispiace. Mi dispiace davvero. O,ancora peggio: “Non so che dirti”.

E allora non dite un cazzo e tacete. Non parlate per una buona volta,state zitti. Non voglio sentire nulla,nessun rumore,nessun suono,nessuna voce,nulla. Non dovete per forza dare aria alla bocca. E non mi servono le vostre pacche sulle spalle.

L’uomo dai capelli rossi premette ancora di più il cappello sulle orecchie,coprendosi naso e bocca con la sciarpa di lana. La bella sciarpa nera che sua moglie gli aveva regalato l’anno precedente a Natale. Continuò a camminare a testa china fra le strade ghiacciate di Londra. Si sentiva ancora più abbattuto,in quanto sapeva che quel Natale lo avrebbe passato da solo. Aveva declinato l’invito dei suoi genitori e dei suoi fratelli: non gli andava di portare la sua depressione e nostalgia all’interno di famiglie ancora felici. Non avrebbe potuto sopportare le occhiate piene di compassione del padre,i discorsi di incoraggiamento della madre. Senza contare le frasi fatte che certamente avrebbero tirato fuori i parenti. Malgrado lo scoraggiamento che sentiva addosso,sorrise al pensiero dello zio Alfred che,ubriaco come al solito e con le guance simili a due pomodori, gli diceva con quella sua voce roca: “Dam,brutto ragazzaccio! Ormai hai sventolato la bandiera. Dovevi pensarci prima di cacciarla fuori. Non ti struggere: bevi un po’ di questa roba”.

Zio Alfred e le sue metafore. Damian riuscì a fare un sorrisetto. Forse una delle cose più tristi  sarebbe stata perdersi lo show dello zio sbronzo,quel Natale. Il vento si fece più forte e lo costrinse ad affossare la testa ancora di più nella sciarpa. Affondò le mani coperte dai caldi guanti nelle tasche. Le strade erano semi-deserte. I marciapiedi erano completamente bianchi,coperti da questa neve più compatta e scivolosa del solito. Le uniche vetrine illuminate erano quelle dei bar e dei ristoranti; le altre erano state agghindate apposta per la festa natalizia,e ti salutavano allegre con i loro “Merry Christmas” a intervalli regolari di due secondi. Qualche negoziante più ardito aveva azzardato anche una fantasia di renne,Santa Claus e agrifogli. Gli ottimisti già avevano esposto "Happy New Year!"

Ma a Damian tutto questo non faceva effetto. Forse l’anno prima avrebbe potuto rallegrarsi di più alla vista di quelle vetrine colorate,magari perché accompagnato dalle voci squillanti dei suoi figli.

Un anno prima.

“Guarda papà! L’elicottero telecomandato! Se mi comporto bene Babbo Natale me lo porterà,non è vero?”  “Anch’io sono un bravo bambino! Sono più bravo di Gulliver”  “No,non è vero!” piagnucolò il suddetto. Erano al parco e stavano facendo un pupazzo di neve. Gulliver aveva visto uno splendido modellino telecomandato di un elicottero nero volare qualche metro sopra le loro teste. Manon stava cercando dei rametti per fare le braccia al pupazzo,e aveva cominciato a punzecchiare il fratello più piccolo: “Babbo Natale lo porterà a me l’elicottero. Tu piangi sempre come una femminuccia,perciò ti porterà una bambola” Gulliver gli lanciò un’occhiataccia di traverso,il labbro inferiore già pronto a tremare: “Smettila!” “Femminuccia!” “Stupido!” “Tu sei un pappamolle!”  “E tu sei un cretino!” “Zitto,femminuccia!” “PAPàààààààààààààààààààààààààààààààààààààààààààààààà!”

Damian ed Helen erano seduti su una panchina poco distante dalle due pesti,quando sentirono Gulliver. Sospirò : “Ci risiamo…”

Helen ridacchiò: “Stavolta tocca a te,ti han chiamato loro”

“Mi chiedo quando impareranno ad andare d’accordo. Santo cielo,si passano solo un anno di differenza,non cinque o dieci.”

“Sono bambini,e sono fratelli. Quanto si amano,tanto si odiano. A volte” aggiunse guardando la faccia poco convinta del marito. Sentì il suo cuore battere più velocemente: succedeva sempre,con Damian. D’istinto lo baciò teneramente sulle labbra. Lui rimase sorpreso,ma ricambiò il bacio,contento. Poi la osservò con fare malizioso: “Ehi,dolcezza. Ti ho già vista da qualche parte?”. Helen fece una smorfia divertita: “Spiacente,con me non attacca. Sono già impegnata”.

Il rosso stava per ribattere quando sentì di nuovo la voce acuta di Gulliver strillare: “PapààààààààààààààààààAAAAAAAAAAAAAAAAAA’!”. Roteò gli occhi: “Vado,prima che si strozzino a vicenda.”

23/12/2012 ore 00:30

Il cuore stretto in una morsa di tristezza,Damian svoltò l’angolo stando bene attento a non urtare i pochi passanti che lo sfioravano. Sotto il solito lampione verde,sedeva una vecchia di età indefinibile. Al collo aveva appeso un cartello: LORO STANNO ARRIVANDO. Da tre anni ormai,sotto il periodo natalizio,quella vecchia si metteva lì con il cartello e aspettava. Non chiedeva l’elemosina,anzi,se provavi a lasciarle anche solo un penny te lo lanciava dietro. Semplicemente si metteva lì,in attesa. Di cosa,non si sa. Però lei c’era. Che costanza,pensò Damian. Attraversò la strada e raggiunse la porta del suo pub di fiducia, “The Shack”. Nonostante il nome non promettesse nulla di buono, l’interno era delizioso. Tavolini di legno chiaro,luci basse,moquette bordeaux e un vecchio jukebox nell’angolo. Lui scendeva sempre al piano di sotto,quello con il pavimento in pietra. Era un ambiente più riservato,ideale per chi aveva un appuntamento. Ma non aveva nessun appuntamento,e oltre a lui,al barman e una coppietta di adolescenti fumati  come pigne,il locale era vuoto. Si tolse il cappello e la sciarpa,che appoggiò accanto a sé sul bancone. Il barman -un sosia di Gary Oldman - lo salutò cordialmente: “Ehi,Dam. Vecchio mio,è da un po’ che non vieni a trovare lo zio Joe. Come stai?”

“Lo so amico,scusami. Sto da schifo…”

“Si vede”

“Grazie” il rosso fece un minuscolo sorriso,triste. Gli occhi azzurri erano lucidi,leggermente arrossati. Il volto pallido,i capelli scompigliati. Tra le ciocche infuocate cominciavano a spuntare fili bianchi. Detto tra noi,non è che il divorzio aiuti l’aspetto fisico.

“Cosa ti porto?” chiese Joe,asciugandosi le mani in uno strofinaccio. Damian alzò le spalle,sempre con la faccia da cane bastonato: “Vodka and tonic. Doppio,per favore”.

“Hai intenzione di ubriacarti?”

“Forse…”

“Non è che poi mi vomiti sul bancone?”. Riuscì a strappare l’ombra di un sorriso all’amico,che rispose: “Con lo sporco che c’è sopra,non te ne accorgeresti”. Joe si finse offeso:

“Ma cosa dici? Il mio bancone è pulitissimo. Tieni” gli porse il bicchiere.  Poi lo osservò meglio. Non sembrava un cane bastonato: sembrava un cane bastonato condotto al martirio. Cercò di non lasciarsi sfuggire un sospiro. Dopotutto lui ci era già passato,e sapeva perfettamente che il suo amico non si sarebbe fermato a un bicchiere. Cercando di distrarsi,gettò un’occhiata al bancone. Forse aveva davvero bisogno di una ripulita.

 

Londra,stessa data,solo un po’ più tardi: 00:50.

Qualcuno avanzava furioso a passo di marcia nella neve. Una figura alta,slanciata,con un lungo cappotto rosso e stivali da pioggia neri. Una ragazza giovane,sui vent’anni. Non indossava guanti,né sciarpa. Aveva solo un cappello grigio con i pon –pon. Lo odiava quel cappello,ma era la cosa più calda per proteggersi le orecchie. I capelli erano tutti raccolti all’interno del curioso  copricapo,il volto leggermente tondo era arrossato dal vento gelido che soffiava. Non se ne curava,stringeva gli occhi e avanzava decisa. Stava camminando da quasi un’ora,ininterrottamente. Non aveva una meta,sapeva solo che doveva andare il più lontano possibile dai suoi genitori. Nel ricordare le loro parole gli venne quasi da piangere,ma strinse i denti e continuò ad avanzare.

Cora viveva a Londra da quasi un anno. Si era trasferita insieme al suo ragazzo,Brian,un’inglese biondo dagli occhi azzurri che aveva conosciuto durante le vacanze con gli altri studenti del Trinity. Lui aveva trent’anni,dieci in più di lei. Aveva abbandonato l’università  e suonava il basso in una band che cominciava ad avere un discreto successo a Londra e dintorni. Erano ad una festa insieme ad altri amici,ma quando i loro sguardi si erano intercettati avevano avvertito entrambi un brivido lungo la schiena. Avevano cominciato a chiacchierare,a scherzare,a flirtare un po’. Un’ora dopo,nell’appartamento di Brian, lei era già al terzo orgasmo. Il buffo è che proprio Cora pensava a quella relazione solo come a un qualcosa di fisico,non facendo progetti di vita insieme o simili. Perciò rimase sorpresa quando il giorno dopo,al risveglio,lui le aveva chiesto di andare a vivere insieme. Ma lei non poteva abbandonare la Facoltà di Giurisprudenza,le sue amiche,la sua casa. Aveva già una vita abbastanza complicata,non poteva aggiungerci anche un ragazzo. Eppure c’era qualcosa in Brian che l’aveva convinta ad accettare la proposta. Così,dopo uno spaventoso litigio con i suoi genitori, fatte le valige,salutati gli amici,saliva sull’aereo insieme a quel ragazzo conosciuto solo due giorni prima. A Londra si era ambientata lentamente,e lui era stato così premuroso ad aiutarla a trovare un impiego: ora lavorava come segretaria nell’ufficio di un avvocato,un divorzista. Uno dei più famosi e importanti in tutta la Gran Bretagna. Le pagava uno stipendio quasi da fame,ma fortunatamente c’era Brian a darle una mano. La convivenza all’inizio era stata facilissima: lei puliva casa e stirava,lui cucinava e si occupava di stendere il bucato e dare da mangiare ai tre gatti che loro due avevano salvato dalla strada. Erano felici,non litigavano mai,uscivano insieme,si divertivano e facevano sempre l’amore. Un giorno però,circa tre mesi prima,Cora era tornata a casa e aveva trovato Brian che riempiva la sua valigia.

“Stai partendo?” gli chiese sbalordita.

Lui non la guardò neanche: “Sì,tesoro,scusami se non ti ho avvertita. Io e i ragazzi siamo stati chiamati per aprire il concerto di un gruppo rock in tournée..”

“Quale gruppo?”

“Non li conosci” era stata la sua risposta evasiva.

Si sentiva abbattuta:”Va bene…ma quanto starai via?”

Brian sembrava non vedere l’ora di partire a giudicare la velocità con cui finì di preparare la valigia,prese la giacca e il cappello,scoccò un bacio sulla bocca di Cora e le disse: “Ci sentiamo,ok? Ti amo”.

Tutto questo tre mesi prima. Com’era ovvio,Brian non si era mai più fatto vivo,né per telefono né via e-mail. Si era volatilizzato nel nulla,lasciando la povera ragazza nella peste con l’affitto e alle prese con quei tre pidocchiosi gatti. Come se non bastasse,i suoi genitori avevano avuto la fantastica idea di andarla a trovare per Natale. Viste le condizioni in cui versava l’appartamentino,la madre si era sentita in dovere di “dare una sistemata”.  E non perdeva occasione insieme al padre per cercare di convincerla a tornare in Italia. Ma lei non ne voleva sapere: era convinta che prima o poi Brian sarebbe tornato e tutto si sarebbe aggiustato. Quella sera,mentre stavano lavando i piatti,era avvenuta l’ennesima discussione.

“Cora,tesoro,passami i piatti per cortesia.”

“Mamma non era necessario,lo sai che posso farlo io…”

“Non dire sciocchezze,cara. Tu non sei neanche capace di far bollire l’acqua,figuriamoci a lavare i piatti.”

“…sono convinta che non serva una laurea né per l’una,né per l’altra cosa. Comunque,come vuoi.”

A quelle parole il padre era intervenuto: “ A proposito,hai poi ripensato a riprendere gli studi?”

“No,papà. Non mi sento ancora pronta per ricominciare a studiare,e poi,con il mio lavoro,non ne troverei il tempo.”

“Ma quell’avvocato per cui lavori non avrà bisogno di una segretaria con delle competenze specifiche?” aveva insistito il pater familias.

“Ti prego,stai tranquillo. Per quello che mi fa fare,è necessaria la terza media. Fidati”

“Bè,magari potrebbe decidere di aver bisogno di una con più esperienza nel settore,e allora tu che fine faresti?”

“Il mio non è un lavoro part-time. E in più lui è una persona seria,non mi lascerà a casa da un giorno all’altro,ok?santo cielo,quanto la fate lunga ogni volta.”

Il padre decise di lasciar perdere e tornò a leggere il Financial Times. La madre di Cora invece non demordeva: “Pensala come vuoi,tesoro,io comunque resto dell’idea che faresti meglio a tornare a casa. Ti reggi a malapena in piedi,qui.”

“Mamma,per favore,non ricominciare: sto benissimo qui. Non ho bisogno di aiuto,e comunque voglio sentirmi indipendente. E,tranquilla,basta risparmiare un po’ sulle spese inutili,e vedi che mi reggo benissimo.”

“Risparmiare sulle spese inutili?” ripeté la madre incredula,” Ti reggi benissimo? Ma guardati,perdio! Se a malapena ce la fai a sfamarti! Non ti rendi conto di aver toccato il fondo,che stai raschiando disperatamente? “. La ragazza non aveva retto più. Era uscita senza dire una parola.

 ...

Svoltò l’angolo,trovandosi di fronte una vecchia decrepita con un cartello appeso al collo:LORO STANNO ARRIVANDO. Stava per superarla,quando questa l’afferrò per un braccio e piantò quei suoi occhi cisposi in quelli di Cora,verdi come smeraldi. Cercò di divincolarsi,ma quella la teneva stretta: “Stanno arrivando,piccola mia” disse con voce tremula,mostrando le gengive. Un solo dente. “Stanno arrivando,e presto verranno a prendermi” continuò.

Cora riuscì a sfilare il braccio dalla mano/artiglio della vecchia: “Speriamo che facciano in fretta ,allora. Buon Natale” aggiunse prima di riprendere il cammino. Che gente strana c’è in giro?si chiese entrando in pub dall’aria accogliente. Dentro faceva caldo,e non c’era nessuno,tranne il barista e un’anima persa seduta al bancone.

 

 

Damian sentì il tintinnio  della porta che veniva aperta e si girò istintivamente a guardare chi fosse,come per un riflesso naturale. Sembrava una ragazza,ma non riusciva a vederla bene in viso,ormai dopo il quinto bicchiere non distingueva più neanche il numero delle sue dita. Tornò a concentrarsi sulla vodka. Il bicchiere era vuoto. Di nuovo.

“Joe” disse con voce impastata,trascinando le consonanti “verrsammeneunn’alltro,perfavore”.

“Te lo scordi,Dam” rispose il barista facendo sparire l’ennesimo bicchiere vuoto,ignorando le proteste dell’amico “se vuoi continuare a scaldarti il culo qui dentro,posso darti solo acqua. Altrimenti ti mando in strada con la vecchia pazza.”

Damian fece una smorfia: “Oh,mastazzitto… non sci può neanche bere in pace…”

Cora provò compassione per quel tizio dai capelli rossi. Magari era appena stato mollato,e voleva annegare i dispiaceri nell’alcol. Poi d’improvviso sentì crescere dentro un sentimento diverso,simile alla rabbia: se era davvero così,se quel tipo era stato davvero mollato e cercava di rimediare così,allora era uno stupido idiota. Come si può pensare di dimenticare un amore attaccandosi alla bottiglia? E se la storia era finita,peggio per lui. Un motivo c’era sicuramente. Cazzone. Si sedette su uno sgabello e lo guardò storto. Il sosia di Gary Oldman si materializzò davanti a lei: “Cosa ti porto,dolcezza?”

La prese alla sprovvista: “Oh,ehm… vodka,per favore” disse,prima di arrossire per la sua stupidità: prima giudicava gli altri e poi si ubriacava come loro? Era proprio una cretina. Con la coda dell’occhio vide il rosso alzarsi.

 

Damian avvertì una gran voglia di pisciare. Se non correva subito al cesso se la sarebbe fatta nei pantaloni. E solo una volta si era ubriacato così tanto da soddisfare i suoi bisogni fisiologici nei pantaloni; ora a quarantuno (quasi quarantadue) anni suonati non voleva ripetere l’esperienza. Si alzò barcollando, tenendosi in equilibrio dal bancone. Raggiunse i cessi guardando la moquette farsi sempre più vicina,poi più lontana…se alzava la testa era sicuro che avrebbe vomitato l’anima. Era ubriaco da fare schifo. Gli venne in mente l’immagine di zio Alfred che dormiva ruttando alcol. Ecco,ora era diventato come lui. Gli venne da ridere. Di fronte alla gloriosa immagine della tazza sospirò di sollievo,congratulandosi per la sua resistenza. Impiegò cinque minuti buoni a svuotarsi la vescica,dopodiché si riallacciò i pantaloni e si diresse ai lavandini. Aprì l’acqua gelata,guardando il suo riflesso sbronzo e con gli occhi lucidi. Che schifo,si disse. Guardò l’acqua. Senza pensarci mise la testa sotto il getto ghiacciato . Non era una sensazione piacevole,sentire quel gelo colarti giù per il collo,bagnarti la camicia,inzupparti i capelli. Ma doveva farlo,per riprendersi dalla sbronza,altrimenti avrebbe passato la notte nel pub,a fare compagnia agli sgabelli.

 

Quando tornò in sala,era decisamente più lucido. Aveva solo un po’ di nausea e un forte mal di testa,ma era nuovamente capace di ragionare e gli occhi erano a posto. Ci vedeva di nuovo. E si era accorto di essere finito nel bagno delle donne,che per fortuna era vuoto.  Dopo mezz’ora passata ad asciugarsi alla meno peggio,era uscito. Mentre avanzava verso il suo sgabello,si accorse di una figura seduta poco distante dal suo. Doveva essere il tizio entrato prima. Però aveva qualcosa di strano…innanzitutto non era un tizio,ma UNA tizia. Vedeva solo il suo profilo,il naso piccolo, e il mento dalla linea dolce,e una cascata di capelli  lisci,neri come la pece. Si sedette guardandola di sbieco di tanto in tanto. Lei aveva gli occhi fissi sul bicchiere vuoto. Improvvisamente si girò verso  Damian,che sobbalzò appena, e gli chiese in tono irritato,quasi furioso: “Quanto si può essere stupidi,in amore?”

Lui la fissò sconcertato: “Io…cosa intendi?”

“Quanto pensi che la gente possa sbagliarsi sul conto della persona che ama?”

Damian si guardò intorno,non sapendo cosa rispondere:” Ecco,io…in effetti,io non credo che tu sia nel pieno delle tue facoltà”.

Cora sbuffò sprezzante:”Ma fammi il piacere! E’ solo il secondo bicchiere,e,comunque,trovo che sia abbastanza buffo detto da uno che si è fatto la doccia nel cesso delle signore”.

L’uomo restò interdetto: non si aspettava tanta lucidità. Scambiò un’occhiata con Joe,che gli stava dicendo qualcosa in labiale. Il rosso corrugò la fronte: “Cosa dici? Non capisco” sibilò. Joe ripeté cercando di scandire meglio le parole. Ma quello continuava a non capire. Roteò gli occhi e sibilò anche lui: “Parla con lei,potrebbe essere interessante”,e poi aggiunse: “così magari la prossima volta ci pensi due volte prima di ubriacarti”. Non gli diede il tempo di protestare,perché sparì in una stanzetta attigua. Bene,pensò Damian,mi ha fottuto. Ora o esco di qui alla chetichella,oppure scambio due parole con questa pazzoide.

Optò per la seconda: “Ho sentito uno strano accento nel tuo inglese,di dove sei?”

“Ti interessa sul serio o lo fai solo per stimolare la conversazione?”chiese  la ragazza,quasi ringhiando.

“Tutt’e due.”

“Ho visto qualcosa di familiare nel tuo volto,ci conosciamo?” ribatté lei,non rispondendo alla sua domanda.

“Cosa fai,rispondi con una domanda?”

“E’ quello che fai anche tu o sbaglio?”

“Santo Dio,sei odiosa tu,eh?” esclamò esasperato il rosso alzando gli occhi al cielo.

“Sì,sono odiosa,talmente odiosa che il mio ragazzo ha pensato bene di sparire. E ora sono in uno schifosissimo pub a fare della schifosissima conversazione con un’idiota. E tra qualche giorno sarà Natale. Wow” concluse infine,con una punta di amarezza nella voce, “che anno di merda.”

Damian la osservò meglio,mentre tornava a fissarsi la manica del cappotto rosso. Qualcosa nel carattere di quella ragazza lo incuriosiva,incitandolo a insistere in una conversazione. Normalmente avrebbe lasciato perdere,probabilmente mandando a fare in culo l’interessato di turno. Però lei no,lei gli dava l’impressione di potersi aprire,di potersi sfogare.

“Ok,non so quale sia precisamente la tua disavventura. Se ti interessa,io sto divorziando. Questo è il primo Natale che passerò senza mia moglie e i miei due figli. Contenta? Vuoi fare a gara a chi sta più nello schifo?” disse con voce molto calma. Lo aveva fatto apposta per incuriosirla,per convincerla a parlare.

Lei si voltò appena,guardandolo di sbieco: “Dici sul serio?”

“Assolutamente sì”.

“Posso chiederti perché mi stai dicendo questo?”

“A essere sinceri,non lo so. C’è qualcosa in te che mi spinge a confidarmi. E poi,sbaglio o sei tu che hai cominciato?”

Stavolta Cora lo guardò con più attenzione. Lo trovava affascinante. Maledettamente affascinante,a dir la verità,per questo si era azzardata a rivolgergli la parola. Magari aveva sbagliato i toni,però…

E aveva la netta impressione di aver già visto quel viso. Quegli occhi incredibilmente azzurri ricambiavano l’occhiata. Senti qualcosa muoversi nel suo stomaco,e non era bile. Deglutì.

“Italia” buttò lì,di getto. Lui alzò un sopracciglio:

“Hai risposto alla mia prima domanda,per caso?”

“Sì” disse lei in tono di sfida. Lo vide sorridere. Pensò che aveva delle strane labbra. Ma la cosa che più la attirava erano quelle due  rughe profonde ai lati,che gli conferivano un’aria interessante.

“Bene. Io sono un attore” rispose lui,nello stesso tono di sfida. Colse un guizzo divertito sul viso della ragazza. Non era perfetta,rifletté. Però era molto carina. Gli occhi così chiari contrastavano con i capelli neri,donandole un’aria esotica.

“Ah,bello! Ti ho visto in tv o al cinema?”

L’uomo alzò le spalle: “Può essere!”

“E come mai un attore si stava ubriacando come un disperato?”

“Forse un po’ lo sono…”

“Per via del divorzio,o c’è qualcos’altro?”

“Principalmente per quello…inoltre ultimamente ho l’impressione che tutto ciò che faccio si trasformi in un fallimento. E non parlo del lavoro,ma…a dire il vero,a dire il vero non so esattamente cosa mi faccia sentire così…sarà una crisi di mezza età…” concluse con un sorrisino triste.

“Parli con una che ogni mese si sente così,perciò ti capisco.”

“Giusto…ma tu perché sei qui?”

“Posso dirtelo?”

“Se ti va”.

“Non farai mica la spia?” chiese ironica.

Il sorriso del rosso si allargò: “No,non la farò”.

“D’accordo. Da dove comincio? Dai miei genitori,due fascisti incalliti,razzisti,omofobi, radicali del cazzo? Che mi hanno obbligata a prendere una facoltà che DETESTO? Che per fuggire da loro sono scappata a Londra con il mio ragazzo inglese?” mentre parlava agitava la mano in aria. In un moto d’esasperazione si passò una mano tra i capelli lisci. Damian era un filino deluso: così,era fidanzata,perciò non c’era neanche la possibilità di portarsela a letto…non che lui facesse questo tipo di cose,ma se lei ci stava…lascia perdere,si disse.

“Il tuo ragazzo è di Londra?”

“Sì…scusa,forse avrei dovuto dire il mio ex. Il fatto è che non so come stiano le cose tra noi”.

“In che senso?”chiese interessato.

“…diciamo nel senso che è sparito da circa tre mesi. E non so se abbia intenzione di ritornare,prima o poi. Ma probabilmente,anche se lui tornasse… non lo accetterei di nuovo. Mi ha lasciata senza darmi un motivo valido. Un giorno torno a casa,e lui è già pronto per sparire. Ora sono qui,senza ragazzo,con un lavoro schifosissimo,pagato di merda,con un affitto esorbitante e tre gatti del cazzo…” concluse,con gli occhi sempre più lucidi man mano che parlava. Si impose di non piangere,non di fronte a lui.

“…Mi dispiace,non so cosa dire…”

“Io sì” intervenne pronto Joe,tornato all’improvviso. Vide i due sobbalzare dalla sorpresa. Entrambi sembravano infastiditi dall’interruzione. “So che mi odiate” disse,magnanimo “ma devo chiudere. Vi inviterei a dormire qui,ma non credo vi trovereste abbastanza comodi”.

“Tranquillo,Joe. Ce ne andiamo” disse il rosso alzandosi,prendendo dei soldi dal portafoglio. Cora lo imitò,ma Joe li bloccò: “Calma,calma…per stanotte offre la casa. Quando siete arrivati qui sembravate due sfollati. Tu hai dovuto farti la doccia sotto l’acqua gelata” aggiunse sarcastico indicando Damian,che arrossì. Un colore che andava d’accordo con i suoi capelli. “Perciò ora portate il culo fuori dal mio locale,e sparite. Non fatevi vedere fino al 31,quando sarà lecito alzare un po’ il gomito”. Cora rise: “Ha ragione…allora…Buon Natale,Joe?”

“Anche a te,dolcezza” le rispose Gary Oldman facendole l’occhiolino.

“Buon Natale,J” disse Damian,dandogli una pacca sulla spalla.

“Buon Natale a te,Pel di carota” ricambiò la pacca,approfittandone per spingerli fuori. Quando furono usciti,spense le luci e rimase a guardare per qualche secondo i fiocchi di neve scendere,vorticare e cadere lentamente sull’asfalto. “Anche quest’anno è già Natale…” pensò,con una nota di malinconia. Dentro di sè,augurò a Damiandi passare una buona nottata.

 

 

Londra, 23/12/2012 ore 02:00.

Cora e Damian camminavano lentamente,con la testa bassa. Stavano in silenzio,sembravano aver esaurito gli argomenti. Cora si chiedeva come avrebbe dovuto spiegare questa “fuga” ai suoi. Damian si chiedeva E ora? E ora? La saluto,arrivederci e grazie oppure…? Oppure cosa,ma che mi viene in mente…Dio,non dirmi che sono ancora fradicio.

A un certo punto Cora si bloccò,lasciandosi superare. Dopo un secondo lui si accorse che era rimasta indietro: “Tutto ok?”

Lei lo guardò con gli occhi sbarrati: “Ora so dove ti ho visto…”

“Ah,sì?”

“Sì…sei venuto dall’avvocato. Nello studio legale dove faccio da segretaria. Sì,ecco dove ti avevo già visto! Ma certo!!! Come ho fatto a non pensarci prima,che stupida! Il tuo cognome è Lewis,vero? “chiese,dandosi uno schiaffo in piena fronte.

L’uomo fece un sorriso strano: “Sai,era meglio se avessi ricordato il mio volto per qualche film e non per questo. Così sembra patetico..”

“Perché? Non sai quanti più patetici di te vedo entrare in quello studio..”

“Quindi tu pensi che io sia patetico”. Non era una domanda. Cora rise,un suono fresco e cristallino alle orecchie di Damian.

“Che c’è?”

“Niente,niente..”

Camminarono un altro po’ in silenzio. Arrivati all’angolo,si guardarono imbarazzati.

“Io devo andare da quella parte” disse lui.

“Io invece devo prendere l’autobus…e poi…dovrò spiegare ai miei genitori dove sono scappata…”

“Ci sono i tuoi genitori qui?” chiese sorpreso. Lei annuì piano. Poi aggiunse,con un ghigno sarcastico: “Per passare delle buone vacanze tutti insieme,sai…”

Silenzio. Damian aveva un’idea che gli ronzava in testa,ma non voleva rischiare di ricevere uno schiaffo in pieno viso. E poi,un po’ si sentiva una merda a chiederle una cosa così…insomma,era una semi-sconosciuta,usciva da una relazione complicata. Perché incasinarle la vita? Non che una scopata potesse incasinare la vita. Se si fermava a una scopata. Ma non ebbe il tempo per chiederle nulla,perché si accorse(con un leggero ritardo) che lei gli aveva dato un timido bacio sulle labbra. Se ne accorse quando non sentì più quel calore sulla sua pelle. La guardò esterrefatto. Cora sorrideva.

“Cosa significa questo?”

“Nulla. Se vuoi. Mi andava di farlo,e così l’ho fatto. Tanto nella mia situazione…non vedo cosa può cambiare”. Poi,vedendo che lui non le rispondeva,si girò dalla parte opposta. “Bè,allora io vado…Buon Natale,per quello che vale…”

In un attimo di lucidità riacquistata in fretta,Damian le prese una mano. Senza dire una parola,l’attirò piano a sé,le cinse i fianchi con l’altro braccio e la baciò. Dapprima quasi con tenerezza,poi con più impeto. In un secondo le loro lingue già si esploravano a vicenda,lasciandosi dietro una scia di vodka. Lei si inarcò per aderire meglio al suo corpo,e gli carezzò i capelli. Si staccarono per prendere fiato,tutti e due con il volto acceso,ansanti,avvinghiati su un marciapiede deserto con la neve che scendeva silente.

Fu lui il primo a sorridere: “Posso dire che mi hai sorpreso…”

“Mm..non dirmi che non ci stavi pensando anche tu…” sussurrò lei strofinando il naso contro il suo. Damian sentì un brivido caldo corrergli su per la schiena.

“Ti va di andare a casa mia?”le mormorò all’orecchio,la voce roca dal desiderio.

“Vuoi mostrarmi la tua collezione di farfalle?”

“Volentieri”.

 ...

Presero un taxi che passava miracolosamente da lì. Si imposero di non saltarsi addosso durante il tragitto in macchina. Appena misero piede in casa,si avventarono uno sui vestiti dell’altro,cercandosi  con la bocca di tanto in tanto. Quando furono entrambi nudi,lui si accorse di quanto fosse bella la ragazza. Più di come se l’era immaginata. Il corpo tonico e le curve sinuose,due seni perfetti e la pelle più morbida che le sue mani avessero mai avuto la fortuna di percorrere.

Cora era al settimo cielo,e fu grata a sé stessa per essere stata così ardita. Se non lo avesse fatto,probabilmente a quest’ora non avrebbe avuto una scusa valida per non dormire a casa quella notte. Spinse delicatamente quella specie di Rosso Malpelo sul letto. Lui le sorrideva.

“Che c’è,perché sorridi?” gli chiese mentre gli circondava la vita con le gambe. Damian gemette.

“Allora?”sussurrò lei,vicinissima al suo orecchio,cominciando a ondeggiare piano .

Le accarezzava la schiena: “ Perché sei bellissima…ma non so neanche come ti chiami”.

Si fermò un attimo. Eppure si ricordava di avergli detto il suo nome,ma forse era la vodka. Sorrise: “Mi chiamo Cora”.

“Piacere di conoscerti,allora” e la baciò appassionatamente,stringendola più forte a sé.

 

 

 

23/12/2012 ore 15,00.

Damian fissava il soffitto. Si sentiva euforico. Avevano fatto l’amore all’incirca mille volte,ed ogni volta era stato bellissimo. Divino. Ciò che aveva provato con le altre donne,inclusa Helen, non era paragonabile a ciò che aveva provato con quella ragazza. Cora. Quanto poteva avere? Venti,forse ventun’anni. Giovanissima. Così passionale. Sentiva che da lei avrebbe voluto più di una squallida storia di sesso. Primo,lui non era portato per queste cose. Secondo,aveva l’impressione che lei fosse una ragazza profonda,matura e coraggiosa. Non voleva che diventasse l’avventura di una notte. Si girò verso di lei,che dormiva dandogli le spalle. La coperta era abbassata fino ai fianchi,e da lì scendeva morbida sulle sue curve sinuose a coprire le gambe. Sentì il suo respiro lieve. Sorrise dolcemente. Aveva deciso: al risveglio le avrebbe chiesto di passare il Natale insieme.Non era detto che dovesse passare un Natale di merda.  Tonò a fissare il soffitto,un’espressione beata sul volto. Quello stronzo di Joe,che li aveva spinti fuori. Doveva ringraziarlo.

  
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