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Autore: _amethyst_    19/07/2013    2 recensioni
« No, non è uno scherzo: è stata tutta colpa sua.
Colpa dell’unico individuo della casa che assisteva senza essere protagonista, colpa di colui che inconsapevolmente ha causato tutto.
Non sono pazza: è stata colpa di quel gatto! »
- Prendiamo due cugine, castane e completamente diverse l'una dall'altra.
Prendiamo due amici, uno smielato potenzialmente figo e un musone che crede di saper scrivere canzoni, anche lui potenzialmente figo.
Prendiamo due ex, un biondo gay effettivamente figo e una piattola bionda con la mania dell'ordine.
Prendiamo un gattaccio puzzolente e dal muso schiacciato di nome Parmigianino.
Mescoliamo insieme questi elementi in un unico calderone e ne deriverà un disastro.
Un ENORME disastro.
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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Buon compleanno Prue!
epilogo


 (Pov Will)

Non andò affatto come avevo sperato: Bethany non fece pace con Matt quella notte, anche perché leggenda narra che lui avesse semplicemente sventolato bandiera bianca al primo, magro, tentativo di riconciliazione. Prudence, dopo aver tentato (in tutti i modi possibili ed immaginabili) di estorcermi informazioni con l'inganno, alla fine si era rassegnata al mio silenzio, e talvolta alle mie pseudo-risposte, troppo vaghe per costituire un problema. Ancora, a distanza di quasi due mesi, non ero riuscito a spiegarle com'erano davvero andate le cose. Bethany aspettava che le dicessi tutta la verità, per questo non mancava di lanciarmi sguardi assassini e di osservarmi con fare accusatorio, ogni giorno ad ogni ora, in ogni circostanza. Mi considerava un codardo ed uno stronzo, ed io paradossalmente concordavo con lei su entrambi i punti. Matt, per quanto provasse a nasconderlo, era sempre più depresso e asociale: passava le sue giornate chino su un quaderno (l'altro l'aveva allegramente dato alle fiamme) a scrivere chissà che o a "suonare" ossessivamente con la batteria finché non gli facevo notare che aveva palesemente rotto i coglioni.
Ultimamente malsopportavo anche Ileen che, sebbene si facesse bonariamente gli affari propri, riusciva ad annientare il mio fragile sistema nervoso solamente passando l'aspirapolvere per la casa.
In più avevo sempre la netta impressione che lei, come Bethany, mi controllasse a vista: in sua presenza mi sentivo costantemente sotto osservazione, e questo mi metteva particolarmente a disagio. Chase invece era uccel di bosco: fra studio e pre-esami vari ed eventuali, spesso si dimenticava di onorarci della sua odiosa presenza durante i pasti.
L'unica a preoccuparsi del suo sostentamento era Bethany, che trasportava abitualmente consistenti scorte di viveri nella sua stanza e spesso ci rimaneva, provocando un leggero mutamento nell'espressione da gorilla che Matt aveva assunto col passare del tempo. Cominciavo a provare pena per il mio migliore amico, e l'eventualità che a breve sarei potuto diventare come lui era uno dei motivi principali per cui facevo orecchie da mercante alle domande insidiose di Prudence. Avevo fatto della scommessa un argomento tabù con Matt (non che io e lui parlassimo granché nell'ultimo periodo) perciò si era creato una sorta di limbo nebuloso fra di noi. Lo stesso Parmigianino si era dato alla latitanza: non lo vedevamo da qualche giorno, e questo era piuttosto sospetto.
- Pancakes? - la vocina trillante di Ileen fu un risveglio dolce come una martellata sui denti. Sollevai lo sguardo verso di lei ed annuii, facendomi piccolo piccolo di fronte a quello sguardo inquietante che ormai era diventato uno dei miei incubi peggiori, preceduto solo dal pensiero di dover confessare a Prudence della scommessa.
Rabbrividii impercettibilmente, osservando il dolce scivolare sul candido piattino di porcellana.
Non capivo dove la bionda trovasse tutta quella voglia di cucinare, specialmente alle sei del mattino, con la pioggia che ticchettava incantatrice fuori dalle finestre come una sorta di enorme orologio grigiastro. Sbadigliai sonoramente, portando la manona alla bocca ed infilando il coltello all'interno del barattolo di Nutella per 'condire' il dolce e divorarlo voracemente.
- Buo-buongiorno... - una voce tristemente assonnata distrusse l'armonioso silenzio che si era nuovamente creato nella piccola e asfissiante cucina.
Ciò che accadde dopo mi fece congelare il sangue nelle vene. Letteralmente.
- AUGUUUUUURI TESOOOOOORO! - spalancai le palpebre e, nel voltarmi, vidi Ileen avvolgere con un abbraccio spezza-ossa la povera Prudence, ancora tramortita dal sonno, ed ora dalle urla stridenti della bionda. Auguri? Prudence?Oh, cazzo. Rimasi a bocca aperta per dieci secondi buoni e, quando finalmente la ragazza si riprese dall'assalto della piattola, mi rivolse un gran sorriso.
- Oh, ehm, sì, già... - mi alzai goffamente dalla sedia, rischiando di incespicare nella gamba legnosa del tavolo e di ruzzolare per terra, facendo una ancor più magra figura - A-auguri tesoro mio! - come si poteva ben capire, mi ero completamente dimenticato del suo compleanno. E di conseguenza del regalo che mi ero tanto caldamente raccomandato di acquistare.
Ero nella merda (anche questo non era difficile da intuire) e se non mi fossi inventato qualcosa ci sarei sprofondato ancora di più.
La baciai sconsolato, figurandomi già l'imbarazzante momento in cui avrebbe realizzato che non le avevo comprato niente. L'ipotesi della latitanza insieme a Parmigianino era più appetibile dell'affrontare lo sguardo deluso di Prudence, appena saputo che avevo scordato il giorno del suo compleanno.
18 fottuto Dicembre, mi appuntai mentalmente, stringendo la ragazza in un abbraccio delicato.
- Grazie Will! Come s- OH MA QUELLI SONO PANCAAAAKES! - mi sorpassò senza terminare la frase, gettandosi a capofitto sulla torretta più alta, sormontata da una candelina rosa, certamente acquistata apposta per la ragazza. Mi sentii ancor più idiota nel constatare che Ileen aveva ricordato l'evento ed io (che ero il suo ragazzo) no.
Questo peggiorava di gran lunga la mia posizione, già critica.
- Auguri... - bofonchiò Matt, rivolgendole un mezzo sorrisetto. Bene, perfetto: chi altri?
- CUUUUGIIII, vieni qui brutta Parmigianina rinsecchita! BUON COMPLEANNOOO! - e così via.
Lanciai uno sguardo implorante a Matt che, non comprendendo quell'espressione disperata, mi si avvicinò con circospezione.
- Me ne sono completamente dimenticato. - biascicai, assumendo un'espressione terrorizzata. Quello sospirò, non particolarmente sorpreso dalla mia rivelazione.
- Mai dimenticarsi il compleanno della propria ragazza! - mi ammonì semiserio, scuotendo lentamente il capo in segno di disapprovazione.
- Non sei la persona più adatta a dispensare consigli. Lo sai, vero? -
- Fanculo. - lanciò un'occhiata fugace a Bethany, che intanto stava decimando ogni strato commestibile della sua torretta di pancakes, spalmando su ognuno di essi un consistente strato di Nutella.
- Vuoi deciderti a darle quella cazzo di lettera o gliela devo infilare io sotto la porta della camera? - il fatto che Matt non si fosse ancora dato una mossa mi faceva decisamente saltare i nervi: non avevo mai visto il mio migliore amico tanto titubante ed incerto. E dire che era sempre stato fin troppo sicuro di sé!
- Senti... non è questione di coraggio. E' che comincio a credere che non servirà a molto. - distolse lo sguardo dalla mora con riluttanza, prima che lei potesse accorgersi che la stava guardando.
- No, il problema è che non hai le palle. Se ce le avessi ci tenteresti, punto. -
- E allora perché non dici a Prudence la verità? C'è qualche volontà divina che te lo impedisce? - bang! Colpito e affondato.
- E' il suo compleanno. - replicai, rigido come uno stoccafisso. Odiavo pensare che prima o poi avrei dovuto intraprendere quell'argomento: avevo paura che sarebbe stato un colpo piuttosto duro per lei. Non volevo che si facesse un'idea sbagliata di me, ma non volevo nemmeno che se ne facesse una peggiore venendo a conoscenza di tutta la faccenda da qualcun altro.
- Ora ti fa comodo ricordartene? - rimasi interdetto, una seconda volta. Sapevo che aveva perfettamente ragione, ma non potevo sopportare che fosse lui a farmi la predica.
Non era certo meglio di me: in quella storia eravamo invischiati entrambi allo stesso modo!
- Da quando Bethany ti ha mollato sei diventato ancora più stronzo e insopportabile. - queste parole non scalfirono minimamente la maschera indifferente dell'altro, ma furono sufficienti ad allontanarlo. Mi lasciò in piedi come un idiota, mentre lui si accomodava tranquillamente accanto alla ragazza per ingozzarsi con i dolciumi preparati da Ileen. Con imbarazzo notai di essere l'unico che ancora non si era seduto a mangiare. Pure Chase si era unito all'allegra combriccola, dopo aver (manco a dirlo) fatto i suoi più sentiti auguri a Prudence.
Mossi qualche passo verso l'unica sedia libera, quella accanto a Prudence ovviamente, e cominciai a sfamarmi in religioso silenzio.
I pancakes erano ottimi, ma per me era impossibile gustarli appieno: sentivo il sapore della vergogna appannare fastidiosamente i miei sensi.
 
Rivolgermi a Bethany sembrava l'unica – odiosa - soluzione al mio problema, così attirai la sua attenzione con un cenno disperato, nella speranza che non facesse troppe storie. Scivolai via dal gruppetto festante e le intimai di avvicinarsi velocemente, sperando che comprendesse il mio labiale. Non afferrai il significato del suo ghigno perfido, almeno fin quando non aprì bocca, dopo essersi accostata a me.
- Hai scordato il suo compleanno, non è così? - cominciavo a pensare che questa fosse la punizione divina per il mio eterno temporeggiare. Chiedere aiuto a Bethany era l'ultima cosa che avrei voluto fare, ma era chiaro che non avevo altra scelta: dovevo trovare un regalo adatto, e subito!
- Non è affatto divertente! Che cavolo faccio ora? - mi lamentai, nel panico. Dovevo andare a lezione, e più tardi sarebbe statotroppo tardi per acquistare qualcosa di carino.
In più, non avevo idea di cosa cercare.
- Te lo dico io cosa fai adesso: salti la lezione e vai subito in centro a comprarle un regalo decente. E vai anche a ritirare la torta in pasticceria, dato che ci sei! Io intanto tenterò di salvarti il culo in qualche modo... -
- Ah sì? Come mai vuoi tirarmi fuori dalla merda? - sollevai un sopracciglio, osservando divertito l'espressione di Bethany mutare: assunse un cipiglio infastidito, come se la mia domanda fosse troppo ovvia per meritare una risposta.
- Non lo faccio per te, mi sembra chiaro, ma è il compleanno di Prue e non permetterò che tu glielo rovini: capisci? -
- Ti prometto che non lo farò, ma ho bisogno del tuo aiuto. -
- E se io non volessi aiutarti? -
- Lo farai, perché vuoi che il suo compleanno sia tranquillo. -
- Forse, ma questo non significa che ti dirò cosa comprarle. -
- Stai dicendo che pensi che non sappia cosa comprarle?! - soffiai sdegnato, lanciandomi intorno sguardi imbarazzati: in realtà non ne avevo la più pallida idea.
Ero totalmente impreparato sull'argomento, e non ci voleva un genio ad intuirlo.
- Esattamente. - incrociò le braccia al petto, assumendo un'espressione fastidiosamente scettica.
Non resistetti a lungo sotto quello sguardo, infatti non passarono che pochi secondi. Sospirai.
- Okay, hai ragione: non ho la benché minima idea di cosa cercare. - non fui affatto contento dell'espressione trionfante che scorsi sul volto della ragazza: tramava qualcosa, e avrei giurato che non fosse nulla di buono, non per me.
- Facciamo un patto. - asserì, mantenendo quel fastidioso ghigno.
Sbiancai: avevo paura delle sue idee, perchè solitamente non andavano a mio vantaggio.
- Che genere di patto? -
- Io vengo con te e ti dico cosa comprarle, ma tu devi dirle la verità. E se non lo fai subito lo farò io. - mi sorrise malevola, sfarfallando le ciglia con fare innocente - Che te ne pare? -
- Non oggi. E' il suo compleanno. - era la seconda volta che lo dicevo, a due persone differenti, ed ogni volta non potevo che ripetermi che, intanto, io l'avevo dimenticato.
- Ah, ma guarda! Solo quando ti fa comodo te ne ricordi... - mi pare di aver già sentito questa frase, pensai, e non riuscii a non sorridere nel pensarlo.
A lei non sfuggì, per questo la vidi guardarmi storto.
- Cos'hai da ridere? -
- Matt mi ha detto la stessa cosa mezz'ora fa. - ridacchiai, ma la mia risata si spense presto, non appena incrociai lo sguardo feroce di Bethany. Sembrava pronta a sbranarmi per aver pronunciato quel nome e, nel tentativo di salvarmi dalle sue fauci, ripresi un cipiglio il più possibile serio, sebbene mi venisse ugualmente voglia di ridere.
- Chiariamo una cosa: io ti aiuto e tu non lo nomini, okay? -
- Quando smetterete di far finta di odiarvi, voi due? -
- Io non odio nessuno, tanto meno fingo di farlo. Semplicemente lo ignoro! -
- Cazzate! -
- E' tardi! Non abbiamo tutta la mattinata per trovare qualcosa di dignitoso. Muoviamoci! - tagliò corto, lasciandomi di stucco. Mi grattai il mento, riflettendo sulla sorprendente rapidità con cui Bethany cambiava argomento quando si parlava di Matt e della loro presunta 'love story', o quello che era. Chiaramente lei non ignorava il ragazzo: al contrario, lo considerava talmente tanto che ogni volta che veniva nominato sobbalzava, quasi impercettibilmente; poi grugniva e borbottava qualcosa di incomprensibile.
E Matt era uno stupido se credeva davvero di non aver più speranze.
Sarebbe bastata una lettera, quella lettera.
Poche righe e tutto si sarebbe aggiustato.
 
- Non sei seria! - esaminai inorridito la collana, accessoriata di un agghiacciante ciondolo d’acciaio dalla forma felina, con la coda snodata. Con disgusto constatai che quella cosa si muoveva.
- Sì invece, e conoscendo i gusti strambi di mia cugina sono sicura che le piacerà! Non assomiglia a Parmigianino? -
- Appunto, è per questo che è orrenda. - riposi quello schifo  al proprio posto, allontanandomi da esso come per paura che mi potesse contagiare qualche brutta malattia, per poi volgermi sconsolato in direzione di Bethany. Lei sembrava tranquilla, quasi rilassata, come se la questione non la riguardasse.
Ed effettivamente, se non avessi trovato un regalo decente, il problema sarebbe stato unicamente mio.
- Mi vuoi dare una mano, sì o no? - domandai esasperato, vedendola cazzeggiare allegramente per il negozio. Lei, nel sentire il quesito, si voltò in mia direzione, assumendo un'aria insofferente.
Era chiaro che non gliene fregava niente della mia disperazione. Anzi, pareva quasi soddisfatta.
- E' divertente vederti sclerare, ma mi rendo conto che si sta facendo tardi e  che se continuiamo così rimarremo a mani vuote. Perciò... - si diresse dalla parte opposta del negozietto e, con una rapidità che definii inquietante, estrasse da una lunga fila di ciondoli qualcosa di dorato.
Mi avvicinai curioso, dedicando la mia attenzione al piccolo aggeggino dalla forma ovale.
- Guarda, si apre. - mi fece notare, cliccando una specie di mini pulsantino sul fianco ed aprendolo a metà: dentro non c'era nulla.
- Ma è vuoto! -
- Certo che lo è, zuccone! Devi metterci una foto dentro. Vedi questa fessura qui? -
- Oh, ingegnoso! E... ehm, che foto dovrei metterci? -
- Sei davvero così stupido o ci arrivi da solo? -
- Una… ehm… nostra foto? - azzardai, non particolarmente convinto.
- Bene, vedo che facciamo progressi. - non mi piaceva il suo tono saccente, ma era lei ad avere il coltello dalla parte del manico, ed io avevo la lama puntata alla gola.
- Ma quand'è che l'hai visto? - la velocità con cui aveva individuato il ciondolo mi aveva fatto pensare che ci fosse già passata prima, e che magari l'avesse già scelta, in un certo senso.
- Uhm, più o meno appena siamo arrivati, ma volevo vedere fino a quanto avresti resistito. Devo dire che te la sei cavata a buon mercato! -
- Tu mi stai dicendo che abbiamo sprecato un'ora per... niente? -
- Naaa, non direi: ho trovato un bel paio di orecchini ed un fermacapelli che potrei mettere stasera! E poi ora sai cosa non devi assolutamente pensare di comprare a Prue. -
- Andiamo va! Devo pure metterci una cavolo di foto nostra, che non so nemmeno se ho. -
- Beh, ma io sì. -
- E quando l'avresti scattata? -
- Segreto! Siete tanto carini in quella foto! -
- Bene... almeno l'hai sviluppata? -
- No. Ma ho la macchina fotografica in borsa: ho messo in conto la possibilità che non avremmo trovato nulla e che avrebbe potuto servirci. -
- Sei previdente... -
- Conosco i miei polli. -
- Cioè me? -
- Esatto. Ora andiamo! Hai idea di dove possiamo stamparla? -
- Sì, ne ho una vaga idea, ma dobbiamo camminare un po' per arrivarci. - e dire che avrei potuto sistemare il problema molto prima, se solo me ne fossi ricordato in tempo!
- Bene allora! Andiamo. - pagai e ce ne andammo dal negozio di fretta, insieme al nostro (che doveva essere solo mio, in teoria) acquisto, nella speranza che Prudence lo apprezzasse, e che non comprendesse che mi ero scordato del suo compleanno. Intanto pregavo Parmigianino e tutti i santi che tutto andasse come speravo.
 

(Pov. Nick)

Martha era strana, più del solito. La osservai torcersi nervosamente le mani, prima di afferrare la tazza di caffè e portarla alle labbra esangui. Sembrava preoccupata per qualcosa, ed ogni volta che sollevavo lo sguardo verso di lei la vedevo distogliere il suo. Avevo paura, perché non conoscevo quell'atteggiamento. Da quasi due mesi si comportava come se la mia esistenza le fosse sconosciuta, come se non fossi il suo fidanzato, e gradualmente avevo cominciato ad insospettirmi. A volte quella ragazza sapeva essere più enigmatica di una sfinge, eppure ero certo che ci fosse qualcosa sotto, qualcosa che riguardava lei... o noi, in generale. Avevo ipotizzato che avesse qualcosa da dirmi, e che questo qualcosa non mi sarebbe piaciuto.
- C'è qualcosa che non va? - le domandai chiaramente, dopo svariati minuti di silenzio. Lei non si azzardò a guardarmi, ma vidi uno strano bagliore risplendere nelle sue iridi.
- Sì. - drizzò la schiena, avvicinando titubante la sedia al tavolino. La vidi deglutire. Continuava a tormentarsi le mani, come se stesse cercando in tutti i modi di non pensare a ciò che stava per fare - Ci sono delle cose che non sai e che è il caso che tu sappia, prima che io... - le costava molto affrontare questo discorso, ed io cominciai a pensare al peggio senza concedermi l’egoistico privilegio del dubbio.
- Vuoi rompere con me? - il mio tono rimase distaccato per mantenere quel minimo di orgoglio che mi rimaneva ancora in corpo.
Non volevo pensare che fosse davvero così, e per quei pochi istanti in cui lei tacque sperai, davvero ardentemente, che mi stessi sbagliando.
Ma la sua espressione, le sue parole, il modo in cui le pronunciò e quell'aria fredda che ci separava come una fitta nebbia confermava soltanto ciò che avevo temuto fosse vero.
- Ci ho pensato per tanto tempo Nick. Mi dispiace che ti possa sembrare tutto così assurdo, ma adesso lasciami spiegare le mie ragioni. E' meglio che lo faccia io, prima che tu lo scopra da solo. -
- Va bene. - ero lucido, estremamente lucido, ma accettare di ascoltare ancora la sua voce,  sapendo che non sarebbe stata più quella della mia Martha, era una decisione logorante. Mi chiesi come avrei fatto a rimanere lì seduto come un cretino senza dare di matto per più di tre secondi, cosciente del fatto che in ogni caso dopo quella conversazione sarei rimasto solo.
Avrei potuto alzarmi, allontanarmi e prendere a calci il primo oggetto presente sul mio cammino, ma la mia indole andava contro tutto questo. Razionale, sempre e comunque, qualunque cosa accada, anche a costo di passare per l'insensibile di turno. Sì, come no: avrei voluto esserlo davvero, senza sentimenti.
Ma non lo ero, e tutto questo mi stava distruggendo inevitabilmente.
- C'è un motivo per cui io non ho voluto dire niente a Brian per così tanto tempo. - allontanò lentamente la tazzina di caffè vuota, prima di continuare - Il problema è che non sono stata affatto sincera con te. Sono una stronza doppiogiochista, e mi dispiace che tu sia quello che ne paga le conseguenze. - cercava di guadagnare tempo, ma il mio sguardo (fisso su di lei) le metteva fretta, perché volevo sapere e lei lo percepiva chiaramente.
- E' per lui che mi stai lasciando, vero? - prima che potesse riprendere a parlare la interruppi, colpito istantaneamente da un forte sospetto - Lo ami ancora. - strinsi le mani a pugno sul tavolino, senza preoccuparmi di nascondere la mia ira. Ero frustrato, più che arrabbiato, perché neanche dopo tutto quel tempo ero riuscito a farmi apprezzare più di lui.
L'eterna competizione vedeva ancora una volta lui come vincitore, e me come vinto.
- Non ti sto lasciando per lui. -
- Non c'è bisogno che tu mi dica altre cazzate. Mi hai mentito abbastanza per tutto questo tempo. -
- Appunto, ti sto dicendo la verità Nick. Non nego che Brian mi stia ancora a cuore, ma... - la vidi esitare, come se lei stessa non sapesse cosa dire.
- Ma lo ami. -
- Questo non risolve il problema! Non ha mai risolto granché l’amore, lo sai meglio di me. -
- Io invece credo di sì: adesso stai mollando me per stare con lui. E' chiaro. Prima un fratello poi l'altro. -
- Nick, piantala. Ascolta quello che... -
- Cosa devo sapere ancora? Più tardi sarai finalmente con lui. Non aspettavi altro, e nel mentre ti sei accontentata di me. Fine. -
- Ecco, è qui che ti sbagli. Mi sono presa del tempo per pensare, e ho capito che voglio ancora rifletterci su, prima di decidere davvero cosa fare. -
- Balle. - non capivo perché si ostinasse a mentire. Continuava a non parlare chiaro, ed io a non voler credere a ciò che sentivo uscire dalle sue labbra.
- Hai intenzione di farmi finire oppure continuerai ad interrompermi? - tacqui, in modo che ottenesse l'agognato silenzio e parlasse, nonostante non avessi più voglia di sentire la sua voce. - Ho fatto le valigie. Me ne vado. -
La osservai stralunato, domandandomi cosa avesse in mente di fare. Voleva fuggire, okay, questo era evidente. E la notizia avrebbe dovuto lasciarmi del tutto indifferente.
Invece quella sensazione di malessere diffuso che provavo cominciò ad appesantirsi gradualmente, divenendo rapidamente insostenibile.
Se ne andava. Dove? Perché? Con chi? Perché non con me?
- Molli l'università?! E che fai dopo? Rimani lì? -
- Continuerò a Milano. Mio padre ha molte conoscenze là, il rettore è un suo vecchio collega. Potrò continuare senza problemi. -
- E Brian? -
- Brian... credo che se ne farà una ragione. Ce la faremo tutti. -
- Che vuoi dire? - nonostante digrignassi i denti al solo pensiero che lei avesse scelto senza indugio mio fratello, ribollendo di rabbia e gelosia, avevo bisogno di capire che ne sarebbe stato di me quando quei due avrebbero sfilato davanti ai miei occhi mano nella mano. Perché era chiaro che sarebbe andata così. Brian non aveva mai avuto occhi che per lei, checchè ne dicesse lui.
- Partite entrambi dal presupposto che sia lui a dover perdonare me, ma la realtà è che sono io a dover perdonare lui. E ho bisogno di pensare se sia giusto farlo o meno. Non m'importa per quanto tempo starò dai miei, ma non posso riflettere qui. -
- Sei sempre stata una tipa strana Martha, per questo sono sempre stato attratto da te. Ma ora capisco che sei come tutte le altre donne: la tua stranezza consiste soltanto nel piacere che provi nel complicarti la vita. -
Il suo silenzio non fu che una conferma delle mie parole. Non indugiò oltre su quella scomoda sedia di legno: lasciò cadere i due euro del caffè sul tavolino e afferrò sbrigativa borsa e sciarpa, avvolgendosela al collo con un'espressività pari ad una zuccheriera.
- Vai a dare la lieta notizia al tuo amore? - l'ironia pungente era solo una delle poche difese di cui disponevo: l'alternativa era la pazzia, o il disprezzo, o la disperazione. O tutte e tre insieme.
- In ogni caso non è più affar tuo. Mi dispiace Nick, ci rivedremo presto, forse. -
- Non credevo che la tua partenza fosse così immediata. -
- Infatti non lo è. Prendo l'ultimo treno del pomeriggio. Credo di non dovere delle spiegazioni solo a te. -
- Beh, buona fortuna allora. Spero che la tua fuga serva a qualcosa. - ignorò anche quest'ultimo, disperato, soffio di veleno. S'infilò il cappotto e mi guardò un'ultima volta, grigia e malinconica come il cielo fuori da quel bar, che lentamente sfumava in un accenno di temporale.
- A presto Nick. Stammi bene. - se ne andò come un breve ma raggelante alito di vento, portando con sé quella goccia di felicità che col tempo avevo conservato dentro e che speravo crescesse a dismisura, fino a inondarmi il petto. La speranza... quella era marcita istantaneamente, lei e quel sentimento d'affetto e d'ammirazione che provavo per quella ragazza dai capelli rossi che Brian aveva rifiutato come un regalo sgradito. E dire che io quel pacchettino mutilato e grossolano l'avrei accettato volentieri. Magari l'avrei scartato e tenuto al petto per tutta la vita, cullandolo fra le braccia e proteggendolo da qualsiasi male. Ma ora di quel dono mi rimanevano esclusivamente dei frammenti macilenti, irreali, ologrammi sfocati.
Credevo di averla persa per sempre, ma ancora non avevo realizzato che in un certo senso non era mai stata mia.
 

(Pov. Chase)

Il cielo rispecchiava esattamente il mio attuale stato d'animo. Era in arrivo un temporale coi fiocchi e ormai il mio compito giornaliero alla facoltà si era concluso con dolore.
Stremato dal pre-esame al quale ero appena sfuggito, non mi aspettavo un ennesimo colpo basso come quello che subii appena uscito dall'aula.
Mille sanguisughe cominciarono a succhiarmi qualsiasi forma di energia che mi era avanzata, compresa quella che avrei dovuto consumare per allontanarmi da quel luogo nefasto.
Avrei almeno potuto distogliere lo sguardo da quella lugubre scena, ma qualcosa aveva smesso di funzionare all'interno del mio patetico cervellino.
Risate e sorrisini giunsero ai miei organi di senso. Pugnalate e proiettili dritti al cuore, eterno bersaglio. Sangue sgorgante da ferite parzialmente rimarginate dal tempo, e tanta, tanta pena. Per me, incapace di riprendermi ciò che sentivo mi appartenesse ancora; per lei, bugiarda e bastarda come non era mai stata prima d'allora.
Respirai profondamente e voltai le spalle a quella visione (e al mio cuore dissanguato), ma feci solo pochi passi tremolanti.
- Che dici... ti va' di prenderci un caffè domani mattina, magari prima di venire in facoltà? -
- Uhm, non saprei. - la voce candida e serafica di Ileen non appariva un diniego sufficientemente chiaro all'invito di un ragazzo troppo insistente. Era troppo sottile ed angelica per potersi davvero abbassare ad un 'no' deciso, ma io sapevo che dietro quel travestimento da bella addormentata si nascondeva l'anima di un'amazzone. Tuttavia quel tipo non poteva capire con chi stava interagendo.
E di certo non era minimamente all'altezza di farlo, o di tentarci tanto spudoratamente.
Andarmene era fuori discussione, ma anche stare lì impalato come uno stupido pilastro di cemento non era il massimo. Ed il sorrisetto di Ileen era una chiara richiesta di aiuto.
Richiesta che io accolsi con rabbiosa fermezza. Chi si credeva di essere quel tipo per poter anche solo pensare di soffiarmi la ragazza?
Mi vergognai per quei pochi attimi di smarrimento che mi avevano portato a chinare il capo con rassegnazione e muovere quei pochi passi in direzione dell'ingresso, e per espiare le mie colpe feci dietro front con la tracolla issata sulla spalla, più deciso e incazzato che mai.
- Mi sembrava di essere stato chiaro. - interruppi il tono insistente del ragazzo dai capelli scuri, spingendolo via dalla mia dama - Sparisci, prima che le suoni anche a te! -
- Che? - quel tipaccio assunse un'espressione tipicamente sorpresa, di chi non capisce bene che diavolo stia succedendo - Io stavo solo... -
- Adescando la mia ragazza, lo so. Ora, così come sei arrivato, vattene. - non se lo fece ripetere due volte. Mi stupii che non mi avesse anche chiesto scusa per evitare di assaggiare le mie botte: come un coniglio impaurito scomparve dietro l'angolo; mi parve di scorgere anche un accenno di coda sparire fra le sue gambe mentre fuggiva, ma non me ne curai affatto.
- Non mi stava violentando. Mi ha semplicemente chiesto di uscire. - obiettò la ragazza, guardandomi in tralice.
- Appunto. Nessuno chiede di uscire alla mia ragazza. -
- Si da’ il caso che io non lo sia più da tempo. -
- Sì che lo sei. Non hai mai smesso di esserlo, ma sei troppo stupida per ammetterlo. -
- Ah,  io sarei quella stupida? Devo ricordarti che ti sei finto gay per mesi indossando degli stupidi... perizomi pelosi?! Cristo, non dimenticherò mai quell’orrore! -
- Ripetilo. -
- Eh? -
- Ripeti 'perizomi pelosi'. - mi guardò come se mi fossi improvvisamente rincitrullito. Magari non aveva tutti i torti, ma se il mio cervello era andato in trip era accaduto molto tempo prima.
- Tu non stai bene. -
- Dai, dillo! -
- Ma perché dovrei… – alzò gli occhi al cielo con fare imperioso, soffiando boriosa per la mia insolita richiesta – E va bene! Perizomi pelosi! Conten... - magari non era il posto più adatto per mettersi a pomiciare, ma (come già precisato in precedenza) morivo da secoli dalla voglia di baciarla, e quel desiderio represso non aveva fatto altro che ingrossarsi come un palloncino, per poi scoppiare nel momento meno opportuno e nel modo più fragoroso.  In tal caso, questo.
Inglobai il calore delle sue labbra nelle mie, con il preciso intento di non lasciarlo più andar via. Il soffio caldo del suo respiro manteneva accesa la fiamma della speranza, e fintantoché mi accarezzava il viso nemmeno il freddo pungente poteva toccarmi. Ero immune da qualsiasi cosa quand'era fra le mie mani.
Immune da tutto ciò che non fosse lei e solo lei.
Ma sapevo che non sarebbe bastato a cancellare mesi interi di pianti soffocati fra cuscini candidi e urla represse. Non sarebbe bastato ma sarebbe potuto essere un nuovo inizio, se solo Ileen avesse compreso almeno un minimo della pena che provavo per me stesso e per il mio stupido comportamento.
- Scusa, scusa, scusa… - sussurrai sulle sue labbra, nella speranza che quei soffi bollenti la allontanassero dalle sue decisioni drastiche – Sai di non poter smettere di amarmi da un giorno all’altro. Un’altra possibilità, che ti costa? – continuavo a lamentarmi, senza riuscire a staccarmi da lei, senza darle il tempo di rispondere o respirare o semplicemente senza darle motivo di allontanarmi. Cominciavo a percepire qualche crepa farsi strada in quella maschera imperturbabile di orgoglio e virtù, in quel viso di porcellana che a causa mia troppo spesso si era macchiato di lacrime amare e logoranti. Avevo deturpato quella bellezza con i miei capricci, ed ora dovevo rimediare, mostrarle che potevo ancora valerne la pena.
- Dirò ai miei la verità, gli spiegherò che sono una testa di cazzo e che non merito neanche un tuo capello. Ma tu perdonami, perché anche se ho fatto il coglione io ti amo, capito? –
- Sì Chase, ho capito, ma non respiro! – biascicò e si allontanò per riprendere a immettere aria nei polmoni come Dio comanda – Ora parliamo da persone civili da qualche altra parte, possibilmente dove nessuno si metta ad osservarci, okay? – la sua irritazione era decisamente poco credibile, e non potei che notarlo da quel mezzo sorrisetto fugace che scorsi sulle sue labbra una frazione di secondo prima che si voltasse e che si dirigesse fuori dalla facoltà. La seguii, assicurandomi di non allontanarmi troppo dal suo fianco magro, consapevole di aver superato un ostacolo ingombrante e di essermi aperto per la seconda volta un varco nel suo cuore puro.
 

(Pov. Matt)

- Che cazzo significa? – la porta cigolò in maniera inquietante alle spalle della ragazza, piombata come una furia nella stanza caotica. Brandiva come un’arma un foglio candido che riconobbi essere la mia ‘lettera’, o meglio, il mio ultimo (disperato) tentativo di riconciliazione. Nelle sue mani sembrava soltanto uno stupido pezzo di carta, e invece era la rappresentazione materiale della mia speranza. Restai zitto e immobile, seduto sullo sgabello traballante, con le mani ancora impegnate a stringere le bacchette di legno della batteria.
- Ti ho chiesto… -
- Sì, ho sentito, grazie. Hai qualcosa da dire? Mi pare che il significato sia già abbastanza chiaro. – ero stanco di litigare, di sbattermi per cercare le parole giuste e sentirmi comunque rispondere con odio. Mi sentivo colpevole di aver calpestato la dolcezza dei suoi occhi marroni con le mie stronzate. Sapevo di non avere il diritto di essere felice, dopo aver distrutto la sua allegria. Sapevo che non era il momento più adatto, che avrei dovuto attendere, che mi sarei soltanto comportato da egoista. Ma ora eccola qua, con la lettera stretta fra le dita, davanti a me, davanti alle mie parole scarabocchiate, davanti alle frequenti cancellature, davanti al mio cuore. Aperto, dinanzi ai suoi occhi.
- Mi piacerebbe che tu la smettessi di provare a salvare un rapporto che non può essere aggiustato! –
- Non ho fatto niente. Ti ho solo ricordato quello che già sapevi. – non mi diedi neanche la pena di alzarmi. Ero rassegnato, stupidamente stabile su un piedistallo di bugie. Davo l’impressione errata, come sempre.
Forse ero semplicemente io ad esserlo, sbagliato.
Lo sguardo rimase vacuo, insensibile, senza colore. Non mi attendevo altro che urla e cattiveria dalle sue labbra. Non più baci e sorrisi. Solo indifferenza, gelide manifestazioni di delusione.
Avrei amato anche il suo veleno, perché sarebbe stato comunque suo.
- Certo, come no! Non ce la fai proprio a lasciarmi stare? Ti ho forse fatto del male per meritarmi tutto questo?! Dimmelo, perché credo di non aver ancora capito cosa vuoi da me. -
- Mi pare di aver già scritto tutto su quel foglio. Ho detto tutto ciò che c’era da dire. Ora sei tu a dovermi dare una risposta, ma visto che so già quale sarà puoi anche fare a pezzi quella stupida lettera. –
- Se sapevi già come avrei reagito perché l’hai scritta allora? –
- Se credi che il nostro rapporto non possa tornare come prima allora perché te la prendi tanto? –
- Adesso rispondi con altre domande? Beh, allora sappi che sono stufa di tutta questa pagliacciata Matt, ecco perché me la prendo. Voglio dimenticare il disgusto che provo per te e per il tuo amichetto e provare a ricordare invece il motivo per cui sono qui, e cioè studiare ed ottenere una laurea, costruirmi un futuro… ma sai anche tu quanto sia difficile, perché purtroppo continuo a pensare che vorrei avere un motivo valido per perdonarti, anche se sarebbe controproducente e non avrebbe senso, visto che il nostro rapporto si basa su una bugia. Credi che le tue parole mi lascino indifferente? Bene, non lo fanno! E vorrei davvero che la smettessi di logorare il mio sistema nervoso. – accartocciò la lettera con fare nervoso, scagliandola dalla parte opposta della camera. Era collerica, e gli occhi si posavano febbrili su tutto ciò che non ero io. Finalmente mi decisi a fare qualcosa, anche se continuavo a nutrire ben poche speranze di riuscita. Mi alzai dallo sgabello ed avanzai verso di lei con decisione.
- Ho detto tutto quello che dovevo… - disse, approssimandosi alla porta. Bethany aveva compreso le mie intenzioni, prima che io stesso le capissi. Aveva deciso di scansarsi senza mettere in conto la mia forza fisica in rapporto alla sua.
- Beth, per favore. – l’afferrai per le spalle e la scrutai, la guardai negli occhi con un’insistenza sofferente, per la prima volta dopo tutto quel tempo. Volevo vedere se ancora vacillava di fronte all’azzurro delle mie iridi.
E lo fece. Tremò, ed io mi sentii nuovamente pieno di fiducia, forse troppo ottimisticamente.
- Quante volte ti avrò detto di non chiamarmi con quello stupido nomignolo… - gridò, ed io la vidi provare vergogna per sé stessa, per quella forza insita in lei a cui ormai non poteva più fare affidamento.
Non se si trattava di me.
- E non sono mai servite. –
- Perciò a cosa credi che servirà rimettere tutto a posto? – combatteva aspramente contro un demone che le ripeteva quanto fosse sbagliato lasciarsi accarezzare la schiena, momentaneamente innocua e delicata come un soffio di vento primaverile. Fragile e mia com’ero convinto che non l’avrei più vista.
- A cosa serve non farlo allora? –
- E’ una questione di principio, Matt. Certo, per te è facile. In fondo non sono stata io a fare una scommessa tanto stupida con Prudence! Sono stata la vostra merce, la vostra vincita! Manco fossi un oggetto, un giocattolo! Mi avete umiliata, e indirettamente avete fatto lo stesso con mia cugina… spiegami cosa mi dovrebbe spingere a perdonarti! Dio, se solo penso che lei ancora non sa un cazzo di tutta questa storia! – continuò a vociare, cercando nuovamente di respingermi. Ora che avevo visto lo stesso bagliore ardente splendere nel suo sguardo nulla più mi avrebbe fermato.
Avrei lottato. Avevo riconquistato lo stesso vigore con cui l’avevo condotta ad amarmi.
Percepii un lieve movimento dietro la porta socchiusa, ma ero troppo occupato a tenere stretta la ragazza per farci caso. E Bethany urlava troppo forte per avvedersene.
Non avrei mai immaginato che quella distrazione avrebbe potuto costare tanto caro.
- Sì, sono stato uno stronzo, e anche Will lo è stato (anche più di quanto lo sia stato io), ma credo che ci sia una differenza di fondo che tu non hai colto tra essere un idiota qualsiasi ed essere un idiota che ti ama alla follia. Il problema è proprio il fatto che non sono un coglione qualunque. Sono la specie più patetica che possa esistere a questo mondo. E ti amo, ti amo da morire. Perciò non ti chiedo di scusare un essere insulso ed imbecille, ma di perdonarlo, perché non è un idiota qualunque. Perdonami non perché sono uno stronzo che si è ravveduto… fallo perché sono quello stronzo, quello che farebbe (e ha fatto) di tutto per te, indipendentemente dal risultato. Beth, so che ami quel coglione, anche se preferiresti tagliarti una gamba piuttosto che ammetterlo, dopo quello che ti ha fatto… perciò dagli una seconda possibilità. Glielo devi. Me lo devi. – un lampo illuminò la stanza semibuia, ed il temporale al di là del vetro appannato della finestra cominciò a peggiorare progressivamente. La pioggia faceva da sottofondo al silenzio di Bethany, che intanto cercava di non lasciar trasparire dal viso, distorto dal risentimento, la propria confusione, il proprio spavento di fronte alle parole accorate di Matt, la consapevolezza che lo amava eccome e che moriva dalla voglia di confermarglielo, a discapito di quanto credesse lui.
- Ti ricordi la prima volta che ci siamo parlati? Parlati davvero? – insistetti, ricordando improvvisamente le preoccupazioni e l’insonnia di quella notte. Nulla avrebbe lasciato presagire un simile epilogo. Nulla, tranne la vaga sensazione che mi sarei portato sotto le lenzuola lo sguardo vacuo di Bethany. Sotto le lenzuola, per molte notti, senza tregua – Volevi sapere per quale motivo non ero stato in grado di scrivere, quella notte in particolare. Beh, il fatto è che non è importante il perché non l’ho fatto. Non lo è mai stato. È ciò che è accaduto dopo, tutte le parole che ho scritto subito dopo averti guardata, dopo averti parlato, dopo averti vista morire dentro. È questo il punto Bethany, il fulcro di tutto: se quella sera non ho potuto completare la canzone perché non riuscivo a concentrarmi sul senso di ciò che stavo scrivendo, è bastato conoscerti per risvegliare tutte le risposte, ritrovare ciò che avevo smarrito. Magari non ho mantenuto la promessa che ti avevo fatto, ma ne ho mantenuta un’altra, quella che non mi hai chiesto di farti. La più importante. – la pioggia colpiva insistentemente il vetro gelido della finestra, eppure non sentivo altro che il suono delle parole e ancor più quello dei silenzi. Le urla si erano trasformate in riflessioni mute, gli sguardi in pensieri senza voce, le mani in ancore, ormeggi delle insicurezze.
- Non sono così orgogliosa come mi vuoi far sembrare tu. Non mi taglierei mai una gamba piuttosto di ammettere di amarti. Al massimo un dito. - sorrise, e fu il momento migliore della giornata e dell’intera settimana. Avrei voluto che lo fosse stato anche per tutti gli altri.
- Quindi perdoni quello stronzo che ti ama? – il suo sorriso s’incrinò, ed io avrei davvero voluto raddrizzarlo se solo me l’avesse permesso. Vidi troppo orgoglio e troppa indecisione, eppure non mi sarei arreso, non ora che la fiamma della speranza ardeva alta, consumando tutte le mie energie, senza sosta.
- E’ complicato, Matt. –
- Possiamo rendere tutto molto più semplice. – deglutii, nervoso. Respiravo a fatica, tanto pulsava rapidamente il sangue nelle vene. Mi sentivo a malapena su questa terra. Teso, una corda di violino che strideva dolcemente. Vibravo, in silenzio. Lei mi suonava con le parole che ancora non aveva pronunciato.
- Se ti perdonassi, adesso, tradirei me stessa. Sarei la più grande stupida del mondo. –
- Saremo stupidi allora. Possiamo esserlo insieme. Possiamo essere tutto quello che vuoi, ma… ti prego… – davo cenni di cedimento. Muri che crollano. Difese che si disintegrano. Ero a pezzi, e non vedevo l’ora che lei mi riassemblasse, o che mi distruggesse definitivamente – Siamo stati lontani troppo a lungo. Non credo di poterlo sopportare ancora. – Bethany chiuse gli occhi, li strinse forte, frenando quello che assomigliava ad un pianto. Avevo paura del significato di quelle lacrime, perciò tentai di estinguerle, baciandole gli occhi con quelle labbra che avrebbero tanto voluto esplorare ogni centimetro di lei per saperla a memoria, per trovare la direzione della felicità attraverso i suoi nei. Non oppose resistenza, ma percepivo che non si trattava di debolezza: era la forza con cui respingeva ogni dubbio, ogni traccia di risentimento, per lasciare spazio all’affetto e ad una forma imperfetta di perdono. Una seconda possibilità, nascosta dietro un silenzio umido.
Dopo quella che fu un’eternità, composta da qualche battito accelerato, la sua voce segnò il verdetto.
- Dovrai dimostrarmelo. – sussurrò, senza osare guardarmi. Disegnò un bacio sulle mie labbra, poi si allontanò con gli occhi pieni di lacrime e di un qualcosa che somigliava all’allegria che non voleva mostrare.
Non ebbi tempo di rispondere che era già piombata fuori dalla stanza, probabilmente per finire di preparare la cena di compleanno di Prudence. Io mi buttai sul letto, ancora tremante e incredulo, cominciando a interrogarmi su quale Santo dovessi ringraziare per questo miracolo.
 

(Pov. Martha)

- Me ne vado. – finii di sistemare un paio di jeans ed una felpa in valigia, prima di chiuderla con un gesto secco e metterla in piedi sul pavimento. Apparivo risoluta e convinta della mia decisione, ma mi tremavano le mani come mai prima d’allora. Brian credeva fosse tutto uno scherzo: la mia freddezza, la violenza delle mie parole, il distacco che m’imponevo di mantenere, i miei occhi lucidi ma rigorosamente asciutti di fronte a quello che si preannunciava essere un addio. Stava immobile davanti alla finestra aperta, dalla quale entrava un gelo che rendeva il tutto ancor più penoso.
- Credevo che le cose fra di noi si fossero sistemate. – manteneva le braccia incrociate al petto, ed il viso mostrava un’incredulità che difficilmente il mio viso sarebbe riuscito ad esprimere. Sembrava convinto che il mio desiderio di andarmene fosse solo un capriccio passeggero, che sarei tornata il giorno dopo e che ci saremo rivisti tra meno di ventiquattro ore al bar. Credeva che avrei sopportato ancora di vedere i suoi occhi grigi fare da sfondo alla mia confusione, ingigantendola ulteriormente. Sembrava non capire che ogni respiro in quell’abitazione mi avrebbe fatto male, finché il senso di colpa ed il dubbio non si fossero attenuati.
- Era quello che credevo anche io. Ma ho bisogno di riflettere, e non posso farlo qui. –
- E per farlo hai bisogno di stare via per non sai nemmeno te quanto tempo? –
- Starò a Milano, dai miei. E ci starò quanto basta per convincermi di aver fatto la scelta giusta. – come al solito, mi rifiutai di guardarlo in faccia. Sapevo già cos’avrei trovato sul suo viso.
- Cosa vuol dire? – esclamò, avvicinandosi a me con aria minacciosa – Credevo di essere io la tua scelta. –
Non potei che sorridere sprezzante, a quelle parole.
- Lo sei, sei sempre stato tu. Ma mi domando se tu mi consideri come tale. – era evidente che Brian non comprendeva affatto il senso delle mie parole. Forse credeva fosse solo il frutto delle mie paranoie, e non di mesi interi di riflessione.
- Spiegati meglio. – vedevo la sua sicurezza scemare ad ogni sillaba pronunciata, le sue paure farsi sempre più evidenti, fino ad oscurare il sarcasmo con cui aveva reagito alla notizia che me ne sarei andata.
- Mi domando se tu ami me o quella ragazza che ti scopavi ogni tanto nei camerini del locale. Credo che tu ancora non abbia chiara la differenza. Me ne vado per darti il tempo necessario per rifletterci su. – afferrai la valigia e la tirai su con un gesto brusco, intenzionata ad evitare lo sguardo di Brian il più a lungo possibile. Ero sicura che a quelle parole avrebbe reagito male. Lo conoscevo tanto bene da sapere che non gli sarebbero bastati tre mesi per capire che non lo stavo lasciando, ma che gli stavo semplicemente dando la possibilità di evitare di ferirmi ancora, e quindi perdermi per sempre. Sapevo che mentre gli dicevo queste parole in lui montava una collera che sarebbe passata difficilmente, e che non capiva il succo del mio discorso – Mi dispiace. – mormorai, del tutto convinta che fosse ora di andare, nonostante il treno fosse fra più di tre quarti d’ora. Mossi qualche passo in avanti, diretta verso il corridoio, ma qualcosa mi costrinse ad arrestare il passo. Nick, immobile davanti alla porta, fissava Brian con uno sguardo che rasentava l’odio. Il silenzio che seguì la sua comparsa fu ancor più triste del nostro precedente incontro, e quello fu il momento che più di tutti confermò la saggezza della mia decisione.
- Io devo andare… - non sapevo cosa dire perciò, dopo aver aggirato l’ostacolo, me ne andai.
Anzi, la mia fu una fuga vera e propria. Una delle tante.
Li guardai entrambi un’ultima volta, cercando di non pensare a come sarebbe finita fra di loro, poi mi trascinai la valigia dietro, scivolando via insieme ad una valanga di lacrime e rimpianti.
 

(Pov. Prudence)

Dicevo che Luca e Will si somigliavano, qualche secolo fa. Affermavo anche che Will non m’interessava affatto come ragazzo. Volevo convincermi che ciò che sentivo nei suoi confronti fosse solo antipatia e non qualcosa di più complesso come l’attrazione. Negavo fino alla morte, fin quando le sue braccia non mi strappavano via la verità come pinze roventi, fin quando le mie risposte acide non si trasformavano in baci, e poi in sesso, e poi in amore. Ora mi rendevo conto che mi ero innamorata di un altro idiota, esattamente come Luca. Tutto si fondava su una bugia, su una stupidissima scommessa. E Bethany sapeva, sapeva tutto. Ora tutto era più chiaro: il brusco distacco fra Matt e Beth, il disprezzo comune per Chase, l’indifferenza zuccherosa di Ileen e le occhiatacce ammonitrici di Will. Era forse questo il mio regalo di compleanno?
Qualcuno bussò alla porta e provò ad abbassare la maniglia, ma era chiusa a chiave: volevo evitare che mi vedessero piangere. E inoltre non volevo vedere nessuno di loro. La verità era stata una pallottola che avevano scagliato insieme contro il mio petto, ed io avrei fatto di tutto per nascondere le ferite che mi avevano inferto. Sentire quelle parole dalla camera di Matt e non dalla bocca dell’uomo che amavo era stato più di quanto potessi sopportare. Come un fantasma, nessuno si era accorto di me, della mia presenza là dietro, di quanto la loro voce fosse forte.
Capivo Bethany, ma non la giustificavo: anche se sapevo che aveva taciuto per proteggermi, non riuscivo a non vedere la faccenda come un tradimento da parte sua.
- Prue, aprimi! – esclamò Will, immobile dietro la porta chiusa, evidentemente incurante del mio stato d’animo. Non fiatai, con le lacrime che ancora volavano lungo il viso. Mi nascosi il viso tra le mani, mentre il mio corpo veniva scosso da singhiozzi incontrollati, segno di cedimento immediato.
- Vattene! – fu la mia risposta accorata, in seguito a quella richiesta. Dietro la porta Will sospirò. Bussò nuovamente, questa volta più forte nella speranza di essere più convincente.
- Non ti voglio vedere… vattene! – insistetti, alzando di proposito il tono di voce.
Volevo ucciderlo, afferrare il cuscino e soffocarlo, così da non sentire più quella sua fastidiosa voce invocare il mio nome, invocare un perdono che non volevo concedergli. Tacque per un po’, forse il tanto giusto per comprendere che ero a conoscenza di tutto quanto e che no, non l’avevo affatto presa bene.
- Non credi che sia il caso di aprirmi per parlarne? – immaginai la sua espressione stanca, dietro il pannello di legno che ci separava e mi sentii, se possibile, ancora peggio. Era come se avessi una grossa pallina da tennis incastrata in gola.
- Ti odio e non voglio parlarti mai più! Ma non preoccuparti, odio anche il tuo stupido amico depresso e quella sottospecie di checca bionda. – soffiai, piagnucolando. Avrei voluto aprire la porta solo per mollargli un destro in pieno viso: riempirmi le mani del suo sangue sarebbe stata una vendetta soddisfacente.
Ma sapevo che poi mi sarei sentita ugualmente in colpa.
- Dai… aprimi… -
- Vat-te-ne! –
- Giuro che se non apri sfondo la porta! –
- Fai quel che ti pare, non ho nessuna intenzione di aprirti. – strinsi il cuscino fra le braccia, decisa a non cedere alle sue provocazioni. In fondo era un mio sacrosanto diritto quello di starmene per gli affari miei, specialmente dopo aver saputo della scommessa.
- Ok, sfondo. -  e cercò di sfondarla davvero quella fottuta porta. Rimase più di un quarto d’ora armeggiando con la serratura, fin quando non persi totalmente la pazienza. Con uno scatto lanciai il cuscino sul letto di Bethany e aprii finalmente, ritrovandomi davanti un Will paonazzo e decisamente infuriato.
- Ci voleva tanto ad aprire quella cazzo di porta?! – per tutta risposta lo spintonai, stringendo le labbra in un’espressione omicida.
- Ci voleva tanto a parlarmi di quella cazzo di scommessa?! Parmigianino ti ha per caso mangiato la lingua durante questi mesi? – ero uno spettacolo orribile: occhi arrossati e guance umidicce facevano a pugni con un cipiglio assolutamente incazzoso. Will sembrava furioso quanto me, anche se mi domandavo che diritto avesse lui di esserlo.
- Non ha nessuna importanza, e mi domando per quale motivo tu e Bethany gliene stiate dando così tanta! E’ stata una cosa stupida, non ha niente a che vedere con ciò che provo adesso! –
- Dev’essere una caratteristica tutta maschile, quella di non capire. – non avevo le forze per affrontarlo a viso aperto: mi sentivo ferita, usata, nuovamente in balia della stupidità di un uomo che consideravo diverso. Ancora una volta mi diedi della stupida per aver creduto alle sue parole, tanto belle quanto irreali – Ma in questo caso sono io la stupida. L’unica a non aver capito che tutto era fondato su una scommessa fra imbecilli! – avrei dovuto dare ascolto alla Bethany cazzuta che era in me e punire Will con la mia indifferenza. Il problema stava nel fatto che quella parte di me si era auto distrutta circa mezzo secondo dopo essersi manifestata, col risultato che non avevo la forza di comportarmi così. Né in qualsiasi altro modo.
Mi trovavo totalmente indifesa nei miei jeans scuri e nel mio maglione con le renne. Dovevo andarmene. Dovevo recuperare il mio orgoglio, la mia dignità. E avrei potuto farlo, ma senza i suoi occhi a guardarmi.
- I sentimenti che provo per te non si fondano su nessuna scommessa! – protestò animatamente Will, spaventato dalle mie lacrime. Avrebbe dovuto capire che quelle parole non sarebbero bastate.
- I fatti dicono che tu mi hai usata per arrivare a Bethany. –
- I fatti! Quali fatti? Niente lascia intendere che io… -
- Abbi almeno il coraggio di ammetterlo. – lo vidi esitare, deglutire, ingoiare fiumi di parole che avrebbero soltanto distrutto la mia maschera di apparente risolutezza. Alla fine, scelse di essere sincero. Troppo tardi.
- Va bene allora. E’ vero, per un po’ è stato così, ma questo non cambia niente. All’inizio volevo vincere quella scommessa e ho cercato di avvicinarmi a te per farlo… poi ho capito che non m’interessava più nulla. Tutto ciò che c’è stato fra di noi è sempre stato vero. Non ho mai finto con te. –
- Dammi un buon motivo per cui dovrei crederti. – volevo crederci, volevo farlo davvero, lo desideravo con tutte le mie forze, ma qualcosa dentro di me si era spezzato. La fiducia era andata a puttane.
- Perché ti amo! E perché mi ami anche tu, e lo sai bene. – mi guardava speranzoso. Attendeva il mio perdono, l’istante in cui avrei teso le braccia verso di lui e l’avrei abbracciato, l’istante in cui avrei smesso di piangere, il momento in cui tutto sarebbe stato sepolto sotto una pesante pietra. Ma quell’istante non arrivava, e avevo come l’impressione che non sarebbe arrivato. I cocci si muovevano dentro di me, laceravano tutto ciò che stava dentro il mio petto, ed io non sapevo come impedirglielo.
Ancora una volta mi dissi che l’amore non sarebbe bastato.
- Forse non mi sbagliavo poi tanto quando dicevo che somigliavi a Luca. – le parole mi uscirono dalle labbra senza averlo premeditato. Il filtro fra cervello e bocca si era disintegrato, ed io non potevo sopportare di vedere l’eco di quelle sillabe sul viso di Will. Scappai, feci ciò che mi riusciva meglio.
 
Dimenticai l’ombrello. Dimenticai il cappotto. Dimenticai lo sguardo allarmato di Bethany, al mio passaggio. Dimenticai il tono con cui Will mi pregò di tornare indietro. Dimenticai il mio compleanno e le preoccupazioni di una ormai diciannovenne. Camminavo sotto un temporale che mi avrebbe fatta ammalare. Faceva freddo, e sembrava quasi che non m’importasse. Anzi, non m’interessava affatto. Piangevo, e le lacrime si mischiavano con la pioggia. Quel contrasto caldo-freddo era un altro dei motivi che mi spingeva a camminare ancora. Cercavo di spegnere un incendio che si sarebbe protratto a lungo. Combattevo una battaglia persa in partenza. Sapevo che l’amore per Will non avrebbe potuto cancellare la sensazione di essere stata tradita, la sensazione di non potermi più fidare di nessuno. La sensazione che quell’amore non aveva più alcuna base su cui poggiarsi. Camminavo e ancora non sapevo cosa sarebbe accaduto di lì a poco. Lo scoprii qualche metro più avanti, lungo disteso sul ciglio della strada, immobile e bagnato. Fu un colpo tremendo, l’ennesimo: Parmigianino era morto. Fradicio e sporco. Mi avvicinai con gambe tremanti al cadavere del micio, chinandomi su di lui con aria afflitta. Lo riconobbi e piansi più forte. Mi sentivo bagnata e sola come lui, inerme di fronte alla vita frenetica di Roma. Ora comprendevo il perché della sua assenza prolungata: qualcuno l’aveva investito e l’aveva lasciato lì. “E’ solo un gatto!” avrà detto, ripartendo con la sua macchina. “Sono solo i suoi sentimenti!” avrà pensato Will, mentre mi avvicinava con l’inganno. Chiunque avrebbe pensato a me come ad una stupida qualunque, china sul corpo esanime di un gatto brutto e puzzolente, senza riparo sotto il temporale. Eppure qualcuno mi venne incontro, forse riconoscendo una compagna di sventure. Rimase in piedi accanto a me per qualche istante, offrendomi un silenzioso riparo sotto il suo ombrello.
- Era il tuo gatto? – era il mio cuore, pensai, mentre sollevavo lo sguardo in direzione di quella voce maschile.
- Sì. Si chiamava Parmigianino. – mormorai, cercando di pulire il viso dalla lacrime col dorso della mano. Inutile dire che non asciugai un bel niente: avevo le mani bagnate dalla pioggia.
- Immagino che tu voglia seppellirlo. – non rise quando gli dissi il suo nome. Mi sollevai con evidente sforzo, perché le gambe sembravano non volermi reggere, poi guardai per la prima volta il volto del mio interlocutore. Aveva un’aria familiare.
- Non saprei dove. Vivo in affitto in un condominio… - mi sentii in colpa: non potevo dare una sepoltura degna al mio gatto e non sapevo come riassemblare i cocci del mio cuore.
Ero un disastro, e quel maglione con le renne era davvero ridicolo.
- Conosco un posto. – mi sorrise, ed io vidi la gentilezza dietro quegli occhi grigi. L’avevo già visto da qualche parte, ma al momento non avrei saputo dire esattamente dove. Cercai di non fare caso a quell'alone violaceo che circondava la palpebra destra: non volevo sapere come si fosse procurato quell'occhio nero, e al momento non lo trovavo importante.
- E’ molto lontano? – domandai, nonostante non m’importasse affatto. Ci sarei andata comunque.
- Non molto. La mia macchina è parcheggiata da queste parti. Possiamo andarci con quella. –
- Non è necessario che… -
- Oh, davvero, non preoccuparti. – m’interruppe, scuotendo il capo – Voglio aiutarti. – la sincerità di quell’offerta mi spiazzò. Non ero sospettosa, non avevo paura che potesse farmi del male. Sentivo che la sua era una bontà che non aveva secondi fini. Mi strappò un sorriso, per quanto a brandelli fosse il mio cuore.
- Grazie. – dopo aver tirato su col naso m’inchinai nuovamente verso Parmigianino per portarlo altrove, in un luogo in cui avrebbe potuto riposare in pace. Il mio pensiero, mentre mi dirigevo con quel ragazzo biondo verso la sua macchina, era che non assomigliava a nessuno, né a Luca né a Will.
 

the end.


NdA: Sono emotivamente instabile. Ho aggiornato dopo secoli, e so che mi odiate (sia per la fine della storia che per il tempo che ci ho impiegato a scriverla). Dovete sapere che sono stata impegnata con gli esami e ho avuto problemi di varia natura, per non parlare dell'assenza totale di ispirazione!
Allora, credo che tutti abbiate capito che quello che 'soccorre' Prudence sia proprio Nick, il bel gemello sfigato della vicenda.
Ho lasciato parecchie cose in sospeso, come avrete notato, ma era mia intenzione, perché i finali lieti non mi piacciono.
Anzi, potrei dire che mi fanno venire l'orticaria. Se il capitolo fa pena ditemelo pure, perché mi son resa conto di essere fuori allenamento e di aver perso molta della mia fantasia. Che ne pensate del finale e, tirando le somme, dei personaggi?
Sono troppo stanca e provata per tirarla per le lunghe, anche se vorrei scrivere tanto in queste note.
Mi rendo conto che dovrei ringraziarvi tutti per aver letto, recensito e amato (?) questa storia. E lo faccio adesso con un enorme GRAZIE.
Non so voi, ma io ho amato questi personaggi alla follia (specialmente Matt Culodoro), anche se con certi ho giocato poco e niente (vedi i due gemelli fighi e Miss Bellicapelli Martha). Le coppie, beh... si sono un po' scoppiate, altre si sono riattaccate. 
Ho intenzione di scrivere una raccolta di drabble sulle questioni lasciate in sospeso durante l'intera storia (la scommessa, ecc...) ma è ancora tutto in forse.
Anyway, ora vi lascio.
Vi ho amato tanto, Frens.

 

   
 
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