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Autore: cipolletta    18/07/2013    3 recensioni
Azure Cox vive la sua vita felice, finchè, quel Marzo 1942 suo padre viene convocato dall'esercito per la seconda guerra mondiale.
Ed Azure non può accettare che vada, perchè sa che non ritornerebbe a casa.
E' così che Azure si trasforma in Charlie Benson ed entra nell' USA army, pronta per calare nella seconda guerra mondiale e battersi contro i Tedeschi.
E' così che incontra Daniel Sharman, ed è così che se ne innamora.
Genere: Romantico, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Isaac Lahey, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sdraiata a terra osservava il cielo limpido che la sovrastava, mentre intorno a lei infuriava la guerra.
Era così privo di nuvole  e sereno che quasi le sembrò una presa in giro.
Sarebbe potuto andare diversamente. Avrebbe potuto restarsene a casa sua, con sua sorella Lucy mentre le spazzolava i suoi lunghissimi capelli biondi, così diversi dai suoi.
Ma la consapevolezza che non sarebbe mai riuscita a sopportare suo padre lì, al posto suo, la colse in pieno come la consapevolezza che in fondo qualcosa di buono l’aveva fatto. Aveva salvato suo padre e con lui la sua famiglia.
Ripensò a quel giorno, a quel 14 Marzo 1942.
 
Un postino bussò alla porta della loro piccola villetta di mattoni crudi, quel sabato mattina.
Era il suo compleanno, avrebbe compiuto diciotto anni, sarebbe diventata finalmente maggiorenne e magari, una volta finita la guerra, i suoi le avrebbero comprato una bella macchina, di quelle rosse fiammeggianti.
Theresa, sua madre, andò ad aprire e quando ritornò nel salone pieno di invitati teneva in mano una busta bianca dall’aria innocua.
Nessuno poteva immaginare che quella busta avrebbe rivoltato la vita di Azure una volta per tutte.
Quella sera, suo padre Joseph la chiamò da una parte e la fece sedere sulla vecchia poltrona di pelle che stava accanto al camino dove la legna bruciava riscaldando l’intera abitazione.
Le poggiò un mano sulla guancia e l’accarezzò con quelle sue dita ruvide.
-Devo partire per la guerra- le comunicò tutt’un fiato.
Azure sentì il suo cuore arrestarsi per qualche attimo, poi scosse la testa e poggiò una mano sul dorso di quella di suo padre.
-No- mormorò- Non puoi.. tu. .no-
Joseph annuì tristemente- Devo andare. E’ per la nostra nazione piccola mia. Cerca di capire-
Azure si alzò di scatto – No che non capisco!- urlò presa dalla rabbia.
Poi si accorse dello sguardo vacuo e perso del padre, così cercò di calmarsi e lo abbracciò- Non voglio che tu vada-
Suo padre aveva cinquantasette anni ed Azure sapeva benissimo che la guerra aveva già ucciso migliaia di persone molto più giovani di lui.
-Domani mattina parto Azure, non c’è nulla che tu possa fare-
Non poteva certo immaginare come la mente di sua figlia avesse già sfornato un piano vagamente improvvisato che gli avrebbe permesso di restare a casa, nel piccolo paese di Rockford, a prendersi cura della sua famiglia.
 
Con mani tremanti si slacciò l’elmetto verde scuro dalla testa, lasciando liberi i suoi capelli corti.
Una volta li aveva lunghi fino a metà schiena , neri come la pece ,e le piaceva tenerli intrecciati.
Sua madre le diceva sempre che avrebbe ucciso per avere dei capelli come i suoi ed Azure era solita ridere di quella frase e scuotere la testa, raccontandole come pensasse sempre di tagliarli almeno fino all’altezza delle spalle. La madre le tirava uno scappellotto giocoso dicendole di non provarci mai.
 
Quella notte Azure restò nel letto con Lucy più del dovuto. Di solito, dopo che la sorellina si addormentava cullata dalle sue ninna nanne, ritornava nel suo letto ad una sola piazza posto proprio sotto la grande finestra in legno. Da lì poteva osservare il cielo scuro della notte e talvolta si metteva a contare le stelle.
Ma quella sera abbracciò stretta la piccola di otto anni e restò così per tanto altro tempo. Pianse lacrime amare quella sera, lacrime che finirono sul cuscino lilla di Lucy che dormiva beata, inconsapevole che quella sarebbe stata l’ultima notte da condividere con la sorella.
Quando il vecchio orologio appeso alla parete segnò le tre del mattino, Azure scese dal letto lentamente e si infilò le ciabatte bianche che aveva lasciato li vicino. Si sedette poi davanti la scrivania di legno chiaro della loro cameretta e prese la sua preziosissima penna stilografica che le aveva regalato sua zia Anne per il suo sedicesimo compleanno.
Scrisse poche righe in quel foglio bianco. Giusto quelle necessarie per spiegare tutto ai genitori convincendoli di lascarla andare.
Scrisse di spiegare alla sorella che non l’aveva abbandonata, e scrisse di spiegarlo anche alla sua migliore amica, Rose.
Si firmò con il suo nomignolo, Az, che le aveva appioppato Lucy quando era piccolina.
Sotto scrisse dentro un ‘P.S.’  che sarebbe tornata. E che al suo ritorno le sarebbe tanto piaciuto se la mamma avesse cucinato per lei una torta al cioccolato, quella che le piaceva tanto.
Si alzò dalla vecchia sedia scricchiolante e con passo felpato raggiunse la cucina. Aprì un cassetto sotto al tavolo dove di solito mangiavano ed afferrò le forbici che Theresa usava per tagliare il pollo, prima che la guerra non gli permise più di comprarlo.
Si trascinò fino in bagno e si osservò allo specchio.
La faccia scarna, la pelle pallida, le occhiaie e lo sguardo di chi, per avere solo diciotto anni ne ha vissute troppe.
Legò i capelli in una treccia.
Posò le lame della forbice all’inizio di quest’ultima.
Chiuse gli occhi quando trovò la forza per chiudere la forbice e tagliare una volta per tutte la treccia, che cadde sul pavimento senza fare rumore.
Passò le dita affusolate fra il suo nuovo caschetto tutt’altro che uniforme o dritto.
Afferrò la lama per la barba del padre e cominciò a tagliare accuratamente sulla nuca, dietro le orecchie, ai lati della testa. Afferrò nuovamente la forbice ed accorciò i capelli che erano ancora troppo lunghi.
Dopo quasi due ore di lavoro, aveva finito.
Quasi non si riconosceva.
Al posto della sua chiama lunga ed ondulata c’erano dei capelli a spazzola degni del peggior maschiaccio.
Le venne quasi da piangere, ma cacciò abilmente indietro le lacrime, aveva ben altro da fare in quel momento.
 
Il petto le bruciava.
Afferrò un lembo dell’uniforme militarizzata e l’aprì con un gesto secco, facendo saltare i bottoni.
Passò la mano sopra la fasciatura ruvida, sorridendo impercettibilmente.
Fu una delle sue idee più geniali.
 
Srotolò tutta la garza elastica del rocchetto e posizionò l’inizio fra i due seni. Poi cominciò ad avvolgersela intorno, stringendola ad ogni giro sempre di più. La fermò con una forcina ed indossò una vecchia maglia nera di suo padre.
-Perfetto- si disse osservandosi allo specchio.
Il seno era sparito e la maglia larga nascondeva le sue spalle poco larghe e cadenti.
Sgattaiolò nella camera dei suoi genitori e silenziosamente rubò l’uniforme militare al padre.
Indossò i pantaloni, stringendoli con una cinta in vita ed arrotolandoli sulle caviglie, la giacca, il berretto e perfino lo zaino militarizzato, dove mise dentro alcuni dei suoi effetti: lo spazzolino, una foto di Lucy, una di lei e Rose e una dei suoi genitori. Prese anche la sua penna stilografica ed alcuni fogli di carta.
Dal suo armadio prese gli anfibi neri che la zia Mery le aveva regalato due anni prima e li indossò, infilandoci dentro i pantaloni ancora troppo lunghi.
 
Il crepitio dei fucili, delle mitragliatrici e delle granate le rimbombavano nella testa.
Accanto a se stessa vide cadere ragazzi come lei ed anche più grandi. Tutti con la stessa espressione in volto; serena. Finalmente, tutto quello, aveva una fine.
Tossì malamente e con una smorfia di dolore portò la mano proprio sotto la clavicola destra, proprio un millimetro sopra il cuore.
Il cuore che le era stato rubato sin dal primo istante da lui…
 
Era in fila da circa tre o quattro ore, aspettava di essere registrata ufficialmente nell’esercito degli USA.
Sentiva gli altri ragazzi e uomini parlare di confine, di morti, caduti, fucili e trincee.
Azure cercava di isolarsi, di non lasciarsi scalfire dalla paura, perché lei era coraggiosa e ce l’avrebbe fatta, sarebbe tornata a casa, sarebbe tornata ad essere se stessa.
Sentì un pianto isterico provenire dal fondo della fila e di scatto andò a vedere, avendo il terrore che fosse Lucy.
Quando trovò un bambino dai capelli biondi e gli occhioni verdi tirò quasi un sospiro di sollievo, ma quella sensazione sparì subito dopo. Si sentì triste per lui, chissà a chi avrebbe dovuto dire addio.
-Cosa ci fai qua?- gli chiese abbassandosi per guardarlo negli occhi colmi di lacrime.
-Ho … ho seguito mio fratello- rispose il bambino fra i singhiozzi.
Azure annuì- Io mi chiamo.. Charlie Benson , ho diciotto anni.. e tu?-
-Paul Sharman , ho così di anni- mormorò aprendo tutta la sua manina destra, facendo capire di avere cinque anni.
Azzurra sorrise, cercando di tranquillizzarlo.
-E tuo fratello ?- chiese
Il bambino sembrò quasi pensarci, poi tirò su con il naso e indicò qualcuno immerso dentro la fila- Si chiama Daniel, ed è là dentro-
-Facciamo così… io ti aiuto a cercarlo ok?- il bambino annuì- Ma tu devi promettermi che poi lo lascerai andare va bene?-
-Ma dopo non ritorna…-
Sentì il cuore stringersi e fremette l’impulso di abbracciare il piccolo biondino
- Certo che ritorna- lo rassicurò accarezzandogli i capelli.
 
Tornò ad osservare il cielo azzurro, come i suoi occhi.
 
Quando il bambino che teneva in braccio le indicò un ragazzo piuttosto alto dalle spalle larghe che fissava dritto davanti a lui, Azure gli si avvicinò picchiettando un dito sul braccio forte.
Quando si voltò verso di lei restò come imbambolata.
Aveva i capelli biondo scuro, leggermente ondulati che gli cadevano sugli occhi azzurri. Osservandoli bene però, Azure trovò anche sfumature di verde, proprio come gli occhi di Paul.
Il volto era spigoloso e la mascella serrata con forza. La pelle era pallida e la bocca sottile ma rosea. Il naso era dritto e finiva leggermente a punta. Era alto almeno una spanna più di lei, indossava i pantaloni militari tenuti fermi da una cinta nera di cuoio, dei scarponi marroni ed una maglietta verdina a maniche corte attillata al corpo muscoloso, tipico di un soldato. Alla scollatura a V della maglia erano appesi degli occhiali scuri a goccia.
-Paul!- esclamò quello rivelando una voce roca e risvegliando Azure dai suoi pensieri- Cosa ci fai qua?- continuò afferrandolo sotto le spalle e prendendolo in collo.
Rivolse uno sguardo indecifrabile ad Azure- E tu?- domandò ammiccando col mento.
Azure incespicò per un attimo poi si schiarì la voce- Ehm.. tuo fratello si era perso, piangeva e ti cercava… così ho pensato di.. sai.. aiutarlo- spiegò cercando di dare alla voce un tono maschile.
Daniel abbracciò il fratello appena sentite le parole di Azure e gli accarezzò i capelli lisci- Paul ne abbiamo parlato- iniziò parlando dolcemente- sai cosa devi fare. Non ti preoccupare per me, ci vediamo al ritorno ok?-
Paul si asciugò delle lacrime con la manica del golf scuro- Non muori vero?-
Daniel sorrise amaramente e gli baciò una guancia- Non dire queste brutte cose. Ovvio che non muoio-
Azure osservava la scena in silenzio, domandandosi come avrebbe reagito Lucy una volta capito tutto.
Il ragazzo richiamò la sua attenzione – Mi puoi tenere il posto? Lo porto fuori e vedo come riportarlo a casa- chiese
Azure annuì e si mise in fila, proprio dov’era Daniel.
-Grazie… -
-Charlie- completò per lui.
Daniel fece una smorfia, che probabilmente avrebbe dovuto essere un sorriso.
-Grazie Charlie-
 
Un soldato le si avvicinò cautamente ed Azure sperò con tutta se stessa che fosse uno dei loro.
L’avrebbe portata in salvo, l’avrebbe portata via da là ed i medici del campo avrebbero poi fatto il loro dovere.
Quando però il soldato parlò, Azure tremò di paura. Parlava una strana lingua, sembrava stesse urlando e strusciava la lingua in un modo strano.
Era un tedesco, e si sapeva che i tedeschi non risparmiavano nessuno.
Gliel’aveva detto proprio lui.
 
Azure si guardò intorno.
La tenda del campo d’addestramento era larga due metri a dir tanto.
C’erano tre sacchi a pelo, tre bicchieri in latta ed una lampa da campeggio.
Azure poggiò lo zaino sopra uno dei sacchi a pelo, quello più in angolo e lontano dagli altri. Ci si sedette sopra e si tolse il berretto.
Si passò una mano fra i capelli a spazzola e si mordicchiò un labbro: un tenente aveva annunciato a tutte le reclute che quel pomeriggio sarebbe iniziato l’addestramento. Lei non era mai stata una ragazza forzuta e muscolosa. Andava abbastanza bene negli sport ma non sapeva se avrebbe retto le prove del campo.
-Preoccupato?- chiese una voce roca.
Azure voltò lo sguardo verso l’entrata stretta della tenda e si sorprese nel vedervi Daniel.
-Abbastanza- rispose sempre imitando al meglio il tono maschile – Tu sei.. ?-
-Daniel Sharman-spiegò allungando una mano verso di lei.
Azure sapeva benissimo chi fosse, ma fece finta di nulla.
Afferrò la mano e subito dopo trattenne un gemito di dolore quando il ragazzo gliela strinse talmente forte che si immaginò il suono delle sue ossa rotte.
Era così che gli uomini si stringevano le mani?
-Sei abbastanza gracilino eh?- domandò ridacchiando.
Azure non seppe cosa rispondere e si limitò ad annuire – In cosa consiste l’addestramento?-
Daniel si passò una mano dietro la nuca e si sedette accanto a lei, provocandole una stretta di stomaco- Amico, non lo so. Dicono che sia estremamente duro. Ma capisco il perché della difficoltà-
Azure inclinò la testa di lato, non capendo.
-Oh andiamo!- esclamò il ragazzo- E’ contro i tedeschi che andiamo! Quelli non risparmiano niente e nessuno! Hai visto ultimamente quante vittime stanno mietendo nei campi di concentramento?-
Ingoiò a vuoto e prima che potesse dire qualcosa, un altro ragazzo apparve all’entrata della tenda.
Era alto, un po’ meno di Daniel, e ugualmente muscoloso. I capelli erano corvini come quelli di Azure, il naso grande ed il mento pronunciato. Gli occhi a mandorla erano scuri a contrasto con la pelle chiara.
Portava anche lui l’uniforme dell’esercito e come Daniel al momento non indossava la giacca ma la maglietta verdastra attillata.
Nel braccio sinistro c’era un tatuaggio abbastanza strano; erano due fasce orizzontali che gli passavano tutt’intorno al bicipite.
-Mi chiamo Tyler…Tyler Posey- esclamò avvicinandosi ai due.
Daniel si alzò in piedi e si strinsero le mani, proprio come aveva fatto con Azure che invece si limitò a fare un cenno di saluto con il mento.
Non ci teneva a rompersi una mano.
-Daniel Sharman amico.. e lui è Charlie…-
-Benson- completò Azure cercando sorridere da solo un lato della bocca ed ottenendo poco più di una smorfia.
-Hai mal di gola?- domandò Tyler a bruciapelo.
Azure sgranò gli occhi e tossì nervosamente, poi si schiarì la voce- Ehm, si-
-Beh gente, non so se ne siete al corrente ma saremo compagni di… tenda-
Azure sentì mancarle l’aria.
 
Le si avvicinò con fucile spianato.
Dagli occhi della ragazza cominciarono ad uscire lacrime calde che le solcarono l guancie arrossate.
Il tedesco poggiò il dito sul grilletto.
Azure lo sapeva, che quella sarebbe stata la fine.
Lo sapeva, gliel’avevano insegnato in addestramento. Il capitano l’aveva perfino marcato con la voce mentre lo diceva: mai farsi trovare disarmati e sotto la loro mira.
Lei non aveva nemmeno un coltellino ed era a terra alla sua mercé.
Chiuse gli occhi mentre le lacrime continuavano a scendere.
 
Un ragazzo sui ventitré o ventiquattro anni camminava su e giù davanti ad Azure che era in fila orizzontale con le altre reclute.
Era alto come Daniel su per giù, ma molto più muscoloso.
I capelli neri erano dritti sulla testa, la barba era incolta e gli incorniciava il viso poco spigoloso. Gli occhi erano ridotti a delle fessure per colpa del sole ed Azure non riuscì a scorgerne il colore.
-Mi chiamo Derek Hale e sono il vostro capitano. Da oggi in poi farete quel che dico io, senza fiatare, intesi?-
Un ‘ si signor capitano ’ si alzò da tutta la fila di giovani soldati e Derek  annuì.
-Bene…- camminò ancora per un po’ su e giù poi si arrestò, proprio davanti ad Azure- Cominceremo subito con le regole base di guerra- girò la testa qua e là scrutando con gli occhi i ragazzi.
-Regola numero 1. Mai farvi trovare impreparati-
Azure non si rese nemmeno conto di essere finita a terra e di aver ricevuto un pugno sul naso dal capitano.
Si portò la mano alla narice dove sentiva dolore e ritraendola osservò come fosse tutta sporca di sangue rosso brillante.
Poco dopo ,infatti, sentì il sapore di rame sulle labbra e qualcosa di caldo che le colava dal naso.
Si pulì con la manica della giacca militare e si tirò in piedi.
Tutti i ragazzi stavano ridendo di lei, o meglio, stavano ridendo di Charlie col sangue al naso in un campo d’addestramento di guerra.
Solo Daniel e Tyler non ridevano, osservandola preoccupati dalla fine della fila.
-Altrimenti questo sarà solo un assaggio di quello che vi potrà capitare- concluse Derek, guadagnandosi l’odio di Azure.
-Regola numero due. Essere veloci, più del nemico- detto questo cercò di sferrare un calcio nello stomaco di Daniel ma quello gli bloccò il piede tenendolo con le mani.
Derek annuì soddisfatto e si liberò dalla presa.
 
Era pronta a morire, aspettava solo che quel maledetto premesse il grilletto.
Fu più che sorpresa nel vederlo sputare sangue e vederselo cadere accanto, senza vita.
Dietro di lui scorse un soldato con il fucile spianato che le sorrise e le fece l’occhiolino.
Riconobbe subito Dylan O’Brien.
 
Azure si osservò i calli sanguinanti delle mani e fece una smorfia di disgusto.
Poi sentì il rumore acuto del fischietto del capitan Hale e di malavoglia tornò ad arrampicarsi.
Saltò e strinse fra le mani l’asse rotonda di legno appesa a circa tre metri da terra. Si tirò su con la forza delle braccia, cercando di ignorare il dolore alle mani, ed agganciò le gambe intorno ad essa, assumendo una posizione simile a quando si gattona , con la differenza che era a testa in giù ed era sfinita.
Strusciò in avanti un piede dopo l’altro, una mano dopo l’altro ed avanzò. Sentiva le gocce di sudore solcarle le tempie, i muscoli bruciarle ed il cuore battere forte.
Quando arrivò alla fine dell’asse lasciò andare le mani e saltò giù.
-Bene Benson. Stai migliorando- le annunciò Derek annuendo soddisfatto.
Azure improvvisamente non pensò più ai suoi calli dolorosi ma sentì un moto di orgoglio crescerle nel petto e sorrise.
E mentre camminava per raggiungere la sua tenda, ancora sorrideva a trenta denti.
-Sorridi? Cos’hai visto di bello per sorridere così? Sai cos’era la cosa per cui sorridevo? La mia lei! Tu  ne hai una? E’ per questo che sorridi?- Azure voltò la testa verso il ragazzo che l’aveva bombardata di domande ed inclinò la testa.
Era mingherlino, senza muscoli e neanche troppo alto, ma non si poteva definire brutto.
Aveva i capelli chiari dritti sulla testa, la pelle chiarissima e gli occhi color ambra. Il volto era spigoloso, il naso a punta come le orecchie e la bocca fina. Quando sorrideva si intravedevano i denti bianchi e precisi. La voce era acuta e veloce proprio come quella di un bambino curioso.
-Chi è la tua “lei”?- domandò in risposta, evitando le altre domande.
-Oh!- sobbalzò e s’infilò una mano dentro la tasca interna della giacca militare- Aspetta…- ne tirò fuori una foto in bianco e nero e gliela porse.
Azure la afferrò delicatamente e la osservò.
Una ragazza sorrideva verso la macchina fotografica ed era una delle ragazze più belle che Azure avesse mai visto. Il volto aveva i lineamenti dolci, le labbra carnose tinte di un rossetto scuro, gli occhi rotondi e chiari contornati da folte ciglia nere ricoperte probabilmente da mascara.
I capelli erano pettinati in morbidi boccoli ed erano fermati da un lato da un fiocco a pois.
Si intravedeva il seno prosperoso e le braccia sottili.
Azure pensò di voler essere come lei.
-Si chiama Holland- spiegò il ragazzo riprendendosi la foto e riponendola dov’era prima.
-Siete proprio una bella coppia- gli disse Azure incrociando le braccia al petto.
Il biondo sospirò – già. Peccato che stia con un altro- rispose indicando un ragazzo poco più in là.
Era alto e muscoloso, come tutti i ragazzi in quel campo d’altronde, capelli biondo chiaro e tratti spigolosi. Azure non riusciva a vedere di più da quella distanza.
-Colton Haynes- spiegò sbuffando – l’emblema della bellezza-
Azure pensò che non ci fosse nessuno più bello ed attraente del suo compagno di tenda, poi si trattenne dallo schiaffeggiarsi da sola. Lei era ufficialmente un ragazzo e non poteva e non doveva fare certi pensieri.
-Comunque… io sono Dylan O’Brien. E tu?-
Azure strinse la mano che il biondino le aveva allungato. Oramai aveva imparato a salutare- Charlie Benson-
Dylan sussultò- Ehi Amico! Vacci piano con le strette di mano!- esclamò agitando la mano al vento.
 
Sentiva male allo stomaco e pensò fosse colpa di uno dei tre proiettili ricevuti.
Si sorprese di come il dolore somigliasse a quella stretta che sentiva ogni volta che Daniel la sfiorava.
 
Aveva mal di pancia e la paura le attanagliava le viscere.
Quando era scappata di casa non aveva minimamente pensato che pur mascherandosi da uomo sarebbe rimasta una donna, soprattutto in quei giorni del mese.
E se qualcuno avesse notato il sangue?
Non poté far a meno di gemere debolmente quando una fitta la colpì nel basso. Quand’era così sua madre le preparava una tisana a dir poco magica e sua sorella Lucy le si sdraiava accanto e le massaggiava il punto dolente, facendola ridere mentre ripeteva come un mantra che non voleva sviluppare.
Ora però sua mamma Theresa non c’era, e non c’era nemmeno Lucy.
Era da sola, di notte, in una tenda dove c’erano altri due maschi, in un campo dove c’erano tutti uomini, lontano chissà quanto da casa sua e dalla tisane magiche.
Si passò una mano nel basso ventre e chiuse gli occhi con forza, gemendo nuovamente.
Si maledette da sola quando vide la figura di Daniel girarsi nel suo sacco a pelo e piantargli gli occhi addosso.
-Stai bene?- domandò con voce ancora impastata dal sonno.
Azure annuì – Ehm si , certo, torna a dormire- disse a denti stretti mentre un’altra fitta l’attraversò.
Sua madre le aveva sempre detto era una delle ragazze che avrebbe sofferto di più, per via del suo utero piccolo eccetera eccetera, ma Azure non avrebbe mai immaginato di dover star male come quella notte.
-No, non stai bene- Daniel si alzò dal sacco e gli si sdraiò accanto- Allora, mi vuoi dire cos’hai?-
Azure sentì una stretta enorme allo stomaco, ma stavolta sospettò non si trasse di problemi femminili, visto lo sfarfallare che avvertiva dentro di sé, i battiti accelerati e le mani sudaticce.
-Probabilmente ho mangiato qualcosa che non avrei dovuto- cercò di essere convincente – Ma ora puoi tornare a dormire-
-Ehi gli amici non si lasciano da soli nel momento del bisogno- sussurrò sorridendo nel buio della notte.
Azure sentì sciogliersi come burro sul pane tostato caldo.
Si accucciò contro il petto di Daniel, fregandosene se fosse rimasto sorpreso dal suo comportamento.
Aveva bisogno di sentirlo vicino a lei, di sentire il suo odore ed ascoltare i suoi battiti che però, non erano accelerati come quelli di Azure.
 
Le tornò in mente quella mattina di pochi mesi prima, quando fu ad un millimetro dall’essere scoperta e le venne da ridere.
 
Tutti i ragazzi erano nelle docce comuni a lavarsi e come sempre, da due anni a questa parte, Azure stava aspettando che tutti facessero ritorno nelle loro tende per poi intrufolarsi di nascosto e farlo anche lei.
Due orette dopo circa, si diede da sola il via libera.
Entrò di nascosto e si assicurò di non esser seguita, poi si avviò verso gli spoiatoi.
Si liberò dei pantaloni larghi, degli anfibi che oramai erano quasi bucati, della giacchetta militare e perfino della maglietta verdastra che mentre a tutti gli altri stava più o meno attillata, per lei era almeno di due tagli più grandi.
Quando rimase in mutande, srotolò la fascia elastica da intorno al busto, ritornando ad osservare il suo vero corpo. La pelle era tutta segnata dalla trama della fascia ed era anche abbastanza secca, ma Azure non si meravigliò. In fondo, la teneva ventiquattro ore su ventiquattro e se ne liberava solo quelle due volte a settimana.
Raggiunse a piedi nude le docce, ognuna separata da un divisore in plastica non trasparente, e girò la manovella.
Acqua fredda cominciò a bagnarle i capelli ed il corpo ed Azure chiuse gli occhi, ricordando come fosse calda l’acqua a casa sua.
Dei passi la fecero rabbrividire e quando si accertò che non fossero tutta una sua immaginazione, cercò di acquattarsi più che poteva.
Il ragazzo che era entrato nel locale docce cominciò a fischiettare e lo sentì andare nella zona degli  spoiatoi, per poi ritornare.
Azure sospettò fosse nudo, come in fondo lo era anche lei.
Quando il ragazzo si accorse dello scrosciare dell’acqua della sua doccia, smise di canticchiare.
-Chi c’è?- domandò.
Il sangue di Azure si gelò completamente nelle vene nel riconoscere quella voce.
Era la fine. L’avrebbero scoperta e rimandata a casa, se non addirittura punita duramente.
Cercò di giocarsi il ‘tutto per tutto’ come diceva sempre la sua migliore amica Rose.
-Ehm… Daniel?- disse.
-Charlie! Come mai qui ora?- domandò infilandosi nella doccia accanto.
Azure, fortunatamente, notò che poteva solo riconoscere la figura di Daniel e nessun particolare poteva essere visto, quindi era così anche per il ragazzo con lei.
-Non mi sono reso conto dell’ora- rispose – E tu?-
-Stavo scrivendo una lettera per Paul-
Passò le braccia intorno al seno e si girò di schiena, per evitare di far intravedere qualcosa di troppo o qualcosa di… meno.
Sperò solo che le sue curve non la tradissero, anche se in fondo non era mai stata una ragazza dal corpo sexy, non si poteva dire che avesse le forme di un ragazzo.
-Non ti facevo così.. magro sai?- disse facendo salire l’ansia di Azure che tossicchiò in imbarazzo.
-Già… ora vado a vestirmi.. a dopo ok?-
Chiuse l’acqua e fece per sgattaiolare via ma la voce di Daniel la fermò.
-Aspetta vengo anch’io-
Azure temette che il cuore le uscisse dal petto per quanto le batteva forte e pregò di dissolversi nell’aria.
-Vai prima tu… mi.. vergogno – mormorò.
Daniel scoppiò in una fragorosa risata – Ti vergogni? Andiamo di cosa mai ti vergognerai? Abbiamo le stesse cose!- e rise di buon gusto ancora una volta.
Azure arrossì – Tu vai avanti…-
Lo vide annuire e uscire dalla doccia sempre senza smettere di ridere, e Dio solo sapeva quanto fosse stato bello quel suono.
Azure l’avrebbe apprezzato tantissimo se non avesse avuto a che fare con il problema di vestirsi senza esser vista.
E anche se non avesse avuto un Daniel nudo davanti a lei che camminava verso gli spoiatoi senza preoccupazioni apparenti.
Abbassò lo sguardo sentendo tutto il sangue del suo corpo fluire sulle guancie e cominciò lentamente a camminare anche lei, facendo attenzione che il ragazzo non si voltasse ed in caso pronta a nascondersi.
Quando arrivarono alle panchine si mise quasi a saltare dalla gioia nel costatare che Daniel aveva appoggiato i suoi vestiti lontano da dove erano i suoi e che fortunatamente c’era una colonna bella grossa nel separarli.
Si infilò velocemente dietro di essa e cominciò a vestirsi con foga.
-Sai che non ti ho mai chiesto Charlie?- domandò Daniel
Azure infilò le mutande troppo grosse per lei in fretta ed infilò anche i pantaloni, mentre con le mani tremanti cercava di chiudere la cinta di cuoio nero intorno al suo bacino –Cosa?-
-Hai una ragazza?-
Passò la fascia intorno al torace e la fermò con le sue solite forcine, poi si infilò velocemente la maglia verdastra e poté finalmente tirare un sospiro di sollievo.
-No.. non ora almeno. Tu?-
Anche Daniel sospirò, ma probabilmente non dal sollievo- L’avevo, prima di partire per la guerra.
Azure ingoiò un improvviso groppo in gola- E come si chiamava?- domandò
-Crystal Reed-
Si trattenne dal dirgli che Crystal era il classico nome da ragazza tutta trucco e vestiti e segatura nel cervello.
Daniel si schiarì la voce- Ma pazienza. Oramai è finita. L’ho lasciata qualche mese prima di partire. L’amavo ma… avevamo così poco in comune e litigavamo praticamente sempre. Non era una situazione salutare per me-
Azure si mordicchiò un labbro ed indossò gli anfibi- Capisco. Anzi, sinceramente.. non capisco. Non ho mai avuto una ragazza..-
Stava parlando più o meno sinceramente. Non aveva mai avuto un ragazzo, e probabilmente, visto come stavano andando le cose nella sua vita, non lo avrebbe avuto mai, e non avrebbe mai avuto nemmeno quel primo bacio che tanto agognava.
La testa di Daniel fece capolino da dietro la colonna e poi spuntò fuori tutto il corpo. Indossava solo i pantaloni e le scarpe, mentre il petto era ancora nudo.
E che petto, pensò Azure.
-Mai?- domandò incredulo.
Allo scuotere di testa della ragazza Daniel le diede una pacca troppo forte sulla spalla- Amico, quando tutto questo finirà.. ti ci porterò io a far conquiste-
Azure gli avrebbe tanto voluto dire che quando tutto quello fosse finito, le sarebbe piaciuto stare con lui, e non come amici.
Ma quelle parole, ovviamente, non uscirono mai dalla sua bocca, e si limitò a fingersi entusiasta e ad annuire.
 
Qualcuno sparò vicino a lei, e si ritrovò a pensare  con quale coraggio l’uomo potesse fare una cosa come questa: uccidere, mettere fine alla vita di un tuo simile.
Lei lo aveva fatto, purtroppo. Aveva ucciso e ne sentiva il peso sulle sue spalle, ora sempre di più fin tanto che si avvicinava la sua fine.
Come aveva potuto far provare ad altri quello che stava provando lei?
 
Si buttò dietro dei sacchi di sabbia, di quelli della sua trincea.
Avevano aperto il fuoco e tutti sparavano contro tutti. Aveva perfino visto uomini della stessa nazione spararsi a vicenda, accecati dalla foga del momento.
Fece capolino con la testa e puntò il fucile verso il confine “nemico”.
Che poi, si poteva definire realmente nemico? In fondo, erano solo uomini che come lei e come i suoi compagni, cercavano solo di proteggere il loro paese e le loro famiglie. Cercavano come lei di sopravvivere ancora una volta e ritornare a casa quando tutto sarebbe finito.
Lì le insegnavano che loro erano i cattivi, quelli dalla parte del torto.
Ma Azure sentiva che lì, tutti erano nel torto. Anche lei, che stava sparando qua e là senza prendere una mira ben precisa era nel torto più totale.
Anche lei che aveva messo fine a cinque o sei vite in due minuti era la cattiva.
Chi poteva giudicare? Chi diceva che loro non fossero i cattivi?
No, non c’erano ne cattivi né buoni. Non era come nelle favole dove il bene vince su ogni cosa.
Lì c’erano solo tanti uomini aizzati contro altri che sparavano senza un motivo preciso.
Perché si stava facendo la guerra?
Per il capriccio di qualcuno superiore, non per altro. Perché tutte quelle persone morivano?
Azure non poté far a meno di pensare come tutte le famiglie Americane stessero soffrendo in quel momento.
E quando il suo proiettile colpì in piena fronte un ragazzo sui vent’anni e quello la guardò disperato, prima di cadere inerme a terra, fu consapevole che anche lei stava arrecando dolore ad altre famiglie.
 
Un altro soldato si avvicinò a lei.
Oramai sentiva il respiro farsi più debole e il cuore perdere battiti, ma era ancora cosciente, e riconobbe la faccia impolverata e stanca di Daniel farsi spazio fra i cadaveri per correrle incontro.
-Charlie !!- urlò buttandosi in ginocchio accanto a lei – Charlie.. ma cosa..?- mormorò.
Daniel si guardò intorno ed afferrò Azure per sotto le spalle, proprio come quella volta di tre anni fa fece con il fratellino Paul, e la trascinò fino dietro alcuni sacchi di sabbia impilati uno sopra l’altro.
La adagiò con cura sul terreno ed Azure sussultò dal dolore.
Sentiva i muscoli irrigidirsi ed un freddo ghiacciale farsi spazio dentro di lei.
-Charlie…- mormorò ancora, ed Azure poté benissimo vedere una lacrima calda solcare la guancia dell’amico.
Solo in quel momento lo sguardo di Daniel cadde sulla giacca militare aperta e dopodiché sulla fascia elastica imbrattata di sangue.
-C cosa..?- balbettò.
Fece per afferrare il lembo della fascia e cominciare a srotolarla ma Azure lo bloccò facendo appello alle sue poche forze rimaste.
-Charlie ti hanno sparato su più punti.Devo vedere!-
Azure scosse debolmente la testa. Non c’era bisogno di vedere.
Aveva una pallottola sopra al cuore, una all’altezza dello stomaco e una sulla gamba. Sentiva dolore , tanto dolore ed oramai sapeva che non ci sarebbe stato più nulla da fare.
Sentiva gli occhi chiudersele e prima di morire, avrebbe voluto fare solo una cosa.
Una cosa soltanto.
-Non.. non mi chiamo Charlie- disse prima che il suo corpo fu scossò da un brivido e fu costretta a tossire.
Daniel passò un braccio sotto il collo e con l’altro le afferrò la mano sporca di sangue e terra.
-Come, come ti chiami?- chiese guardandola negli occhi e muovendosi avanti ed indietro, come a volerla cullare per farla addormentare e scordarle tutto il resto.
Ma Azure sapeva che quel movimento era dettato dalla disperazione.
Loro due erano diventati migliori amici. Tre anni in guerra insieme, fra gioie e dolori, fatiche ed alzate all’alba li avevano avvicinati come non mai, anche se Azure provava qualcosa di più che l’amicizia.
Se ne era accorta quel triste giorno.
 
Avevano accordato una settimana di tregua con i tedeschi, per raccogliere i cadaveri e celebrare i funerali.
Azure aveva dato una mano.
Lei stessa aveva sollevato di peso il corpo senza vita di Colton e senza accorgersene era scoppiata a piangere come una bambina.
Aveva pianto ancora di più quando, una volta tornata al campo, depositato Colton su una barella e coperto con un lenzuolo, trovò poco più in là ,una delle persone che mai avrebbe voluto vedere.
Tyler Posey poteva definirsi bello anche da morto, con le braccia muscolose piegate sopra al petto e gli occhi chiusi.
Azure corse al suo capezzale e scoppiò ancora di più in lacrime, accasciandosi accanto e lasciandosi andare ad un pianto isterico. Quando Daniel la prese fra le braccia e l’allontanò gentilmente dal corpo, combatté con le unghie e con i denti finché non la lasciò andare e poté nuovamente sdraiarsi sul suo migliore amico e piangere tutte le lacrime che aveva in corpo.
Si accorse di aver perso il suo migliore amico, e si accorse di aver bisogno di un abbraccio da quello che aveva considerato come Tyler.
Quando Daniel l’abbracciò e pianse sulla sua spalla, Azure capì di amarlo. Non sapeva bene come aveva fatto a capirlo, ma sapeva che erano i suoi sentimenti.
E si sarebbe presa a schiaffi da sola, si sarebbe presa a pugni e calci per aver solo sfiorato il pensiero di esser contenta che in quella barella ci fossero Tyler , Colton o chissà chi altro ma non Daniel.
E pianse. Pianse per tutti, e per quel pensiero.
 
Azure sentì che era il momento della verità.
Prese un respiro , abbastanza doloroso, e si preparò a svuotare il sacco.
-Mi chiamo Azure- ammise con voce che assomigliava più ad un sussurro che ad altro.
Daniel inclinò la testa di lato. Non capiva, Azure lo vedeva dai suoi occhi socchiusi.
-Sono una femmina, Daniel. Ho finto…- un colpo di tosse le scosse il corpo- ho finto di essere un ragazzo per prendere il posto di mio padre- Un altro colpo di tosse, stavolta più forte, le fece chiudere gli occhi e strizzarli.
Sentiva le forze abbandonarla ed ogni respiro diventare una lotta.
Provò a chiudere gli occhi, ma uno schiaffo leggero la colpì in guancia.
-Non farlo… non morire Ch- Daniel scosse la testa ed altre lacrime scesero dagli occhi– Azure. Non morire, mi devi ancora spiegare tante di quelle cose-
Azure sollevò debolmente la mano lasciata libera da Daniel e gli accarezzò una guancia.
Sorrise e nonostante la consapevolezza di aver poco tempo, si sentì felice.
-Non ce da spiegare nulla. Ho finto per non far morire mio padre. Mi dispiace di averti mentito… ma non pot- prese respiro.
Parlare era sempre più difficile.
-Non potevo dirtelo capisci?-
Daniel annuì e poggiò la testa sul petto di Azure. Pianse lacrime calde, cominciò perfino a singhiozzare mentre la ragazza gli accarezzava i capelli, come avrebbe sempre voluto fare.
Erano ispidi e sporchi di fango , ma ad Azure non importò.
-Ssssh- gli accarezzò anche la schiena- Va tutto bene-
-No!- urlò Daniel- No che non va tutto bene!- disse con la bocca sul suo petto.
-Avrei dovuto capirlo! Dannazione….- si tirò su e la guardò negli occhi – Se ci ripenso, avrei potuto capirlo da un milione di cose ed invece…. –
Azure tossì.
Daniel le prese entrambi le mani- Avrei dovuto capirlo e proteggerti. Avrei dovuto far in modo che tutto questo non accadesse-
-Sei stato un eccellente miglior amico invece-  ammise Azure sorridendo.
Al che Daniel ridacchiò e tornò con la testa sul suo petto.
Stettero così per quanto? Pochi secondi? Un minuto? Dieci minuti? Delle ore?
Azure non lo sapeva, non lo avrebbe mai saputo.
Percepiva solo il desiderio di restarci per sempre. Ma sapeva che non poteva, non sarebbe mai accaduto, e poi, sentiva la vita scivolarle via dalle mani come l’acqua.
-Ti amo, Daniel- sussurrò – Sei stato il mio primo amore- ripeté per paura che lui non avesse sentito.
-Delle volte…- prese un respiro doloroso – Mi domandavo come sarebbe stato se… se ci fossimo conosciuti in un posto differente, in un momento differente.-
Daniel si sollevò a guardarla nuovamente negli occhi.
-Io … non lo so. Ma mi avresti colpito, ne sono certo… mi avresti stecchito al primo sguardo probabilmente- disse.
Azure sorrise di nuovo.
Pensò di star sorridendo più negli ultimi minuti della sua vita che nei suoi ventuno anni.
Azure tossì e Daniel si accucciò, facendo sfiorare i loro nasi. Poi la baciò.
Il bacio che lei sognava ogni notte. Fu un bacio da film, di quelli appassionati , di quelli con dietro sentimenti che potrebbero far esplodere l’universo.
Azure ricambiò debolmente, sorridendo sulle labbra del ragazzo.
Si staccarono e Daniel si asciugò una lacrima.
-Ti chiedo solo di cercare la mia famiglia. Cerca Joseph Cox e raccontagli di me – sussurrò – Cerca la mia famiglia e digli di non preoccuparsi per me, starò benissimo. Cercali e digli che non sono morta per colpa loro, sono sicura che lo penseranno… digli che mi dispiace, che avrei voluto rimanere con loro o salutarli. Digli che sono contenta ora. Cerca mia sorella Lucy e digli che la proteggerò e sarò sempre con lei, qualunque cosa accada. E digli di guardare dietro lo specchio, c’è una lettera per lei. -
Prese l’ennesimo respiro. Aveva le mani ghiacciate, tremava ed era scossa da colpi di tosse causati dai polmoni che si stavano irrigidendo -Per favore, fallo-
Il ragazzo annuì la strinse a sé.
-Grazie- mormorò in fine.
Daniel continuò a piangere sopra il suo petto e lei continuò ad accarezzargli i capelli, continuando a guardare il cielo, ancora celeste, e a pensare al suo primo bacio.
Perfetto, da girl magazine, avrebbe detto Rose.
Poi, come una bambina quando ha sonno, chiuse gli occhi.
La mano cadde a terra e la testa leggermente all’indietro.
 
La seconda guerra mondiale mieté 71 090 060 vittime.
413000  furono i caduti per gli Stati Uniti.
Tyler Posey, Colton Haynes, Dylan O’Brien, Derek Hale e Azure Cox furono fra quelli.

14 MARZO 2013.
Una bambina dai capelli biondissimi e riccioli corse allegramente verso l’entrata del parco di Rockford, USA.
Scrutò con i suoi occhi color nocciola tutto il perimetro circondato da alberi per poi  trovarlo seduto su una panchina accanto al laghetto dei pesci rossi.
Saltellò fino a raggiungerla e vi ci sedette.
Il vecchio dai capelli bianchi e spesse rughe sotto gli occhi ancora celesti sobbalzò,  per poi ridere allegramente.
-Ma chi vedo qua? Ciao mia bella Isabell!- esclamò con voce rauca.
La bambina abbracciò il vecchio e gli stampò un delicato bacio sulla guancia.
-Ciao nonno Daniel!-
Il vecchio sorrise, accentuando ancora di più le rughe sotto agli occhi e prese in braccia la piccola di cinque anni.
-E la tua bella mamma?-
Isabel scrutò intorno a sé, per poi allungare un braccio verso una ragazza sui trent’anni che camminava a passo deciso verso di loro –Eccola- rispose ridendo allegramente.
Quando la ragazza dai capelli castani si avvicinò Daniel sorrise.
-Ciao Azure! Quanto tempo è passato?- domandò allegramente.
Azure sorrise e scuotendo la chioma riccia si sedette accanto al vecchio- Ciao papà. Lo so che è tanto che non veniamo a trovarvi ma ho lavorato un sacco ultimamente- spiegò lasciandogli un bacio sulla tempia.
-Quindi devo supporre che il nuovo lavoro a Detroit ti piaccia?-
Azure annuì felice e fece per rispondere quando la piccola la interruppe.
-Nonno… mi racconti di quella ragazza che aveva il nome di Mamma? Mi racconti la sua storia ?-
Daniel ridacchiò- Ancora? Ma è la milionesima volta che la vuoi sentire! Ma ok.. se proprio insisti…..-

 
 
 HOLA.
LO SO , è LUNGHISSIMA, CALCOLATE CHE SONO 20 PAGINE WORD AHAHAHAHA.
Ma avevo questa ispirazione da un sacco di tempo, ed oggi ha piovuto e così... eccoci qua!
Volevo farci una fan fiction ma poi non avrei saputo che scrivere nella maggior parte dei capitoli così... eccoci qua ( e due)
Ci ho messo anima, cuore, cervello, dita, sedere ( che mi si è appiattito a forza di star seduta) batteria del pc, una bottiglia di esta the e chi più ne ha più ne metta.
Ci tengo tantissimo e spero che vi piaccia almeno tanto da lasciare una recensione, giusto per avere una piccola soddisfazione dopo aver scritto sto poema AHAHAH.

DITEMI SE VOLETE IL POV DA PARTE DI ISAAC, PERCHè POTREI FARLO.
Ho messo, come vedete, gli attori dei personaggi di TW più che i personaggi stessi, perchè...perchè bho. Ho solo lasciato Derek perchè dopo c'erano due Tyler!
Lo so che in pratica fo morire tutti, ma ammettete che se vivevano tutti felici e contenti non c'era un bel finale dai!
Ah, comunque, ho preso alcuni dati della seconda guerra mondiale ( quelli dei morti) da wikipedia e quindi non so se siano esatti ma penso di si.
Quindi nulla, ci vediamo nella mia FF the WereWolf and the Demigod, che massimo sabato mattina aggiorno!
CIAOOOOOOOOOOOO
P.S.= dai dai che ce la fate a scrivermi una recensionina ina ina (?)


UN BACIONE.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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