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Autore: Luna_R    19/07/2013    0 recensioni
Azzurra e Flavio sono gli opposti che si attraggono e si respingono con la stessa forza.
Muovono una storia dalle tinte complicate ma capaci d'amarsi di puro amore.
Saranno il tempo e la determinazione a sancire per loro un degno inizio o la più blanda fine.
*Capitolo 1.
«Vuoi?»
«Voglio te. Da due ore e mezza.»
Scivola sinuoso dallo sgabello e sento pizzicarmi il ventre; mi toglie il bicchiere dalle mani appoggiandolo accanto al suo ancora pieno. Getto le mani in avanti per fermarlo, mi piace provocarlo, ma lo vedo piegarsi sulle ginocchia e afferrare me per le mie.
«Flavio, mettimi giù!»
Ubbidisce solo quando raggiungiamo il letto e le profumate lenzuola porpora. «Tutte le volte dici che devo viaggiare solo.» Distribuisce baci dal mento al collo, parlando piano, flebile. «Credevo ti piacesse, viaggiare con me.»
«Mi piace.» Sussulto, con le mani affondate nei suoi folti capelli.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Azzurra D’Amore.

Una storia semplice

 

 

 

Ma non è colpa mia se per noi questo è vivere.

Una storia semplice _Negramaro.

 

Capitolo 1.

 

 

E’ impossibile. Intollerabile.

Quando lui è in giro, squisita figura in completi spesso impeccabili, il mio cervello -ma inutile fare la tirchia abbondiamo- oso dire anche tutta la mia persona, va in tilt. Cortocircuito! Abbandonare la nave, prego!

Oggi ho spaccato la punta a due matite; e sono solo le undici.

Riuscirò ad arrivare intera per le due? Ne dubito.

Che poi analizzandolo attentamente e attraverso lo scanner-femmina, non è uno di quei maschi che lo guardi e ti cascano le mutande dall’eccitazione; lui è più uno di quegli altri lì.. capito quali no? I perfetti affascinanti.

Quelli dal connubio naso-bocca equilibrato -ergo profilo greco- occhi ferini tanto piccoli e a fessura da dover appellarsi a tutti e dieci i gradi di buon vista per capire lo splendido colore di cui sono forgiati; in questo caso petrolio direi, quasi nero, a tratti forse piombo fuso. Quelli dal fisico asciutto, niente muscoli insolenti tirati sotto la camicia, con il sedere sodo da chilometri di corsa e le gambe snelle al punto giusto.

Il suo unico difetto e mi ci sono applicata per trovarlo, potrebbe essere la sua altezza nella norma, per me che amo i giganti ma.. l’insieme è assolutamente perfetto ed io c’ho perso la testa. Punto.

E lui lo sa. Ma sono pronta a mettere entrambe le mani sul fuoco che anche io non gli sono del tutto indifferente.

 

«Signorina Azzurra, può stamparmi cortesemente il mio check-in?!»

«Certo dottor Spagnoli, mi lasci pure i documenti necessari.»

 

Sono in piedi dietro al bancone che da cinque anni è la reception presso la quale lavoro; il palazzo è la sede di una delle più importanti compagnie d’assicurazioni del paese, lui “soltanto” il manager taglia teste più cazzuto di tutto l’universo, oltre che la mia stragrande cotta adolescenziale.. da venticinquenne.

Il mio compito? Occuparmi di lui e dei suoi colleghi praticamente tutto il giorno, servire i clienti grandi e piccoli, seguire meeting, corsi, organizzare catering, più tutta una noiosissima serie di cose che una segretaria normale fa tutti i giorni. Occuparmi di lui non mi dispiace sia chiaro, ma la freddezza di certi momenti mi mette alquanto in imbarazzo, anche se vederlo svolazzare dinnanzi al bancone anche futilmente mi mette addosso una scarica di adrenalina non indifferente. Mi piace avere i suoi occhi addosso. Come adesso, che indugia sul mio volto serio, quasi accigliato mentre scorgo i caratteri della sua persona che ormai conosco a memoria. E non solo quelli. Sorrido riconsegnandogli i documenti e lui fa passare delicatamente la sua mano sotto la mia, sfiorandola ma cercando volutamente il contatto. Sorrido cordiale, assente.

 

«Deve ricordarsi di farsi dare i pass dalla dottoressa Sabelli. E prenotare un check-in anche per lei.» Maria Rita deve essersi completamente dimenticata di dirmi che sarò di nuovo io a seguire Spagnoli fuori sede; come se non lo sapessi d'altronde, solo.. non saranno troppo evidenti queste coincidenze? Il mio lavoro è fatto di discrezione, sorrisi cortesi e poche parole. Ai fatti però non posso competere. Uhm, devo ricordarmi di metterlo in cima alla lista dei punti da chiarire. «Grazie, Azzurra.» Gli squilla il telefono proprio mentre mi rivolge uno di quei suoi sorrisi ambigui e ne approfitto una volta che si è girato per accasciarmi sulla sedia esausta. “Merda che sorriso.”

«Certo che tu hai delle gran botte di culo eh!»

Chiara la mia affettuosa, gentile, premurosa nonché collega che tutte vorrebbero avere, scongela il suo mutismo da apnea Spagnoli-in-vista e comincia a subissarmi di insulti che secondo lei dovrebbero essere dimostrazioni di stima. «Voglio dire è palese che siamo in due qui dietro, a chi lo chiede il check? A te! E i fuori sede? Cavolo sempre a te!»

«Non è lui che sceglie chi lo accompagna, lo sai.» Cerco di metterci una pezza appellandomi con forza alle mie doti da scarsa assertiva, «Maria Rita ti vuole sempre in sede perché non può fare a meno di te, qui. Sei la sua forza.» Non la sto prendendo per culo giuro, Chiara è di quanto più celere, organizzativo, calmo, professionale possa esistere sulla faccia della terra; questo lavoro le è stato cucito addosso, solo che ogni tanto glielo devo ricordare.

«Però è proprio bello.»

«Chi, Spagnoli? Mah.» Mi alzo e con finto disinteresse metto in ordine delle scartoffie pensando a lui. Bello? Solo? Io lo vedo come un angelo, un po’ ferito, fuori dal paradiso terreste e dentro il paradiso finanziario, ma più che bello. Sospiro e mi acciglio; Chiara sta fissando come un ebete la fotocopia del documento di identità del nostro angelo. “Oddio, non è che se ne starà innamorando?”.

 

«Al posto di sognare perché non mi dai una mano con questi cavolo di pass?!»

 

 

La stazione Termini è un vero casino mamma mia; trascino il trolley come se dovessi andare al patibolo mentre in realtà mi godrò tre giorni di lavoro pagato a spese dell’azienda nella romantica Firenze in compagnia dell’uomo che mi ha fatto letteralmente girare la testa. Dovrei fare i salti di gioia, eppure..

 

«Azzurra!» Delle calde braccia mi cingono la vita. Il suo odore arriva prima di tutto, poi il suo calore; è sempre caldo, ha una temperatura corporea più alta del normale ma si ammala raramente, anche se siamo in maggio indossa la giacca, i bottoni mi premono sulla schiena. Adora abbracciarmi da dietro, conformarsi al mio corpo.

«Ehi.» Mi slaccio la giacca della divisa –questo l’effetto che mi fa tutte le sante volte che l’ho vicino- ma evito di toglierla, le camice bianche di quest’anno sono troppo trasparenti per i miei reggiseni tutto pizzo; sfilo l’ascot e lui sorride divertito del mio maldestro movimento nel gettarlo sul fondo della borsa. «Dobbiamo recarci al binario dodici, siamo soli stavolta, gli altri voleranno.» Lui odia volare. Odia un sacco di cose e mi stupisco sempre di quanto sia poi allegro e gioviale in realtà. «Nella cartella ci sono i documenti che mi hai chiesto, li ho tenuti fuori così puoi ripassare in treno. Abbiamo due orette più o meno. Che c’è, perché mi guardi così?»

«Sembri strana.» Mi schiocca un bacio sulle labbra così, senza preavviso e continua come nulla fosse «mi piace però; sei sbrigativa e risoluta. Brava.» Eccolo, il manager che non ti aspetti; prima ti bacia come un ragazzino, poi ti rifila il complimento da adulto.

In treno siamo piuttosto silenziosi, ogni tanto alza gli occhi dalla montagna di numeri e fotocopie –sapientemente rilegate come ha chiesto- aggrottando la fronte in pensieri che io so, essere lontani dal mio mondo; mi piace il suo viso, nessuno direbbe mai che ci passiamo dieci anni di differenza e soprattutto mi piace la sua intelligenza, il suo modo di parlare così scandito e tranquillo e il fascino che il potere della sua posizione emana. Eppure, so così poco di lui; nel vecchio magazzino al piano e sotto un mare di polvere, una volta io Chiara abbiamo trovato uno schedario con delle informazioni che lo riguardano, nulla di scottante purtroppo, giusto qualche linea chiave che ci ha chiarito il suo percorso scolastico –laureato a pieni voti in economia e commercio, che novità!- e quello lavorativo in azienda dove è stato assunto come procacciatore di affari nel novantotto, all’età di venti anni; praticamente si è laureato mentre lavorava, un successo dopo l’altro lo hanno portato ad occupare la posizione privilegiata in cui opera oggi. E’ nato a Padova e la cosa mi ha fatto sorridere. E’ così solare, uno così nasce a Napoli o a Palermo, eppure lui è figlio del nord; non gli piace parlare della sua prima vita, se voglio vedere morire quel sorriso devo solo azzardare qualche domanda che la riguarda. Mi liquida come se non esistessi, ed in momenti come quelli resto esattamente quella che sono: una hostess.

 

«Dobbiamo chiarire alcuni punti.»

Lascia scivolare la matita al centro dei fogli e mi guarda tra il perplesso e il divertito. «Devi chiedere a Chiara di farti il check, ogni tanto. Comincia ad essere sospettosa.»

«Uhm. Tutto qua?!»

«I fuori sede. E’ un caso che capitino sempre a me?!»

«Me lo stai chiedendo o mi stai semplicemente facendo notare che ho un debole per te? Perché se è così non hai bisogno di sforzarti tanto, ce l’ho.» Ha il potere di annullare ogni mio pensiero, quando mi parla così; mi sento liquefatta e il cervello in pappa. Con un gesto secco della mano chiama la bella hostess bruna sul fondo della carrozza e ordina due martini in calice di vetro. Sottolinea vetro e la ragazza sventola le lunghe ciglia scure come se fosse un ovvietà in prima classe business. “Fanculo, sbrigati e da una stirata a quella fottuta camicia se ti capita!”. Penso agitandomi nella poltrona. La gelosia, quale sconosciuta.

«Non ti ho chiesto se lo volessi, il martini. Spero vada bene, in genere ti piace.»

«Va bene.» Lo liquido seccamente, odio essere così esposta.

«Si può sapere cosa hai?!»

«Devi portarti Chiara nei fuori sede. Non so cosa hai detto a Maria Rita di tanto convincente per far spostare solo me, ma devi sforzarti e cambiare marcia. Ok?!»

Adesso si agita lui, ma è solo un istante si ricompone in una freddezza micidiale. «A me non importa cosa pensa lei. Io voglio te e non capisco tutte queste storie sinceramente. Sei stanca? Il problema è questo? Quando arriveremo potrai riposare quanto vuoi, io voglio te Azzurra, non voglio nessun’altra.»

Wow! Mi gira la testa. E sono quasi sicura che non stiamo parlando solo di lavoro.

«Sono solo una hostess.» Bercio sarcastica, appoggiandomi allo schienale.

«La migliore, aggiungerei.»

«Solo il meglio, per la compagnia.»

«Non ti lamenterai più, quindi.»

«Al momento opportuno.» Sbuffa ed io sorrido cambiando argomento. «Sei preparato?!»

Alza le spalle in una nota di incertezza; non è mai stato impreparato, da quando questa storia del volere solo me ha preso piede ho avuto il tempo necessario per studiarlo e il risultato è che mi ha fatto innamorare di finanza solo sentendolo parlare, con i suoi discorsi ipnotici. «Improvviserò. Dopo quindici anni conosco queste stronzate a menadito.»

«Conta pure su di me. Sarò proprio alle tue spalle.»

«Come sempre.»

 

A Firenze fa caldo, caldissimo. Ho la camicetta tutta zuppa e i capelli incollati al viso; li tiro su malamente, ma me ne pento non appena la crema dell’elite aziendale scende per le scale che danno sull’androne principale, diretti in sala cocktail, per l’aperitivo di benvenuto. Lui mi trascina al desk con nonchalance, impettito direi e non saluta nessuno. “Perché fa sempre così?”

«Se non vuoi farti vedere con me dovremmo viaggiare separati come fanno tutti.» Sibilo inacidita, gettando un occhiata ansiosa alle altre colleghe tutte bocche cucite e sorrisi di plastica; oddio i loro accompagnatori non valgono nemmeno la metà del mio lo so e anche loro lo sanno, dal momento che ci guardano di sottecchi bisbigliando. Le ignoro o almeno ci provo, concentrando tutte le mie ire sulla mia croce e delizia preferita: proprio un bel vedere non c’è che dire, peccato stia stritolando il mio braccio in una morsa letale.

«Una prenotazione a nome di Flavio Spagnoli, grazie.» Allunga i documenti e i pass verso il bancone e sorride incantato; la receptionist ricambia senza staccare gli occhi dal pc mentre digita le nostre entrate.

«Bene, abbiamo una.. suite per lei e la signora Azzurra Amore.» A questo punto fa lo sforzo di guardarci, guardarmi soprattutto, con tanto di sopracciglio alzato; la incendio con lo sguardo tamburellando le dita sul bancone e quella torna con il capo chino. «Ascensore a destra. Quinto piano, camera seicentodue.»

«Grazie tante.» Afferro le nostre carte di identità e a passi veloci mi dirigo al grande ascensore; le porte si aprono subito, mi ci butto dentro senza riflettere, lui in coda con la ventiquattrore e il mio trolley.

«Esibizionista.» Rido, sciogliendomi i capelli. «Quanto ti diverte questa scena tutte le volte?!»

«Moltissimo.»

 

La camera è lussuosa come prevedevo, due grandi doppie comunicanti con un salottino al centro composto da una chaise longue in pelle bianca e un enorme tv al plasma attaccato alla parete; in un angolo campeggia un mini bar con penisola e una porta scorrevole che da al bagno; mi sento già meglio, getto le scarpe tacco dodici in un angolo e corro a farmi un Martini. Flavio regola i condizionatori e accende tutte le luci come di consueto, abbandona la ventiquattrore ai piedi del letto king size nella sua ipotetica stanza e mi raggiunge.

«Vuoi?»

«Voglio te. Da due ore e mezza.»

Scivola sinuoso dallo sgabello e sento pizzicarmi il ventre; mi toglie il bicchiere dalle mani appoggiandolo accanto al suo ancora pieno. Getto le mani in avanti per fermarlo, mi piace provocarlo, ma lo vedo piegarsi sulle ginocchia e afferrare me per le mie.

«Flavio, mettimi giù!»

Ubbidisce solo quando raggiungiamo il letto e le profumate lenzuola porpora. «Tutte le volte dici che devo viaggiare solo.» Distribuisce baci dal mento al collo, parlando piano, flebile. «Credevo ti piacesse, viaggiare con me.»

«Mi piace.» Sussulto, con le mani affondate nei suoi folti capelli.

«Bene. Non voglio più sentirti dire che devo scegliere qualcun’altra, o peggio stare solo. Azzurra.. vuoi viaggiare insieme a me?!»

Provo un brivido di.. paura; la sua voce così greve e sexy è capace di modulare inflessioni di terrore e tristezza e questo mi manda in visibilio sì, ma spaventa anche. E’ così potente la sua influenza su di me, ormai è come se mi fossi assuefatta al dolore e alla bellezza, perché per me da sei mesi è così che va; non siamo di certo la coppia standard che la classica storia d’amore annoveri fra le sue memorie, ma non siamo nemmeno qualcosa che non valga la pena raccontare e vivere. Non so cosa sono io per lui ma so cosa è lui per me; un qualcosa di devastante anche solo pensarlo. Credo di essermene innamorata e so che il tempo dell’incoscienza sta per terminare. Ho paura di scoprire cosa alberga nei suoi occhi sempre un po’ languidi e malinconici, dentro i suoi silenzi e le negazioni quando gli chiedo del suo passato, ma so anche che l’argine non è rotto e c’è ancora tempo per tornare indietro.

«Sì.»

 

«Ti chiedi mai dove ci porterà tutto questo?!» Lo sento respirare sul mio collo pesantemente e ancor più forte quando finisco di parlare; per qualche ragione ho lo strano potere di portarlo dalle stelle alle stalle in due minuti, e lo capisco è tutto lì, ma proprio non ci riesco a non sbucciarlo. Oh sì, sbucciarlo; è il frutto succoso da scoprire lentamente, da togliere via la scorza e vedere che c’è sotto.

«Sono due le cose che non mi chiedo mai; cosa è stato e cosa sarà. Perciò no, non lo faccio. Tu lo fai?»

«Ogni tanto fantastico su noi due.»

«E?»

«Lascia stare, dai. Mi sento stupida solo ad avertelo detto.»

«Lascialo dire a me. E?»

Mi volto dalla sua parte, ha il volto rilassato e bellissimo dopo aver fatto l’amore. «Ci vedo insieme. In una casa. Io vestita diversamente, che sorrido perché sono felice mentre gli altri ci guardano per invidia o ammirazione e non bisbigliano.»

«Tutti bisbigliano quando ti vedono. Sei molto bella.»

«Bisbigliano per te, che dici! Perché io sono la tua hostess, ma tu mi tieni per mano.»

«Oh, io voglio tenerti sempre per mano. Non sei felice?»

«Flavio sono sempre felice quando sono con te.»

«Ma non ti basta.»

«Non so. Sembra tutto così ambiguo. Dove eri cinque anni fa?!»

Rabbuia lo sguardo, so che sta per alzarsi. «Cosa c’entra questo adesso?!» Afferra il Rolex dal comodino e sospira, quasi di felicità. «Dobbiamo prepararci è ora di cena.» Lo guardo di traverso, mi alzo prima che possa anche solo compiere l’insulso gesto di piegarsi su di me e baciarmi. «Perché ti comporti da bambina? Torna qui, non è poi così tardi.»

Lo guardo girando il volto oltre la spalla. «E’ tardi invece. E tu hai la tua stramaledetta cena.»

Lo sento, adesso non sono poi tanto sicura: quell’argine comincia a scricchiolare.

Questo è il momento peggiore, le sue cene in cui non sono invitata; così mi cerco un posticino tranquillo dove mangiare –e qui mi tocca per forza di cose tirare in ballo le mie colleghe mute- e passare una serata che sembrerà lunghissima senza di lui; l’aspetto peggiore è l’attesa, quanto desidererei avere un rimessaggio per cuori solitari! Fresca di doccia mi infilo un jeans e una giacca e scendo giù nell’atrio dove alcune facce note mi stanno aspettando, spengo il cellulare e mi infilo in un taxi insieme a due ragazze di Genova; sono entrambe bionde e parlano urlando. Ho già mal di testa.

«Ma vogliamo parlare del tizio con il quale ti accompagni? Sono tutti così nella tua sede?» Bionda numero uno attacca bottone indovinate un po’, chiedendomi di Flavio; fa questo strano effetto alle donne perché è proprio lui ad essere strano. Non è una persona comune nell’aspetto e non lo è nemmeno dentro, questo è il problema fondamentalmente.

«Lui è un eccezione.»

«E che eccezione!» Bionda numero due è d’accordo con me a metà. «E dicci è sposato?»

«Oh sì con una modella russa. Un matrimonio felice.» La storia della modella russa è il riciclo di una fantasia piuttosto scarna che tiro fuori ogni volta che una di queste oche mi tira in mezzo; non so perché lo faccio -o meglio lo so ma non voglio ammettere di essere gelosa, proprio no!- ma ho cominciato e non sono mai riuscita a smettere così capita che qualche volta, quando lo incontrano gli chiedano come sta la modella. Lui ride tutte le volte e tutte le volte mi fa promettere di smettere. Ma non ci riesco.

«Per forza che uno così si tromba una modella!» Bionda numero uno agita le mani mostrando unghie fintissime e della peggior fattura, poi mi guarda maliziosa indugiando sulla casta scollatura del mio top. «Voi due però sembrate così intimi.. non è che due botte tra una felicitazione e l’altra le riserva anche a te?!»

La sua sfacciataggine mi da il voltastomaco, ma cerco di sforzarmi sorridendo serena. «Scommetto che tu sei più preparata di me.» L’amica ride mollandogli una gomitata nel fianco.

«’Sta qui ti ha già inquadrata!»

Il tassista salva la situazione in corner, ferma l’auto e ci indica il locale presso il quale abbiamo prenotato un tavolo; ad aspettarci fuori ci sono le altre due ragazze che avevo incrociato nel pomeriggio nell’atrio. Sembrano più tranquille, una napoletana e una ragazza di Trieste; poveretta, penso mentre bionda numero uno le si butta addosso miracolosamente addolcita alla parola “direzione centrale”.

Bionda numero due, Ilenia, in realtà si rivela essere anche simpatica; mi parla della sue esperienza in azienda e del pezzo grosso che le è toccato accompagnare, un vero despota arrogante. Dopo due bicchieri di Chianti si lascia scappare anche qualche racconto peccaminoso su bionda numero uno –che mi rifiuto di chiamarla con il proprio nome e che ignoro per tutta la serata- e scopro così che è una vera arrampicatrice sociale ma usa ‘l’arma letale’ talmente a destra a manca da essersi fatta una vera e propria nomina –zoccola- e che per questo quindi non è ancora riuscita a farsi sistemare da nessuno delle dozzine di uomini d’azienda che si è fottuta; un vero genio. Io ci sono cascata con uno e me ne sono addirittura innamorata, la guardo e penso quanto debba essere triste la sua situazione al pari della mia, ma lei ride sguaiata con la tizia di Trieste –che ci guarda supplichevole- e distrugge in un attimo qualsiasi sentimento di compatimento possa aver provato.

«Tu invece? Se il bello non è il tuo uomo, con chi te la fai?»

«Con nessuno in particolare.» “Bugiarda.” Infilo la forchetta in una deliziosa crostata crema e fichi e divago. «Diciamo che non sono interessata ad avere storie al momento.»

«Ahi-ahi, cuore spezzato?»

“Tutt’altro. Il mio cuore è vivo.” «Solitario, va che è meglio!»

«Beh meglio restare single, che stare con uno stronzo.»

«Parli per esperienza?»

«Più o meno. Ma sto nella tua stessa barca, adesso voglio solo divertirmi.» Alza il terzo bicchiere di Chianti e lo fa collidere contro il mio con decisione. «Fanculo i problemi e fanculo pure gli uomini!» Annuisco e finiamo brille una serata che tutto sommato sembra sia stata anche piacevole.

L’aria fresca ci sveglia un po’ mentre passeggiamo sul lungarno in direzione del Ponte Vecchio; sono stordita e Ilenia fa battute a raffica tramortendomi. Finiamo in un pub gestito da un ragazzo cinese che parla un adorabile dialetto fiorentino e che diventa così la nostra attrazione del dopo cena. Mi faccio una media chiara e penso che non dovrei bere oltre, che sono già abbastanza alticcia e che domani tutta la giornata sarà dedicata a Flavio e al meeting, ma mentre lo penso stringo in mano uno short e il bel viso del dottor Spagnoli è solo un miraggio distorto nella mia testa; wow, come ci si sente bene a star leggeri. “Una sensazione che ho perso da un po’.” penso amaramente, tuffandomi in ricordi dolorosi e bellissimi insieme.

«Noi si va a ballare, voi che fate?!» Bionda numero uno sta tutta avvinghiata al cinese mentre mi parla con un sorriso da ebete; io nego con la testa e mi domando come faccia l’indomani a presentarsi che puzza di alcool fin qui. Ilenia chiama un taxi e le altre due ragazze si accodano per il rientro. Guardo nervosamente l’orologio, sono quasi le tre, cazzo; non soffro di occhiaie e fortunatamente sono una abituata a dormire poco, la mia preoccupazione più grande è Flavio. E’ un tipo piuttosto apprensivo, si preoccupa sempre troppo, eccessivamente a volte.

Lo trovo nell’atrio mentre inveisce al tipo di turno al desk; un ragazzone che se volesse con un schiaffo lo farebbe girare come una trottola, ma che sta lì mortificato con la cornetta a mezzaria mentre cerca di capire cosa dice la voce all’altro capo; mi vede e come se niente fosse blocca la mano al ragazzo che intuisce e mette giù malamente. «Azzurra..» mima con le labbra, non schiodandosi di un passo; le ragazze mi oltrepassano svelte salutandomi e con la stessa sveltezza si dirigono all’ascensore come un gruppo di adolescenti beccate dal professore di vedetta.

«Nessuno di particolare, eh?!» Ilenia mi strizza l’occhio ed io sbianco, cianotica. «Tranquilla, ci penso io con le altre.» Mi abbraccia veloce e sparisce anche lei.

Quando è sicuro di non avere più nessuno intorno, si avvicina a passi svelti e mi circonda con le braccia. «Hai visto che ore sono?

«Ho visto più tu che sbraitavi contro il ragazzo della reception. Non è colpa sua se sei apprensivo.»

«Io non sono apprensivo.» Dice allargando gli occhi stupito. «Mi preoccupo solo un po’.»

«Un po’?» Sono cioccata; in momenti come questo perde di lucidità e non ha la giusta percezione delle cose. «Le hai fatte scappare, cavolo! Sai questo cosa significa? Devi contenerti, Flavio.» Alzo la voce e so di farlo perché mi prende per il gomito e mi trascina agli ascensori; pigia nervosamente sul tasto a V e freme alle mie spalle.

«Adesso chi è che deve contenersi?!» Le porte si aprono, mi spinge con dolcezza tutto sommato e penso che stiamo per litigare; non mi va di litigare con lui perché mi sfinisce, è una lunga battaglia senza mai un vincitore e per di più stiamo andando a letto e non voglio addormentarmi con uno che poi assomigli ad uno sconosciuto. «E comunque non me ne frega niente di quelle.»

«Devi deciderti. Ah e magari stilami una lista di chi rientra tra il mi frega o no.»

«Smettila. Non ti ho visto arrivare e ho pensato al peggio.»

«Smettila tu. Sei esagerato, ti sembro mica Cenerentola?»

Ride lasciandomi basita; una tregua. «Cenerentola no, mi sembri più Raperonzolo, solo con la minigonna.»

«Raperonzolo era chiusa in una torre o qualcosa del genere: cioè in trappola. E aspettava quel cretino del principe che altro non ha fatto che arrampicarsi per i suoi capelli. Non mi piace. E per la cronaca, non indosso una minigonna ma bensì una gonna al ginocchio, misura standard per una hostess.»

«Sì ma è stata forte. Si è fatta liberare alla fine.»

Infondo non ha tutti i torti. «Tu saresti il principe?»

«No, io non sono nessuno.»

Lo guardo respirare con il capo piegato sul mio seno, dopo aver fatto l’amore; un round a testa ed è quasi alba. Penso di non aver mai amato nessuno nel modo in cui amo lui. Disperato, selvaggio a tratti quasi depravato.

«Sei nervoso?»

«Lo ero più qualche ora fa. Tu, sei stanca?»

«Un po’, ma reggerò te lo prometto.»

«Devi, ho bisogno di te.»

«Vorrei tu avessi bisogno di me anche in altri modi.»

«In tutti i modi a cui tu stai pensando. Ti prego, non dubitarne.»

«E come? Viviamo in camere di albergo e ci nascondiamo.»

«Vuoi di più?»

«Quanto altro di più sei disposto a darmi?»

Stringe forte le coperte e si agita; ho esagerato, lo so e mi viene da piangere dalla rabbia. Lo accarezzo e so di sbagliare, so che si sentirà sicuro di se e di me e che non risponderà mai a nessuna delle mie domande. Si sposta e si appoggia al suo lato del letto però nella mia direzione, dal buio posso vedere i suoi occhi scuri scrutarmi.

«Non so risponderti. E’ un problema?»

«Dipende. Mi sono innamorata di te, Flavio.»

 

La sala Imperatore dell’hotel è gremita di persone, fanno un gran chiasso finche Flavio Spagnoli non fa il suo ingresso in completo grigio fumo, personalmente consigliato dalla sua hostess tutto fare, cioè io; e poco male, quelle sono le uniche parole che abbiamo scambiato dal suo «Oh no» della sera prima, quando gli ho detto che mi sono innamorata di lui. Fantastico, no? Ci dirigiamo a grandi passi verso la platea centrale, quella con il tappeto rosso e le tre sedie per lui e due personaggi al vertice che tecnicamente lo supporteranno durante la lezione; poi ci sarò io, più defilata a mo’ di bella statuita o a passargli questo o quello, supportarlo, sostenerlo con sorrisi accondiscendenti -manco presentasse il progetto di una bomba atomica o la soluzione per il debito mondiale- e fare tutto ciò che è in mio potere professionale per farlo sentire bene, a proprio agio, servito. Tutto ciò che è in mio potere professionale, già.. tutto, ma non il suo amore. “Stai lavorando. Cerca di toglitelo dalla testa.”

«Dottor Spagnoli! Che piacere vederla, mi chiedevo ha ricevuto poi la mia mail?!» Il più anziano dei due che gli siederanno accanto comincia ad attaccare bottone, lui sorride cortese non staccandomi gli occhi di dosso nemmeno per mezzo secondo; il più giovane, sui trenta credo –non sono mai stata brava con l’età- è da quando mi ha vista al suo fianco che non fa altro che indugiare sui centimetri di gambe e polpacci nudi. Ne approfitto della situazione per stappare alcune bottiglie d’acqua da un tavolo a poche spanne dalla platea, guadagnando fiato e tempo da quel delirio di occhi e testosterone. Torno che sono seduti ormai ed è l’occasione giusta per sfilare alle loro spalle versando liquido nei loro bicchieri; quando mi avvicino a Flavio lo sento che mi sfiora la coscia con due dita e lo vedo incenerire con lo sguardo il baldanzoso giovane. Quello ricambia perplesso, ignaro della sua mano vagante sul mio corpo. Mi scanso senza sorridere o guardarlo, gli volto le spalle e sono esattamente parallela al ragazzo che mi guarda per intero quasi non vedesse l’ora. Adesso sorrido voltandomi nuovamente, per poi sfilare ondeggiando al mio posto; non gli ho dato il tempo di leggermi gli occhi. So che lo farò morire e mi piace.

Si alza dalla sedia a sala ormai piena, il vocio si interrompe nuovamente. Comincia a parlare salutando i presenti in sala, spiegando brevemente lo scopo della giornata e i punti chiave del corso; parole che conosco a memoria, imparate nei tempi d’attesa di stampa, ma la sua voce da certamente un credito a quell’insulso pappone di frasi più o meno articolate. E’ un incanto mentre brandisce la penna e indica le slide che scorrono alle sue spalle, il volto serio, la postura composta e non sbaglia un acca, un accento, un inflessione; era preparato sul serio e non avevo poi grossi dubbi in merito.

Il tempo scorre via in un soffio, gli rimbocco il bicchiere solo un paio di volte in totale, annuendo a tutte le altre richieste più o meno stupide che mi fa solo per strapparmi uno sguardo; sono inflessibile, non lo guardo mai negli occhi e la cosa mi logora ma è necessaria. Nella pausa schizzo via a prendere un po’ d’aria e rigenerarmi; fa molto caldo nonostante l’aria condizionata e i tacchi cominciano a infastidirmi. Mi raggiunge come un pazzo.

«Ti prego.» Alzo le mani ben conscia che vuole farmi una piazzata, nonostante tutto. «Guarda dove siamo.» Si guarda attorno, un gruppo di gente sta fumando persa in discorsi più o meno seri; si avvicina e mi mette sotto agli occhi dei fogli, circondandomi con la sua presenza, indica un punto senza senso e intanto mi parla all’orecchio.

«Ti prego io, non trattarmi così.»

«Credevo fossimo d’accordo. Niente slanci quando siamo a lavoro. Questa era la tua unica clausola, o sbaglio?!»

«E’ passato tanto tempo da quella clausola.» Mi stringe per il fianco, accarezzandomi, sospira per un tempo che sembra un’eternità quasi soffrendo. «Se io ti svelassi il torbido che si annida in me, tu poi saresti capace di amarmi ancora?!» E’ una richiesta accorata ma non mi guarda negli occhi; resto interdetta, guardo al gruppo di persone adesso un po’ sfilacciato e tremo.

«Quanto torbido?!» Per un attimo e non so nemmeno perché mi passano per la testa infinite liste di reati e crimini in cui cerco di incasellarlo; avevo intuito ci fosse qualcosa che preferisse omettermi, ma non mi ero mai soffermata troppo sulla gravità. Ma adesso si e ho paura, lo ammetto.

Sta per rispondere quando una donna vedendolo gli fa un cenno si saluto, avvicinandosi; stacca le mani da me e mi da le spalle, abbandonandomi in una bolla di terrore e ansia. «Vattene.» Soffia cattivo e imperioso.

«Vattene?» Neanche nella peggiore delle situazioni si è mai rivolto così a me; gli giro intorno e lo guardo furiosa.

«Flavio!» La donna ci raggiunge in un aurea di profumo nauseabondo; mi guarda interdetta, mi sposto, lei corre ad abbracciarlo. Si conoscono da tanto tempo, il modo in cui la circonda con le braccia mi da i brividi. «Come stai? Perché non mi chiami più? Devo sapere da terzi che sei a Firenze e non mi vieni nemmeno a salutare?» Lui mi guarda angosciato, lei se ne accorge e stavolta mi punta addosso uno sguardo accusatore.

«Hai bisogno di qualcosa?!» Si rivolge a lui con tono affettuoso che nega con il capo, poi si girano entrambi su di me; perfetto, mi stanno platealmente cacciando.

«A dopo, dottor Spagnoli.» Con una punta di amarezza faccio per andarmene; mi allontano lentamente, ferita, delusa. Sento la donna alzare volutamente il tono forse infastidita dalla mia presenza così vicina a quello che per lei sembra essere più di un conoscente e non posso fare a meno di ascoltare.

«Susanna mi chiede sempre di te. Sta migliorando, sai? Quanto vorrei rivedervi ancora insieme.. non pensi meritiate un’altra occasione? Un matrimonio infondo è fatto di alti e bassi.»

“Oddio.. è.. è sposato?” Credo di non sentirmi più le ginocchia. Credo che potrei svenire. Morire persino; la delusione si trasforma in un attimo in panico. “Quanto torbido?” Le mie stesse parole rimbombano nel cervello; che idiota che sono, come posso essere stata così ingenua? Come ho fatto a innamorarmi di uno che non mi ha mai parlato di sé e della sua vita? Come ho fatto a credere che mi nascondesse per paura di espormi inutilmente a giudizi? Ma soprattutto, come ho fatto a sperare che mi amasse a sua volta?

 

*

NDA:

Salve a tutti, cari lettori e care lettrici, ben ritrovati!

Non ho idea di come catalogare questa storia, probabilmente nel momento in cui la posterò avrò l’illuminazione; sarà breve questo sì. Azzardo un quattro capitoli, tutti concentrati su questo rapporto.

Il titolo mi fa impazzire ed è altamente ispirato ad alcune sensazioni che mi da la canzone dei Negramaro; una storia semplice, appunto ;) l’adoro e adoro loro :D

Spero che come inizio vi sia piaciuto e che vogliate lasciarmi una vostra impressione!

Vi abbraccio forte, a presto.

Lunadreamy.

  
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