Capitolo 33 – Punti
di vista.
(Primo Passo)
Bella’s pov.
“… E quindi pensi che sia tutto inutile?”
“Per il momento sì. Non ascolterà nessuno”
“Come al solito”. Il cigolio sordo di una porta che si
chiudeva.
“Poggiala lì, sul tavolo”
“Pensi che sia una scelta giusta?”
“Credo che sia semplicemente una scelta, Carmen. Giusta o
sbagliata sarà il futuro a mostrarcelo”
“Sì, ma forse potremmo intercedere noi”
Una risata calda, appena accennata. “Noi? Con le teste calde
che ci ritroviamo a dover affrontare?”. Ancora quella risata. “No, non ci
sperare”
“Possiamo sempre guidarli. Dar loro un suggerimento”
“Non credo”. Questa voce era molto più vicina delle altre a
me. “Che lo seguirebbero. Faranno di testa loro come al solito. Creando
soltanto caos, aggiungerei”
“Che poi dovrà essere sistemato da noi, come al solito”. Uno sbuffo. “Ah, che fatica essere genitori!”
“Onori e oneri, Carmen”
“Sarebbe molto carino se ogni tanto ci dessero ascolto
subito, senza dover prima mandare all’aria il loro mondo”
“E che gusto ci sarebbe nel crescerli se non distruggessero
le loro opinioni ogni volta? Il vederli cambiare a seguito dei loro errori,
migliorare…”
“Carl, alle volte sei davvero troppo filosofo”
“Solo perché tu osservi il mondo con un’ottica troppo
calcolatrice, Elly”
“Ma dico, scherzi? Io vendo dalla calorosa Spagna, dove si
pensa con il cuore. Ho la passione…”
“Nei lombi?”
“Non nel sangue, voglio sperare”
“Nel cuore”.
Borbottio offeso.
Mugugnai una protesta, dando le spalle a quelle voci. La
testa, le palpebre, il corpo… tutto era troppo pesante. Anche il cuore, in una
maniera quasi incredibile.
Due labbra fresche sfiorarono la mia fronte, così mi costrinsi
a riemergere dal mio torpore per alzare il viso incontrando gli occhi scuri di
Esme sopra di me. “Sei sveglia, allora” attestò.
Arrossii. Borbottai una risposta vagamente affermativa,
abbassando lo sguardo.
La sentii emettere un piccolo sbuffo, prima che sfregasse le
mani sulle mie braccia e si alzasse. Mi tirai su anch’io, notando così Carmen
seduta al bordo del letto, Eleazar appollaiato sulla mia scrivania, che faceva
dondolare pigramente un piede nel vuoto, e infine Carlisle con in mano una
tazza fumante, in piedi vicino al piccolo comò.
“Hola!” mi salutò
calorosamente Carmen “Stai meglio, piccola?”
Annuii, non trovando la forza di parlare. Carlisle posò la tazza
e si avvicinò a me, inginocchiandosi per
trovarsi alla mia altezza. Mi scrutò a lungo, senza parlare, mentre io
stringevo forte la mia coperta a disagio.
Sospirò, rialzandosi. “C’è del the appena fatto, qui” disse,
dandomi le spalle “Bevilo piano”
Si avviò verso la porta, seguito da Esme, ed entrambi se ne
andarono senza voltarsi, chiudendosi poi la porta alle spalle.
Non distolsi gli occhi dal legno chiaro, senza capire, senza
riuscire a dare una spiegazione a quella situazione, senza… capire.
Sapevo solo che ero esausta, spossata, e sola. Per la prima
volta, in casa Cullen, ero completamente sola.
Chinai il capo, fissando la trapunta che stavo martoriando
con le dita; avevo la spiacevole sensazione di non aver compreso tutto, di aver
fallito. Ero confusa, e stanca e… tanto
stanca.
“Piccina”. Carmen venne al mio fianco a passo umano, forse
diffidente, forse per lasciarmi il tempo di allontanarla nel caso non avessi
gradito il suo gesto. Non feci nulla se non tornare a guardare la porta, così
lei si sedette; lentamente, portò una mano verso il mio volto per scostare
alcune ciocche dalla fronte.
“Sono andati via” osservai sbalordita, continuando a
guardare la porta, sperando di vederli tornare con un'altra coperta, la
colazione, un qualsiasi motivo che spiegasse perché se ne fossero andati senza
parlarmi. Poi, però, realizzai.
“Sono… andati via” soffiai abbassando il volto. Annuii. “Va
bene. È la cosa migliore”
Si erano arresi. Era
ciò che volevo, no?
“Oh, no, tesoro! No!” mi riprese Carmen, prendendo il mio
volto tra le mani e fissandomi compassionevole. “Non se ne sono andati via per
quello che hai detto tu, sciocca! Assolutamente. Né Carlisle né Esme sono il
tipo, non ti sembra?”
“Ma sarebbe giusto” replicai scuotendo il capo “E poi è… è
quello che volevo, no?”
Eleazar schioccò la lingua contro il palato. “Por favor! Basta cazzate!” commentò
esasperato “Neppure tu sei convinta di quello che dici, avresti mai potuto
convincere tutti noi?”
Mi ritrassi a quel tono duro, o forse semplicemente dalla
sua persona, mentre le braccia di Carmen mi avvolgevano protettive. Non sono quelle di Esme, osservai.
“Ma tu quanto sei stupido da uno a dieci?” lo sgridò, per
poi concentrarsi su me. “Tesorino, ascolta: nessuno dei Cullen qui ha creduto
davvero a ciò che hai detto – Davvero, ha detto certe assurdità così grosse!...
E non sono neppure disposti ad abbandonarti. Tu sei importante per loro, non lo
vedi?”
Scossi il capo, rendendomi cieca e sorda alle sue parole.
“Smettila di essere così sciocca e arrogante, Isabella!” mi
rimproverò Eleazar facendomi sussultare. Arrogante… di nuovo questa
definizione.
Lo sentii scendere dalla scrivania per avvicinarsi a me e
non potei impedirmi di rabbrividire.
“Non ho intenzione di farti nulla” borbottò con voce cupa,
arrestandosi “Sono solo incazzato, ma non userei mai violenza su una bambina.
Non che la apprezzi…”
“Ciò non ti da il diritto di spaventarla così” lo rimproverò
Carmen, stringendomi a sé.
“N-no… non litigate, per favore” borbottai.
“Non litighiamo certo per te, tesoro” riprese Eleazar.
“È solo che fondamentalmente mio marito è una persona
sciocca e priva di tatto” puntualizzò Carmen.
Eleazar borbottò qualcosa in spagnolo. “Ascolta, Isabella: noi due
comprendiamo che ciò che hai… rivelato, ieri sera, corrisponde al vero, ma se
neppure tu credi alla storia di essere solo un burattino nella mani di Aro,
come pensi lo abbiano potuto pensare i membri della tua famiglia?” proseguì
lei.
Tremai. “Ma è così…”
“Il fatto che sia così, non implica che tu lo renda
possibile!” sbuffò lui interrompendomi. Vedevo che si sforzava di mantenere il
controllo della sua voce, eppure, su certe sillabe, il tono gravava o si alzava
improvvisamente. E, nella mente, trovai quasi buffo come l’accento spagnolo
stesse vincendo sulla parlata americana. “Insomma, hai un cervello no?! Non
credo sia andato in pappa a causa della trasformazione, anche se considerando
il veleno di Jane potrebbe essere possibile”
Carmen emise un piccolo sibilo di ammonimento.
“Mi Amor,
parleremo dopo del tuo ritrovato desiderio di maternità. Ora sto facendo un
discorso accorato” replico lui “E poi, se anche fosse, un maschio: siamo in
netta minoranza”
A mio discapito mi scappò un sorriso e il vampiro se ne
accorse. Colse l’occasione per avvicinarsi al letto e sedersi in fondo,
mantenendo le distanze per non spaventarmi, e addolcì i tratti del viso facendo
scemare un po’ di quella rabbia che aveva nello sguardo.
“Isabella, tu hai la possibilità di scegliere” proseguì in
tono più carezzevole “non devi immolarti per nessuno. Né subire passivamente. Il
fatto che tu sia riuscita a prevedere le mosse di Aro non è un male, anzi: ci dà
la possibilità di preparare una contromossa. Senza che nessuno si sacrifichi”
aggiunse notando il mio tentativo di replica “Si chiama prevenzione. Non devi
morire tu, né i Cullen, né noi. E non pensare che i Volturi siano amati da
tutti, anzi. Oltre alle guardie, nessuno è loro devoto. Hanno solo paura delle
loro reazioni offensive”
“Aro li vuole morti” osservai spaventata.
Scosse il capo. “Vivi.
Lo sai anche tu che li vuole vivi. Forse vuole morto Carlisle per averlo
sfidato, ma la sua famiglia ha doti troppo particolari per essere sacrificata.
Tenterà di salvaguardarla e ciò manterrà in vita anche Carlisle”
Tremai. “Mi ha usata. Mi sta
usando per…”
“Ti sei ribellata, e ti stai ribellando” mi corresse Carmen
“Non sei proprio il tipo da farsi mettere i piedi in testa”
Non risposi, chiudendo gli occhi. Le loro parole erano
sbagliate, così tanto sbagliate…
“Isabella, hai solo due scelte davanti a te” esclamò
infervorato Eleazar “restare e combattere, o tornare e soffrire, tralasciando
le implicazioni di quest’ultima follia. Ma da qual che hai detto, sembra che tu
abbia già deciso per la seconda”
“I-io…” pigolai “Non ho detto che… voglio tornare…”
“E allora perché siamo qui a discutere?”
“Perché devo, Eleazar!” sbottai irritata, cancellando le
lacrime dal mio volto con un gesto stizzito “Devo! Non sto mica qui per asciugare gli scogli o per le grandi
attrattive offerte da Forks… Avessi davvero potuto, non avrei mai messo piede
in questa casa, sarei scappata molto prima! Ma…” persi tutt’a un tratto l’ardore
che mi aveva infiammato solo pochi istanti prima, abbassando nuovamente la voce
“Devo proteggere questa famiglia. Devo salvaguardare i Cullen, e… e tutti
quelli che ho amato prima di questo… di questa merda!”
Tacquero entrambi, scuri in volto. “Pensi… che stiano
facendo seguire i tuoi…?” iniziò Carmen.
“Di certo mia madre e la sua famiglia” mormorai “Le
allusioni di Caius erano sin troppo marcate. Non credo che stiano facendo
pedinare i miei amici, perché sarebbe un dispendio di forze inutile. Sinceramente,
credevo che stessero pedinando anche me, ma a quanto pare Aro si fida delle
mie…capacità persuasive”
Sciolsi l’abbracciò di Carmen per posare la schiena contro
la testiera del letto. Avevo dormito parecchio, lo avvertivo, eppure mi sentivo
di nuovo priva di forze.
“So che ho già creato troppi disturbi a questa famiglia,
però…” mi morsi il labbro, agitata. “Che devo fare?” mormorai pianissimo.
“Quello che ti senti”. Le mani di Eleazar si allungarono
lentamente verso le mie, aspettando che mi allontanassi; vedendo che non reagivo
si permise di stringerle tra le proprie.
“Devi fare ciò che vuoi, ora che ne hai la possibilità”
proseguì gentile “Afferrale, queste possibilità, divertiti. Vivi. La soluzione
non la troverai sicuramente oggi. E no, quella che hai proposto non è una
soluzione”
“Tutt’al più è una tragedia” sogghignò Carmen.
“Ma ti prometto” proseguì Eleazar, con la voce tremante per
la sincerità delle sue parole. “Ti giuro, sulla mia vita, che ti aiuterò. Farò
qualsiasi cosa per… ottenere il tuo perdono”
Scivolò verso il pavimento, inginocchiandosi e fissandomi
dritto negli occhi. Arrossii, non sapendo cosa fare, cosa dire. Che accedenti era quello? Che vuole fare?!,
I miei pensieri erano un tantino isterici.
“Dammi la possibilità di proteggerti” disse solo.
“Eh?”
“Sono stato io a condannarti a questo destino” disse serio
“La colpa della tua sofferenza è solo mia. Ciò che ti è capitato è stato per la
mia mancanza di coraggio. E il debito che ho nei tuoi confronti è troppo grande
perché la mia semplice dipartita da questo mondo possa saldarlo. Perciò, ti
offro la mia protezione, la mia esperienza e le mie capacità, in pagamento di
questo debito. Ti aiuterò a scappare se lo vorrai, e ti difenderò anche con la
vita se necessario. Da oggi sarò tuo schiavo”
Sentii la presa sulle mie mani aumentare mentre gli occhi di
Eleazar divenivano di fuoco “Dammi la possibilità di proteggerti” ripeté
accorato.
La mia mente non riusciva a elaborare il surrealismo di
quella scena: Eleazar, il mio… qualsiasi cosa fosse stato prima di quei due
giorni, rivelatosi non solo il Generale di Volterra, ma anche lo zio dei
Cullen, si stava offrendo come… templare?, per proteggere me.
Lo fissai scioccata e iniziai a scuotere velocemente il capo.
“N-no” balbettai, tentando di sfuggirgli. “Non posso… non voglio…”
I suoi occhi sinceri si specchiarono nei miei e il mio
pensiero volò ad un altro paio di occhi.
“Non ti sto mentendo, Isabella” continuò lasciandomi una
carezza prima di riafferrare le mie mani “né tantomeno voglio che tu abbia la
mia morte o la mia vita sulla coscienza. Voglio proteggerti. Voglio aiutarti a
salvare i Cullen, la nostra famiglia. Voglio… il tuo perdono. Per averti
lasciatp lì, da sola; per non averti salvata. Voglio che tu possa fidarti di
me, volermi bene. Voglio che tu non abbia più paura. Voglio essere tuo zio. Voglio
farti regali, litigare con Carlisle per il tempo che vogliamo trascorrere con
te. E voglio il tuo sorriso, sempre, sul tuo volto, come tutte le persone che
ti amano”
Non riposi. Cosa potevo dire? Che si rispondeva a una cosa del genere?
Chinai semplicemente lo sguardo sul copriletto, mentre lui
stringeva la presa sulle mie mani.
Carmen fischiò, divertita, rompendo l’atmosfera pesante che
si era venuta a creare. “Però!” sghignazzò “Il grande Generale di Volterra,
capo della Guardia Personale di Aro, china il capo di fronte a una ragazzina”.
Mi fissò divertita. “Come hai fatto?” domandò “Non si era mai inchinato di
fronte a qualcuno. Nemmeno di fronte ad Aro. Era stato ai suoi ordini, ma non
si era mai sottomesso a tal punto. Neppure quando mi ha chiesto risposarlo si è
inginocchiato!”
“Ti ho fatto una serenata, moglie ingrata” borbottò piccato
in risposta.
Sorrisi solo un attimo, per poi sospirare. “Eleazar… non
posso” sentivo le lacrime pungermi gli occhi “Non ti voglio, né c-come schiavo
né come g-guardia. E non voglio n-neppure che tu m-muoia”. Chinai il capo.
“L’unica c-cosa che voglio è la libertà” sussurrò “Ma nessuno me la p-potrà
dare”
“Vedremo” promise, e prima che potessi replicare, sorrise.
“Oh, beh, almeno posso farti da zietto. Comprarti regali, farti felice…”
“Non so perché, ma suona tantino squallida e depravata come
cosa” disse Carmen
“Non è vero!”
“Sì, invece!”
“Donna, non provocarmi!”
“Uomo, non starai tentando di darmi ordini?!”
Li guardai perplessa. Ma
non stavamo facendo discorsi seri e tragici qualche secondo fa?
Carmen lasciò perdere il battibecco con il marito, schioccandomi
un sonoro bacio sulla guancia. “Fatti una doccia, querida. Poi scendi. Abbiamo solo altri due giorni da passare
insieme”
“Ti aspettiamo tutti di sotto, Bella” aggiunse Eleazar
alzandosi, anticipando di poco i movimenti della moglie. Entrambi mi rivolsero
un sorriso prima di lasciarmi da sola.
Fissai attonita la porta per qualche secondo, prima di
gettarmi sulle coperte con uno sbuffo.
Un vampiro può avere
mal di testa?, mi domandai, sentendo le tempie pulsare per i troppi avvenimenti.
Dovrò chiedere a Carlisle.
Già, Carlisle che non mi parlava. Che era uscito dalla
camera senza rivolgermi una parola o uno sguardo. Come Esme.
Fissai per qualche secondo la tazza sopra il mio comodino,
poi mi alzai per cercare nell’armadio qualcosa da mettermi. Era un bene,
dopotutto. Era quello che volevo, no?, riflettei andando in bagno.
E allora perché mi sentivo così male al pensiero di averli
delusi? Di averli realmente portati ad accettare che io fossi un pericolo per
loro?
Si erano davvero
arresi, con me?
Mi lavai i capelli impiegando più del dovuto, perché il
massaggio alla cute che di solito aveva il potere di tranquillizzarmi non
sembrava sortire il suo effetto.
“Dovrei chiedere scusa…?” soffiai al vapore.
E se anche gli altri avessero reagito in quel modo, una
volta scesa in salone? Con mutismo, lasciando la stanza… lasciandomi sola.
Repressi le lacrime con un piccolo gemito, raggomitolandomi sul
fondo della doccia mentre l’acqua calda mi colpiva la schiena. Se era quello
che realmente volevo, che si allontanassero per non essere catturati (o peggio),
dov’era il problema? Perché quella tristezza? Era la cosa più giusta,
dannazione!
Li amo, osservai, Come si può essere lieti di ferire qualcuno
a cui si tiene così tanto?
Era necessario. Era necessario, e ora che la verità era
venuta fuori ne avrai pagato le conseguenze.
Annuii, fingendomi forte. “È necessario”
Mi rialzai e mi sciacquai velocemente, per poi asciugarmi
invece con molta calma. Mi pettinai con attenzione, infilai un paio di jeans e
un maglioncino e, trovato il coraggio, mi decisi a scendere.
Come al solito, però, mi ero dimenticata di calcolare
l’incognita di Casa Cullen: un piccolo tornado nero, non appena ebbe abbastanza
spazio per infilarsi nello spiraglio della porta, mi mandò letteralmente al
tappeto senza darmi il tempo di rendermene conto.
“Io ti voglio bene!” singhiozzò stringendomi forte “Anche se
pari davvero troppe cazzate – e tutte insieme, poi! – tu sei mia sorella! Chi
se ne frega dei Volturi, tu sei la mia Bella/Manichino e nessuno ti torcerà un
capello! Essere una veggente servirà pur a qualcosa ogni tanto, oltre a vincere
alla lotteria e giocare in borsa! E anche se dovessi entrare nella Guardia
almeno potrei apportare delle modifiche a quella divisa così disgustosamente kitsch!”
Di quel discorso così veloce afferrai giusto qualche
termine, prima che il mio cervello realizzasse chi fosse (Alice), cosa avesse detto
(che mi voleva bene e che non le importava nulla dei Volturi. E qualcosa sul kitsch), e che era sdraiata su di me con
la faccia immersa nel mio seno.
“A-Alice!” balbettai senza fiato a causa della sua stretta.
“Ti voglio bene!” mi zittì lei stringendomi più forte “Ti
voglio tanto bene!”
Alice…, sospirai
mentalmente. Era lei, la solita Alice. La pazza Alice che mi voleva bene a
dispetto di tutto e di tutti, come al solito pronta a prendermi per mano e
guidarmi dove voleva lei. E lei mi voleva con sé.
Almeno lei.
Le posai una mano sui capelli ottenendo in cambio il suo
sguardo stupito. “Nonostante la nostra posizione sia la realizzazione delle
fantasie di parecchi uomini, potresti alzarti? Mi stai uccidendo con questa
presa” risposi. A dispetto del mio tentativo d’ironia mi uscì solo uno stanco
sospiro, e lei non se ne accontentò.
“Promettimi che non te ne andrai!” mi gridò contro,
sedendosi sul mio stomaco “Prometti!”
Alzai gli occhi al cielo. Anche nel dramma Alice doveva
farsi riconoscere. “Come faccio ad andarmene se ho un metro e quarantasette
centimetri di rottura di scatole ambulante pronto a saltarmi addosso e placcarmi?”
replicai “Davvero, Alice. Il mio stomaco a digiuno inizia a sentirsi troppo
pesante”
Mi colpii il braccio, e neanche tanto piano, con uno
schiaffo, cercando di mascherare un sorrisetto. “Piantala, pseudo attrice
depressa. Io sono una piuma”
“Sì, di piombo” replicò un’altra voce. Rose.
Alzammo entrambe lo sguardo per vederla troneggiare suo di
noi con il suo Galaxy in mano. “Dite:
cheese” ordinò, scattandoci una foto.
“Grazie” sbuffai. “Davvero, grazie tante”
“Dopo tutto ciò che hai detto ieri pensi che te la farò
passare liscia così?” replicò lei, afferrando la nanetta dal colletto della
camicia e tirandola su “No, Bella. Ora devi conquistare il mio perdono”
Mi tese la mano, aiutandomi ad alzarmi. Barbie Regina dei
Ghiacci – The Return: l’avevo vista così solo una volta, quando Carlisle le
aveva accidentalmente distrutto la cassetta degli attrezzi a causa di uno
spintone di Emmett. Tre giorni di silenzio e taaante coccole più tardi,
Carlisle aveva iniziato a intravedere “la
luce in fondo al tunnel”, a detta di Esme.
“Pensavo la tua fiducia” replicai massaggiandomi il collo.
“Non l’hai mai persa, sorellina” replicò lei. Agguantò la
mano di Alice e la trascinò con sé giù per le scale, sollevando la destra e
mimandomi un “A dopo”.
Era la giornata del
Voltiamo-le-Spalle-Perché-Fa-Scena?, mi domandai perplessa osservandole
allontanarsi.
Come ricordandosene improvvisamente, la testa di Alice scattò
nella mia direzione, gli occhi ridotti a fessure, ben consapevole che non le
avevo ancora garantito nulla sulla mia permanenza in quella casa; mimò un “Prometti” a fior di labbra, prima di
scomparire dalla mia vista.
Fissai imbambolata il punto dov’erano sparite. Non capivo
quella famiglia. Non la riuscivo proprio a capire.
Perché si fissava tanto con me? Alla fine il rapporto che
avevo instaurato con loro non poteva essere più forte di quello centenario che
legava tutti loro. Ero lì da qualche mese, neppure ci conoscevamo così bene. E
anche i Denali, Accidenti a loro!,
sbottai scendendo le scale. Ma dico,
emano feromoni vampireschi, che qui mi girano tutti intorno manco fossi l’ape
regina?!
Non ero un cucciolo! Ero l’arma di Volterra, la più intima e
segreta speranza di Aro: sapevo uccidere più di una decina di vampiri alla
volta, non avevo bisogno di protezione. Erano loro, piuttosto: loro
necessitavano di aiuto. Io… avrei continuato semplicemente a cavarmela, come
avevo sempre fatto. Da sola.
Mi fermai prendendo un profondo respiro: una parte della mia
mente boicottò quelle parole troppo vittimistiche ed egocentriche anche per la
situazione in cui mi trovavo.
La parte della vittima
mi calza a pennello, sospirai interiormente, Ma se Esme mi vede, mi mollerà un altro ceffone…
La mia mano si posò sulla guancia che Esme aveva colpito la
scorsa notte. Aveva ragione, dopotutto: a quel punto ci ero arrivata da sola.
Non avevo voluto dire loro nulla al mio arrivo, né più tardi, quando si erano
rivelate come le persone più generose di questo mondo, ogni giorno di più. Le
parole avevano cercato più volte di trovare da sole la via di uscita, di
librarsi nell’aria per rendere partecipi i Cullen del loro destino, ma… ma la
paura di essere lasciata sola aveva battuto i miei buoni propositi.
Quando non ero così
importante per loro avrei dovuto dare ascolto a lei, mi rimproverai con tristezza, Sarebbe stato molto meglio se non mi avessero mai incontrata. Se si
fossero sbarazzati in tempo di me.
La sensazione di aver ricevuto un altro schiaffo da Esme mi
fece sobbalzare.
“Allora tutto quello
che ti ho detto stanotte ti è entrato da un orecchio e ti è uscito dall’altro?”.
Quando aveva sgridato Emmett, verso ottobre, perché nonostante
tutte le sue raccomandazioni aveva disintegrato il giardino seguendo il suo
folle, momentaneo hobby del giardinaggio. L’aveva preso per un orecchio e
alzato dal terreno (lui reggeva in mano ancora la paletta, e il cappello di
paglia che aveva in testa era caduto impigliandovisi) e gli aveva fatto una
tale strigliata!
“Sono tua madre e ti voglio
bene, ma accidenti, Em! Sei il solito zuccone! Per fare del bene il sessanta
per cento delle volte credi disastri! Stammi a sentire ogni tanto, non fare di
testa tua!”
Diresti anche a me che
sono zuccona, ora? Che non ti do mai retta?, domandai con il pensiero,
volgendo il capo verso il terzo piano, E
passeresti poi la notte insieme a me a ripiantare con cura ciò che ho
distrutto? A insegnarmi come vivere? Lo faresti ancora?
Ripresi a scendere le scale con un sospiro. Quel che era
stato fatto, era stato fatto. Non potevo tornare indietro, quindi avrei
proseguito con il mio piano: evitare i Cullen, tornare a Volterra, proteggerli.
Diventare così importante nella Guardia da far sì che Aro avverasse ogni mio
desiderio pur di non perdermi, impedendo così ai Cullen di entrare a far parte
della sua cerchia di schiavi.
Niente più pensieri deprimenti, solo obbiettivi concreti e
realizzabili.
“Abbiamo già il
nostro Pensiero Molesto in casa e ci basta, grazie!”. Così Rose mi aveva
presentato Edward, nel camerino del negozio di intimo.
Edward.
Se sono la prima a
fare pensieri così autolesionisti, come posso dire a quel tipo di…
Scossi il capo, trovando improvvisamente la grinta. Io non mi stavo piangendo addosso. Io stavo
difendendo la nostra… la sua… i Cullen.
Avevo il dovere di proteggerli tornando a Volterra senza tante cerimonie (e
senza nessuno, soprattutto), ripagandoli di ciò che mi avevano offerto nella mia
breve permanenza nella loro casa. Era mio compito.
E potevo anche avere tutto il diritto di disperarmi, se mi
andava! Lui no! Lui non aveva motivo di disperarsi! Era così amato, aveva
quella famiglia e (immaginai) altri amici che tenevano a lui. Che accidenti se
ne usciva con queste idee malsane e distruttive? Era stupido?! Maledetto! Lui
e… e le sue scenate melodrammatiche e… e quei suoi discorsi da principe delle
favole!
Diavolo, le suffragette
hanno lottato perché le donne avessero la libertà e gli stessi diritti e doveri
degli uomini!, inveii contro di lui, A
mandato a puttane l’ultimo secolo di storia! Accidenti a lui! A lui, e al suo
senso del dovere!
“Mi sarà pur dovuto il decidere di che morte morire, no?!”
soffiai sottovoce, arrabbiata.
Misi a tacere tutti i pensieri riguardanti quel cretino e finii di scendere l’ultima
rampa di scale a passo pesante, concentrandomi sulle voci provenienti dal
salotto.
“… fatto bene. Ora, vernice”
“A te, orsetto. Comunque, io sono nato libero, ho combattuto
e sofferto per la libertà, quindi…”
“Sì, sì, sì, tante belle parole sulla libertà che non ci
fregano un cazzo di niente, Jey. Tappati la bocca o cambia argomento”
“Laurent, se tu sei sempre stato servo non è colpa mia…”
“Io ero un signore, fratellino. Gentile e affabile”
“Solo la mia memoria che è diventata una densa distesa di
nebbia? Eppure, io sono il più piccolo… pennello numero dodici”
“Comunque! Il
discorso non era quanto la libertà della perdita di memoria fosse intrinseca in
ognuno di noi…”
“Eh?”
“Che hai detto?”
“Questo è un pennello numero tredici! Laurent! Che accidenti
di tuttofare sei?”
“Io non sto facendo proprio niente. È Jasper la tua spalla. Chiedi a lui così la finisce di
sparare idiozie retoriche”
“Ma se sto già reggendo la scala!”
“Che bisogno c’è?”
“’Sto tizio è un tronco d’albero! Pensa il buco che lascia
nel pavimento, se cade”
“Giorno” salutai, facendo voltare il gruppetto vicino alla
porta: Emmett, in cima alla scala, che ridipingeva con il pennello numero tredici, non dodici!; Jasper, che
reggeva la scala; Laurent, seduto a gambe incrociate sul pavimento, che in
effetti non stava facendo niente; e infine Garrett, con accanto una scatola di
attrezzi e altri oggetti vari.
“Bella!” esclamò a gran voce Jasper, sollevato, mollando la
scala con forza e correndo verso di me.
“Porcaccia ladra, Jasper!” ringhiò Emmett, che per la brutta
oscillazione stava per cadere. Per fortuna Laurent si alzò per sostituire il
biondo.
Ignorandoli, Jazz chiuse le braccia intorno a me
stringendomi forte, sollevato. Sentii il suo respiro gonfiarmi i capelli prima
che stringesse il mio volto tra le mani. Mi scrutò negli occhi per un secondo,
poi mi strinse a sé nuovamente.
“Guarda che così la consumi” ridacchiò Garrett.
Lui e il fratello si fecero vicini e me lo strapparono
letteralmente dalle braccia.
“Bonjour, princesse” mi
salutò Laurent sorridendo “Fatto bei sogni?”
“Ignoralo, piccola Bii-Bii” lo
spintonò Garrett “Fondamentalmente è un cretino. Hai fame?”
“Sei stanca?” aggiunse l’altro.
“N-no, sto… beh, sto apposto” risposi.
Sorrisero ancora di più e all’unisono
si chinarono su di me, lasciandomi ognuno un bacio su una guancia. “Che carina
che sei!” sorrisero poi.
“Giù le zampacce dalla mia sorellina!”
ringhiò Emmett afferrandomi per la vita e facendomi sedere sulle sue spalle. Mi
domandai quanto ancora mancava perché potessi toccare il soffitto: così a
occhio e croce, avrei detto un metro e mezzo o due.
“Che stavi facendo?” domandai, posando
una mano sulla sua testa. Lui alzò gli occhi e io mi chinai un poco per farmi
scorgere.
“Edoardo ha sfondato la porta, ieri
sera. Io riparavo il suo danno” spiegò “Anche se qui sbagliano a passare
attrezzi e tentano di uccidermi facendo cadere le scale”. Lanciò un’occhiata
truce ai suoi assistenti che risposero alzando i loro occhi al cielo. “Che
palle che sei” borbottò Jasper.
“Mangia qualcosa, Izzy” mi ordinò
Laurent. “Oltre a farti bene è divertente guardarti. È così strano! Ma se
invece hai sete puoi venire a cacciare con un vero vampiro”
“Infatti mi metto a tua completa
disposizione” lo interruppe Garrett. “Vuoi venire con me, Isabella?”
“Allora, patti chiari e amicizia lunga: smettete di litigare
per Bella e smette immediatamente di guardarla, parlare con lei o respirare la
sua aria” sbottò Jasper afferrandola malamente entrambi per un orecchio.
“Quella è la mia sorellina!”
“Sono già sposati” osservai.
“Rimangono pur sempre uomini. Magari stanno pensando a un mènage a trois, che ne puoi sapere!”
“Beh, quando Kate me l’aveva proposta come una sua fantasia
ero stato categoricamente contrario. Però, se Bella lo desidera…”
“Un cazzo Garrett!” ringhiò Emmett. Lui scoppiò a ridere.
“In effetti preferirebbe me. Io sono francese”. Laurent si
voltò verso di me per farmi l’occhiolino. “I francesi hanno un dieci cum
laude, sulla scala internazionale. E i punti valgono il doppio rispetto
agli altri… Ahia! Jasper! L’orecchio mi
serve!”
“Fuori. Da. Casa. Mia. Ora!”
sibilò il biondo spingendoli verso la porta.
Emmett tremava quasi quanto Jasper, sotto di me. Mi prese
per la vita e mi rimise a terra. “Vai a fare colazione, Bells. Tuo fratello ora
va a gonfiare di botte quei due cretini”
“Mi so difendere da sola, grazie” replicai storcendo il
naso.
Emmett fece una smorfia. “Dai! Non mi privare del piacere di
una sana lotta tra parenti!”
Sospirai. “Fa un po’ come vuoi”
Lui mi stampò un bacio sulla guancia e raggiunse il fratello
fuori, dove erano udibili già i primi lamenti.
Io entrai in cucina tentando di prepararmi qualcosa da
spizzicare; il the di Carlisle era rimasto in camera mia, intatto.
Andai al frigo e presi il cartone del latte, costatando se
fosse il caso di berlo direttamente da lì: da umana avevo questo vizio,
soprattutto quando mia madre aveva attraversato il periodo “ginseng e the verde”. Anche Charlie l’aveva.
L’aquilone.
Il bricco mi cadde dalle mani quando la memoria di un tuono
mi sconvolse la mente, ma quel rumore si ripeté più delicato e notevolmente
troppo vicino perché potesse essere realmente un presagio di pioggia. Mi voltai
verso la finestra sopra il lavello e vidi la chioma bionda di Tanya fare
capolino dietro al vetro. Le sue nocche sbatterono una terza volta contro lo stipite
e con l’indice mi invitò ad avvicinarmi, completando il tutto con un sorriso e
un occhiolino.
Perplessa, feci come mi aveva detto, vedendo così il suo
sorriso ampliarsi; sennonché, non appena fui abbastanza vicina, s’immerse nei
cespugli sotto la finestra sparendo alla vista.
“Ma che…?” borbottai aprendola. Prima che potessi fare
qualsiasi cosa due mani mi bloccarono per i polsi. Prevenendo il mio urlo
un’altra mi tappò la bocca in malo modo, mentre un terzo braccio mi afferrò per
il maglioncino costringendomi (con il rubinetto che strinse amicizia con le mie
pareti intestinali) a strisciare fuori dall’apertura.
Gettai uno sguardo terrorizzato intorno a me e vidi Irina,
che ancora mi tappava la bocca, afferrarmi i polsi con una mano sola,
gesticolando a Kate di tenermi le gambe.
“Non fare rumore, Bellish, altrimenti non potremmo fuggire
da questa casa” soffiò la bionda numero tre, azzardandosi a togliere di poco la
mano dalle mie labbra. Dopo aver afferrato meglio lei e la sorella corsero
verso
Mi sembrò di udire un “Ma cosa…?” portato dal vento, ma eravamo
già lontane.
“Allora, zuccherino? Piaciuto il nostro salvataggio?”
sghignazzò Kate.
“Salvataggio?! Questo è un sequestro di persona in piena
regola!” ringhiai appiattendomi contro il sedile con i capelli dotati di vita
propria che mi sbattevano in faccia – era anche decappottabile, la macchina.
“Riportatemi indietro, Charlie’s Angel delle Nevi!”
Tanya rise. “L’avevo detto io, che aveva carattere!”
“Quindi eri solo timida o semplicemente repressa?” domandò
Irina, voltandosi verso di me.
“Te la faccio vedere io, la repressa!” ringhiai con tutta
l’intenzione di scagliarmi contro di lei, mi trattenne la mano gentile di Kate
che si posò sulla mia spalla.
“Non arrabbiarti, IsaC!” sorrise “Non stiamo mica per
rapirti sul serio! Vogliamo solo trascorrere un po’ di tempo sole con te”
“E non potevate chiedermelo?!”
“Non so se sai del nostro passato arzillo e pimpante, ma
nessuno dei tuoi fratelli ci avrebbe lasciato giocare con te da sole” spiegò
Tanya guardandomi dallo specchietto retrovisore “Eh, certa gente è così
prevenuta…”
“Beh, tu ancora sei sulla piazza” fece notare Irina.
“Sì, a battere” replicò alzando gli occhi al cielo.
“Meno rogne, credimi. In coppia devi sempre litigare per il
potere, e quisquilie del genere…” sbuffò Kate. Spostò lo sguardo da me e alla
sorella. “Mi raccomando, devono capire subito chi comanda. Non fatevi piegare
da tutte le moine che potrebbero inventarsi”
“Bel modo che avete di descrivere i vostri compagni, davvero.
Fate venire una tale voglia di iniziare una relazione” sbuffò la bionda numero
uno, prima di soffiare un “Bugiarde” a mezza voce.
“Ma quale relazione! Sesso bollente da una notte e via e
party a tutto spiano! Questa è la bella vita!” replicò Irina convinta.
“Condiscila con amici sinceri, macchine da corsa e università, e vedrai che non
avrai bisogno di uomini!”
“L’università è per le confraternite, giusto?” ghignò Kate.
“Anche. Ma il mio amore è rivolto soprattutto alla
conoscenza”
L’altra alzò gli occhi al cielo. “Immagino”
“Allora, io immagino che la tua prima impressione su di noi
sia assolutamente pessima, vero Bella?” le interruppe Tanya.
“No, assolutamente. Solo che al momento mi sfugge il nome
del centro di igiene mentale dal quale ieri mi hai detto che siete scappate”
soffiai incrociando le braccia.
Lei rise. “Ti sei decisamente svegliata con il piede
sinistro”
Io borbottai un paio d’improperi e mi rassegnai a quel
viaggio. Da parte loro le tre sorelle tacquero, l’aria soddisfatta dipinta sui
volti.
Dopo qualche tempo, il braccio di Irina si allungò per
porgermi un elastico viola. “Non avevamo pensato ai tuoi capelli; immagino che
abbiamo vanificato una doccia”
Ingoiai la risposta acida che avevo sulla lingua e presi
l’elastico legandomi i capelli alla bell’e meglio. Kate ampliò il suo sorriso,
azzardandosi in seguito a pormi una domanda. “Senti un po’… ma quella figata
che hai fatto ieri?”
“Cosa?”
“Katrina! Accidenti, deve averti colpito molto per usare un
linguaggio simile!” rise Irina.
“È stato fortissimo! Ha lanciato Edward a quasi dieci meri
di distanza!” s’infervorò lei aggrappandosi al poggiatesta per sporgersi in
avanti. “Bells, come ci sei riuscita?”
“Non l’ho fatto di proposito” borbottai cupa “Non so… non
controllo bene il mio scudo fisico. Immagino che se lo sapessi fare non avrei
una suite vista carcere a Volterra”
Tanya alzò gli occhi al cielo ma nessuna delle tre commentò.
“Puoi sempre allenarti per estenderlo. Con l’allenamento si
fanno miracoli, posso garantirtelo. Guarda: dammi la mano” propose Kate.
“Esatto, così. Ora rivolgi il palmo verso l’alto, perfetto”
“Non farle male, Kat” si raccomandò Irina.
Lei sorrise e deviò il dito indice verso la sorella: al
contatto, Irina lanciò uno strillo di dolore portandosi le mani al collo, facendo
di riflesso trasalire me. “Questa andava bene?” sghignazzò.
“Ma vattene a ‘fan…”
“Che cos’era quello?” intervenni allarmata. “Come hai fatto?”.
“È un generatore elettrico” sintetizzò Tanya “Prendesse la
connessione Wireless sarebbe di maggiore utilità, ma almeno grazie a lei il mio
Mac non necessita della presa”
“Ricordami queste parole quando le servirà una mano, Irina”
soffiò Kate socchiudendo gli occhi.
“Certo, come no” ringhiò l’altra trucidandola con lo sguardo.
“Anche tu puoi manipolare l’elettricità?” domandai con un
nodo d’emozione nella voce.
Lei mi fissò. “Anche tu sai farlo?”
Annuii in fretta. “Scariche a diversi voltaggi, a seconda
del… fine” terminai con una nota amara.
“Un momento, frena: tu usi reali scariche elettriche?” indagò Kate.
“Perché, le tue che sono?”
“Posso provare su di te, per favore?” disse “Giuro, farò
piano. Non il piano che ho usato con Irina”
Non troppo tranquilla, le porsi incerta il palmo della mano.
Lei vi appoggiò sopra la sua, ma non avvertii nulla. Concentrandosi maggiormente,
Kate tentò di aumentare il voltaggio, ma da parte mia non avvertii
assolutamente niente. Così compresi. “Per caso il tuo è un potere mentale?”
Lei annuì, rinunciandosi. “Sì. Attraverso tutto il mio corpo
posso propagare un impulso che agisce sulla zona del cervello adibita al
dolore, facendo provare la sensazione di una scarica elettrica” illustrò
sistemando meglio sul sedile. “Un esempio di questo potere a distanza tu lo
conosci, purtroppo, di persona”
“Jane” mormorai. “Beh, ora ho capito perché con me non
funziona: è un dono che agisce non sul corpo ma nel cervello, e io sono uno
scudo principalmente mentale”
“Grandioso!” esclamò ammirata “E sai anche usare
l’elettricità a livello reale?”
Liquidai la questione con un’alzata di spalle. “So manipolare
parecchi elementi. Tu dimmi la vittima e io te la uccido, facile”
Lei ignorò questa mia infelice battuta. “E lo scudo fisico?”
Sospirai. “Non ho mai avuto l’occasione di impratichirmi con
nessuno dei miei due scudi. Potenzialmente potrei estenderli e difendere anche
altri, ma a malapena riesco ad avvertire, con un certo sforzo, quello mentale,
mentre quello fisico è totalmente fuori dal mio controllo”
“Ti manca solo l’allenamento, Bella” replicò Kate. “Quando
io ho scoperto il mio dono, non riuscivo quasi a controllarlo. Non puoi capire
quante volte ho attaccato mia madre, quando cercavo di abbracciarla”
“Questo spiega la tua inclinazione ai gesti affettuosi,
presuppongo” intervenne Irina.
“Devi solo allenarti” la ignorò lei “Ogni giorno, poco per
volta. Se continui di questo passo non consocerai mai l’entità delle tue doti e
non riuscirai a controllarle. Potresti divenire un serio pericolo per chi ti
sta attorno”
Chinai il capo, colpita da quelle parole. Lo sapevo anch’io
o meglio, una parte del mio cervello ne era sempre stata ben cosciente. Ma il
modo in cui mi costringevano a usare i miei doni, che già di per sé era stato
un bel trauma, e la mia paura inconscia di essere un vampiro mi avevano sempre
fornito una comoda scusa per rimandare, per non impegnarmi, per rinunciare.
Io non volevo essere un vampiro. Non avrei mai voluto.
Figuriamoci poi essere la stirpe eletta! No, il mio rifiuto di usare le mie
doti nasceva del semplice fatto che io non volevo avere nulla a che fare con
quel mondo, e solo in seguito a ciò che mi era stato fatto.
Perché mi ribellavo, all’inizio?
Kate continuava a incoraggiarmi narrandomi eventi ridicoli
che le erano capitati prima che acquisisse il totale controllo di sé, ma io ero
immersa nei miei pensieri e non le prestai molta attenzione.
“Abbiamo un problema, ragazze”
Alzai il capo e vidi lo sguardo magnetico
di Tanya fissò su di me. Pensai che stesse per farmi un qualche tipo di
predica, ma lei fece saettare lo sguardo su Kate per poi portarlo in quello di
Irina, senza degnarmi di altra attenzione. “Dove ci rifuggiamo? Port Angeles o
Seattle?”
“Port Angeles” rispose Irina.
“Seattle!” gridacchiò Kate allegramente.
Si lanciarono sguardi di fuoco.
“Dove vuoi andare?!”
“Che accidenti di gusti hai?”
Che strano dejà-vù, mi ritrovai a pensare.
“Qual è il problema, adesso?” sbuffò Tanya, decelerando fino
ai cento “Scegliete in fretta, che odio andare piano”
“Port Angeles è troppo vicino!” berciò Kate.
“Appunto! Non sospetterebbero mai la nostra presenza lì!”
ringhiò l’altra voltandosi.
“Se mi danneggi la macchina ti uccido, sorella” la mise in
guardia Tanya.
“Hanno l’olfatto! Quanto credi che ci metterebbero a dare
una sniffata in giro e trovarci?” controbatté Kate. “Seattle è molto più
grande, impiegherebbero molto più tempo”
“Certo, perché tu pensi che il leggi-pensieri…”
“Edward attraversa il pessimismo cosmico e la crisi dei
cento e rotti anni nello stesso momento. Non credo che sarà molto attivo, oggi”
s’intromise Tanya. Senza volerlo inizia a fissarla: aveva trascorso la notte
con Edward, dunque?
“Zucchero, pensi davvero che non verrà?”
Lei ghignò, come se pregustasse qualcosa. “Dio, spero
proprio lo faccia”
“Posso capire anch’io, di grazia, prima che mi lanci giù da
questa cavolo di macchina in corsa?” ringhiai stufa di non essere considerata.
“Stiamo decidendo dove passare la giornata, Bibis” mi spiegò
Irina “Decidere dove portarti per far sì che quella banda di deficienti con il
cromosoma Y non ti trovi”
“Non l’aveva usata Kate, questa?”
“Perché non dovrebbero trovarmi, scusa?” chiesi perplessa.
“Perché mi sono altamente rotta il cazzo di fare da
babysitter ai Cullen, ecco perché!” sbottò Tanya “Maledizione, troppo tempo con
gli umani li ha davvero resti degli idioti! Non permetterò che succeda anche a
te!”
La fissai confusa, mentre lei premeva sull’acceleratore.
“Deciditi: Port Angeles o Seattle?”
Feci per protestare ma richiusi subito la bocca. “Prima Port
Angels” sussurrai “E poi Seattle”
Le sorelle puntarono simultaneamente gli occhi su di me –
eccetto Tanya, che ebbe la buona creanza di fissarmi dallo specchietto.
“Se lasciamo la macchina a Port Angels e giriamo per le
strade, i ragazzi seguiranno il nostro odore e si concentreranno nell’esplorare
la città, convinti di trovarci lì. Noi invece prenderemmo uno dei pulmini
diretti a Seattle e vi passeremo la giornata” spiegai mantenendo lo sguardo
fissò sulle ginocchia.
Scese il silenzio. Poi, inaspettatamente, fu Tanya a
interromperlo con la sua risata.
“Come diavolo hai fatto a farti mettere sotto dai Volturi,
me lo spieghi, ragazzina?” rise allegra, prima di imboccare l’uscita seguendo
le mie indicazioni.
Kate chiuse il libro che stava leggendo alzando un
sopracciglio. “Alice in Wonderland? Ma che davvero?”
“Mi è sembrata la più indicata” alzò le spalle lei “Forza!
Il nostro pullman parte fra tre minuti”
Io staccai un morso dal mio saccottino e bevvi tutto d’un
fiato il cappuccino. “Ok”
“Sono le undici di mattina! Ancora mangi?” mi chiese Irina.
“Avrò buttato qualcosa come quindici dollari in colazione, stamattina,
e solo adesso posso dire di aver finalmente lo stomaco pieno” borbottai offesa.
Non era colpa mia se avevano voluto rapirmi, fare il giro completo di ogni
negozio e farmi buttare o lasciare ogni colazione che avevo provato a comprare.
Mi meritavo quei due cornetti, oh!
“Se non hai paura di contrarre qualche malattia infettiva,
finiscilo pure a bordo” intervenne Tanya, poi sospirò esageratamente plateale.
“Certo, lasciare la mia adorata Bezzy qui, da sola...”
“Non preoccuparti, starà benissimo, la tua macchina” sbuffò
Kate.
“Non era una prerogativa degli uomini dare un soprannome
alla propria macchina?” domandai.
“Anche al proprio membro, ma nel quarantotto Katrina ha
attraversato una bella fase. Giusto, sorella?”
Lei fece un gesto come per sminuire la cosa. “Poi è passata”
“Il quarantotto di quale secolo?” ghignò in un sussurro
Irina mentre andavamo all’uscita.
“Tu non hai passato la fase lesbica?” intervenne Kate per
distogliere l’attenzione dalla sua effettiva età. L’uomo che ci aveva tenuto la
porta, a quelle parole, sbatté addosso all’anta: sentii distintamente la
cartilagine storcersi. Poverino, pensai gettandomi un’occhiata alle
spalle.
Tanya emise un sospiro malinconico. “Ah, Crystobel… che
peccato fosse una circense” ricordò con affetto “Non è durata neppure tre anni”
“Mi pare che tu ti sia consolata benissimo con gli uomini,
dopo” fece presente Kate.
“Ehi, ma che ce l’hai con me? E Irina, allora, che si è data
al BDSM?”
Lei ridacchiò spensierata, passando il biglietto al
conducente per obliterarlo. Inutile dire come questo era troppo sconvolto o
eccitato per riuscirci al primo colpo.
“È raccontando questa storia che Laurent ha dato di matto e
si è dichiarato!” continuò allegra, dopo che io ebbi aiutato l’uomo a timbrarci
i biglietti. “Ed era un fatto risalente a parecchi anni prima! Cielo, non l’ho
mai visto così fuori di testa!” continuò cercando il suo posto.
“Oh sì è vero!” scoppiò a ridere Kate “Una scenata di
gelosia assurda! Mi ricordo che Eleazar è corso fuori pensando che volesse
metterti le mani addosso, e poi vi ha trovato avvinghiati come due anguille!”
“E lo ha picchiato lo stesso per questo” continuò Tanya tra
le risate.
“Beh, di sicuro le mani te le mise addosso!”
Stiracchiai un sorriso sul volto, non riuscendo come loro a
godermi l’aneddoto a pieno. Mi limitai a prendere posto accanto al finestrino
sentendomi leggermente a disagio.
“… con la pittura sulla testa!” completò Tanya tra le
risate, prima di voltarsi verso di me e sorridermi, accomodandosi. Perfetto.
“Supportiamoci a vicenda, Bells. Noi single dobbiamo restare
unite”
“Eccetto il caso in cui entrambe puntiate lo stesso ragazzo”
sottolineò Kate dandole un buffetto sulla guancia. Mi irrigidii
involontariamente, non capendo se fosse un’allusione o una semplice battuta.
Tanya sbuffò, portando le braccia sotto il seno. “Ancora con
questa storia? Diavolo, così sembra veramente che abbia una qualche
inclinazione al masochismo!”
“Beh, potevi semplicemente evitare di immischiarti troppo
negli affari di Eddy-Ed” fece notare Irina; come pensavo, il protagonista era
Edward.
Mi accostai maggiormente al finestrino, sentendo tornare il malumore.
Non mi andava per niente di parlare di lui con loro, o meglio, con lei. Anzi,
non mi andava di parlare del cretino
e basta.
“Ma scusa, che altro potevo fare? L’ho trovato che faceva il
vigilante notturno in preda al dissidio interiore!” protestò Tanya
accalorandosi “Tenevo troppo all’amicizia di Carlisle per non preoccuparmene.
Certo, avessi capito che in seguito avrei dovuto fargli da baby-sitter per il
resto della mia esistenza l’avrei lasciato lì a morire”
“Non essere cattiva, Tay” la rabbonì Kate “Non è così male
Edward”
“È un coglione, ecco cos’è!” replicò lei incrociando le
braccia al petto, lo sguardo torvo.
Mi voltai con perplessità verso di loro, non riuscendo a
trattenermi dal domandare: “Ma… scusa, tu non sei innamorata di Edward?”
Tutte e tre mi guardarono un attimo in silenzio, permettendo
così al pullman di mettersi in moto e
partire; poi, Kate e Irina si lasciarono andare a grosse e gustose risate.
“No!” gridò invece Tanya, indignata, facendo
voltare più di una testa “Io, con quel deficiente? Io?! Ma starai
scherzando!”
Mi colorai di rosso. “Ehi, mica ti ho accusato di essere
l’amante di Jack O’Lantern!” soffiai di rimando “E poi, i fratelli Cullen…”
Irina ululò per le risate. “T-ti hanno r-raccontato quella storia?!”
Tanya incrociò le braccia al petto. “Non ne valeva la pena.
Non ne valeva proprio la pena! Ho vinto un’isola, ma non posso portarmi per
l’eternità gli strascichi di questa storia, che diavolo!”
“Ma scusa” tentai guardinga “Non ti sei fatta trovare…
intendo, non hai cercato di sedurre Edward, qualche tempo fa?”
Ebbi l’impressione che quando Kate, tenendosi la pancia per
le risa, si gettasse quasi a peso morto sul sedile, il pullman si fosse
inclinato. “E piantatela!” urlò Tanya, irritata.
Mi ero decisamente stufata di quella mancanza di
considerazione. Diavolo! Era tutta la mattina che facevo loro da borsa,
venendo trascinata qua e là quasi senza emettere un fiato, ascoltando storie in
cui non c’entravo nulla, e ora mi prendevano pure per il culo? E no, Barbie in
saldo, non ci pensate proprio!
Ma la bionda numero tre anticipò la mia ira funesta. “Che ti
hanno raccontato i fratelli Cullen?” domandò allegra Irina, pizzicando le
guancie di Tanya “Che questa baldracca ha tentato di circuire il povero,
indifeso Edward il Puro?”
“Un qualcosa del genere” mi costrinsi a borbottare.
“E certo! Così oltre la figura della zoccola si aggiunse
l’umiliazione di un rifiuto” si lamentò Tanya.
“Non eri stata tu a dire che nessuno, neppure San Pietro il
giorno del Giudizio, ti avrebbe dato mai picche?” sghignazzò Kate.
Lei le indicò garbatamente dove andare alzando il dito
medio. “Mi fate anche diventare volgare, accidenti a voi. Bella!” aggiunse poi
“Ma davvero pensi che mi sarei abbassata a tanto?”
“Beh, Edward è un fico, oggettivamente parlando” intervenne
Kate “Io una botta glie l’avrei data più che volentieri, se non avessi Garrett.
Non vedo la necessità del doversi abbassare”
Irina fece per aprire la bocca (per dire solo Dio sa cosa,
visto lo scintillio malizioso dei suoi occhi), ma la maggiore l’anticipò. “Io
l’ho fatto solo per una scommessa!” spiegò Tanya “Lo sapevo che non avrebbe
ceduto mai, con quel sentimentalismo del quattordici/diciotto. Mi sono comprata
un’isola alle Seychelles con i ricavati”
La guardai allibita. “Ciò, fammi capire” ricapitolai “Hai
quasi violentato Edward per una scommessa?”
“Io non ho violentato nessuno!” replicò lei indignata
sovrastando le risate “Diavolo, andare con Edward sarebbe stato come, non so,
farmi Laurent!”
“Ehi!”
“È il mio figlioccio, praticamente!” continuò lei ignorandola.
“Che?!” esclamai,
stupefatta.
“Beh, ho un parecchio tantinello
di anni in più di lui, se capisci cosa intendo, e lo conosco da quando ha
aperto i suoi begli occhioni nel ’18, ma andiamo, da qui ad andarci a letto o peggio
starci insieme ne deve passare d’acqua
i sotto i ponti!”
Okay, avevo scatenano un mostro a causa di un mio abbaglio:
la filippica di Tanya andò avanti per un bel po’, spiegandomi i pro e i contro e
le mille sfaccettature di Edward il Puro (non avrei mai più potuto allontanare
questo soprannome da lui!) e del conoscerlo a fondo, tanto che fui costretta a interromperla
quasi soffocata da tutte quelle informazioni.
“Sì, va ben, ho capito, basta! Scrivici una biografia su
Edward, non m’interessa altro!” sbottai fermandola.
Tutte e tre mi fissarono
scettiche. “Bugiarda!”
“Dai, Bellish, con noi lo
puoi ammettere che provi qualche cosa, per Eddy-Ed!” mi spronò Kate con un
sorriso.
Io incrociai le braccia al
petto, sentendo quell’ondata d’irritazione salirmi in gola. “Sì: un bruciante
desiderio di spaccargli la mascella”
Mi appoggiai al finestrino,
improvvisamente di malumore; rimpiansi il dovermi concentrare per collegare gli
aneddoti delle sorelle di poco prima, almeno mi avevano evitato di concentrarmi
su quello che provavo io. Perché, volente o nolente, io provavo qualcosa per
quel cretino, oltre la cocente
amarezza. E non era un fatto positivo.
“Non fare così, Bella”
intervenne Tanya seriamente “Non comportarti come lui, ti prego”
Le lanciai un’occhiata,
trovandola intenta a scrutarmi un cipiglio severo. Irina e Kate, dopo una breve
occhiata, si ritirarono ai loro posti lasciando campo libero alla maggiore.
“E come mi starei
comportando, di grazia?” sputai acida.
“Da stupida, per usare un
eufemismo” rispose pronta lei, senza alterarsi. “Non fare l’errore di mandare a
puttane la tua vita, per favore. I cocci che dovrai raccogliere dopo non sono
lontanamente immaginabili”
“E immagino che tu ne abbia
un’idea precisa, invece”
“Già”. Stavolta mi fulminò
con un’occhiata glaciale che mi tolse il coraggio di replicare. Non era una
semplice frase fatta buttata lì a caso. Lei sapeva. Realmente.
Tentai di tornare al mio
mutismo ma non me lo permise. “Bella, io non sono qui per farti la predica. Ho
già dato, stanotte, e credo che il braccio me lo ricorderà per tutta la
giornata” si permise un sorriso, fissando la spalla sotto la giacca “Non ho
intenzione di replicare. Tuttavia, credo che tu abbia bisogno di passare
all’altro eccesso”
“Uh?” domandai, aggrottando
le sopracciglia.
“Basta autocommiserazione.
Basta pianti convulsi. Basta omissioni o insicurezze” mi ordinò “Sono sicura
che questa - questa Bella che hai mostrato fino ad oggi – non ti rispecchi
realmente. L’ho visto, ieri sera. Per un attimo, ci hai mostrato chi tu sia in
realtà”
Tacque, afferrando subito
dopo il tuo blackberry. Digitò qualcosa senza parlare, trascinandomi nella sua
trappola.
“E sarei?” domandai
controvoglia.
Sorrise allo schermo, prima
di rimetterlo a posto. “Non spetta a me dirtelo. Io l’ho capito. Ora tocca a
te”
Mi sorrise affettuosa,
spettinandomi i capelli. “E comunque sia, Bellina, non aspettarti vita facile
con Eddy. Ti sei scelto uno tanto bello quanto pieno di psicologiche turbe”
Arrossii. “Ancora con
questa storia…”
“E dai, piantala! Da quello
che hai detto ieri solamente tu, lui e forse Carlisle non si sono realmente
resi conto dei tuoi sentimenti” sbuffò lei “Tu perché eri in piena crisi
mistica, Ed perché è un coglione e Carlisle, beh, per il semplice fatto che tu
sei la sua preziosa bambina”. Alzò gli occhi al cielo. “Mi
ha tenuta al telefono un’ora e mezza solo per descrivere una giornata di caccia
insieme a te. Stavo aspettando di sapere sa avesse già recuperato il pezzo del
tuo cordone ombelicale o i tuoi denti da latte dalla tua città natale. È stracotto
di te”
Affossai il capo tra le
spalle. “L’ho trattato malissimo” soffiai triste. “E lui, stamattina…”
Non trovai il coraggio di
proseguire.
Il braccio di Tanya mi
circondò con affetto, spingendomi verso di lei. “Ti sei scelta una bella
famiglia, Isa. Complicata e con un futuro ostacolato dal passato, ma è una
bella famiglia”
Sospirai, abbandonandomi a
quella sensazione di conforto. “Se ancora c’è qualche speranza di considerarli
tali”
“Non puoi abbatterti alla
prima difficoltà, Bella. Credimi, ci sono scogli molto più difficili che dovrai
superare”
Ebbi purtroppo
l’impressione che si stesse riferendo a una situazione in particolare; a
confermarmelo, lo sguardo troppo distante, freddo come l’inverno.
Irina si avvicinò con una pila di volumi tra le braccia, tutti in lingua russa.
“Hai scelto, Bibi?” domandò allegra.
Annuii mostrando i miei acquisti. “Ho ricomprato qualche mio vecchio testo, e poi qualcosa di nuovo” spiegai agitando la copia che avevo in mano. “Questo l’ho lasciato a metà”
“Male: mai lasciare le cose a metà” disse lei avanzando “O lasciar perdere dall’inizio o portare le cose alla loro conclusione. Ci mettiamo in fila qui?"
“Le altre?” chiesi guardandomi in giro.
“Bah! Disperse nel vasto mondo. Oh, mi scusi!” esclamò poi, preceduta di poco dal rumore di libri che cadono; aveva assunto un accento russo che qualche secondo prima non aveva “Mi perdoni, che sbadata!”
Sporsi il capo oltre la sua spalla per osservare la reazione del ragazzo che aveva urtato: chino sul pavimento con una mano sui suoi libri fissava Irina con lo sguardo puntato un po’ troppo in basso per essere immerso negli occhi di lei, e aveva aria persa e trasognata; in più non stava ascoltando una parola di quello che Irina stava dicendo.
“Veramente! Non l’avevo vista” continuò lei dispiaciuta. Mi chiedo con quale faccia tosta la tirasse tanto lunga.
“N-no, no davvero” la interruppe lui con un sorriso, passandosi una mano tra i capelli. “Ti sono venuto addosso… cioè, ti ho urtato io per sbaglio”
Ma se era tranquillamente in fila?!
“Oh, allora è tutto sistemato!” con nonchalance assurda gli passò davanti trascinandomi con sé proprio mentre il cliente alla cassa afferrava le sue cose e se ne andava. Agitò la mano nella sua direzione dicendogli qualcosa in russo, poi posò i nostri libri di fronte al cassiere.
“Che accidenti fai?” sbottai allibita prendendole un braccio.
Mi rivolse un’occhiata perplessa. “Perché?”
“Con quel tipo!”
Alzò le spalle. “Non volevo fare la fila” disse semplicemente.
“Ma c’era solo lui! E poi non ti sembra di aver esagerato?”
Lei lanciò un’occhiata al ragazzo, prendendomi poi i libri dalle braccia. “Li pago io” disse al commesso “Non ti capisco, Bibi. Faccio sempre così. Mi annoia aspettare”
“Però così la gente…”
Lei sghignazzò. “La gente?” rise “Bella, a me non interessa ciò che può pensare un branco di stupidi umani che non sanno tenerselo nelle mutante. Se realmente gli importasse di ciò che ho nel cranio piuttosto che nella coppa del reggiseno, si sarebbe arrabbiato e avrebbe protestato com’è giusto che sia. E io non tollero che persone del genere abbiano anche l’audacia di ritenersi superiore a me”
Si voltò verso il ragazzo, beccandolo mentre le contemplava il sedere, e schioccò le dita. Quello, rendendosi conto della gaffe, cercò di darsi un tono voltandosi di scatto e andando a sbattere contro un commesso, col risultato di far cadere una pila di libri, l’altro ragazzo e se stesso.
Irina rise apertamente, senza fare il minimo sforzo per nascondersi.
“Ma tu lo fai, però” replicai.
“Sono settantacinque e ottanta in tutto” ci interruppe il cassiere
Lei estrasse il portafogli e gli porse le banconote. “Primo, io ho l’età e l’esperienza per sentirmi superiore a questo branco di animali. Secondo, perché non dovrei farlo?”
Afferrò le nostre buste e ci dirigemmo all’uscita. “Beh, da un punto di vista prettamente…”
“Da qualsiasi punto di vista la prendi, noi donne siamo ancora considerati meri oggetti sessuali, e poi esseri senzienti” mi precedette lei “Però, se noi rivolgiamo le stesse considerazioni verso uomini, passiamo per puttane. Dimmi dov’è la giustizia in tutto ciò. Per quale motivo io devo vedere donne che si umiliano perché è questo che la società
vuole trasmettere, e non posso trattare gli uomini alla stregua di quelle bestie che sono?”
Ammutolii per un attimo, poi ripresi. “Perché non è così che si risolveranno le cose. Chiodo non scaccia chiodo, Irina”
“No, ma da un sacco di soddisfazioni” sbuffò lei “E io, sinceramente, non voglio privarmi di nessuna di esse. Ho le mie amicizie, anche maschili, e so ripagare con tutta me stessa chi mi tratta come merito. Agli altri non devo nulla”
Stavo per replicare quando lei mi prese per mano, fermandosi davanti a una vetrina, indicando il nostro riflesso nello specchio. Grazie ai tacchi che portava, mi superava di tutta la testa; aveva anche un’espressione così matura e affettuosa che la si sarebbe tranquillamente potuta scambiare per la mia sorella maggiore, o una zia. “Guardami, anzi, guardaci: cosa vedi?”
Sospirai. “Due ragazze. D’accordo!” sbuffai di fronte alla sua occhiataccia “Due belle ragazze, molto più belle della norma”
“E cos’altro?” mi spronò.
Arricciai le labbra, pensierosa. “Una è decisamente vestita con le prime cose che aveva sottomano, mentre l’altra è più curata. La bionda al polso porta un braccialetto con il simbolo dell’infinito e un arabesco. Hanno entrambe due buste bianche, della libreria Free Minds, abbastanza corpose; forse libri per lo studio o per diletto. E…”
“Non pensi abbastanza maschio, Bii-Bii” mi interruppe.
“Ma questo non c’entra nulla!”
“C’entra e come! Secondo te quel tipo si è fermato a osservare che oltre alle mie tette in bella vista avevo una pila di libri tra le braccia? O la mia collana a forma di Pi greco? O il braccialetto che ti ha tanto colpito?” mi riprese lei infervorandosi.
“Spiegami perché non dovrei vivere utilizzando tutte le mie doti” proseguì tornando a fissarci “Le persone ci notano perche siamo diverse. Perché siamo belle, abbiamo un bel corpo, e poi un bel viso. Credimi, prima che comprendano che c’è molto di più oltre alle gambe ci vorrà troppo tempo, e per allora avrai già perso interesse – sempre che un umano ti possa interessare realmente. Purtroppo sono davvero pochi quelli che ci colpiscono, perché sono molto più superficiali di noi e si accontentano di cose semplici come denaro, potere o sesso. Tutte cose che noi riusciamo a ottenere con estrema facilità e che quindi non ci attraggono più di tanto. Glie ne voglio fare una colpa? No, certo che no. Ma non posso neppure sottostare alla loro visione della mia vita”.
Posò le borse atterra per cingermi le spalle. “Sono bella e ne sono consapevole. Mi piace divertirmi, e giocare forse troppo. Anzi, correzione, mi piaceva divertirmi con gli umani, sfruttandoli e usandoli come più mi aggradava. Ma ho sempre dato tutto, anche ben oltre alle mie possibilità, se vedevo che mi consideravano come persona innanzitutto; e non ho rimpianti nel dire che quando posso utilizzo ancora il mio charme e tratto le persone come burattini per il mio piacere. Però io devo rendere conto solo a Laurent, la mia famiglia, i miei amici e me stessa. Se gli altri non hanno abbastanza autocoscienza e fegato di mandarmi a quel paese per il mio atteggiamento, meritano di essere trattati così”
Mi presi un secondo per elaborare le sue parole, poi scossi il capo. “Non sono d’accordo, non totalmente almeno” dissi poi “Gli umani… si fermano alla prima impressione, non indagano più di tanto. Non ne hanno voglia o tempo, l’hai ammesso tu stessa. Ma io non me la sento di condannarli a priori per questo. Non credo di averne la facoltà. Preferisco lasciar correre”
Lei sorrise. “È per questo che sei una Cullen e non una Denali” sorrise contenta “Bella, non li tratto come animali, ma come gli stupidi che si dimostrano essere. Ma tu sei decisamente troppo giovane per vedere la malizia dietro tutte le azioni”
“Beh, non compro mica aria fritta” sbottai piccata “Non è che me ne sto ferma a subire e basta”
“Interessate uscita” rispose lei con una risata, raccogliendo le buste “Ma non perderla come una critica, ti prego. È solo che io sono abituata a giocare con il mondo, e il mondo gioca con me”
“Io non credo di poter arrivare a fare un numero come il tuo neppure tra diecimila anni” riflettei ad alta voce.
“E perché? Non devi far altro che sbattere le ciglia e piegare la testa da una parte”
Scossi il capo. “Non è questione di gesti, ma di atteggiamento. Non sono mai stata in grado di attaccare facilmente bottone con le mie coetanee, figurarsi iniziar un flirt. Mi manca l’indole”
“No, ti manca solo la sicurezza”. Ci voltammo verso Tanya che avanzava sinuosamente verso di noi. La presi ad esempio. “Ecco, un atteggiamento del genere non riuscirei a farlo mio”
“Infatti è il mio, non il tuo” replicò con un sorriso lei “E non è un atteggiamento, è sicurezza nelle proprie capacità. Per esempio, puoi fare come mia sorella e considerare il mondo nient’altro che feccia; o come me, e ritenerti semplicemente superiore”
“Scusa, e la differenza sarebbe?”
“Che lei è sola nonostante le innumerevoli possibilità che ha dato al mondo e io invece ho il consorte” concluse Irina con una gomitata nel costato della sorella.
“Che vuoi che ti dica, sono un’inguaribile ottimista. Spero davvero che ci sia un barlume d’intelligenza nei corpi, oltre che…”
“Sì, okay, ho recepito” sbuffai.
“Bellina-pulcina, dimmi un po’: non è che tu sei ancora virtuosa, vero?” sorrise Irina.
Mi sentii a disagio, improvvisamente; tradita dal mio rossore, chinai il capo.
Tanya le mollò una sberla sul braccio. “Lasciala in pace! Non c’è niente di male, e non credo che nessuna di noi possa mettere bocca in questione del genere, considerando che da un altro punto di vista potremmo tranquillamente passare per puttane”
“Non volevo metterti in imbarazzo, Bella!” si affrettò a scusarsi l’altra, contrita “Davvero: era solo per fare conversazione! Pensa, io ho avuto la mia prima volta a trentatré anni, e non quelli da umana!”
“Sentite, possiamo accantonare l’argomento, per favore?” soffiai distrutta, passandomi una mano tra i capelli.
La bionda numero tre mi si gettò contro. “Mi dispiace, Bella! Non avercela con me, ti prego!”
Ricambiai la stretta impacciata a causa della mia busta di libri. “Non ce l’ho con te, Irina.”
“Mi vuoi bene lo stesso?”
“Si è affezionata ai Cullen” sorrise Tanya.
“E basta co’ sta storia!” esclamò Kate arrivando dalla via principale. “Abbiamo capito che ce l’hai con i Cullen, ma basta”
“Anche perché io potrei sentirmi offesa”
Mi voltai meravigliata verso di loro, sentendo la voce di Alice allegra come due giorni fa. Accanto a Kate, lei e Rose avanzavano spavalde.
“Ragazze!” esclamai sbigottita. Che ci facevano qui?
“Prometti!” mi anticipò Alice irremovibile.
“Dovremmo sapere di che parli?” chiese Tanya con un sopracciglio inarcato.
“Non ce l’ho con voi, ma con lei!” sbottò puntando l’indice accusatore contro la mia persona.
“Beh, mettiti in coda: prima ci sono io” esclamò Rose fissandomi altera “Tu, cara mia, dovrai essere la mia schiavetta per almeno i prossimi due secoli! Ingrata! Sai cosa mi hai costretto a fare?”
Scossi il capo intimidita. “Oh, si è spaventata per l’atteggiamento di Ice-Rose” fece Kate “Che carina!”
“Mi hai costretto a prendere i mezzi pubblici! L’autobus, Isabella!” continuò profondamente disgustata Rose “Con questa psicopatica qua! Che si è messa a cantare con un paio di disadattati sociali di trentacinque anni canzoni disneyane! Tu non hai idea di come mi sono sentita!”
“Dai, è stato forte!” controbatté Alice.
“Non mi sono mai vergognata tanto!”
“Beh, no. Non c’è stato quell’episodio alla fine degli anni Ottanta?” intervenne Kate.
“Emmett in versione cubista?” provai.
“No, l’altro… come sai di quella storia?” chiese Irina.
“Silenzio, screanzate!” le mise a tacere Rose oltraggiata “Chi ti ha detto di questa storia?”
“Ehm, Jasper mi potrebbe aver accennato qualcosa…” mi difesi insicura.
“Al, tuo marito è un uomo morto” sibilò Rosalie inviperita.
“Da più di un secolo e mezzo, direi” ridacchiò contenta l’altra “Che hai comprato, Isa? Fa’ un po’ vedere”
“Ora che ci siamo tutte, proporrei di organizzare questa giornata” prese la parola Tanya. “Il punto cruciale è: che facciamo?”
“Non hai un piano?” chiese Alice con le mani immerse nelle mie buste.
“No. Noi dovevamo solo rapirla”
“Ottima organizzazione, davvero” sbuffò Rose incrociando le braccia.
“Ehi, sorella nata da madre diversa, non è stato affatto facile organizzare la fuga” la riprese Kate.
“Perché, secondo te la nostra si è rivelata più semplice?”
“Io ho fame” me ne uscii stanca del loro battibecco. Aveva iniziato a farmi male la testa e anche la brutta nottata iniziava a pesare sulle mie spalle. “Voi fate quello che volete, ma io vado a mangiare qualcosa”
Raccolsi le buste e mi avviai verso un bistrò che mi pareva aver intravisto poco più avanti, ma la voce di Irina mi bloccò. “Scusa, ma con quali soldi ti comprerai il pranzo?”
Fui costretta a fermarmi. “Accidentaccio!” sbottai, pestando il piede in terra.
“Perché non te lo fai offrire da qualche bel ragazzo?” propose Alice ilare.
Rosalie intervenne, affiancandomi con due rapide falcate. “Andiamo” ordinò, ed io non potei fare altro che seguirla. Al contrario delle mie aspettative, le altre presero la direzione opposta.
“Dove vuoi mangiare?” domandò senza fissarmi.
“Ehm…” mi girai per avvistare il luogo più vicino rinunciando al bistrò – perché stare con questa Rosalie mi dava i brividi – e incontrai l’insegna di un fast food in fondo alla via. “Ti va bene un Burger King?”
Non rispose a parole e s’incamminò semplicemente; a fatica mantenni il suo passo.
Il silenzio tra noi era opprimente: continuò all’andata, mentre eravamo in fila, mentre aspettavamo il cibo. Continuavo a tormentarmi le labbra in attesa di una sua sfuriata ma Rosalie non fece nulla di tutto ciò; semplicemente mi scortava e pagava il mio pranzo in rigoroso silenzio, senza degnarmi della benché minima attenzione.
“Ok, basta!” sbottai, una volta terminate le mie patatine “Rosalie, parlami”
Lei si degnò di rivolgermi un’occhiata. “Che vuoi che ti dica?”
“Quello che ti pare, ma parlami!” la incitai con veemenza “Qualsiasi cosa ti stia passando per la testa, visto che tanto mi riguarda. Vuoi gridarmi contro il tuo rancore? Fallo. Mi vuoi consolare? Fa pure questo. Puoi anche mandarmi al Creatore se ritieni che io sia troppo melodrammatica, ma non startene in silenzio. O meglio, se vuoi fingere che io non esista mi sta bene, ma non impormi la tua presenza. Averti accanto e vederti vibrare di furioso, silente sdegno non posso sopportarlo”
Lei si voltò completamente verso di me, incrociando le dita affusolate tra loro, sul tavolo. “Lei non lo riesce a sopportare” sbuffò con un mezzo sorriso amaro, chiudendo gli occhi. Quando li riaprì, scintillarono di furia.
“Vuoi sapere cosa penso, Isabella?” iniziò fredda.
Annuii convinta, sebbene un po’ intimidita. “Tutto fuorché il tuo silenzio”
“Benissimo!” acconsentì con un cenno iroso. “Ora come ora, penso che tu sia una completa idiota. E dire che mi avevi fatto un’ottima impressione, inizialmente. Oh, e grazie alla tua sorprendente uscita, mi chiedo come sia possibile che io sia stata così stupida da perdere tutto questo tempo dietro a te, visto che tu per prima non mostri un po’ d’amor proprio”
Incassai il colpo come meglio potei, ferita a morte dalle sue parole; eppure continuai a sostenere il suo sguardo aspettando il resto. Perché ovviamente non poteva essere tutto lì, non con Rosalie almeno. Ciò che più avevo imparato ad apprezzare di lei era che portava sempre a compimento ciò che iniziava, sia a parole che a fatti. E ciò che mi preoccupava maggiormente era che lei non perdonava. Mai.
Una volta persa, la sua fiducia era persa per sempre.
“Ti ho accolto in casa mia, nella mia famiglia – la cosa più importante della mia vita” proseguì con veemenza “Mi sono fidata di te. Anzi, peggio ancora, mi sono affezionata a te così in fretta che… accidenti, neppure a Emmett ho concesso tanto! E tu in una sola serata sputi sopra a me, ai miei sentimenti e alle persone che amo perché fondamentalmente sei una cazzo di masochista repressa?!”
Alzò il tono della voce di pari passo con la sua collera, tanto che alcune persone si voltarono a fissarci. “Mi fai pure diventare volgare, accidenti!” concluse con un gesto altezzoso dei capelli. “Ti giuro, fossi mia figlia ti prederei a schiaffi a due a due fino a che non diventano dispari!”
“No, scusa un momento” replicai stizzita “Tu mi vuoi tenere il muso perché…”
“Tenere il muso?! Bella, io ce l’ho con te come mai prima!” mi bloccò Rose. Sibilò come un serpente a sonagli, dopo che ebbe fulminato coloro che ci fissavano, spaventandoli a morte probabilmente. “Sei una vampira con i contro cazzi, passami il termine, e ti sei fatta mettere sotto da quattro guardie smidollate – perché non credo che abbiamo messo la crème de la crème di Vol…”
“Senti un po’, Miss Ce-L’-Ho-Solo-Io, ti sei mai fermata un instante a riflettere sul fatto che forse, e dico forse, ci sia qualche motivo in più se non vi ho parlato dei fatti miei?!” urlai alzandomi, facendo crollare la sedia.
“E tu hai mai pensato a noi?!” replicò infuriata Rosalie, imitandomi. Le persone intorno a noi, comprendendo che c’era un qualcosa di più nel nostro litigio, iniziarono ad allontanarsi.
L’irritazione si trasformò in odio.
“Certo che ci ho pensato!”
“Come la tua famiglia, Isabella?!” aggiunse crudele “Ti sei mai fermata a pensare che noi tutti ci sentiamo legati a te per vincoli d’affetto?! Che noi non siamo i Volturi?!”
Boccheggiai un attimo, priva di una risposta. Sì, ci avevo pensato; ma mi faceva paura il riflettere su una cosa così grande e nuova, che li legava a me indissolubilmente. Mi faceva paura pensare di legarmi realmente a ognuno di loro.
“Lo vedi” sibilò trionfante Rose “Lo vedi perché sono così arrabbiata? Lo capisci? Per questo” indicò con un gesto plateale tutta la mia figura “Per tutto questo infantile altruismo, che non è altro che una maschera per la tua egoistica paura di soffrire ancora una volta un abbandono”
“No! Non è vero!” gridai in risposta.
“Sì invece! Sì, lo sai benissimo!” m’ interruppe “E sai cosa mi fa più arrabbiare? Il fatto che preferisci “immolarti” per noi, salvarci la vita, come dici, piuttosto che fidarti di noi!”
Si risedette di schianto, fissandomi con astio. “Ed è questo che mi fa più male” concluse con tono tetro “Che tu non ti fidi di noi. Che non vuoi far parte di questa famiglia. Cosa credi, che siamo i tuoi dei semplici custodi legali? Non hai visto che hai fatto a Carlisle, all’arrivo di Eleazar? L’hai pugnalato, Isabella: hai preferito credere subito che fosse lui il bugiardo, il cattivo, piuttosto che fidarti del suo affetto. Per non parlare di Esme, o Alice. O Ed, Em o Jasper – accidenti! Non ti accorgi di quanto affetto tutti noi proviamo per te. Non vuoi accorgertene, oppure non lo vuoi accettare. E dici di volerci salvare per cosa? Per avere la coscienza pulita almeno sulla questione Cullen? Ma per favore! Preferirei mille volte morire tra le mani di Aro sapendo che almeno un po’ delle tue parole sono state sincere, piuttosto che vivere per l’eternità sapendo di essere stata presa in giro da te!”
Rimasi in silenzio a guardarla.
“Finisci di mangiare” mi ordinò Rose tornando a fissare il nulla.
“Tu… tu pensi che io sia fatta di pietra?” sibilai nervosa, ottenendo nuovamente la sua attenzione. “Ma come ti permetti?! Sei… un’arrogante!"
“Io sarei arrogante?”
“Sì. Tu, che ti ergi a giudice e mi condanni senza appello e senza darmi la possibilità di spiegare”
“Hai avuto tre mesi, Isa. Tre mesi per prendere fiato e dirci la verità!”
“È certo, perché è così facile!” urlai di rimando “Allora perché non parli tu, Rose, eh? Perché non prendi fiato e mi fai luce sulla tua esperienza, visto che sei una donna così vissuta?!”
Lei s’irrigidì tutt’a un tratto, i lineamenti contratti per la rabbia o per qualsiasi cosa l’avesse improvvisamente ghermita. Beh, non m’importava. Che soffrisse, visto che sembrava sapere così tanto di me senza che io le avessi mai letto il mio diario segreto delle vere amiche, pieno di sogni e speranze infrante!
“No. No, certo che no, non ti puoi abbassare a tanto” la incalzai “Predichi bene e razzoli male, Rosalie. Ma sei fortunata, perché a me non interessa saperlo. Non m’interessa la storia della tua vita estorta con la forza, mi piacerebbe molto di più che fossi tu, in prima persona, a parlarmene. E sai perché? Perché io a te ci tengo, davvero. A te, come a tutta la tua famiglia, come hai gentilmente sottolineato. Tua, non mia. È stata una mia scelta non unirmi al club Cullen? Sì. Eccola la verità, la merdosa verità che vai cercando: io non voglio essere una Cullen. Non voglio, perché significherebbe affrontare cose che… che…”
La verità premeva lì, sulle mie labbra, pronta per uscire. Ma caparbiamente e con paura mi morsi il labbro e le diedi le spalle. “Vaffanculo!” sbottai, rivolta a lei e a me stessa, prendendo di corsa la via per le scale.
Cercai di arrivare presto fuori per essere libera di fuggire ma Rose mi raggiunse facilmente afferrandomi un braccio. Era livida.
“Stavolta no. Stavolta non ti lascio scappare, Isabella” m’intimò, trascinandomi Dio solo sapeva dove. Tentai di divincolarmi e scappare ma non mollò la presa. Allora la morsi, con tutta la forza che avevo, stando però attenta a non iniettarle il mio veleno.
Le sfuggì un gridolino seguito da un’imprecazione a denti stretti, ma oltre a una brutta occhiata non fece altro. Mi scortò verso una zona poco frequentata e senza troppi complimenti mi gettò per terra, in mezzo a una pozzanghera. Ringhiai.
“Abbi il fegato di dirlo, Isabella. Abbi il fegato, per una volta in vita tua, di esprimere il tuo cazzo di punto di vista!” mi urlò contro, acquattandosi leggermente.
“Altrimenti che fai, bionda?” la sfidai con un ringhio.
“Ti precederò” mi rispose con un sorriso, accettando la mia sfida; ovviamente si aspettava questa reazione, perché lei era Rosalie Cullen, la Lungimirante dalla Soluzione Sempre Pronta. “Sono certo che un paio di mani in più, soprattutto se Cullen, allo zio Aro faranno piacere”
Persi tutta la grinta che avevo in corpo, inorridita alla sola idea. “Non ne avresti il coraggio…” tentai debolmente.
“Ho fatto cose peggiori, Isabella. Non sfidarmi” disse lei seria più che mai “Io, per la mia famiglia, farei di tutto. E che ti piaccia o no, tu fai parte della mia famiglia. Se questo è l’unico modo che ho per poterti aiutare, non ho paura”
“Sei… sei…” boccheggiai “Crudele”
Lei sorrise amaramente. “Non me lo avessero mai detto…” sogghignò. Si riscosse con un cenno imperioso del capo. “E comunque, tu cosa credi di essere? Pensi che il tuo comportamento sia diverso dal mio? Pensi di essere meno arrogante di me, perché ferisci le persone in silenzio invece che con fatti o parole? Vorrei sapere dov’è la differenza tra me e te”
Rimasi in silenzio, messa alle strette.
“Allora? Non ho tutto il giorno – anche perché se devo andare a fare le valigie ci vorrà un po’ per scegliere le scarpe giuste” mi provocò.
Mi conficcai le unghie nel palmo delle mani, tremando. Eccolo. Eccolo lì, sottoforma di mia sorella, il mio tutto. Persino peggio dei Volturi, sottoforma di Rosalie Cullen.
“Ti odio” sibilai chinando il capo.
Sconfitta. Di nuovo, per colpa… nostra. Di nuovo sconfitta dalla realtà che rifiutavo.
“Come, prego?”
Ringhiai. “Ti odio! Ti odio, ti detesto! Disprezzo te e… e tutti quelli come te!” urlai infine, alzandomi in piedi con i pugni serrati. “Tu, il tuo fottuto carattere arrogante! La tua fottuta certezza di essere perfetta! E la fottuta perfezione che ostenti! Odio tutto, tutto di te!”
Scattai in piedi, sporgendo il mento in fuori, provocandola con lo sguardo “Sei contenta, adesso?! Hai raggiunto il tuo scopo. Sei soddisfatta?! Lo ammetto, così ti sarà più chiaro: odio i vampiri. L’idea di essere un mostro mi repelle. Non riesco a sopportare l’onta di essere immortale, di essere bella, di dover vivere a spese di esseri umani, di fingere di essere qualcosa che non sono più! Non sopporto di essere stata privata del sole, delle belle giornate, di una vita normale, perché così hanno voluto altri vampiri! Non tollero di essere un mostro come tutti voi!”
Iniziai a camminare avanti e indietro tra le due pareti degli edifici che ci circondavano, in trappola. “Mi faccio schifo… così tanto, tanto schifo. E anche voi!” la aggredii con lo sguardo e con la voce “Voi tutti, vegetariani e non. Non c’è differenza, non ce n’è alcuna: mostri sie… siamo, indipendentemente dalla dieta che ognuno sceglie di seguire. Esseri spietati e senz’anima, assassini e mostri! Arroganti, perché storpi come siamo ci siamo autodeterminati esseri perfetti! Gli umani sono inferiori, dite; beh, io la trovo la più grande stronzata che sia mai stata messa in circolazione! È solo gelosia mascherata! L’idea di essere della stessa razza… no, scusa, ho sbagliato. Io sono anche peggio! Io sono l’Envrial, l’Evoluzione dei Vampiri. Hai capacità straordinarie che però non vuoi utilizzare… Forse con un incentivo… Incentivo un cazzo! Non voglio utilizzare niente perché l’idea che i miei poteri siano reali, che Isabella Swan, l’umana, sia morta, mi terrorizza! Voltura, Cullen, Denali… l’idea di appartenere a un clan mi disgusta e mi spaventa, perché sarebbe come ammettere che Isabella non esista più! E io non voglio! Preferisco… preferisco essere masochista, e sì, lo ammetto anche… anche…”. Scoppiai a piangere, disperata “Anche che altri muoiano, pur di continuare a fingere di essere umana. Di essere me stessa”
Scivolai sul terreno con la schiena al muro, passandomi una mano tra i capelli. Come se un gesto del genere potesse spazzar via tutto lo schifo che avevo addosso, facendomi dimenticare il disgusto che provavo per me stessa.
“E poi siete arrivati voi” sibilai, perdendo il tono di rammarico per assumere la vera sfumatura delle mie emozioni: il rancore . “Voi e la vostra condotta così equilibrata, così giusta. E… mi avete fatto vedere che c’è la possibilità di essere felici anche… anche dopo. E mi sono sentita… così deprecabile, così… mostruosa, non più per la mia nuova natura, ma per la mia condotta, per i miei pensieri… perché una piccola parte di me prova gusto, nell’uccidere. Gode della sofferenza altrui. Ama essere vampira. E io l’ho rifiutato per paura! E allora vi ho osservato, e lì ho capito cosa vedesse Aro di minaccioso in voi. Cosa mi stesse spingendo a cambiare. A… a trovare il coraggio di lasciare andare la memoria. Di… accettarmi, o almeno provarci. E… e io volevo essere perfetta per voi. Volevo accettare anche ciò che disprezzo più di ogni altra cosa. Così ho iniziato a cercare… e godere, degli aspetti positivi ma… ma adesso che ho capito cosa pretende Aro da me… cosa sono costretta a scegliere e… e così tante altre cose… cose vecchie e nuove e io…”
Mi nascosi il volto tra le mani. Mi vergognavo così tanto, in quel momento. Così tanto…
Le braccia di Rose si strinsero attorno alle mie spalle, fornendomi un appoggio, un legame per sfuggire a quell’ondata di rammarico che cercava di sommergermi. Rammarico dell’umana, della Vampira, della Voltura e della Cullen… tutti gli aspetti che in quei tre anni erano andati a delineare la me vampira.
“Ti giuro che ho… ho provato, per un po’, a lottare”. Sentivo il bisogno di confessarmi con Rose, perché per la prima volta era certo che fosse l’unica persona in grado di comprendermi realmente “Ma quando ho capito che stavo accettando l’idea della mia mutazione sono… scappata” terminai con ramarico “Sono una codarda, Rose. Non voglio affrontare la realtà. Preferisco fingere di volermi semplicemente immolare per voi, perché è la via migliore per... cioè no” mi corressi. “Ciò che vi ho detto ieri sera è tutto vero. Anche ciò che ho provato, ogni parola che ho detto era sincera. Ma non posso nascondere che sia stata anche una via di fuga, per me, il poter rimandare la data della scomparsa della me… umana”
Mi raggomitolai sulle ginocchia. “Mi manca Isabella Swan” sussurrai, chinando poi il capo.
“Sono una stupida” sputai “Una stupida ragazzina, aggrappata a un passato che non potrà avere indietro” mi accusai “E ho sputato in faccia all’unica cosa bella della mia… eternità. E la cosa peggiore e che me la caverei alla grande nell’essere una Cullen!” strepitai isterica. “Cazzo, riuscirei anche a passare per la figlia biologica di Carlisle, per quanta brama ho di sentirmi bene. Sarebbe la prima volta per me di sentirmi accettata. Sono stata strana da umana, sai? Del tipo che preferisce sognare ad occhi aperti, stare da sola con un libro o un foglio bianco piuttosto che a una festa o altro… e come vampira sono unica. Unica, capito? Non riesco neppure a rapportarmi con gli altri vampiri, neanche volendo. Cazzo, qual è il mio fottuto problema?” strepitai infine, sentendo le lacrime di rabbia scorrermi sulle guance. Presi a pugni il cemento per sfogarmi un po’.
Rosalie mi osservava in silenzio. Si sedette per terra, facendomi spazio per permettermi di poggiarmi al suo seno, continuando a carezzarmi i capelli con fare materno, rassicurante
Singhiozzai ancora un po’. “Sono una stupida” conclusi “Una stupida, e una bugiarda. Una stupida, bugiarda e… melodrammatica. E pensare che odiavo la gente che si disperava per un nonnulla”
Rose si limitò a lisciarmi i capelli “Beh, proprio non nulla non è” sussurrò provando a fare dell’ironia, per poi assumere un tono più serio. “Lo so, Bella. So che sei una stupida, una bugiarda e che l’unica volta che ci hai detto l’assoluta verità è stato ieri sera. Ma non capisco perché solo ieri, Isa: ti facciamo davvero più paura o schifo dei Volturi?”
“Voi siete peggio, te l’ho detto” ammisi controvoglia. La sentii emettere un gemito frustrato.
“Perché voi mi state spingendo a essere me stessa. Mi state sbattendo in faccia tutti gli errori di una vita. Mi state costringendo a… migliorare” sussurrai piena di vergogna “Sono una codarda, Rose, lo ripeto. È molto più facile scappare, per me. Hai ragione a dire che sono masochista, ma… non voglio provare a essere una Cullen. Ci riuscirei benissimo, ma…”
“E basta con questi se, ma, quando!” esclamò agitata, dandomi una leggera botta sul capo “Smettila! Perché in questo momento, con tutte queste paturnie, sei tu che mi stai facendo ricordare cose spiacevoli!”
Alzai finalmente il capo per guardarla, ma lei fissava ostinatamente il muro. “So come ti senti, Isabella. Credimi, io non accetto assolutamente, ancora oggi, la nostra condizione. Provo il tuo stesso rammarico, il tuo stesso… disgusto”. Fece una smorfia a quella parola. “E anche per me, alle volte, diventa difficile sopportare la vista della mia famiglia. Di me stessa”
In quell’istante, mi sembrò molto più vecchia, molto più matura e grande di me. E anche infinitamente più triste. “Io più di tutti mento a me stessa, in quella casa. E più di tutti mi ritrovo a combattere la nostra natura. Perché siamo mostri, Isabella, siamo disgustosi mostri succhi-sangue!” ringhiò arrabbiata “Ci sono ben poche cose peggiori di noi al mondo. I tuo biasimo, il tuo rancore… li sento come se fossero i miei, perché io la penso esattamente come te. Dopo quasi un secolo, io la penso esattamente come te. E ad accettarmi faccio ancora fatica! Tu almeno ci hai provato, hai tentato! Se non fosse per Emmett io…”
Tacque, stringendo le labbra per tacere. Non insistetti, non ne avevo proprio il diritto.
“Però…” riprese, tornando a fissarmi. “Però non siamo sole, Isabella. Abbiamo la nostra famiglia. Per fortuna, abbiamo Carlisle, Esme, Alice e Jasper, Emmett e Edward” concluse con un leggero sorriso, che divenne un ghignò “La nostra disgustosa famiglia di mostriciattoli”
Chinai il capo mortificata, arrossendo. “Il problema è che non riesco a vedervi come mostri. Non voi. Però, più sto vicino a voi...”
“Più vedi quanto mostruosa e sbagliata sia tu” completò lei. “Credimi, lo so bene. Abbiamo la stessa visione della condizione d’immortale”. Fece una pausa, poi ghignò “Beh… un po’ tutti siamo dei mostri, se ci paragoniamo a San Carlisle Della Perpetua Speranza. E anche lui ha le sue paturnie. Ah, meno male che si gode il sesso, almeno”
“Rose!” esclamai allibita.
“Che cosa pensi, che giochi a scarabeo con Esme?” replicò “Guarda che Carlisle batte chiodo più di tutti noi messi insieme”
“Rosalie!” esclamai in imbarazzo per lui “Sembri Emmett! Non puoi parlare così di…”
“Di papuccio?” rise lei “Se vuoi sparliamo di Jasper”
“No, grazie” replicai.
“Bella?”
“Uhm?”
“Non te la sto facendo passare liscia” disse seriamente “Questo discorso deve servire al tuo cambiamento. Perché – ammettiamolo entrambe! – non possiamo tornare indietro. Non possiamo riavere la nostra vita normale. Carlisle aggiungerebbe che Dio ci ha fatto dono di un’altra possibilità a che dobbiamo viverla al meglio e molte altre cose buone e positive da buon cristiano. Ma io non sono credente, e sinceramente non me ne frega un accidente della seconda possibilità, considerato come è andata la prima. Una volta mi è bastata, in questo purgatorio.”
Posò il capo contro il muro, rimanendo in silenzio per un tempo lunghissimo.
Dopo aver contatto quattrocentododici dei suoi respiri, ripresi la parola. “Allora… cosa facciamo?”
Lei si permise un mezzo sorriso. “Ah, non ne ho idea” rispose girandosi verso di me “Speravo potessi dirmelo tu”
Non mi unii al suo tentativo di allegria. “Non voglio essere una vampira”
“A questo c’è un solo rimedio: la morte” replicò lei con lo stesso tono “Per te potrebbe essere una liberazione, ma gli altri ne dovrebbero affrontare le conseguenze. E spero per te che l’anima non esista altrimenti appena calerà il sipario sulla mia vita verrò a cercarti e ti prenderò a calci in culo per l’eternità”
Mi cinse le spalle con un braccio. “Se però il tuo timore maggiore è quello di dimenticare te stessa, allora cerca di imprigionare la tua memoria in qualche modo. Dobbiamo accettare entrambe che i cambiamenti siano inevitabili anche e soprattutto in noi che ipocriticamente, come hai detto tu, ci definiamo immutabili. Chi lo sa, magari domani scoprirai che questa Bella ti piace di più di quella di prima”
“Sono punti di vista”
“Appunto. Forse è giunta l’ora di mutare prospettiva”
L’Angolino che Vorrei:
Buonsalve
a chiunque sia giunto fin qui, dopo ventitré pagine di word e aver perso la
vista. Prima scusa va a quest’ultimi
lettori: per lo stile, lo ingrandirò dal prossimo, ampliandolo a tutta la
storia, al mio rientro tra dieci giorni.
Secondo
tipo di scuse a tutti coloro che si aspettavano una Bella più combattiva: anche qui piange un po’, ma non temete, nel
prossimo (incrociando le dita) lascerò che si sfoghi su Edward.
Non vorrei
sprecare molto su questo capitolo, perché lo sento mio. Bella esprime la mia rabbia durante il periodo in cui ho
abbandonato le mie convinzioni, e Rose
la santa donna che mi ha fatto risalire (Meow,
questo è per te).
Amo
la mia Tanya. Amo la mia Tanya insieme
alla mia Bella. Voglio scrivere assolutamente qualcosa anche su loro due come
coppia. Un assaggio ci sarà nel
prossimo capitolo, che è praticamente finito, devo solo decidere se allungarlo
un altro po’ con EdwardCar alla riscossa o lasciarlo così.
… Forse è il caso di trasformare questa storia in
una serie, e concentrarmi di più sul resto della trama.
Cercherò
di aggiornare entro il 15 di agosto, perché poi ci saranno delle belle, sia
nella mia vita che nella storia.
Ah,
le scuse sul ritardo stavolta non le metto, perché ero giustificata: MATURITA’
CLASSICA, e ho detto tutto.
Per i
commenti, gli Avada Affanciulo, le
lacrime, le maledizioni o le curiosità, vi prego di lasciare un commento o
scrivermi una mail privata.
Le
risposte alle scorse recensioni vedranno la luce al mio ritorno.
Un bacio
a tutti, chi mi segue da sempre e non si è arreso, chi mi ha scoperto per caso
e chi mi legge per scommessa!
Marzia