Azzurra D’Amore.
Una storia semplice
Ma
non è colpa mia se per noi questo è vivere.
Una storia semplice _Negramaro.
Capitolo 1.
E’ impossibile. Intollerabile.
Quando lui è in giro, squisita figura in completi
spesso impeccabili, il mio cervello -ma inutile fare la tirchia abbondiamo- oso
dire anche tutta la mia persona, va in tilt. Cortocircuito! Abbandonare la
nave, prego!
Oggi ho spaccato la punta a due matite; e sono solo
le undici.
Riuscirò ad arrivare intera per le due? Ne dubito.
Che poi analizzandolo attentamente e attraverso lo
scanner-femmina, non è uno di quei maschi che lo guardi e ti cascano le mutande
dall’eccitazione; lui è più uno di quegli altri lì.. capito quali no? I
perfetti affascinanti.
Quelli dal connubio naso-bocca equilibrato -ergo
profilo greco- occhi ferini tanto piccoli e a fessura da dover appellarsi a
tutti e dieci i gradi di buon vista per capire lo splendido colore di cui sono
forgiati; in questo caso petrolio direi, quasi nero, a tratti forse piombo
fuso. Quelli dal fisico asciutto, niente muscoli insolenti tirati sotto la
camicia, con il sedere sodo da chilometri di corsa e le gambe snelle al punto
giusto.
Il suo unico difetto e mi ci sono applicata per
trovarlo, potrebbe essere la sua altezza nella norma, per me che amo i giganti
ma.. l’insieme è assolutamente perfetto ed io c’ho perso la testa. Punto.
E lui lo sa. Ma sono pronta a mettere entrambe le
mani sul fuoco che anche io non gli sono del tutto indifferente.
«Signorina Azzurra, può stamparmi cortesemente il mio check-in?!»
«Certo dottor Spagnoli, mi lasci pure i
documenti necessari.»
Sono in piedi dietro al bancone che da cinque anni è
la reception presso la quale lavoro; il palazzo è la sede di una delle più
importanti compagnie d’assicurazioni del paese, lui “soltanto” il manager
taglia teste più cazzuto di tutto l’universo, oltre che la mia stragrande cotta
adolescenziale.. da venticinquenne.
Il mio compito? Occuparmi di lui e dei suoi colleghi
praticamente tutto il giorno, servire i clienti grandi e piccoli, seguire
meeting, corsi, organizzare catering, più tutta una noiosissima serie di cose
che una segretaria normale fa tutti i giorni. Occuparmi di lui non mi dispiace
sia chiaro, ma la freddezza di certi momenti mi mette alquanto in imbarazzo,
anche se vederlo svolazzare dinnanzi al bancone anche futilmente mi mette
addosso una scarica di adrenalina non indifferente. Mi piace avere i suoi occhi
addosso. Come adesso, che indugia sul mio volto serio, quasi accigliato mentre
scorgo i caratteri della sua persona che ormai conosco a memoria. E non solo
quelli. Sorrido riconsegnandogli i documenti e lui fa passare delicatamente la
sua mano sotto la mia, sfiorandola ma cercando volutamente il contatto. Sorrido
cordiale, assente.
«Deve ricordarsi di farsi dare i pass
dalla dottoressa Sabelli. E prenotare un check-in anche per lei.» Maria Rita deve essersi completamente dimenticata
di dirmi che sarò di nuovo io a seguire Spagnoli fuori sede; come se non lo
sapessi d'altronde, solo.. non saranno troppo evidenti queste coincidenze? Il
mio lavoro è fatto di discrezione, sorrisi cortesi e poche parole. Ai fatti
però non posso competere. Uhm, devo ricordarmi di metterlo in cima alla lista
dei punti da chiarire. «Grazie, Azzurra.» Gli
squilla il telefono proprio mentre mi rivolge uno di quei suoi sorrisi ambigui
e ne approfitto una volta che si è girato per accasciarmi sulla sedia esausta. “Merda che sorriso.”
«Certo che tu hai delle gran botte di
culo eh!»
Chiara la mia affettuosa, gentile, premurosa nonché
collega che tutte vorrebbero avere, scongela il suo mutismo da apnea Spagnoli-in-vista e comincia a subissarmi di
insulti che secondo lei dovrebbero essere dimostrazioni di stima. «Voglio dire
è palese che siamo in due qui dietro, a chi lo chiede il check?
A te! E i fuori sede? Cavolo sempre a te!»
«Non è lui che sceglie chi lo
accompagna, lo sai.» Cerco di
metterci una pezza appellandomi con forza alle mie doti da scarsa assertiva, «Maria Rita ti vuole sempre in sede perché non può fare a
meno di te, qui. Sei la sua forza.» Non la sto prendendo per culo giuro,
Chiara è di quanto più celere, organizzativo, calmo, professionale possa
esistere sulla faccia della terra; questo lavoro le è stato cucito addosso,
solo che ogni tanto glielo devo ricordare.
«Però è proprio bello.»
«Chi, Spagnoli? Mah.» Mi alzo e con finto disinteresse metto in ordine
delle scartoffie pensando a lui. Bello? Solo? Io lo vedo come un angelo, un po’
ferito, fuori dal paradiso terreste e dentro il paradiso finanziario, ma più
che bello. Sospiro e mi acciglio; Chiara sta fissando come un ebete la
fotocopia del documento di identità del nostro angelo. “Oddio, non è che se ne starà innamorando?”.
«Al posto di sognare perché non mi dai
una mano con questi cavolo di pass?!»
La stazione Termini è un vero casino
mamma mia; trascino il trolley come se dovessi andare al patibolo mentre in
realtà mi godrò tre giorni di lavoro pagato a spese dell’azienda nella
romantica Firenze in compagnia dell’uomo che mi ha fatto letteralmente girare
la testa. Dovrei fare i salti di gioia, eppure..
«Azzurra!»
Delle calde braccia mi cingono la vita. Il suo odore arriva prima di tutto, poi
il suo calore; è sempre caldo, ha una temperatura corporea più alta del normale
ma si ammala raramente, anche se siamo in maggio indossa la giacca, i bottoni
mi premono sulla schiena. Adora abbracciarmi da dietro, conformarsi al mio
corpo.
«Ehi.»
Mi slaccio la giacca della divisa –questo l’effetto che mi fa tutte le sante
volte che l’ho vicino- ma evito di toglierla, le camice bianche di quest’anno
sono troppo trasparenti per i miei reggiseni tutto pizzo; sfilo l’ascot e lui
sorride divertito del mio maldestro movimento nel gettarlo sul fondo della
borsa. «Dobbiamo recarci al binario dodici, siamo
soli stavolta, gli altri voleranno.» Lui odia volare. Odia un sacco di
cose e mi stupisco sempre di quanto sia poi allegro e gioviale in realtà. «Nella cartella ci sono i documenti che mi hai chiesto, li
ho tenuti fuori così puoi ripassare in treno. Abbiamo due orette più o meno.
Che c’è, perché mi guardi così?»
«Sembri strana.» Mi schiocca un bacio sulle labbra così, senza
preavviso e continua come nulla fosse «mi piace però;
sei sbrigativa e risoluta. Brava.» Eccolo, il manager che non ti
aspetti; prima ti bacia come un ragazzino, poi ti rifila il complimento da
adulto.
In treno siamo piuttosto silenziosi,
ogni tanto alza gli occhi dalla montagna di numeri e fotocopie –sapientemente
rilegate come ha chiesto- aggrottando la fronte in pensieri che io so, essere
lontani dal mio mondo; mi piace il suo viso, nessuno direbbe mai che ci
passiamo dieci anni di differenza e soprattutto mi piace la sua intelligenza,
il suo modo di parlare così scandito e tranquillo e il fascino che il potere
della sua posizione emana. Eppure, so così poco di lui; nel vecchio magazzino
al piano e sotto un mare di polvere, una volta io Chiara abbiamo trovato uno
schedario con delle informazioni che lo riguardano, nulla di scottante purtroppo,
giusto qualche linea chiave che ci ha chiarito il suo percorso scolastico
–laureato a pieni voti in economia e commercio, che novità!- e quello
lavorativo in azienda dove è stato assunto come procacciatore di affari nel
novantotto, all’età di venti anni; praticamente si è laureato mentre lavorava,
un successo dopo l’altro lo hanno portato ad occupare la posizione privilegiata
in cui opera oggi. E’ nato a Padova e la cosa mi ha fatto sorridere. E’ così
solare, uno così nasce a Napoli o a Palermo, eppure lui è figlio del nord; non
gli piace parlare della sua prima vita, se voglio vedere morire quel sorriso
devo solo azzardare qualche domanda che la riguarda. Mi liquida come se non esistessi,
ed in momenti come quelli resto esattamente quella che sono: una hostess.
«Dobbiamo chiarire alcuni punti.»
Lascia
scivolare la matita al centro dei fogli e mi guarda tra il perplesso e il
divertito. «Devi chiedere a Chiara di farti il check, ogni tanto. Comincia ad essere sospettosa.»
«Uhm. Tutto qua?!»
«I fuori sede. E’ un caso che capitino sempre a me?!»
«Me lo stai chiedendo o mi stai semplicemente facendo notare che
ho un debole per te? Perché se è così non hai bisogno di sforzarti tanto, ce
l’ho.» Ha il potere di annullare ogni
mio pensiero, quando mi parla così; mi sento liquefatta e il cervello in pappa.
Con un gesto secco della mano chiama la bella hostess bruna sul fondo della
carrozza e ordina due martini in calice di vetro. Sottolinea vetro e la ragazza
sventola le lunghe ciglia scure come se fosse un ovvietà in prima classe
business. “Fanculo, sbrigati e da una
stirata a quella fottuta camicia se ti capita!”. Penso agitandomi nella
poltrona. La gelosia, quale sconosciuta.
«Non ti ho chiesto se lo volessi, il martini. Spero vada bene, in
genere ti piace.»
«Va bene.» Lo liquido
seccamente, odio essere così esposta.
«Si può sapere cosa hai?!»
«Devi portarti Chiara nei fuori sede. Non so cosa hai detto a
Maria Rita di tanto convincente per far spostare solo me, ma devi sforzarti e
cambiare marcia. Ok?!»
Adesso si agita lui, ma è solo un istante si ricompone in una
freddezza micidiale. «A me non importa cosa pensa lei. Io voglio te e non
capisco tutte queste storie sinceramente. Sei stanca? Il problema è questo?
Quando arriveremo potrai riposare quanto vuoi, io voglio te Azzurra, non voglio
nessun’altra.»
Wow!
Mi gira la testa. E sono quasi sicura che non stiamo parlando solo di lavoro.
«Sono solo una hostess.»
Bercio sarcastica, appoggiandomi allo schienale.
«La migliore, aggiungerei.»
«Solo il meglio, per la compagnia.»
«Non ti lamenterai più, quindi.»
«Al momento opportuno.»
Sbuffa ed io sorrido cambiando argomento. «Sei
preparato?!»
Alza le spalle in una nota di incertezza; non è mai stato
impreparato, da quando questa storia del volere solo me ha preso piede ho avuto
il tempo necessario per studiarlo e il risultato è che mi ha fatto innamorare
di finanza solo sentendolo parlare, con i suoi discorsi ipnotici. «Improvviserò.
Dopo quindici anni conosco queste stronzate a menadito.»
«Conta pure su di me. Sarò proprio alle tue spalle.»
«Come sempre.»
A Firenze fa caldo, caldissimo. Ho la camicetta
tutta zuppa e i capelli incollati al viso; li tiro su malamente, ma me ne pento
non appena la crema dell’elite aziendale scende per
le scale che danno sull’androne principale, diretti in sala cocktail, per
l’aperitivo di benvenuto. Lui mi trascina al desk con nonchalance, impettito
direi e non saluta nessuno. “Perché fa
sempre così?”
«Se non
vuoi farti vedere con me dovremmo viaggiare separati come fanno tutti.» Sibilo inacidita, gettando un occhiata ansiosa
alle altre colleghe tutte bocche cucite e sorrisi di plastica; oddio i loro
accompagnatori non valgono nemmeno la metà del mio lo so e anche loro lo sanno,
dal momento che ci guardano di sottecchi bisbigliando. Le ignoro o almeno ci
provo, concentrando tutte le mie ire sulla mia croce e delizia preferita:
proprio un bel vedere non c’è che dire, peccato stia stritolando il mio braccio
in una morsa letale.
«Una
prenotazione a nome di Flavio Spagnoli, grazie.»
Allunga i documenti e i pass verso il bancone e sorride incantato; la
receptionist ricambia senza staccare gli occhi dal pc mentre digita le nostre
entrate.
«Bene,
abbiamo una.. suite per lei e la signora Azzurra Amore.» A questo punto fa lo sforzo di guardarci,
guardarmi soprattutto, con tanto di sopracciglio alzato; la incendio con lo
sguardo tamburellando le dita sul bancone e quella torna con il capo chino. «Ascensore a destra. Quinto piano, camera seicentodue.»
«Grazie
tante.» Afferro le nostre
carte di identità e a passi veloci mi dirigo al grande ascensore; le porte si
aprono subito, mi ci butto dentro senza riflettere, lui in coda con la
ventiquattrore e il mio trolley.
«Esibizionista.» Rido, sciogliendomi i capelli. «Quanto ti diverte questa scena tutte le volte?!»
«Moltissimo.»
La camera è lussuosa
come prevedevo, due grandi doppie comunicanti con un salottino al centro
composto da una chaise longue in pelle bianca e un enorme tv al plasma
attaccato alla parete; in un angolo campeggia un mini bar con penisola e una
porta scorrevole che da al bagno; mi sento già meglio, getto le scarpe tacco
dodici in un angolo e corro a farmi un Martini. Flavio regola i condizionatori
e accende tutte le luci come di consueto, abbandona la ventiquattrore ai piedi
del letto king size nella
sua ipotetica stanza e mi raggiunge.
«Vuoi?»
«Voglio te.
Da due ore e mezza.»
Scivola sinuoso dallo
sgabello e sento pizzicarmi il ventre; mi toglie il bicchiere dalle mani
appoggiandolo accanto al suo ancora pieno. Getto le mani in avanti per
fermarlo, mi piace provocarlo, ma lo vedo piegarsi sulle ginocchia e afferrare
me per le mie.
«Flavio,
mettimi giù!»
Ubbidisce solo quando
raggiungiamo il letto e le profumate lenzuola porpora. «Tutte
le volte dici che devo viaggiare solo.» Distribuisce baci dal mento al
collo, parlando piano, flebile. «Credevo ti piacesse,
viaggiare con me.»
«Mi piace.» Sussulto, con le mani affondate nei suoi folti
capelli.
«Bene. Non
voglio più sentirti dire che devo scegliere qualcun’altra, o peggio stare solo.
Azzurra.. vuoi viaggiare insieme a
me?!»
Provo un brivido di..
paura; la sua voce così greve e sexy è capace di modulare inflessioni di
terrore e tristezza e questo mi manda in visibilio sì, ma spaventa anche. E’ così potente la sua influenza su di me,
ormai è come se mi fossi assuefatta al dolore e alla bellezza, perché per me da
sei mesi è così che va; non siamo di certo la coppia standard che la classica
storia d’amore annoveri fra le sue memorie, ma non siamo nemmeno qualcosa che
non valga la pena raccontare e vivere. Non so cosa sono io per lui ma so cosa è
lui per me; un qualcosa di devastante anche solo pensarlo. Credo di essermene
innamorata e so che il tempo dell’incoscienza sta per terminare. Ho paura di
scoprire cosa alberga nei suoi occhi sempre un po’ languidi e malinconici, dentro
i suoi silenzi e le negazioni quando gli chiedo del suo passato, ma so anche
che l’argine non è rotto e c’è ancora tempo per tornare indietro.
«Sì.»
«Ti chiedi
mai dove ci porterà tutto questo?!»
Lo sento respirare sul mio collo pesantemente e ancor più forte quando finisco
di parlare; per qualche ragione ho lo strano potere di portarlo dalle stelle alle
stalle in due minuti, e lo capisco è tutto lì, ma proprio non ci riesco a non
sbucciarlo. Oh sì, sbucciarlo; è il frutto succoso da scoprire lentamente, da
togliere via la scorza e vedere che c’è sotto.
«Sono due
le cose che non mi chiedo mai; cosa è stato e cosa sarà. Perciò no, non lo
faccio. Tu lo fai?»
«Ogni tanto fantastico su noi due.»
«E?»
«Lascia stare, dai. Mi sento stupida solo ad avertelo
detto.»
«Lascialo dire a me. E?»
Mi volto
dalla sua parte, ha il volto rilassato e bellissimo dopo aver fatto l’amore. «Ci vedo insieme. In una casa. Io vestita diversamente, che sorrido perché sono
felice mentre gli altri ci guardano per invidia o ammirazione e non
bisbigliano.»
«Tutti bisbigliano quando ti vedono. Sei molto bella.»
«Bisbigliano per te, che dici! Perché io sono la tua
hostess, ma tu mi tieni per mano.»
«Oh, io voglio tenerti sempre per mano. Non sei
felice?»
«Flavio sono sempre felice quando sono con te.»
«Ma non ti basta.»
«Non so. Sembra tutto così ambiguo. Dove eri cinque
anni fa?!»
Rabbuia lo sguardo, so
che sta per alzarsi. «Cosa c’entra questo
adesso?!» Afferra il Rolex dal comodino e sospira, quasi di felicità. «Dobbiamo prepararci è ora di cena.» Lo guardo di
traverso, mi alzo prima che possa anche solo compiere l’insulso gesto di
piegarsi su di me e baciarmi. «Perché ti comporti da
bambina? Torna qui, non è poi così tardi.»
Lo guardo girando il
volto oltre la spalla. «E’ tardi invece. E tu
hai la tua stramaledetta cena.»
Lo sento, adesso non
sono poi tanto sicura: quell’argine comincia a scricchiolare.
Questo è il momento
peggiore, le sue cene in cui non sono invitata; così mi cerco un posticino
tranquillo dove mangiare –e qui mi tocca per forza di cose tirare in ballo le
mie colleghe mute- e passare una serata che sembrerà lunghissima senza di lui;
l’aspetto peggiore è l’attesa, quanto desidererei avere un rimessaggio per
cuori solitari! Fresca di doccia mi infilo un jeans e una giacca e scendo giù
nell’atrio dove alcune facce note mi stanno aspettando, spengo il cellulare e
mi infilo in un taxi insieme a due ragazze di Genova; sono entrambe bionde e
parlano urlando. Ho già mal di testa.
«Ma
vogliamo parlare del tizio con il quale ti accompagni? Sono tutti così nella
tua sede?» Bionda numero uno
attacca bottone indovinate un po’, chiedendomi di Flavio; fa questo strano
effetto alle donne perché è proprio lui ad essere strano. Non è una persona
comune nell’aspetto e non lo è nemmeno dentro, questo è il problema
fondamentalmente.
«Lui è un
eccezione.»
«E che
eccezione!» Bionda numero due è
d’accordo con me a metà. «E dicci è sposato?»
«Oh sì con
una modella russa. Un matrimonio felice.» La storia della modella russa è il riciclo di una fantasia
piuttosto scarna che tiro fuori ogni volta che una di queste oche mi tira in mezzo;
non so perché lo faccio -o meglio lo so ma non voglio ammettere di essere
gelosa, proprio no!- ma ho cominciato e non sono mai riuscita a smettere così
capita che qualche volta, quando lo incontrano gli chiedano come sta la
modella. Lui ride tutte le volte e tutte le volte mi fa promettere di smettere.
Ma non ci riesco.
«Per forza
che uno così si tromba una modella!»
Bionda numero uno agita le mani mostrando unghie fintissime e della peggior
fattura, poi mi guarda maliziosa indugiando sulla casta scollatura del mio top. «Voi due però sembrate così intimi.. non è che due botte
tra una felicitazione e l’altra le riserva anche a te?!»
La sua sfacciataggine
mi da il voltastomaco, ma cerco di sforzarmi sorridendo serena. «Scommetto che tu sei più preparata di me.» L’amica
ride mollandogli una gomitata nel fianco.
«’Sta qui ti ha già inquadrata!»
Il tassista salva la
situazione in corner, ferma l’auto e ci indica il locale presso il quale
abbiamo prenotato un tavolo; ad aspettarci fuori ci sono le altre due ragazze
che avevo incrociato nel pomeriggio nell’atrio. Sembrano più tranquille, una
napoletana e una ragazza di Trieste; poveretta, penso
mentre bionda numero uno le si butta addosso miracolosamente addolcita alla
parola “direzione centrale”.
Bionda
numero due, Ilenia, in realtà si rivela essere anche simpatica; mi parla della
sue esperienza in azienda e del pezzo grosso che le è toccato accompagnare, un
vero despota arrogante. Dopo due bicchieri di Chianti si lascia scappare anche
qualche racconto peccaminoso su bionda numero uno –che mi rifiuto di chiamarla
con il proprio nome e che ignoro per tutta la serata- e scopro così che è una
vera arrampicatrice sociale ma usa ‘l’arma letale’ talmente a destra a manca da
essersi fatta una vera e propria nomina –zoccola- e che per questo quindi non è
ancora riuscita a farsi sistemare da nessuno delle dozzine di uomini d’azienda
che si è fottuta; un vero genio. Io ci sono cascata con uno e me ne sono
addirittura innamorata, la guardo e penso quanto debba essere triste la sua
situazione al pari della mia, ma lei ride sguaiata con la tizia di Trieste –che
ci guarda supplichevole- e distrugge in un attimo qualsiasi sentimento di
compatimento possa aver provato.
«Tu invece?
Se il bello non è il tuo uomo, con chi te la fai?»
«Con
nessuno in particolare.» “Bugiarda.” Infilo la forchetta in una
deliziosa crostata crema e fichi e divago. «Diciamo
che non sono interessata ad avere storie al momento.»
«Ahi-ahi, cuore spezzato?»
“Tutt’altro. Il mio cuore è vivo.” «Solitario,
va che è meglio!»
«Beh meglio restare single, che stare con uno
stronzo.»
«Parli per esperienza?»
«Più o meno. Ma sto nella tua stessa barca, adesso
voglio solo divertirmi.» Alza il terzo bicchiere di Chianti e lo fa collidere
contro il mio con decisione. «Fanculo i
problemi e fanculo pure gli uomini!» Annuisco e finiamo brille una serata che
tutto sommato sembra sia stata anche piacevole.
L’aria fresca ci
sveglia un po’ mentre passeggiamo sul lungarno in direzione del Ponte Vecchio;
sono stordita e Ilenia fa battute a raffica tramortendomi. Finiamo in un pub
gestito da un ragazzo cinese che parla un adorabile dialetto fiorentino e che
diventa così la nostra attrazione del dopo cena. Mi faccio una media chiara e
penso che non dovrei bere oltre, che sono già abbastanza alticcia e che domani
tutta la giornata sarà dedicata a Flavio e al meeting, ma mentre lo penso
stringo in mano uno short e il bel viso del dottor Spagnoli è solo un miraggio
distorto nella mia testa; wow, come ci si sente bene a star leggeri. “Una sensazione che ho perso da un po’.”
penso amaramente, tuffandomi in ricordi dolorosi e bellissimi insieme.
«Noi si va
a ballare, voi che fate?!» Bionda numero
uno sta tutta avvinghiata al cinese mentre mi parla con un sorriso da ebete; io
nego con la testa e mi domando come faccia l’indomani a presentarsi che puzza
di alcool fin qui. Ilenia chiama un taxi e le altre due ragazze si accodano per
il rientro. Guardo nervosamente l’orologio, sono quasi le tre, cazzo; non
soffro di occhiaie e fortunatamente sono una abituata a dormire poco, la mia
preoccupazione più grande è Flavio. E’ un tipo piuttosto apprensivo, si
preoccupa sempre troppo, eccessivamente a volte.
Lo trovo nell’atrio
mentre inveisce al tipo di turno al desk; un ragazzone che se volesse con un
schiaffo lo farebbe girare come una trottola, ma che sta lì mortificato con la
cornetta a mezzaria mentre cerca di capire cosa dice la voce all’altro capo; mi
vede e come se niente fosse blocca la mano al ragazzo che intuisce e mette giù
malamente. «Azzurra..» mima con le labbra, non
schiodandosi di un passo; le ragazze mi oltrepassano svelte salutandomi e con
la stessa sveltezza si dirigono all’ascensore come un gruppo di adolescenti
beccate dal professore di vedetta.
«Nessuno di
particolare, eh?!» Ilenia mi strizza
l’occhio ed io sbianco, cianotica. «Tranquilla, ci
penso io con le altre.» Mi abbraccia veloce e sparisce anche lei.
Quando è sicuro di non
avere più nessuno intorno, si avvicina a
passi svelti e mi circonda con le braccia. «Hai visto
che ore sono?
«Ho visto
più tu che sbraitavi contro il ragazzo della reception. Non è colpa sua se sei
apprensivo.»
«Io non
sono apprensivo.» Dice allargando gli occhi stupito. «Mi preoccupo solo un po’.»
«Un po’?» Sono cioccata; in
momenti come questo perde di lucidità e non ha la giusta percezione delle cose.
«Le hai fatte scappare, cavolo! Sai questo cosa significa? Devi contenerti,
Flavio.» Alzo la voce e so di farlo perché mi prende per il gomito e mi
trascina agli ascensori; pigia nervosamente sul tasto a V e freme alle mie
spalle.
«Adesso chi
è che deve contenersi?!» Le porte si
aprono, mi spinge con dolcezza tutto sommato e penso che stiamo per litigare;
non mi va di litigare con lui perché mi sfinisce, è una lunga battaglia senza
mai un vincitore e per di più stiamo andando a letto e non voglio addormentarmi
con uno che poi assomigli ad uno sconosciuto. «E
comunque non me ne frega niente di quelle.»
«Devi
deciderti. Ah e magari stilami una lista di chi rientra tra il mi frega o no.»
«Smettila.
Non ti ho visto arrivare e ho pensato al peggio.»
«Smettila tu. Sei esagerato, ti sembro mica
Cenerentola?»
Ride lasciandomi
basita; una tregua. «Cenerentola no, mi sembri
più Raperonzolo, solo con la minigonna.»
«Raperonzolo era chiusa in una torre o qualcosa del
genere: cioè in trappola. E aspettava quel cretino del principe che altro non
ha fatto che arrampicarsi per i suoi capelli. Non mi piace. E per la cronaca,
non indosso una minigonna ma bensì una gonna al ginocchio, misura standard per
una hostess.»
«Sì ma è stata forte. Si è fatta liberare alla fine.»
Infondo non
ha tutti i torti. «Tu saresti il
principe?»
«No, io non sono nessuno.»
Lo guardo respirare con
il capo piegato sul mio seno, dopo aver fatto l’amore; un round a testa ed è
quasi alba. Penso di non aver mai amato nessuno nel modo in cui amo lui. Disperato, selvaggio a tratti quasi depravato.
«Sei
nervoso?»
«Lo ero più
qualche ora fa. Tu, sei stanca?»
«Un po’, ma
reggerò te lo prometto.»
«Devi, ho
bisogno di te.»
«Vorrei tu
avessi bisogno di me anche in altri modi.»
«In tutti i
modi a cui tu stai pensando. Ti prego, non dubitarne.»
«E come?
Viviamo in camere di albergo e ci nascondiamo.»
«Vuoi di più?»
«Quanto altro di più sei disposto a darmi?»
Stringe forte le
coperte e si agita; ho esagerato, lo so e mi viene da piangere dalla rabbia. Lo
accarezzo e so di sbagliare, so che si sentirà sicuro di se e di me e che non
risponderà mai a nessuna delle mie domande. Si sposta e si appoggia al suo lato
del letto però nella mia direzione, dal buio posso vedere i suoi occhi scuri
scrutarmi.
«Non so risponderti. E’ un problema?»
«Dipende. Mi sono innamorata di te, Flavio.»
La sala Imperatore
dell’hotel è gremita di persone, fanno un gran chiasso finche Flavio Spagnoli
non fa il suo ingresso in completo grigio fumo, personalmente consigliato dalla
sua hostess tutto fare, cioè io; e poco male, quelle sono le uniche parole che
abbiamo scambiato dal suo «Oh no» della sera
prima, quando gli ho detto che mi sono innamorata di lui. Fantastico, no? Ci
dirigiamo a grandi passi verso la platea centrale, quella con il tappeto rosso
e le tre sedie per lui e due personaggi al vertice che tecnicamente lo
supporteranno durante la lezione; poi ci sarò io, più defilata a mo’ di bella
statuita o a passargli questo o quello, supportarlo, sostenerlo con sorrisi
accondiscendenti -manco presentasse il progetto di una bomba atomica o la
soluzione per il debito mondiale- e fare tutto ciò che è in mio potere
professionale per farlo sentire bene, a proprio agio, servito. Tutto ciò che è in mio potere professionale, già.. tutto,
ma non il suo amore. “Stai lavorando. Cerca
di toglitelo dalla testa.”
«Dottor
Spagnoli! Che piacere vederla, mi chiedevo ha ricevuto poi la mia mail?!» Il più anziano dei due
che gli siederanno accanto comincia ad attaccare bottone, lui sorride cortese
non staccandomi gli occhi di dosso nemmeno per mezzo secondo; il più giovane,
sui trenta credo –non sono mai stata brava con l’età- è da quando mi ha vista
al suo fianco che non fa altro che indugiare sui centimetri di gambe e polpacci
nudi. Ne approfitto della situazione per stappare alcune bottiglie d’acqua da
un tavolo a poche spanne dalla platea, guadagnando fiato e tempo da quel
delirio di occhi e testosterone. Torno che sono seduti ormai ed è l’occasione
giusta per sfilare alle loro spalle versando liquido nei loro bicchieri; quando
mi avvicino a Flavio lo sento che mi sfiora la coscia con due dita e lo vedo
incenerire con lo sguardo il baldanzoso giovane. Quello ricambia perplesso,
ignaro della sua mano vagante sul mio corpo. Mi scanso senza sorridere o
guardarlo, gli volto le spalle e sono esattamente parallela al ragazzo che mi
guarda per intero quasi non vedesse l’ora. Adesso sorrido voltandomi
nuovamente, per poi sfilare ondeggiando al mio posto; non gli ho dato il tempo
di leggermi gli occhi. So che lo farò morire e mi piace.
Si alza
dalla sedia a sala ormai piena, il vocio si interrompe nuovamente. Comincia a
parlare salutando i presenti in sala, spiegando brevemente lo scopo della
giornata e i punti chiave del corso; parole che conosco a memoria, imparate nei
tempi d’attesa di stampa, ma la sua voce da certamente un credito a
quell’insulso pappone di frasi più o meno articolate. E’ un incanto mentre
brandisce la penna e indica le slide che scorrono alle sue spalle, il volto
serio, la postura composta e non sbaglia un acca, un accento, un inflessione;
era preparato sul serio e non avevo poi grossi dubbi in merito.
Il tempo
scorre via in un soffio, gli rimbocco il bicchiere solo un paio di volte in
totale, annuendo a tutte le altre richieste più o meno stupide che mi fa solo
per strapparmi uno sguardo; sono inflessibile, non lo guardo mai negli occhi e
la cosa mi logora ma è necessaria. Nella pausa schizzo via a prendere un po’
d’aria e rigenerarmi; fa molto caldo nonostante l’aria condizionata e i tacchi
cominciano a infastidirmi. Mi raggiunge come un pazzo.
«Ti prego.» Alzo le mani ben conscia
che vuole farmi una piazzata, nonostante tutto. «Guarda dove siamo.» Si guarda attorno, un gruppo di gente sta fumando persa in
discorsi più o meno seri; si avvicina e mi mette sotto agli occhi dei fogli, circondandomi
con la sua presenza, indica un punto senza senso e intanto mi parla
all’orecchio.
«Ti prego
io, non trattarmi così.»
«Credevo
fossimo d’accordo. Niente slanci quando siamo a lavoro. Questa era la tua unica
clausola, o sbaglio?!»
«E’ passato
tanto tempo da quella clausola.» Mi stringe per il fianco, accarezzandomi, sospira per un
tempo che sembra un’eternità quasi soffrendo. «Se io ti svelassi il torbido che
si annida in me, tu poi saresti capace di amarmi ancora?!» E’ una
richiesta accorata ma non mi guarda negli occhi; resto interdetta, guardo al
gruppo di persone adesso un po’ sfilacciato e tremo.
«Quanto
torbido?!» Per un attimo e non so nemmeno perché mi passano per la
testa infinite liste di reati e crimini in cui cerco di incasellarlo; avevo
intuito ci fosse qualcosa che preferisse omettermi, ma non mi ero mai
soffermata troppo sulla gravità. Ma
adesso si e ho paura, lo ammetto.
Sta per rispondere
quando una donna vedendolo gli fa un cenno si saluto, avvicinandosi; stacca le
mani da me e mi da le spalle, abbandonandomi in una bolla di terrore e ansia. «Vattene.» Soffia cattivo e imperioso.
«Vattene?» Neanche nella peggiore delle situazioni si
è mai rivolto così a me; gli giro intorno e lo guardo furiosa.
«Flavio!» La donna ci raggiunge in un aurea di
profumo nauseabondo; mi guarda interdetta, mi sposto, lei corre ad
abbracciarlo. Si conoscono da tanto tempo, il modo in cui la circonda con le
braccia mi da i brividi. «Come stai? Perché non mi
chiami più? Devo sapere da terzi che sei a Firenze e non mi vieni nemmeno a
salutare?» Lui mi guarda angosciato, lei se ne accorge e stavolta mi
punta addosso uno sguardo accusatore.
«Hai bisogno
di qualcosa?!» Si rivolge a lui con
tono affettuoso che nega con il capo, poi si girano entrambi su di me;
perfetto, mi stanno platealmente cacciando.
«A dopo,
dottor Spagnoli.» Con una punta di
amarezza faccio per andarmene; mi allontano lentamente, ferita, delusa. Sento
la donna alzare volutamente il tono forse infastidita dalla mia presenza così
vicina a quello che per lei sembra essere più di un conoscente e non posso fare
a meno di ascoltare.
«Susanna mi chiede sempre di te. Sta migliorando, sai?
Quanto vorrei rivedervi ancora insieme.. non pensi meritiate un’altra
occasione? Un matrimonio infondo è fatto di alti e bassi.»
“Oddio.. è.. è sposato?” Credo di non sentirmi più le ginocchia. Credo che
potrei svenire. Morire persino; la delusione si trasforma in un attimo in
panico. “Quanto torbido?” Le mie
stesse parole rimbombano nel cervello; che idiota che sono, come posso essere
stata così ingenua? Come ho fatto a innamorarmi di uno che non mi ha mai
parlato di sé e della sua vita? Come ho
fatto a credere che mi nascondesse per paura di espormi inutilmente a giudizi?
Ma soprattutto, come ho fatto a sperare che mi amasse a sua volta?
*
NDA:
Salve a tutti, cari lettori e care lettrici, ben
ritrovati!
Non ho idea di come catalogare questa storia,
probabilmente nel momento in cui la posterò avrò l’illuminazione; sarà breve
questo sì. Azzardo un quattro capitoli, tutti concentrati su questo rapporto.
Il titolo mi fa impazzire ed è altamente ispirato ad
alcune sensazioni che mi da la canzone dei Negramaro;
una storia semplice, appunto ;) l’adoro e adoro loro :D
Spero che come inizio vi sia piaciuto e che vogliate
lasciarmi una vostra impressione!
Vi abbraccio forte, a presto.
Lunadreamy.