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Autore: Usagi Kou    19/07/2013    9 recensioni
“E dai, piantala! Da quello che hai detto ieri solamente tu, lui e forse Carlisle non si sono realmente resi conto dei tuoi sentimenti” sbuffò lei “Tu perché eri in piena crisi mistica, Ed perché è un coglione e Carlisle, beh, per il semplice fatto che tu sei la sua preziosa bambina”. […] “E comunque sia, Bellina, non aspettarti vita facile con Eddy. Ti sei scelto uno tanto bello quanto pieno di psicologiche turbe”
“Non hai visto che hai fatto a Carlisle, all’arrivo di Eleazar? L’hai pugnalato, Isabella: hai preferito credere subito che fosse lui il bugiardo, il cattivo, piuttosto che fidarti del suo affetto!”
“Abbi il fegato di dirlo, Isabella. Abbi il fegato, per una volta in vita tua, di esprimere il tuo cazzo di punto di vista!” mi urlò contro Rose, acquattandosi leggermente.
“… Una parte di me prova gusto, nell’uccidere. Gode della sofferenza altrui. Ama essere vampira. E io l’ho rifiutato per paura! E allora vi ho osservato, e lì ho capito cosa vedesse Aro di minaccioso in voi! Ma… ma… Ma io non tollero di essere un mostro come tutti voi, siate Volturi, Denali o Cullen!”
“Sono una codarda, Rose”
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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SGT 33

Capitolo 33 – Punti di vista.

(Primo Passo) 

Bella’s pov.

“… E quindi pensi che sia tutto inutile?”
“Per il momento sì. Non ascolterà nessuno”
“Come al solito”. Il cigolio sordo di una porta che si chiudeva.
“Poggiala lì, sul tavolo”
“Pensi che sia una scelta giusta?”
“Credo che sia semplicemente una scelta, Carmen. Giusta o sbagliata sarà il futuro a mostrarcelo”
“Sì, ma forse potremmo intercedere noi”
Una risata calda, appena accennata. “Noi? Con le teste calde che ci ritroviamo a dover affrontare?”. Ancora quella risata. “No, non ci sperare”
“Possiamo sempre guidarli. Dar loro un suggerimento”
“Non credo”. Questa voce era molto più vicina delle altre a me. “Che lo seguirebbero. Faranno di testa loro come al solito. Creando soltanto caos, aggiungerei”
“Che poi dovrà essere sistemato da noi, come al solito”. Uno sbuffo. “Ah, che fatica essere genitori!”
“Onori e oneri, Carmen”
“Sarebbe molto carino se ogni tanto ci dessero ascolto subito, senza dover prima mandare all’aria il loro mondo”
“E che gusto ci sarebbe nel crescerli se non distruggessero le loro opinioni ogni volta? Il vederli cambiare a seguito dei loro errori, migliorare…”
“Carl, alle volte sei davvero troppo filosofo”
“Solo perché tu osservi il mondo con un’ottica troppo calcolatrice, Elly
“Ma dico, scherzi? Io vendo dalla calorosa Spagna, dove si pensa con il cuore. Ho la passione…”
“Nei lombi?”
“Non nel sangue, voglio sperare”
“Nel cuore”. Borbottio offeso.
Mugugnai una protesta, dando le spalle a quelle voci. La testa, le palpebre, il corpo… tutto era troppo pesante. Anche il cuore, in una maniera quasi incredibile.
Due labbra fresche sfiorarono la mia fronte, così mi costrinsi a riemergere dal mio torpore per alzare il viso incontrando gli occhi scuri di Esme sopra di me. “Sei sveglia, allora” attestò.
Arrossii. Borbottai una risposta vagamente affermativa, abbassando lo sguardo.
La sentii emettere un piccolo sbuffo, prima che sfregasse le mani sulle mie braccia e si alzasse. Mi tirai su anch’io, notando così Carmen seduta al bordo del letto, Eleazar appollaiato sulla mia scrivania, che faceva dondolare pigramente un piede nel vuoto, e infine Carlisle con in mano una tazza fumante, in piedi vicino al piccolo comò.
Hola!” mi salutò calorosamente Carmen “Stai meglio, piccola?”
Annuii, non trovando la forza di parlare. Carlisle posò la tazza e si avvicinò a me, inginocchiandosi  per trovarsi alla mia altezza. Mi scrutò a lungo, senza parlare, mentre io stringevo forte la mia coperta a disagio.
Sospirò, rialzandosi. “C’è del the appena fatto, qui” disse, dandomi le spalle “Bevilo piano”
Si avviò verso la porta, seguito da Esme, ed entrambi se ne andarono senza voltarsi, chiudendosi poi la porta alle spalle.
Non distolsi gli occhi dal legno chiaro, senza capire, senza riuscire a dare una spiegazione a quella situazione, senza… capire.
Sapevo solo che ero esausta, spossata, e sola. Per la prima volta, in casa Cullen, ero completamente sola.
Chinai il capo, fissando la trapunta che stavo martoriando con le dita; avevo la spiacevole sensazione di non aver compreso tutto, di aver fallito. Ero confusa, e stanca e… tanto stanca.
“Piccina”. Carmen venne al mio fianco a passo umano, forse diffidente, forse per lasciarmi il tempo di allontanarla nel caso non avessi gradito il suo gesto. Non feci nulla se non tornare a guardare la porta, così lei si sedette; lentamente, portò una mano verso il mio volto per scostare alcune ciocche dalla fronte.
“Sono andati via” osservai sbalordita, continuando a guardare la porta, sperando di vederli tornare con un'altra coperta, la colazione, un qualsiasi motivo che spiegasse perché se ne fossero andati senza parlarmi. Poi, però, realizzai.
“Sono… andati via” soffiai abbassando il volto. Annuii. “Va bene. È la cosa migliore”
Si erano arresi. Era ciò che volevo, no?
“Oh, no, tesoro! No!” mi riprese Carmen, prendendo il mio volto tra le mani e fissandomi compassionevole. “Non se ne sono andati via per quello che hai detto tu, sciocca! Assolutamente. Né Carlisle né Esme sono il tipo, non ti sembra?”
“Ma sarebbe giusto” replicai scuotendo il capo “E poi è… è quello che volevo, no?”
Eleazar schioccò la lingua contro il palato. “Por favor! Basta cazzate!” commentò esasperato “Neppure tu sei convinta di quello che dici, avresti mai potuto convincere tutti noi?”
Mi ritrassi a quel tono duro, o forse semplicemente dalla sua persona, mentre le braccia di Carmen mi avvolgevano protettive. Non sono quelle di Esme, osservai.
“Ma tu quanto sei stupido da uno a dieci?” lo sgridò, per poi concentrarsi su me. “Tesorino, ascolta: nessuno dei Cullen qui ha creduto davvero a ciò che hai detto – Davvero, ha detto certe assurdità così grosse!... E non sono neppure disposti ad abbandonarti. Tu sei importante per loro, non lo vedi?”
Scossi il capo, rendendomi cieca e sorda alle sue parole.
“Smettila di essere così sciocca e arrogante, Isabella!” mi rimproverò Eleazar facendomi sussultare. Arrogante… di nuovo questa definizione.
Lo sentii scendere dalla scrivania per avvicinarsi a me e non potei impedirmi di rabbrividire.
“Non ho intenzione di farti nulla” borbottò con voce cupa, arrestandosi “Sono solo incazzato, ma non userei mai violenza su una bambina. Non che la apprezzi…”
“Ciò non ti da il diritto di spaventarla così” lo rimproverò Carmen, stringendomi a sé.
“N-no… non litigate, per favore” borbottai.
“Non litighiamo certo per te, tesoro” riprese Eleazar.
“È solo che fondamentalmente mio marito è una persona sciocca e priva di tatto” puntualizzò Carmen.  Eleazar borbottò qualcosa in spagnolo. “Ascolta, Isabella: noi due comprendiamo che ciò che hai… rivelato, ieri sera, corrisponde al vero, ma se neppure tu credi alla storia di essere solo un burattino nella mani di Aro, come pensi lo abbiano potuto pensare i membri della tua famiglia?” proseguì lei.
Tremai. “Ma è così…”
“Il fatto che sia così, non implica che tu lo renda possibile!” sbuffò lui interrompendomi. Vedevo che si sforzava di mantenere il controllo della sua voce, eppure, su certe sillabe, il tono gravava o si alzava improvvisamente. E, nella mente, trovai quasi buffo come l’accento spagnolo stesse vincendo sulla parlata americana. “Insomma, hai un cervello no?! Non credo sia andato in pappa a causa della trasformazione, anche se considerando il veleno di Jane potrebbe essere possibile”
Carmen emise un piccolo sibilo di ammonimento.
Mi Amor, parleremo dopo del tuo ritrovato desiderio di maternità. Ora sto facendo un discorso accorato” replico lui “E poi, se anche fosse, un maschio: siamo in netta minoranza”
A mio discapito mi scappò un sorriso e il vampiro se ne accorse. Colse l’occasione per avvicinarsi al letto e sedersi in fondo, mantenendo le distanze per non spaventarmi, e addolcì i tratti del viso facendo scemare un po’ di quella rabbia che aveva nello sguardo.
“Isabella, tu hai la possibilità di scegliere” proseguì in tono più carezzevole “non devi immolarti per nessuno. Né subire passivamente. Il fatto che tu sia riuscita a prevedere le mosse di Aro non è un male, anzi: ci dà la possibilità di preparare una contromossa. Senza che nessuno si sacrifichi” aggiunse notando il mio tentativo di replica “Si chiama prevenzione. Non devi morire tu, né i Cullen, né noi. E non pensare che i Volturi siano amati da tutti, anzi. Oltre alle guardie, nessuno è loro devoto. Hanno solo paura delle loro reazioni offensive”
“Aro li vuole morti” osservai spaventata.
Scosse il capo. “Vivi. Lo sai anche tu che li vuole vivi. Forse vuole morto Carlisle per averlo sfidato, ma la sua famiglia ha doti troppo particolari per essere sacrificata. Tenterà di salvaguardarla e ciò manterrà in vita anche Carlisle”
Tremai. “Mi ha usata. Mi sta usando per…”
“Ti sei ribellata, e ti stai ribellando” mi corresse Carmen “Non sei proprio il tipo da farsi mettere i piedi in testa”
Non risposi, chiudendo gli occhi. Le loro parole erano sbagliate, così tanto sbagliate…
“Isabella, hai solo due scelte davanti a te” esclamò infervorato Eleazar “restare e combattere, o tornare e soffrire, tralasciando le implicazioni di quest’ultima follia. Ma da qual che hai detto, sembra che tu abbia già deciso per la seconda”
“I-io…” pigolai “Non ho detto che… voglio tornare…”
“E allora perché siamo qui a discutere?”
“Perché devo, Eleazar!” sbottai irritata, cancellando le lacrime dal mio volto con un gesto stizzito “Devo! Non sto mica qui per asciugare gli scogli o per le grandi attrattive offerte da Forks… Avessi davvero potuto, non avrei mai messo piede in questa casa, sarei scappata molto prima! Ma…” persi tutt’a un tratto l’ardore che mi aveva infiammato solo pochi istanti prima, abbassando nuovamente la voce “Devo proteggere questa famiglia. Devo salvaguardare i Cullen, e… e tutti quelli che ho amato prima di questo… di questa merda!”
Tacquero entrambi, scuri in volto. “Pensi… che stiano facendo seguire i tuoi…?” iniziò Carmen.
“Di certo mia madre e la sua famiglia” mormorai “Le allusioni di Caius erano sin troppo marcate. Non credo che stiano facendo pedinare i miei amici, perché sarebbe un dispendio di forze inutile. Sinceramente, credevo che stessero pedinando anche me, ma a quanto pare Aro si fida delle mie…capacità persuasive”
Sciolsi l’abbracciò di Carmen per posare la schiena contro la testiera del letto. Avevo dormito parecchio, lo avvertivo, eppure mi sentivo di nuovo priva di forze.
“So che ho già creato troppi disturbi a questa famiglia, però…” mi morsi il labbro, agitata. “Che devo fare?” mormorai pianissimo.
“Quello che ti senti”. Le mani di Eleazar si allungarono lentamente verso le mie, aspettando che mi allontanassi; vedendo che non reagivo si permise di stringerle tra le proprie.
“Devi fare ciò che vuoi, ora che ne hai la possibilità” proseguì gentile “Afferrale, queste possibilità, divertiti. Vivi. La soluzione non la troverai sicuramente oggi. E no, quella che hai proposto non è una soluzione”
“Tutt’al più è una tragedia” sogghignò Carmen.
“Ma ti prometto” proseguì Eleazar, con la voce tremante per la sincerità delle sue parole. “Ti giuro, sulla mia vita, che ti aiuterò. Farò qualsiasi cosa per… ottenere il tuo perdono”
Scivolò verso il pavimento, inginocchiandosi e fissandomi dritto negli occhi. Arrossii, non sapendo cosa fare, cosa dire. Che accedenti era quello? Che vuole fare?!, I miei pensieri erano un tantino isterici. 
“Dammi la possibilità di proteggerti” disse solo.
Eh?”
“Sono stato io a condannarti a questo destino” disse serio “La colpa della tua sofferenza è solo mia. Ciò che ti è capitato è stato per la mia mancanza di coraggio. E il debito che ho nei tuoi confronti è troppo grande perché la mia semplice dipartita da questo mondo possa saldarlo. Perciò, ti offro la mia protezione, la mia esperienza e le mie capacità, in pagamento di questo debito. Ti aiuterò a scappare se lo vorrai, e ti difenderò anche con la vita se necessario. Da oggi sarò tuo schiavo”
Sentii la presa sulle mie mani aumentare mentre gli occhi di Eleazar divenivano di fuoco “Dammi la possibilità di proteggerti” ripeté accorato.
La mia mente non riusciva a elaborare il surrealismo di quella scena: Eleazar, il mio… qualsiasi cosa fosse stato prima di quei due giorni, rivelatosi non solo il Generale di Volterra, ma anche lo zio dei Cullen, si stava offrendo come… templare?, per proteggere me.
Lo fissai scioccata e iniziai a scuotere velocemente il capo. “N-no” balbettai, tentando di sfuggirgli. “Non posso… non voglio…”
I suoi occhi sinceri si specchiarono nei miei e il mio pensiero volò ad un altro paio di occhi.
“Non ti sto mentendo, Isabella” continuò lasciandomi una carezza prima di riafferrare le mie mani “né tantomeno voglio che tu abbia la mia morte o la mia vita sulla coscienza. Voglio proteggerti. Voglio aiutarti a salvare i Cullen, la nostra famiglia. Voglio… il tuo perdono. Per averti lasciatp lì, da sola; per non averti salvata. Voglio che tu possa fidarti di me, volermi bene. Voglio che tu non abbia più paura. Voglio essere tuo zio. Voglio farti regali, litigare con Carlisle per il tempo che vogliamo trascorrere con te. E voglio il tuo sorriso, sempre, sul tuo volto, come tutte le persone che ti amano”
Non riposi. Cosa potevo dire? Che si rispondeva a una cosa del genere?
Chinai semplicemente lo sguardo sul copriletto, mentre lui stringeva la presa sulle mie mani.
Carmen fischiò, divertita, rompendo l’atmosfera pesante che si era venuta a creare. “Però!” sghignazzò “Il grande Generale di Volterra, capo della Guardia Personale di Aro, china il capo di fronte a una ragazzina”. Mi fissò divertita. “Come hai fatto?” domandò “Non si era mai inchinato di fronte a qualcuno. Nemmeno di fronte ad Aro. Era stato ai suoi ordini, ma non si era mai sottomesso a tal punto. Neppure quando mi ha chiesto risposarlo si è inginocchiato!”
“Ti ho fatto una serenata, moglie ingrata” borbottò piccato in risposta.
Sorrisi solo un attimo, per poi sospirare. “Eleazar… non posso” sentivo le lacrime pungermi gli occhi “Non ti voglio, né c-come schiavo né come g-guardia. E non voglio n-neppure che tu m-muoia”. Chinai il capo. “L’unica c-cosa che voglio è la libertà” sussurrò “Ma nessuno me la p-potrà dare”
“Vedremo” promise, e prima che potessi replicare, sorrise. “Oh, beh, almeno posso farti da zietto. Comprarti regali, farti felice…”
“Non so perché, ma suona tantino squallida e depravata come cosa” disse Carmen
“Non è vero!”
“Sì, invece!”
“Donna, non provocarmi!”
“Uomo, non starai tentando di darmi ordini?!”
Li guardai perplessa. Ma non stavamo facendo discorsi seri e tragici qualche secondo fa?
Carmen lasciò perdere il battibecco con il marito, schioccandomi un sonoro bacio sulla guancia. “Fatti una doccia, querida. Poi scendi. Abbiamo solo altri due giorni da passare insieme”
“Ti aspettiamo tutti di sotto, Bella” aggiunse Eleazar alzandosi, anticipando di poco i movimenti della moglie. Entrambi mi rivolsero un sorriso prima di lasciarmi da sola.
Fissai attonita la porta per qualche secondo, prima di gettarmi sulle coperte con uno sbuffo.
Un vampiro può avere mal di testa?, mi domandai, sentendo le tempie pulsare per i troppi avvenimenti. Dovrò chiedere a Carlisle.
Già, Carlisle che non mi parlava. Che era uscito dalla camera senza rivolgermi una parola o uno sguardo. Come Esme.
Fissai per qualche secondo la tazza sopra il mio comodino, poi mi alzai per cercare nell’armadio qualcosa da mettermi. Era un bene, dopotutto. Era quello che volevo, no?, riflettei andando in bagno.
E allora perché mi sentivo così male al pensiero di averli delusi? Di averli realmente portati ad accettare che io fossi un pericolo per loro?
Si erano davvero arresi, con me?
Mi lavai i capelli impiegando più del dovuto, perché il massaggio alla cute che di solito aveva il potere di tranquillizzarmi non sembrava sortire il suo effetto.
“Dovrei chiedere scusa…?” soffiai al vapore.
E se anche gli altri avessero reagito in quel modo, una volta scesa in salone? Con mutismo, lasciando la stanza… lasciandomi sola.
Repressi le lacrime con un piccolo gemito, raggomitolandomi sul fondo della doccia mentre l’acqua calda mi colpiva la schiena. Se era quello che realmente volevo, che si allontanassero per non essere catturati (o peggio), dov’era il problema? Perché quella tristezza? Era la cosa più giusta, dannazione!
Li amo, osservai, Come si può essere lieti di ferire qualcuno a cui si tiene così tanto?
Era necessario. Era necessario, e ora che la verità era venuta fuori ne avrai pagato le conseguenze.
Annuii, fingendomi forte. “È necessario”
Mi rialzai e mi sciacquai velocemente, per poi asciugarmi invece con molta calma. Mi pettinai con attenzione, infilai un paio di jeans e un maglioncino e, trovato il coraggio, mi decisi a scendere.
Come al solito, però, mi ero dimenticata di calcolare l’incognita di Casa Cullen: un piccolo tornado nero, non appena ebbe abbastanza spazio per infilarsi nello spiraglio della porta, mi mandò letteralmente al tappeto senza darmi il tempo di rendermene conto.
“Io ti voglio bene!” singhiozzò stringendomi forte “Anche se pari davvero troppe cazzate – e tutte insieme, poi! – tu sei mia sorella! Chi se ne frega dei Volturi, tu sei la mia Bella/Manichino e nessuno ti torcerà un capello! Essere una veggente servirà pur a qualcosa ogni tanto, oltre a vincere alla lotteria e giocare in borsa! E anche se dovessi entrare nella Guardia almeno potrei apportare delle modifiche a quella divisa così disgustosamente kitsch!”
Di quel discorso così veloce afferrai giusto qualche termine, prima che il mio cervello realizzasse chi fosse (Alice), cosa avesse detto (che mi voleva bene e che non le importava nulla dei Volturi. E qualcosa sul kitsch), e che era sdraiata su di me con la faccia immersa nel mio seno.
“A-Alice!” balbettai senza fiato a causa della sua stretta.
“Ti voglio bene!” mi zittì lei stringendomi più forte “Ti voglio tanto bene!”
Alice…, sospirai mentalmente. Era lei, la solita Alice. La pazza Alice che mi voleva bene a dispetto di tutto e di tutti, come al solito pronta a prendermi per mano e guidarmi dove voleva lei. E lei mi voleva con sé.
Almeno lei.
Le posai una mano sui capelli ottenendo in cambio il suo sguardo stupito. “Nonostante la nostra posizione sia la realizzazione delle fantasie di parecchi uomini, potresti alzarti? Mi stai uccidendo con questa presa” risposi. A dispetto del mio tentativo d’ironia mi uscì solo uno stanco sospiro, e lei non se ne accontentò.
“Promettimi che non te ne andrai!” mi gridò contro, sedendosi sul mio stomaco “Prometti!”
Alzai gli occhi al cielo. Anche nel dramma Alice doveva farsi riconoscere. “Come faccio ad andarmene se ho un metro e quarantasette centimetri di rottura di scatole ambulante pronto a saltarmi addosso e placcarmi?” replicai “Davvero, Alice. Il mio stomaco a digiuno inizia a sentirsi troppo pesante”
Mi colpii il braccio, e neanche tanto piano, con uno schiaffo, cercando di mascherare un sorrisetto. “Piantala, pseudo attrice depressa. Io sono una piuma”
“Sì, di piombo” replicò un’altra voce. Rose.
Alzammo entrambe lo sguardo per vederla troneggiare suo di noi con il suo Galaxy in mano. “Dite: cheese” ordinò, scattandoci una foto.
“Grazie” sbuffai. “Davvero, grazie tante”
“Dopo tutto ciò che hai detto ieri pensi che te la farò passare liscia così?” replicò lei, afferrando la nanetta dal colletto della camicia e tirandola su “No, Bella. Ora devi conquistare il mio perdono”
Mi tese la mano, aiutandomi ad alzarmi. Barbie Regina dei Ghiacci – The Return: l’avevo vista così solo una volta, quando Carlisle le aveva accidentalmente distrutto la cassetta degli attrezzi a causa di uno spintone di Emmett. Tre giorni di silenzio e taaante coccole più tardi, Carlisle aveva iniziato a intravedere “la luce in fondo al tunnel”, a detta di Esme.
“Pensavo la tua fiducia” replicai massaggiandomi il collo.
“Non l’hai mai persa, sorellina” replicò lei. Agguantò la mano di Alice e la trascinò con sé giù per le scale, sollevando la destra e mimandomi un “A dopo”.
Era la giornata del Voltiamo-le-Spalle-Perché-Fa-Scena?, mi domandai perplessa osservandole allontanarsi.
Come ricordandosene improvvisamente, la testa di Alice scattò nella mia direzione, gli occhi ridotti a fessure, ben consapevole che non le avevo ancora garantito nulla sulla mia permanenza in quella casa; mimò un “Prometti” a fior di labbra, prima di scomparire dalla mia vista.
Fissai imbambolata il punto dov’erano sparite. Non capivo quella famiglia. Non la riuscivo proprio a capire.
Perché si fissava tanto con me? Alla fine il rapporto che avevo instaurato con loro non poteva essere più forte di quello centenario che legava tutti loro. Ero lì da qualche mese, neppure ci conoscevamo così bene. E anche i Denali, Accidenti a loro!, sbottai scendendo le scale. Ma dico, emano feromoni vampireschi, che qui mi girano tutti intorno manco fossi l’ape regina?!
Non ero un cucciolo! Ero l’arma di Volterra, la più intima e segreta speranza di Aro: sapevo uccidere più di una decina di vampiri alla volta, non avevo bisogno di protezione. Erano loro, piuttosto: loro necessitavano di aiuto. Io… avrei continuato semplicemente a cavarmela, come avevo sempre fatto. Da sola.
Mi fermai prendendo un profondo respiro: una parte della mia mente boicottò quelle parole troppo vittimistiche ed egocentriche anche per la situazione in cui mi trovavo.
La parte della vittima mi calza a pennello, sospirai interiormente, Ma se Esme mi vede, mi mollerà un altro ceffone…
La mia mano si posò sulla guancia che Esme aveva colpito la scorsa notte. Aveva ragione, dopotutto: a quel punto ci ero arrivata da sola. Non avevo voluto dire loro nulla al mio arrivo, né più tardi, quando si erano rivelate come le persone più generose di questo mondo, ogni giorno di più. Le parole avevano cercato più volte di trovare da sole la via di uscita, di librarsi nell’aria per rendere partecipi i Cullen del loro destino, ma… ma la paura di essere lasciata sola aveva battuto i miei buoni propositi.
Quando non ero così importante per loro avrei dovuto dare ascolto a lei, mi rimproverai con tristezza, Sarebbe stato molto meglio se non mi avessero mai incontrata. Se si fossero sbarazzati in tempo di me.
La sensazione di aver ricevuto un altro schiaffo da Esme mi fece sobbalzare.
Allora tutto quello che ti ho detto stanotte ti è entrato da un orecchio e ti è uscito dall’altro?”.
Quando aveva sgridato Emmett, verso ottobre, perché nonostante tutte le sue raccomandazioni aveva disintegrato il giardino seguendo il suo folle, momentaneo hobby del giardinaggio. L’aveva preso per un orecchio e alzato dal terreno (lui reggeva in mano ancora la paletta, e il cappello di paglia che aveva in testa era caduto impigliandovisi) e gli aveva fatto una tale strigliata!
Sono tua madre e ti voglio bene, ma accidenti, Em! Sei il solito zuccone! Per fare del bene il sessanta per cento delle volte credi disastri! Stammi a sentire ogni tanto, non fare di testa tua!
Diresti anche a me che sono zuccona, ora? Che non ti do mai retta?, domandai con il pensiero, volgendo il capo verso il terzo piano, E passeresti poi la notte insieme a me a ripiantare con cura ciò che ho distrutto? A insegnarmi come vivere? Lo faresti ancora?
Ripresi a scendere le scale con un sospiro. Quel che era stato fatto, era stato fatto. Non potevo tornare indietro, quindi avrei proseguito con il mio piano: evitare i Cullen, tornare a Volterra, proteggerli. Diventare così importante nella Guardia da far sì che Aro avverasse ogni mio desiderio pur di non perdermi, impedendo così ai Cullen di entrare a far parte della sua cerchia di schiavi.
Niente più pensieri deprimenti, solo obbiettivi concreti e realizzabili.
Abbiamo già il nostro Pensiero Molesto in casa e ci basta, grazie!”. Così Rose mi aveva presentato Edward, nel camerino del negozio di intimo.  
Edward.
Se sono la prima a fare pensieri così autolesionisti, come posso dire a quel tipo di…
Scossi il capo, trovando improvvisamente la grinta. Io non mi stavo piangendo addosso. Io stavo difendendo la nostra… la sua… i Cullen. Avevo il dovere di proteggerli tornando a Volterra senza tante cerimonie (e senza nessuno, soprattutto), ripagandoli di ciò che mi avevano offerto nella mia breve permanenza nella loro casa. Era mio compito.
E potevo anche avere tutto il diritto di disperarmi, se mi andava! Lui no! Lui non aveva motivo di disperarsi! Era così amato, aveva quella famiglia e (immaginai) altri amici che tenevano a lui. Che accidenti se ne usciva con queste idee malsane e distruttive? Era stupido?! Maledetto! Lui e… e le sue scenate melodrammatiche e… e quei suoi discorsi da principe delle favole!
Diavolo, le suffragette hanno lottato perché le donne avessero la libertà e gli stessi diritti e doveri degli uomini!, inveii contro di lui, A mandato a puttane l’ultimo secolo di storia! Accidenti a lui! A lui, e al suo senso del dovere!
“Mi sarà pur dovuto il decidere di che morte morire, no?!” soffiai sottovoce, arrabbiata.
Misi a tacere tutti i pensieri riguardanti quel cretino e finii di scendere l’ultima rampa di scale a passo pesante, concentrandomi sulle voci provenienti dal salotto.
“… fatto bene. Ora, vernice”
“A te, orsetto. Comunque, io sono nato libero, ho combattuto e sofferto per la libertà, quindi…”
“Sì, sì, sì, tante belle parole sulla libertà che non ci fregano un cazzo di niente, Jey. Tappati la bocca o cambia argomento”
“Laurent, se tu sei sempre stato servo non è colpa mia…”
“Io ero un signore, fratellino. Gentile e affabile”
“Solo la mia memoria che è diventata una densa distesa di nebbia? Eppure, io sono il più piccolo… pennello numero dodici”
Comunque! Il discorso non era quanto la libertà della perdita di memoria fosse intrinseca in ognuno di noi…”
“Eh?”
“Che hai detto?”
“Questo è un pennello numero tredici! Laurent! Che accidenti di tuttofare sei?”
“Io non sto facendo proprio niente. È Jasper la tua spalla. Chiedi a lui così la finisce di sparare idiozie retoriche”
“Ma se sto già reggendo la scala!”
“Che bisogno c’è?”
“’Sto tizio è un tronco d’albero! Pensa il buco che lascia nel pavimento, se cade”
“Giorno” salutai, facendo voltare il gruppetto vicino alla porta: Emmett, in cima alla scala, che ridipingeva con il pennello numero tredici, non dodici!; Jasper, che reggeva la scala; Laurent, seduto a gambe incrociate sul pavimento, che in effetti non stava facendo niente; e infine Garrett, con accanto una scatola di attrezzi e altri oggetti vari.
“Bella!” esclamò a gran voce Jasper, sollevato, mollando la scala con forza e correndo verso di me.
“Porcaccia ladra, Jasper!” ringhiò Emmett, che per la brutta oscillazione stava per cadere. Per fortuna Laurent si alzò per sostituire il biondo.
Ignorandoli, Jazz chiuse le braccia intorno a me stringendomi forte, sollevato. Sentii il suo respiro gonfiarmi i capelli prima che stringesse il mio volto tra le mani. Mi scrutò negli occhi per un secondo, poi mi strinse a sé nuovamente.
“Guarda che così la consumi” ridacchiò Garrett.
Lui e il fratello si fecero vicini e me lo strapparono letteralmente dalle braccia.
Bonjour, princesse” mi salutò Laurent sorridendo “Fatto bei sogni?”
“Ignoralo, piccola Bii-Bii” lo spintonò Garrett “Fondamentalmente è un cretino. Hai fame?”
“Sei stanca?” aggiunse l’altro.
“N-no, sto… beh, sto apposto” risposi.
Sorrisero ancora di più e all’unisono si chinarono su di me, lasciandomi ognuno un bacio su una guancia. “Che carina che sei!” sorrisero poi.
“Giù le zampacce dalla mia sorellina!” ringhiò Emmett afferrandomi per la vita e facendomi sedere sulle sue spalle. Mi domandai quanto ancora mancava perché potessi toccare il soffitto: così a occhio e croce, avrei detto un metro e mezzo o due.
“Che stavi facendo?” domandai, posando una mano sulla sua testa. Lui alzò gli occhi e io mi chinai un poco per farmi scorgere.
“Edoardo ha sfondato la porta, ieri sera. Io riparavo il suo danno” spiegò “Anche se qui sbagliano a passare attrezzi e tentano di uccidermi facendo cadere le scale”. Lanciò un’occhiata truce ai suoi assistenti che risposero alzando i loro occhi al cielo. “Che palle che sei” borbottò Jasper.
“Mangia qualcosa, Izzy” mi ordinò Laurent. “Oltre a farti bene è divertente guardarti. È così strano! Ma se invece hai sete puoi venire a cacciare con un vero vampiro”
“Infatti mi metto a tua completa disposizione” lo interruppe Garrett. “Vuoi venire con me, Isabella?”

“Allora, patti chiari e amicizia lunga: smettete di litigare per Bella e smette immediatamente di guardarla, parlare con lei o respirare la sua aria” sbottò Jasper afferrandola malamente entrambi per un orecchio. “Quella è la mia sorellina!”
“Sono già sposati” osservai.
“Rimangono pur sempre uomini. Magari stanno pensando a un mènage a trois, che ne puoi sapere!”
“Beh, quando Kate me l’aveva proposta come una sua fantasia ero stato categoricamente contrario. Però, se Bella lo desidera…”
“Un cazzo Garrett!” ringhiò Emmett. Lui scoppiò a ridere.
“In effetti preferirebbe me. Io sono francese”. Laurent si voltò verso di me per farmi l’occhiolino. “I francesi hanno un dieci cum laude, sulla scala internazionale. E i punti valgono il doppio rispetto agli altri… Ahia! Jasper! L’orecchio mi serve!”
“Fuori. Da. Casa. Mia. Ora!” sibilò il biondo spingendoli verso la porta.
Emmett tremava quasi quanto Jasper, sotto di me. Mi prese per la vita e mi rimise a terra. “Vai a fare colazione, Bells. Tuo fratello ora va a gonfiare di botte quei due cretini”
“Mi so difendere da sola, grazie” replicai storcendo il naso.
Emmett fece una smorfia. “Dai! Non mi privare del piacere di una sana lotta tra parenti!”
Sospirai. “Fa un po’ come vuoi”
Lui mi stampò un bacio sulla guancia e raggiunse il fratello fuori, dove erano udibili già i primi lamenti.
Io entrai in cucina tentando di prepararmi qualcosa da spizzicare; il the di Carlisle era rimasto in camera mia, intatto.
Andai al frigo e presi il cartone del latte, costatando se fosse il caso di berlo direttamente da lì: da umana avevo questo vizio, soprattutto quando mia madre aveva attraversato il periodo “ginseng e the verde”. Anche Charlie l’aveva.

L’aquilone.

Il bricco mi cadde dalle mani quando la memoria di un tuono mi sconvolse la mente, ma quel rumore si ripeté più delicato e notevolmente troppo vicino perché potesse essere realmente un presagio di pioggia. Mi voltai verso la finestra sopra il lavello e vidi la chioma bionda di Tanya fare capolino dietro al vetro. Le sue nocche sbatterono una terza volta contro lo stipite e con l’indice mi invitò ad avvicinarmi, completando il tutto con un sorriso e un occhiolino.
Perplessa, feci come mi aveva detto, vedendo così il suo sorriso ampliarsi; sennonché, non appena fui abbastanza vicina, s’immerse nei cespugli sotto la finestra sparendo alla vista.
“Ma che…?” borbottai aprendola. Prima che potessi fare qualsiasi cosa due mani mi bloccarono per i polsi. Prevenendo il mio urlo un’altra mi tappò la bocca in malo modo, mentre un terzo braccio mi afferrò per il maglioncino costringendomi (con il rubinetto che strinse amicizia con le mie pareti intestinali) a strisciare fuori dall’apertura.
Gettai uno sguardo terrorizzato intorno a me e vidi Irina, che ancora mi tappava la bocca, afferrarmi i polsi con una mano sola, gesticolando a Kate di tenermi le gambe.
“Non fare rumore, Bellish, altrimenti non potremmo fuggire da questa casa” soffiò la bionda numero tre, azzardandosi a togliere di poco la mano dalle mie labbra. Dopo aver afferrato meglio lei e la sorella corsero verso la Ferrari parcheggiata appena fuori il garage, con Tanya alla guida. Mi ci scaricarono in malo modo, zomparono a bordo e con il rumore sordo delle fusa del motore la bionda numero uno partì a folle velocità.
Mi sembrò di udire un “Ma cosa…?” portato dal vento, ma eravamo già lontane.
“Allora, zuccherino? Piaciuto il nostro salvataggio?” sghignazzò Kate.
“Salvataggio?! Questo è un sequestro di persona in piena regola!” ringhiai appiattendomi contro il sedile con i capelli dotati di vita propria che mi sbattevano in faccia – era anche decappottabile, la macchina. “Riportatemi indietro, Charlie’s Angel delle Nevi!”
Tanya rise. “L’avevo detto io, che aveva carattere!”
“Quindi eri solo timida o semplicemente repressa?” domandò Irina, voltandosi verso di me.
“Te la faccio vedere io, la repressa!” ringhiai con tutta l’intenzione di scagliarmi contro di lei, mi trattenne la mano gentile di Kate che si posò sulla mia spalla.
“Non arrabbiarti, IsaC!” sorrise “Non stiamo mica per rapirti sul serio! Vogliamo solo trascorrere un po’ di tempo sole con te”
“E non potevate chiedermelo?!”
“Non so se sai del nostro passato arzillo e pimpante, ma nessuno dei tuoi fratelli ci avrebbe lasciato giocare con te da sole” spiegò Tanya guardandomi dallo specchietto retrovisore “Eh, certa gente è così prevenuta…”
“Beh, tu ancora sei sulla piazza” fece notare Irina.
“Sì, a battere” replicò alzando gli occhi al cielo.
“Meno rogne, credimi. In coppia devi sempre litigare per il potere, e quisquilie del genere…” sbuffò Kate. Spostò lo sguardo da me e alla sorella. “Mi raccomando, devono capire subito chi comanda. Non fatevi piegare da tutte le moine che potrebbero inventarsi”
“Bel modo che avete di descrivere i vostri compagni, davvero. Fate venire una tale voglia di iniziare una relazione” sbuffò la bionda numero uno, prima di soffiare un “Bugiarde” a mezza voce.
“Ma quale relazione! Sesso bollente da una notte e via e party a tutto spiano! Questa è la bella vita!” replicò Irina convinta. “Condiscila con amici sinceri, macchine da corsa e università, e vedrai che non avrai bisogno di uomini!”
“L’università è per le confraternite, giusto?” ghignò Kate.
“Anche. Ma il mio amore è rivolto soprattutto alla conoscenza”
L’altra alzò gli occhi al cielo. “Immagino”
“Allora, io immagino che la tua prima impressione su di noi sia assolutamente pessima, vero Bella?” le interruppe Tanya.
“No, assolutamente. Solo che al momento mi sfugge il nome del centro di igiene mentale dal quale ieri mi hai detto che siete scappate” soffiai incrociando le braccia.
Lei rise. “Ti sei decisamente svegliata con il piede sinistro”
Io borbottai un paio d’improperi e mi rassegnai a quel viaggio. Da parte loro le tre sorelle tacquero, l’aria soddisfatta dipinta sui volti.
Dopo qualche tempo, il braccio di Irina si allungò per porgermi un elastico viola. “Non avevamo pensato ai tuoi capelli; immagino che abbiamo vanificato una doccia”
Ingoiai la risposta acida che avevo sulla lingua e presi l’elastico legandomi i capelli alla bell’e meglio. Kate ampliò il suo sorriso, azzardandosi in seguito a pormi una domanda. “Senti un po’… ma quella figata che hai fatto ieri?”
“Cosa?”
“Katrina! Accidenti, deve averti colpito molto per usare un linguaggio simile!” rise Irina.
“È stato fortissimo! Ha lanciato Edward a quasi dieci meri di distanza!” s’infervorò lei aggrappandosi al poggiatesta per sporgersi in avanti. “Bells, come ci sei riuscita?”
“Non l’ho fatto di proposito” borbottai cupa “Non so… non controllo bene il mio scudo fisico. Immagino che se lo sapessi fare non avrei una suite vista carcere a Volterra”
Tanya alzò gli occhi al cielo ma nessuna delle tre commentò.
“Puoi sempre allenarti per estenderlo. Con l’allenamento si fanno miracoli, posso garantirtelo. Guarda: dammi la mano” propose Kate. “Esatto, così. Ora rivolgi il palmo verso l’alto, perfetto”
“Non farle male, Kat” si raccomandò Irina.
Lei sorrise e deviò il dito indice verso la sorella: al contatto, Irina lanciò uno strillo di dolore portandosi le mani al collo, facendo di riflesso trasalire me. “Questa andava bene?” sghignazzò.
“Ma vattene a ‘fan…”
“Che cos’era quello?” intervenni allarmata. “Come hai fatto?”.
“È un generatore elettrico” sintetizzò Tanya “Prendesse la connessione Wireless sarebbe di maggiore utilità, ma almeno grazie a lei il mio Mac non necessita della presa”
“Ricordami queste parole quando le servirà una mano, Irina” soffiò Kate socchiudendo gli occhi.
“Certo, come no” ringhiò l’altra trucidandola con lo sguardo.
“Anche tu puoi manipolare l’elettricità?” domandai con un nodo d’emozione nella voce.
Lei mi fissò. “Anche tu sai farlo?”
Annuii in fretta. “Scariche a diversi voltaggi, a seconda del… fine” terminai con una nota amara.
“Un momento, frena: tu usi reali scariche elettriche?” indagò Kate.
“Perché, le tue che sono?”
“Posso provare su di te, per favore?” disse “Giuro, farò piano. Non il piano che ho usato con Irina”
Non troppo tranquilla, le porsi incerta il palmo della mano. Lei vi appoggiò sopra la sua, ma non avvertii nulla. Concentrandosi maggiormente, Kate tentò di aumentare il voltaggio, ma da parte mia non avvertii assolutamente niente. Così compresi. “Per caso il tuo è un potere mentale?”
Lei annuì, rinunciandosi. “Sì. Attraverso tutto il mio corpo posso propagare un impulso che agisce sulla zona del cervello adibita al dolore, facendo provare la sensazione di una scarica elettrica” illustrò sistemando meglio sul sedile. “Un esempio di questo potere a distanza tu lo conosci, purtroppo, di persona”
“Jane” mormorai. “Beh, ora ho capito perché con me non funziona: è un dono che agisce non sul corpo ma nel cervello, e io sono uno scudo principalmente mentale”
“Grandioso!” esclamò ammirata “E sai anche usare l’elettricità a livello reale?”
Liquidai la questione con un’alzata di spalle. “So manipolare parecchi elementi. Tu dimmi la vittima e io te la uccido, facile”
Lei ignorò questa mia infelice battuta. “E lo scudo fisico?”
Sospirai. “Non ho mai avuto l’occasione di impratichirmi con nessuno dei miei due scudi. Potenzialmente potrei estenderli e difendere anche altri, ma a malapena riesco ad avvertire, con un certo sforzo, quello mentale, mentre quello fisico è totalmente fuori dal mio controllo”
“Ti manca solo l’allenamento, Bella” replicò Kate. “Quando io ho scoperto il mio dono, non riuscivo quasi a controllarlo. Non puoi capire quante volte ho attaccato mia madre, quando cercavo di abbracciarla”
“Questo spiega la tua inclinazione ai gesti affettuosi, presuppongo” intervenne Irina.
“Devi solo allenarti” la ignorò lei “Ogni giorno, poco per volta. Se continui di questo passo non consocerai mai l’entità delle tue doti e non riuscirai a controllarle. Potresti divenire un serio pericolo per chi ti sta attorno”
Chinai il capo, colpita da quelle parole. Lo sapevo anch’io o meglio, una parte del mio cervello ne era sempre stata ben cosciente. Ma il modo in cui mi costringevano a usare i miei doni, che già di per sé era stato un bel trauma, e la mia paura inconscia di essere un vampiro mi avevano sempre fornito una comoda scusa per rimandare, per non impegnarmi, per rinunciare.
Io non volevo essere un vampiro. Non avrei mai voluto. Figuriamoci poi essere la stirpe eletta! No, il mio rifiuto di usare le mie doti nasceva del semplice fatto che io non volevo avere nulla a che fare con quel mondo, e solo in seguito a ciò che mi era stato fatto.
Perché mi ribellavo, all’inizio?
Kate continuava a incoraggiarmi narrandomi eventi ridicoli che le erano capitati prima che acquisisse il totale controllo di sé, ma io ero immersa nei miei pensieri e non le prestai molta attenzione.
“Abbiamo un problema, ragazze”
Alzai il capo e vidi lo sguardo magnetico di Tanya fissò su di me. Pensai che stesse per farmi un qualche tipo di predica, ma lei fece saettare lo sguardo su Kate per poi portarlo in quello di Irina, senza degnarmi di altra attenzione. “Dove ci rifuggiamo? Port Angeles o Seattle?”
“Port Angeles” rispose Irina.
“Seattle!” gridacchiò Kate allegramente. Si lanciarono sguardi di fuoco.
“Dove vuoi andare?!”
“Che accidenti di gusti hai?”
Che strano dejà-vù, mi ritrovai a pensare.
“Qual è il problema, adesso?” sbuffò Tanya, decelerando fino ai cento “Scegliete in fretta, che odio andare piano”
“Port Angeles è troppo vicino!” berciò Kate.
“Appunto! Non sospetterebbero mai la nostra presenza lì!” ringhiò l’altra voltandosi.
“Se mi danneggi la macchina ti uccido, sorella” la mise in guardia Tanya.
“Hanno l’olfatto! Quanto credi che ci metterebbero a dare una sniffata in giro e trovarci?” controbatté Kate. “Seattle è molto più grande, impiegherebbero molto più tempo”
“Certo, perché tu pensi che il leggi-pensieri…”
“Edward attraversa il pessimismo cosmico e la crisi dei cento e rotti anni nello stesso momento. Non credo che sarà molto attivo, oggi” s’intromise Tanya. Senza volerlo inizia a fissarla: aveva trascorso la notte con Edward, dunque?
“Zucchero, pensi davvero che non verrà?”
Lei ghignò, come se pregustasse qualcosa. “Dio, spero proprio lo faccia”
“Posso capire anch’io, di grazia, prima che mi lanci giù da questa cavolo di macchina in corsa?” ringhiai stufa di non essere considerata.
“Stiamo decidendo dove passare la giornata, Bibis” mi spiegò Irina “Decidere dove portarti per far sì che quella banda di deficienti con il cromosoma Y non ti trovi”
“Non l’aveva usata Kate, questa?”
“Perché non dovrebbero trovarmi, scusa?” chiesi perplessa.
“Perché mi sono altamente rotta il cazzo di fare da babysitter ai Cullen, ecco perché!” sbottò Tanya “Maledizione, troppo tempo con gli umani li ha davvero resti degli idioti! Non permetterò che succeda anche a te!”
La fissai confusa, mentre lei premeva sull’acceleratore. “Deciditi: Port Angeles o Seattle?”
Feci per protestare ma richiusi subito la bocca. “Prima Port Angels” sussurrai “E poi Seattle”
Le sorelle puntarono simultaneamente gli occhi su di me – eccetto Tanya, che ebbe la buona creanza di fissarmi dallo specchietto.
“Se lasciamo la macchina a Port Angels e giriamo per le strade, i ragazzi seguiranno il nostro odore e si concentreranno nell’esplorare la città, convinti di trovarci lì. Noi invece prenderemmo uno dei pulmini diretti a Seattle e vi passeremo la giornata” spiegai mantenendo lo sguardo fissò sulle ginocchia.
Scese il silenzio. Poi, inaspettatamente, fu Tanya a interromperlo con la sua risata.
“Come diavolo hai fatto a farti mettere sotto dai Volturi, me lo spieghi, ragazzina?” rise allegra, prima di imboccare l’uscita seguendo le mie indicazioni.

 *

 “Forza, Bianconiglio! Siamo in ritardo!” esclamò Irina entrando nuovamente nel negozio insieme a Tanya. “Dobbiamo muoverci prima che la banda di Alice si metta a inseguirti”
Kate chiuse il libro che stava leggendo alzando un sopracciglio. “Alice in Wonderland? Ma che davvero?”
“Mi è sembrata la più indicata” alzò le spalle lei “Forza! Il nostro pullman parte fra tre minuti”
Io staccai un morso dal mio saccottino e bevvi tutto d’un fiato il cappuccino. “Ok”
“Sono le undici di mattina! Ancora mangi?” mi chiese Irina.
“Avrò buttato qualcosa come quindici dollari in colazione, stamattina, e solo adesso posso dire di aver finalmente lo stomaco pieno” borbottai offesa. Non era colpa mia se avevano voluto rapirmi, fare il giro completo di ogni negozio e farmi buttare o lasciare ogni colazione che avevo provato a comprare. Mi meritavo quei due cornetti, oh!
“Se non hai paura di contrarre qualche malattia infettiva, finiscilo pure a bordo” intervenne Tanya, poi sospirò esageratamente plateale. “Certo, lasciare la mia adorata Bezzy qui, da sola...”
“Non preoccuparti, starà benissimo, la tua macchina” sbuffò Kate.
“Non era una prerogativa degli uomini dare un soprannome alla propria macchina?” domandai.
“Anche al proprio membro, ma nel quarantotto Katrina ha attraversato una bella fase. Giusto, sorella?”
Lei fece un gesto come per sminuire la cosa. “Poi è passata”
“Il quarantotto di quale secolo?” ghignò in un sussurro Irina mentre andavamo all’uscita.
“Tu non hai passato la fase lesbica?” intervenne Kate per distogliere l’attenzione dalla sua effettiva età. L’uomo che ci aveva tenuto la porta, a quelle parole, sbatté addosso all’anta: sentii distintamente la cartilagine storcersi. Poverino, pensai gettandomi un’occhiata alle spalle.
Tanya emise un sospiro malinconico. “Ah, Crystobel… che peccato fosse una circense” ricordò con affetto “Non è durata neppure tre anni”
“Mi pare che tu ti sia consolata benissimo con gli uomini, dopo” fece presente Kate.
“Ehi, ma che ce l’hai con me? E Irina, allora, che si è data al BDSM?”
Lei ridacchiò spensierata, passando il biglietto al conducente per obliterarlo. Inutile dire come questo era troppo sconvolto o eccitato per riuscirci al primo colpo.
“È raccontando questa storia che Laurent ha dato di matto e si è dichiarato!” continuò allegra, dopo che io ebbi aiutato l’uomo a timbrarci i biglietti. “Ed era un fatto risalente a parecchi anni prima! Cielo, non l’ho mai visto così fuori di testa!” continuò cercando il suo posto.
“Oh sì è vero!” scoppiò a ridere Kate “Una scenata di gelosia assurda! Mi ricordo che Eleazar è corso fuori pensando che volesse metterti le mani addosso, e poi vi ha trovato avvinghiati come due anguille!”
“E lo ha picchiato lo stesso per questo” continuò Tanya tra le risate.
“Beh, di sicuro le mani te le mise addosso!”
Stiracchiai un sorriso sul volto, non riuscendo come loro a godermi l’aneddoto a pieno. Mi limitai a prendere posto accanto al finestrino sentendomi leggermente a disagio.
“… con la pittura sulla testa!” completò Tanya tra le risate, prima di voltarsi verso di me e sorridermi, accomodandosi. Perfetto.
“Supportiamoci a vicenda, Bells. Noi single dobbiamo restare unite”
“Eccetto il caso in cui entrambe puntiate lo stesso ragazzo” sottolineò Kate dandole un buffetto sulla guancia. Mi irrigidii involontariamente, non capendo se fosse un’allusione o una semplice battuta.
Tanya sbuffò, portando le braccia sotto il seno. “Ancora con questa storia? Diavolo, così sembra veramente che abbia una qualche inclinazione al masochismo!”
“Beh, potevi semplicemente evitare di immischiarti troppo negli affari di Eddy-Ed” fece notare Irina; come pensavo, il protagonista era Edward.
Mi accostai maggiormente al finestrino, sentendo tornare il malumore. Non mi andava per niente di parlare di lui con loro, o meglio, con lei. Anzi, non mi andava di parlare del cretino e basta.
“Ma scusa, che altro potevo fare? L’ho trovato che faceva il vigilante notturno in preda al dissidio interiore!” protestò Tanya accalorandosi “Tenevo troppo all’amicizia di Carlisle per non preoccuparmene. Certo, avessi capito che in seguito avrei dovuto fargli da baby-sitter per il resto della mia esistenza l’avrei lasciato lì a morire”
“Non essere cattiva, Tay” la rabbonì Kate “Non è così male Edward”
“È un coglione, ecco cos’è!” replicò lei incrociando le braccia al petto, lo sguardo torvo.
Mi voltai con perplessità verso di loro, non riuscendo a trattenermi dal domandare: “Ma… scusa, tu non sei innamorata di Edward?”
Tutte e tre mi guardarono un attimo in silenzio, permettendo così al pullman di mettersi  in moto e partire; poi, Kate e Irina si lasciarono andare a grosse e gustose risate.
No!” gridò invece Tanya, indignata, facendo voltare più di una testa “Io, con quel deficiente? Io?! Ma starai scherzando!”
Mi colorai di rosso. “Ehi, mica ti ho accusato di essere l’amante di Jack O’Lantern!” soffiai di rimando “E poi, i fratelli Cullen…”
Irina ululò per le risate. “T-ti hanno r-raccontato quella storia?!”
Tanya incrociò le braccia al petto. “Non ne valeva la pena. Non ne valeva proprio la pena! Ho vinto un’isola, ma non posso portarmi per l’eternità gli strascichi di questa storia, che diavolo!”
“Ma scusa” tentai guardinga “Non ti sei fatta trovare… intendo, non hai cercato di sedurre Edward, qualche tempo fa?”
Ebbi l’impressione che quando Kate, tenendosi la pancia per le risa, si gettasse quasi a peso morto sul sedile, il pullman si fosse inclinato. “E piantatela!” urlò Tanya, irritata.
Mi ero decisamente stufata di quella mancanza di considerazione. Diavolo! Era tutta la mattina che facevo loro da borsa, venendo trascinata qua e là quasi senza emettere un fiato, ascoltando storie in cui non c’entravo nulla, e ora mi prendevano pure per il culo? E no, Barbie in saldo, non ci pensate proprio!
Ma la bionda numero tre anticipò la mia ira funesta. “Che ti hanno raccontato i fratelli Cullen?” domandò allegra Irina, pizzicando le guancie di Tanya “Che questa baldracca ha tentato di circuire il povero, indifeso Edward il Puro?”
“Un qualcosa del genere” mi costrinsi a borbottare.
“E certo! Così oltre la figura della zoccola si aggiunse l’umiliazione di un rifiuto” si lamentò Tanya.
“Non eri stata tu a dire che nessuno, neppure San Pietro il giorno del Giudizio, ti avrebbe dato mai picche?” sghignazzò Kate.
Lei le indicò garbatamente dove andare alzando il dito medio. “Mi fate anche diventare volgare, accidenti a voi. Bella!” aggiunse poi “Ma davvero pensi che mi sarei abbassata a tanto?”
“Beh, Edward è un fico, oggettivamente parlando” intervenne Kate “Io una botta glie l’avrei data più che volentieri, se non avessi Garrett. Non vedo la necessità del doversi abbassare”
Irina fece per aprire la bocca (per dire solo Dio sa cosa, visto lo scintillio malizioso dei suoi occhi), ma la maggiore l’anticipò. “Io l’ho fatto solo per una scommessa!” spiegò Tanya “Lo sapevo che non avrebbe ceduto mai, con quel sentimentalismo del quattordici/diciotto. Mi sono comprata un’isola alle Seychelles con i ricavati”
La guardai allibita. “Ciò, fammi capire” ricapitolai “Hai quasi violentato Edward per una scommessa?”
“Io non ho violentato nessuno!” replicò lei indignata sovrastando le risate “Diavolo, andare con Edward sarebbe stato come, non so, farmi Laurent!”
“Ehi!”
“È il mio figlioccio, praticamente!” continuò lei ignorandola.
Che?!” esclamai, stupefatta.
“Beh, ho un parecchio tantinello di anni in più di lui, se capisci cosa intendo, e lo conosco da quando ha aperto i suoi begli occhioni nel ’18, ma andiamo, da qui ad andarci a letto o peggio starci insieme ne deve passare d’acqua i sotto i ponti!”
Okay, avevo scatenano un mostro a causa di un mio abbaglio: la filippica di Tanya andò avanti per un bel po’, spiegandomi i pro e i contro e le mille sfaccettature di Edward il Puro (non avrei mai più potuto allontanare questo soprannome da lui!) e del conoscerlo a fondo, tanto che fui costretta a interromperla quasi soffocata da tutte quelle informazioni.
“Sì, va ben, ho capito, basta! Scrivici una biografia su Edward, non m’interessa altro!” sbottai fermandola.
Tutte e tre mi fissarono scettiche. “Bugiarda!”
“Dai, Bellish, con noi lo puoi ammettere che provi qualche cosa, per Eddy-Ed!” mi spronò Kate con un sorriso.
Io incrociai le braccia al petto, sentendo quell’ondata d’irritazione salirmi in gola. “Sì: un bruciante desiderio di spaccargli la mascella”
Mi appoggiai al finestrino, improvvisamente di malumore; rimpiansi il dovermi concentrare per collegare gli aneddoti delle sorelle di poco prima, almeno mi avevano evitato di concentrarmi su quello che provavo io. Perché, volente o nolente, io provavo qualcosa per quel cretino, oltre la cocente amarezza. E non era un fatto positivo.
“Non fare così, Bella” intervenne Tanya seriamente “Non comportarti come lui, ti prego”
Le lanciai un’occhiata, trovandola intenta a scrutarmi un cipiglio severo. Irina e Kate, dopo una breve occhiata, si ritirarono ai loro posti lasciando campo libero alla maggiore.
“E come mi starei comportando, di grazia?” sputai acida.
“Da stupida, per usare un eufemismo” rispose pronta lei, senza alterarsi. “Non fare l’errore di mandare a puttane la tua vita, per favore. I cocci che dovrai raccogliere dopo non sono lontanamente immaginabili”
“E immagino che tu ne abbia un’idea precisa, invece”
“Già”. Stavolta mi fulminò con un’occhiata glaciale che mi tolse il coraggio di replicare. Non era una semplice frase fatta buttata lì a caso. Lei sapeva. Realmente.
Tentai di tornare al mio mutismo ma non me lo permise. “Bella, io non sono qui per farti la predica. Ho già dato, stanotte, e credo che il braccio me lo ricorderà per tutta la giornata” si permise un sorriso, fissando la spalla sotto la giacca “Non ho intenzione di replicare. Tuttavia, credo che tu abbia bisogno di passare all’altro eccesso”
“Uh?” domandai, aggrottando le sopracciglia.
“Basta autocommiserazione. Basta pianti convulsi. Basta omissioni o insicurezze” mi ordinò “Sono sicura che questa - questa Bella che hai mostrato fino ad oggi – non ti rispecchi realmente. L’ho visto, ieri sera. Per un attimo, ci hai mostrato chi tu sia in realtà”
Tacque, afferrando subito dopo il tuo blackberry. Digitò qualcosa senza parlare, trascinandomi nella sua trappola.
“E sarei?” domandai controvoglia.
Sorrise allo schermo, prima di rimetterlo a posto. “Non spetta a me dirtelo. Io l’ho capito. Ora tocca a te”
Mi sorrise affettuosa, spettinandomi i capelli. “E comunque sia, Bellina, non aspettarti vita facile con Eddy. Ti sei scelto uno tanto bello quanto pieno di psicologiche turbe”
Arrossii. “Ancora con questa storia…”
“E dai, piantala! Da quello che hai detto ieri solamente tu, lui e forse Carlisle non si sono realmente resi conto dei tuoi sentimenti” sbuffò lei “Tu perché eri in piena crisi mistica, Ed perché è un coglione e Carlisle, beh, per il semplice fatto che tu sei la sua preziosa bambina”. Alzò gli occhi al cielo. “Mi ha tenuta al telefono un’ora e mezza solo per descrivere una giornata di caccia insieme a te. Stavo aspettando di sapere sa avesse già recuperato il pezzo del tuo cordone ombelicale o i tuoi denti da latte dalla tua città natale. È stracotto di te”
Affossai il capo tra le spalle. “L’ho trattato malissimo” soffiai triste. “E lui, stamattina…”
Non trovai il coraggio di proseguire.
Il braccio di Tanya mi circondò con affetto, spingendomi verso di lei. “Ti sei scelta una bella famiglia, Isa. Complicata e con un futuro ostacolato dal passato, ma è una bella famiglia”
Sospirai, abbandonandomi a quella sensazione di conforto. “Se ancora c’è qualche speranza di considerarli tali”
“Non puoi abbatterti alla prima difficoltà, Bella. Credimi, ci sono scogli molto più difficili che dovrai superare”
Ebbi purtroppo l’impressione che si stesse riferendo a una situazione in particolare; a confermarmelo, lo sguardo troppo distante, freddo come l’inverno.

Lessi ancora qualche riga, indecisa se acquistare o meno quella copia de “Le affinità elettive”; buttai l’occhio sull’altra possibilità, di cui il commento mi aveva maggiormente colpita, così scelsi quella.
Irina si avvicinò con una pila di volumi tra le braccia, tutti in lingua russa.
“Hai scelto, Bibi?” domandò allegra.
Annuii mostrando i miei acquisti. “Ho ricomprato qualche mio vecchio testo, e poi qualcosa di nuovo” spiegai agitando la copia che avevo in mano. “Questo l’ho lasciato a metà”
“Male: mai lasciare le cose a metà” disse lei avanzando “O lasciar perdere dall’inizio o portare le cose alla loro conclusione. Ci mettiamo in fila qui?"
“Le altre?” chiesi guardandomi in giro.
“Bah! Disperse nel vasto mondo. Oh, mi scusi!” esclamò poi, preceduta di poco dal rumore di libri che cadono; aveva assunto un accento russo che qualche secondo prima non aveva “Mi perdoni, che sbadata!”
Sporsi il capo oltre la sua spalla per osservare la reazione del ragazzo che aveva urtato: chino sul pavimento con una mano sui suoi libri fissava Irina con lo sguardo puntato un po’ troppo in basso per essere immerso negli occhi di lei, e aveva aria persa e trasognata; in più non stava ascoltando una parola di quello che Irina stava dicendo.
“Veramente! Non l’avevo vista” continuò lei dispiaciuta. Mi chiedo con quale faccia tosta la tirasse tanto lunga.
“N-no, no davvero” la interruppe lui con un sorriso, passandosi una mano tra i capelli. “Ti sono venuto addosso… cioè, ti ho urtato io per sbaglio”
Ma se era tranquillamente in fila?!
“Oh, allora è tutto sistemato!” con nonchalance assurda gli passò davanti trascinandomi con sé proprio mentre il cliente alla cassa afferrava le sue cose e se ne andava. Agitò la mano nella sua direzione dicendogli qualcosa in russo, poi posò i nostri libri di fronte al cassiere.
“Che accidenti fai?” sbottai allibita prendendole un braccio.
Mi rivolse un’occhiata perplessa. “Perché?”
“Con quel tipo!”
Alzò le spalle. “Non volevo fare la fila” disse semplicemente.
“Ma c’era solo lui! E poi non ti sembra di aver esagerato?”
Lei lanciò un’occhiata al ragazzo, prendendomi poi i libri dalle braccia. “Li pago io” disse al commesso “Non ti capisco, Bibi. Faccio sempre così. Mi annoia aspettare”
“Però così la gente…”
Lei sghignazzò. “La gente?” rise “Bella, a me non interessa ciò che può pensare un branco di stupidi umani che non sanno tenerselo nelle mutante. Se realmente gli importasse di ciò che ho nel cranio piuttosto che nella coppa del reggiseno, si sarebbe arrabbiato e avrebbe protestato com’è giusto che sia. E io non tollero che persone del genere abbiano anche l’audacia di ritenersi superiore a me”
Si voltò verso il ragazzo, beccandolo mentre le contemplava il sedere, e schioccò le dita. Quello, rendendosi conto della gaffe, cercò di darsi un tono voltandosi di scatto e andando a sbattere contro un commesso, col risultato di far cadere una pila di libri, l’altro ragazzo e se stesso.
Irina rise apertamente, senza fare il minimo sforzo per nascondersi.
“Ma tu lo fai, però” replicai.
“Sono settantacinque e ottanta in tutto” ci interruppe il cassiere
Lei estrasse il portafogli e gli porse le banconote. “Primo, io ho l’età e l’esperienza per sentirmi superiore a questo branco di animali. Secondo, perché non dovrei farlo?”
Afferrò le nostre buste e ci dirigemmo all’uscita. “Beh, da un punto di vista prettamente…”
“Da qualsiasi punto di vista la prendi, noi donne siamo ancora considerati meri oggetti sessuali, e poi esseri senzienti” mi precedette lei “Però, se noi rivolgiamo le stesse considerazioni verso uomini, passiamo per puttane. Dimmi dov’è la giustizia in tutto ciò. Per quale motivo io devo vedere donne che si umiliano perché è questo che la società
vuole trasmettere, e non posso trattare gli uomini alla stregua di quelle bestie che sono?”
Ammutolii per un attimo, poi ripresi. “Perché non è così che si risolveranno le cose. Chiodo non scaccia chiodo, Irina”
“No, ma da un sacco di soddisfazioni” sbuffò lei “E io, sinceramente, non voglio privarmi di nessuna di esse. Ho le mie amicizie, anche maschili, e so ripagare con tutta me stessa chi mi tratta come merito. Agli altri non devo nulla”
Stavo per replicare quando lei mi prese per mano, fermandosi davanti a una vetrina, indicando il nostro riflesso nello specchio. Grazie ai tacchi che portava, mi superava di tutta la testa; aveva anche un’espressione così matura e affettuosa che la si sarebbe tranquillamente potuta scambiare per la mia sorella maggiore, o una zia. “Guardami, anzi, guardaci: cosa vedi?”
Sospirai. “Due ragazze. D’accordo!” sbuffai di fronte alla sua occhiataccia “Due belle ragazze, molto più belle della norma”
“E cos’altro?” mi spronò.
Arricciai le labbra, pensierosa. “Una è decisamente vestita con le prime cose che aveva sottomano, mentre l’altra è più curata. La bionda al polso porta un braccialetto con il simbolo dell’infinito e un arabesco. Hanno entrambe due buste bianche, della libreria Free Minds, abbastanza corpose; forse libri per lo studio o per diletto.  E…”
“Non pensi abbastanza maschio, Bii-Bii” mi interruppe.
“Ma questo non c’entra nulla!”
“C’entra e come! Secondo te quel tipo si è fermato a osservare che oltre alle mie tette in bella vista avevo una pila di libri tra le braccia? O la mia collana a forma di Pi greco? O il braccialetto che ti ha tanto colpito?” mi riprese lei infervorandosi.
“Spiegami perché non dovrei vivere utilizzando tutte le mie doti” proseguì tornando a fissarci “Le persone ci notano perche siamo diverse. Perché siamo belle, abbiamo un bel corpo, e poi un bel viso. Credimi, prima che comprendano che c’è molto di più oltre alle gambe ci vorrà troppo tempo, e per allora avrai già perso interesse – sempre che un umano ti possa interessare realmente. Purtroppo sono davvero pochi quelli che ci colpiscono, perché sono molto più superficiali di noi e si accontentano di cose semplici come denaro, potere o sesso. Tutte cose che noi riusciamo a ottenere con estrema facilità e che quindi non ci attraggono più di tanto. Glie ne voglio fare una colpa? No, certo che no. Ma non posso neppure sottostare alla loro visione della mia vita”.
Posò le borse atterra per cingermi le spalle. “Sono bella e ne sono consapevole. Mi piace divertirmi, e giocare forse troppo. Anzi, correzione, mi piaceva divertirmi con gli umani, sfruttandoli e usandoli come più mi aggradava. Ma ho sempre dato tutto, anche ben oltre alle mie possibilità, se vedevo che mi consideravano come persona innanzitutto; e non ho rimpianti nel dire che quando posso utilizzo ancora il mio charme e tratto le persone come burattini per il mio piacere. Però io devo rendere conto solo a Laurent, la mia famiglia, i miei amici e me stessa. Se gli altri non hanno abbastanza autocoscienza e fegato di mandarmi a quel paese per il mio atteggiamento, meritano di essere trattati così”
Mi presi un secondo per elaborare le sue parole, poi scossi il capo. “Non sono d’accordo, non totalmente almeno” dissi poi “Gli umani… si fermano alla prima impressione, non indagano più di tanto. Non ne hanno voglia o tempo, l’hai ammesso tu stessa. Ma io non me la sento di condannarli a priori per questo. Non credo di averne la facoltà. Preferisco lasciar correre”
Lei sorrise. “È per questo che sei una Cullen e non una Denali” sorrise contenta “Bella, non li tratto come animali, ma come gli stupidi che si dimostrano essere. Ma tu sei decisamente troppo giovane per vedere la malizia dietro tutte le azioni”
“Beh, non compro mica aria fritta” sbottai piccata “Non è che me ne sto ferma a subire e basta”
“Interessate uscita” rispose lei con una risata, raccogliendo le buste “Ma non perderla come una critica, ti prego. È solo che io sono abituata a giocare con il mondo, e il mondo gioca con me”
“Io non credo di poter arrivare a fare un numero come il tuo neppure tra diecimila anni” riflettei ad alta voce.
“E perché? Non devi far altro che sbattere le ciglia e piegare la testa da una parte”
Scossi il capo. “Non è questione di gesti, ma di atteggiamento. Non sono mai stata in grado di attaccare facilmente bottone con le mie coetanee, figurarsi iniziar un flirt. Mi manca l’indole”
“No, ti manca solo la sicurezza”. Ci voltammo verso Tanya che avanzava sinuosamente verso di noi. La presi ad esempio. “Ecco, un atteggiamento del genere non riuscirei a farlo mio”
“Infatti è il mio, non il tuo” replicò con un sorriso lei “E non è un atteggiamento, è sicurezza nelle proprie capacità. Per esempio, puoi fare come mia sorella e considerare il mondo nient’altro che feccia; o come me, e ritenerti semplicemente superiore”
“Scusa, e la differenza sarebbe?”
“Che lei è sola nonostante le innumerevoli possibilità che ha dato al mondo e io invece ho il consorte” concluse Irina con una gomitata nel costato della sorella.
“Che vuoi che ti dica, sono un’inguaribile ottimista. Spero davvero che ci sia un barlume d’intelligenza nei corpi, oltre che…”
“Sì, okay, ho recepito” sbuffai.
“Bellina-pulcina, dimmi un po’: non è che tu sei ancora virtuosa, vero?” sorrise Irina.
Mi sentii a disagio, improvvisamente; tradita dal mio rossore, chinai il capo.
Tanya le mollò una sberla sul braccio. “Lasciala in pace! Non c’è niente di male, e non credo che nessuna di noi possa mettere bocca in questione del genere, considerando che da un altro punto di vista potremmo tranquillamente passare per puttane”
“Non volevo metterti in imbarazzo, Bella!” si affrettò a scusarsi l’altra, contrita “Davvero: era solo per fare conversazione! Pensa, io ho avuto la mia prima volta a trentatré anni, e non quelli da umana!”
“Sentite, possiamo accantonare l’argomento, per favore?” soffiai distrutta, passandomi una mano tra i capelli.
La bionda numero tre mi si gettò contro. “Mi dispiace, Bella! Non avercela con me, ti prego!”
Ricambiai la stretta impacciata a causa della mia busta di libri. “Non ce l’ho con te, Irina.”
“Mi vuoi bene lo stesso?”
“Si è affezionata ai Cullen” sorrise Tanya.
“E basta co’ sta storia!” esclamò Kate arrivando dalla via principale. “Abbiamo capito che ce l’hai con i Cullen, ma basta”
“Anche perché io potrei sentirmi offesa”
Mi voltai meravigliata verso di loro, sentendo la voce di Alice allegra come due giorni fa. Accanto a Kate, lei e Rose avanzavano spavalde.
“Ragazze!” esclamai sbigottita. Che ci facevano qui?
“Prometti!” mi anticipò Alice irremovibile.
“Dovremmo sapere di che parli?” chiese Tanya con un sopracciglio inarcato.
“Non ce l’ho con voi, ma con lei!” sbottò puntando l’indice accusatore contro la mia persona.
“Beh, mettiti in coda: prima ci sono io” esclamò Rose fissandomi altera “Tu, cara mia, dovrai essere la mia schiavetta per almeno i prossimi due secoli! Ingrata! Sai cosa mi hai costretto a fare?”
Scossi il capo intimidita. “Oh, si è spaventata per l’atteggiamento di Ice-Rose” fece Kate “Che carina!”
“Mi hai costretto a prendere i mezzi pubblici! L’autobus, Isabella!” continuò profondamente disgustata Rose “Con questa psicopatica qua! Che si è messa a cantare con un paio di disadattati sociali di trentacinque anni canzoni disneyane! Tu non hai idea di come mi sono sentita!”
“Dai, è stato forte!” controbatté Alice.
“Non mi sono mai vergognata tanto!”
“Beh, no. Non c’è stato quell’episodio alla fine degli anni Ottanta?” intervenne Kate.
“Emmett in versione cubista?” provai.
“No, l’altro… come sai di quella storia?” chiese Irina.
“Silenzio, screanzate!” le mise a tacere Rose oltraggiata “Chi ti ha detto di questa storia?”
“Ehm, Jasper mi potrebbe aver accennato qualcosa…” mi difesi insicura.
“Al, tuo marito è un uomo morto” sibilò Rosalie inviperita.
“Da più di un secolo e mezzo, direi” ridacchiò contenta l’altra “Che hai comprato, Isa? Fa’ un po’ vedere”
“Ora che ci siamo tutte, proporrei di organizzare questa giornata” prese la parola Tanya. “Il punto cruciale è: che facciamo?”
“Non hai un piano?” chiese Alice con le mani immerse nelle mie buste.
“No. Noi dovevamo solo rapirla”
“Ottima organizzazione, davvero” sbuffò Rose incrociando le braccia.
“Ehi, sorella nata da madre diversa, non è stato affatto facile organizzare la fuga” la riprese Kate.
“Perché, secondo te la nostra si è rivelata più semplice?”
“Io ho fame” me ne uscii stanca del loro battibecco. Aveva iniziato a farmi male la testa e anche la brutta nottata iniziava a pesare sulle mie spalle. “Voi fate quello che volete, ma io vado a mangiare qualcosa”
Raccolsi le buste e mi avviai verso un bistrò che mi pareva aver intravisto poco più avanti, ma la voce di Irina mi bloccò. “Scusa, ma con quali soldi ti comprerai il pranzo?”
Fui costretta a fermarmi. “Accidentaccio!” sbottai, pestando il piede in terra.
“Perché non te lo fai offrire da qualche bel ragazzo?” propose Alice ilare.
Rosalie intervenne, affiancandomi con due rapide falcate. “Andiamo” ordinò, ed io non potei fare altro che seguirla. Al contrario delle mie aspettative, le altre presero la direzione opposta.
“Dove vuoi mangiare?” domandò senza fissarmi.
“Ehm…” mi girai per avvistare il luogo più vicino rinunciando al bistrò – perché stare con questa Rosalie mi dava i brividi – e incontrai l’insegna di un fast food in fondo alla via. “Ti va bene un Burger King?”
Non rispose a parole e s’incamminò semplicemente; a fatica mantenni il suo passo.
Il silenzio tra noi era opprimente: continuò all’andata, mentre eravamo in fila, mentre aspettavamo il cibo. Continuavo a tormentarmi le labbra in attesa di una sua sfuriata ma Rosalie non fece nulla di tutto ciò; semplicemente mi scortava e pagava il mio pranzo in rigoroso silenzio, senza degnarmi della benché minima attenzione.
“Ok, basta!” sbottai, una volta terminate le mie patatine “Rosalie, parlami”
Lei si degnò di rivolgermi un’occhiata. “Che vuoi che ti dica?”
“Quello che ti pare, ma parlami!” la incitai con veemenza “Qualsiasi cosa ti stia passando per la testa, visto che tanto mi riguarda. Vuoi gridarmi contro il tuo rancore? Fallo. Mi vuoi consolare? Fa pure questo. Puoi anche mandarmi al Creatore se ritieni che io sia troppo melodrammatica, ma non startene in silenzio. O meglio, se vuoi fingere che io non esista mi sta bene, ma non impormi la tua presenza. Averti accanto e vederti vibrare di furioso, silente sdegno non posso sopportarlo”
Lei si voltò completamente verso di me, incrociando le dita affusolate tra loro, sul tavolo. “Lei non lo riesce a sopportare” sbuffò con un mezzo sorriso amaro, chiudendo gli occhi. Quando li riaprì, scintillarono di furia.
“Vuoi sapere cosa penso, Isabella?” iniziò fredda.
Annuii convinta, sebbene un po’ intimidita. “Tutto fuorché il tuo silenzio”
“Benissimo!” acconsentì con un cenno iroso. “Ora come ora, penso che tu sia una completa idiota. E dire che mi avevi fatto un’ottima impressione, inizialmente. Oh, e grazie alla tua sorprendente uscita, mi chiedo come sia possibile che io sia stata così stupida da perdere tutto questo tempo dietro a te, visto che tu per prima non mostri un po’ d’amor proprio”
Incassai il colpo come meglio potei, ferita a morte dalle sue parole; eppure continuai a sostenere il suo sguardo aspettando il resto. Perché ovviamente non poteva essere tutto lì, non con Rosalie almeno. Ciò che più avevo imparato ad apprezzare di lei era che portava sempre a compimento ciò che iniziava, sia a parole che a fatti. E ciò che mi preoccupava maggiormente era che lei non perdonava. Mai.
Una volta persa, la sua fiducia era persa per sempre.
“Ti ho accolto in casa mia, nella mia famiglia – la cosa più importante della mia vita” proseguì con veemenza “Mi sono fidata di te. Anzi, peggio ancora, mi sono affezionata a te così in fretta che… accidenti, neppure a Emmett ho concesso tanto! E tu in una sola serata sputi sopra a me, ai miei sentimenti e alle persone che amo perché fondamentalmente sei una cazzo di masochista repressa?!”
Alzò il tono della voce di pari passo con la sua collera, tanto che alcune persone si voltarono a fissarci. “Mi fai pure diventare volgare, accidenti!” concluse con un gesto altezzoso dei capelli. “Ti giuro, fossi mia figlia ti prederei a schiaffi a due a due fino a che non diventano dispari!”
“No, scusa un momento” replicai stizzita “Tu mi vuoi tenere il muso perché…”
“Tenere il muso?! Bella, io ce l’ho con te come mai prima!” mi bloccò Rose. Sibilò come un serpente a sonagli, dopo che ebbe fulminato coloro che ci fissavano, spaventandoli a morte probabilmente. “Sei una vampira con i contro cazzi, passami il termine, e ti sei fatta mettere sotto da quattro guardie smidollate – perché non credo che abbiamo messo la crème de la crème di Vol…”
“Senti un po’, Miss Ce-L’-Ho-Solo-Io, ti sei mai fermata un instante a riflettere sul fatto che forse, e dico forse, ci sia qualche motivo in più se non vi ho parlato dei fatti miei?!” urlai alzandomi, facendo crollare la sedia.
“E tu hai mai pensato a noi?!” replicò infuriata Rosalie, imitandomi. Le persone intorno a noi, comprendendo che c’era un qualcosa di più nel nostro litigio, iniziarono ad allontanarsi.
L’irritazione si trasformò in odio.
“Certo che ci ho pensato!”
“Come la tua famiglia, Isabella?!” aggiunse crudele “Ti sei mai fermata a pensare che noi tutti ci sentiamo legati a te per vincoli d’affetto?! Che noi non siamo i Volturi?!”
Boccheggiai un attimo, priva di una risposta. Sì, ci avevo pensato; ma mi faceva paura il riflettere su una cosa così grande e nuova, che li legava a me indissolubilmente. Mi faceva paura pensare di legarmi realmente a ognuno di loro.
“Lo vedi” sibilò trionfante Rose “Lo vedi perché sono così arrabbiata? Lo capisci? Per questo” indicò con un gesto plateale tutta la mia figura “Per tutto questo infantile altruismo, che non è altro che una maschera per la tua egoistica paura di soffrire ancora una volta un abbandono”
“No! Non è vero!” gridai in risposta.
“Sì invece! Sì, lo sai benissimo!” m’ interruppe “E sai cosa mi fa più arrabbiare? Il fatto che preferisci “immolarti” per noi, salvarci la vita, come dici, piuttosto che fidarti di noi!”
Si risedette di schianto, fissandomi con astio. “Ed è questo che mi fa più male” concluse con tono tetro “Che tu non ti fidi di noi. Che non vuoi far parte di questa famiglia. Cosa credi, che siamo i tuoi dei semplici custodi legali? Non hai visto che hai fatto a Carlisle, all’arrivo di Eleazar? L’hai pugnalato, Isabella: hai preferito credere subito che fosse lui il bugiardo, il cattivo, piuttosto che fidarti del suo affetto. Per non parlare di Esme, o Alice. O Ed, Em o Jasper – accidenti! Non ti accorgi di quanto affetto tutti noi proviamo per te. Non vuoi accorgertene, oppure non lo vuoi accettare. E dici di volerci salvare per cosa? Per avere la coscienza pulita almeno sulla questione Cullen? Ma per favore! Preferirei mille volte morire tra le mani di Aro sapendo che almeno un po’ delle tue parole sono state sincere, piuttosto che vivere per l’eternità sapendo di essere stata presa in giro da te!”
Rimasi in silenzio a guardarla.
“Finisci di mangiare” mi ordinò Rose tornando a fissare il nulla.
“Tu… tu pensi che io sia fatta di pietra?” sibilai nervosa, ottenendo nuovamente la sua attenzione. “Ma come ti permetti?! Sei… un’arrogante!"
Io sarei arrogante?”
“Sì. Tu, che ti ergi a giudice e mi condanni senza appello e senza darmi la possibilità di spiegare”
“Hai avuto tre mesi, Isa. Tre mesi per prendere fiato e dirci la verità!”
“È certo, perché è così facile!” urlai di rimando “Allora perché non parli tu, Rose, eh? Perché non prendi fiato e mi fai luce sulla tua esperienza, visto che sei una donna così vissuta?!”
Lei s’irrigidì tutt’a un tratto, i lineamenti contratti per la rabbia o per qualsiasi cosa l’avesse improvvisamente ghermita. Beh, non m’importava. Che soffrisse, visto che sembrava sapere così tanto di me senza che io le avessi mai letto il mio diario segreto delle vere amiche, pieno di sogni e speranze infrante!
“No. No, certo che no, non ti puoi abbassare a tanto” la incalzai “Predichi bene e razzoli male, Rosalie. Ma sei fortunata, perché a me non interessa saperlo. Non m’interessa la storia della tua vita estorta con la forza, mi piacerebbe molto di più che fossi tu, in prima persona, a parlarmene. E sai perché? Perché io a te ci tengo, davvero. A te, come a tutta la tua famiglia, come hai gentilmente sottolineato. Tua, non mia. È stata una mia scelta non unirmi al club Cullen? Sì. Eccola la verità, la merdosa verità che vai cercando: io non voglio essere una Cullen. Non voglio, perché significherebbe affrontare cose che… che…”
La verità premeva lì, sulle mie labbra, pronta per uscire. Ma caparbiamente e con paura mi morsi il labbro e le diedi le spalle. “Vaffanculo!” sbottai, rivolta a lei e a me stessa, prendendo di corsa la via per le scale.
Cercai di arrivare presto fuori per essere libera di fuggire ma Rose mi raggiunse facilmente afferrandomi un braccio. Era livida.
“Stavolta no. Stavolta non ti lascio scappare, Isabella” m’intimò, trascinandomi Dio solo sapeva dove. Tentai di divincolarmi e scappare ma non mollò la presa. Allora la morsi, con tutta la forza che avevo, stando però attenta a non iniettarle il mio veleno.
Le sfuggì un gridolino seguito da un’imprecazione a denti stretti, ma oltre a una brutta occhiata non fece altro. Mi scortò verso una zona poco frequentata e senza troppi complimenti mi gettò per terra, in mezzo a una pozzanghera. Ringhiai.
“Abbi il fegato di dirlo, Isabella. Abbi il fegato, per una volta in vita tua, di esprimere il tuo cazzo di punto di vista!” mi urlò contro, acquattandosi leggermente.
“Altrimenti che fai, bionda?” la sfidai con un ringhio.
“Ti precederò” mi rispose con un sorriso, accettando la mia sfida; ovviamente si aspettava questa reazione, perché lei era Rosalie Cullen, la Lungimirante dalla Soluzione Sempre Pronta. “Sono certo che un paio di mani in più, soprattutto se Cullen, allo zio Aro faranno piacere”
Persi tutta la grinta che avevo in corpo, inorridita alla sola idea. “Non ne avresti il coraggio…” tentai debolmente.
“Ho fatto cose peggiori, Isabella. Non sfidarmi” disse lei seria più che mai “Io, per la mia famiglia, farei di tutto. E che ti piaccia o no, tu fai parte della mia famiglia. Se questo è l’unico modo che ho per poterti aiutare, non ho paura”
“Sei… sei…” boccheggiai “Crudele
Lei sorrise amaramente. “Non me lo avessero mai detto…” sogghignò. Si riscosse con un cenno imperioso del capo. “E comunque, tu cosa credi di essere? Pensi che il tuo comportamento sia diverso dal mio? Pensi di essere meno arrogante di me, perché ferisci le persone in silenzio invece che con fatti o parole? Vorrei sapere dov’è la differenza tra me e te”
Rimasi in silenzio, messa alle strette.
“Allora? Non ho tutto il giorno – anche perché se devo andare a fare le valigie ci vorrà un po’ per scegliere le scarpe giuste” mi provocò.
Mi conficcai le unghie nel palmo delle mani, tremando. Eccolo. Eccolo lì, sottoforma di mia sorella, il mio tutto. Persino peggio dei Volturi, sottoforma di Rosalie Cullen.
“Ti odio” sibilai chinando il capo.
Sconfitta. Di nuovo, per colpa… nostra. Di nuovo sconfitta dalla realtà che rifiutavo.
“Come, prego?”
Ringhiai. “Ti odio! Ti odio, ti detesto! Disprezzo te e… e tutti quelli come te!” urlai infine, alzandomi in piedi con i pugni serrati. “Tu, il tuo fottuto carattere arrogante! La tua fottuta certezza di essere perfetta! E la fottuta perfezione che ostenti! Odio tutto, tutto di te!”
Scattai in piedi, sporgendo il mento in fuori, provocandola con lo sguardo “Sei contenta, adesso?! Hai raggiunto il tuo scopo. Sei soddisfatta?! Lo ammetto, così ti sarà più chiaro: odio i vampiri. L’idea di essere un mostro mi repelle. Non riesco a sopportare l’onta di essere immortale, di essere bella, di dover vivere a spese di esseri umani, di fingere di essere qualcosa che non sono più! Non sopporto di essere stata privata del sole, delle belle giornate, di una vita normale, perché così hanno voluto altri vampiri! Non tollero di essere un mostro come tutti voi!”
Iniziai a camminare avanti e indietro tra le due pareti degli edifici che ci circondavano, in trappola. “Mi faccio schifo… così tanto, tanto schifo. E anche voi!” la aggredii con lo sguardo e con la voce “Voi tutti, vegetariani e non. Non c’è differenza, non ce n’è alcuna: mostri sie… siamo, indipendentemente dalla dieta che ognuno sceglie di seguire. Esseri spietati e senz’anima, assassini e mostri! Arroganti, perché storpi come siamo ci siamo autodeterminati esseri perfetti! Gli umani sono inferiori, dite; beh, io la trovo la più grande stronzata che sia mai stata messa in circolazione! È solo gelosia mascherata! L’idea di essere della stessa razza… no, scusa, ho sbagliato. Io sono anche peggio! Io sono l’Envrial, l’Evoluzione dei Vampiri. Hai capacità straordinarie che però non vuoi utilizzare… Forse con un incentivo… Incentivo un cazzo! Non voglio utilizzare niente perché l’idea che i miei poteri siano reali, che Isabella Swan, l’umana, sia morta, mi terrorizza! Voltura, Cullen, Denali… l’idea di appartenere a un clan mi disgusta e mi spaventa, perché sarebbe come ammettere che Isabella non esista più! E io non voglio! Preferisco… preferisco essere masochista, e sì, lo ammetto anche… anche…”. Scoppiai a piangere, disperata “Anche che altri muoiano, pur di continuare a fingere di essere umana. Di essere me stessa”
Scivolai sul terreno con la schiena al muro, passandomi una mano tra i capelli. Come se un gesto del genere potesse spazzar via tutto lo schifo che avevo addosso, facendomi dimenticare il disgusto che provavo per me stessa.
“E poi siete arrivati voi” sibilai, perdendo il tono di rammarico per assumere la vera sfumatura delle mie emozioni: il rancore . “Voi e la vostra condotta così equilibrata, così giusta. E… mi avete fatto vedere che c’è la possibilità di essere felici anche… anche dopo. E mi sono sentita… così deprecabile, così… mostruosa, non più per la mia nuova natura, ma per la mia condotta, per i miei pensieri… perché una piccola parte di me prova gusto, nell’uccidere. Gode della sofferenza altrui. Ama essere vampira. E io l’ho rifiutato per paura! E allora vi ho osservato, e lì ho capito cosa vedesse Aro di minaccioso in voi. Cosa mi stesse spingendo a cambiare. A… a trovare il coraggio di lasciare andare la memoria. Di… accettarmi, o almeno provarci. E… e io volevo essere perfetta per voi. Volevo accettare anche ciò che disprezzo più di ogni altra cosa. Così ho iniziato a cercare… e godere, degli aspetti positivi ma… ma adesso che ho capito cosa pretende Aro da me… cosa sono costretta a scegliere e… e così tante altre cose… cose vecchie e nuove e io…”
Mi nascosi il volto tra le mani. Mi vergognavo così tanto, in quel momento. Così tanto…
Le braccia di Rose si strinsero attorno alle mie spalle, fornendomi un appoggio, un legame per sfuggire a quell’ondata di rammarico che cercava di sommergermi. Rammarico dell’umana, della Vampira, della Voltura e della Cullen… tutti gli aspetti che in quei tre anni erano andati a delineare la me vampira.
“Ti giuro che ho… ho provato, per un po’, a lottare”. Sentivo il bisogno di confessarmi con Rose, perché per la prima volta era certo che fosse l’unica persona in grado di comprendermi realmente “Ma quando ho capito che stavo accettando l’idea della mia mutazione sono… scappata” terminai con ramarico “Sono una codarda, Rose. Non voglio affrontare la realtà. Preferisco fingere di volermi semplicemente immolare per voi, perché è la via migliore per... cioè no” mi corressi. “Ciò che vi ho detto ieri sera è tutto vero. Anche ciò che ho provato, ogni parola che ho detto era sincera. Ma non posso nascondere che sia stata anche una via di fuga, per me, il poter rimandare la data della scomparsa della me… umana”
Mi raggomitolai sulle ginocchia. “Mi manca Isabella Swan” sussurrai, chinando poi il capo.
“Sono una stupida” sputai “Una stupida ragazzina, aggrappata a un passato che non potrà avere indietro” mi accusai “E ho sputato in faccia all’unica cosa bella della mia… eternità. E la cosa peggiore e che me la caverei alla grande nell’essere una Cullen!” strepitai isterica. “Cazzo, riuscirei anche a passare per la figlia biologica di Carlisle, per quanta brama ho di sentirmi bene. Sarebbe la prima volta per me di sentirmi accettata. Sono stata strana da umana, sai? Del tipo che preferisce sognare ad occhi aperti, stare da sola con un libro o un foglio bianco piuttosto che a una festa o altro… e come vampira sono unica. Unica, capito? Non riesco neppure a rapportarmi con gli altri vampiri, neanche volendo. Cazzo, qual è il mio fottuto problema?” strepitai infine, sentendo le lacrime di rabbia scorrermi sulle guance. Presi a pugni il cemento per sfogarmi un po’.
Rosalie mi osservava in silenzio. Si sedette per terra, facendomi spazio per permettermi di poggiarmi al suo seno, continuando a carezzarmi i capelli con fare materno, rassicurante
Singhiozzai ancora un po’. “Sono una stupida” conclusi “Una stupida, e una bugiarda. Una stupida, bugiarda e… melodrammatica. E pensare che odiavo la gente che si disperava per un nonnulla”
Rose si limitò a lisciarmi i capelli “Beh, proprio non nulla non è” sussurrò provando a fare dell’ironia, per poi assumere un tono più serio. “Lo so, Bella. So che sei una stupida, una bugiarda e che l’unica volta che ci hai detto l’assoluta verità è stato ieri sera. Ma non capisco perché solo ieri, Isa: ti facciamo davvero più paura o schifo dei Volturi?”
“Voi siete peggio, te l’ho detto” ammisi controvoglia. La sentii emettere un gemito frustrato.
“Perché voi mi state spingendo a essere me stessa. Mi state sbattendo in faccia tutti gli errori di una vita. Mi state costringendo a… migliorare” sussurrai piena di vergogna “Sono una codarda, Rose, lo ripeto. È molto più facile scappare, per me. Hai ragione a dire che sono masochista, ma… non voglio provare a essere una Cullen. Ci riuscirei benissimo, ma…”
“E basta con questi se, ma, quando!” esclamò agitata, dandomi una leggera botta sul capo “Smettila! Perché in questo momento, con tutte queste paturnie, sei tu che mi stai facendo ricordare cose spiacevoli!”
Alzai finalmente il capo per guardarla, ma lei fissava ostinatamente il muro. “So come ti senti, Isabella. Credimi, io non accetto assolutamente, ancora oggi, la nostra condizione. Provo il tuo stesso rammarico, il tuo stesso… disgusto”. Fece una smorfia a quella parola. “E anche per me, alle volte, diventa difficile sopportare la vista della mia famiglia. Di me stessa”
In quell’istante, mi sembrò molto più vecchia, molto più matura e grande di me. E anche infinitamente più triste. “Io più di tutti mento a me stessa, in quella casa. E più di tutti mi ritrovo a combattere la nostra natura. Perché siamo mostri, Isabella, siamo disgustosi mostri succhi-sangue!” ringhiò arrabbiata “Ci sono ben poche cose peggiori di noi al mondo. I tuo biasimo, il tuo rancore… li sento come se fossero i miei, perché io la penso esattamente come te. Dopo quasi un secolo, io la penso esattamente come te. E ad accettarmi faccio ancora fatica! Tu almeno ci hai provato, hai tentato! Se non fosse per Emmett io…”
Tacque, stringendo le labbra per tacere. Non insistetti, non ne avevo proprio il diritto.
“Però…” riprese, tornando a fissarmi. “Però non siamo sole, Isabella. Abbiamo la nostra famiglia. Per fortuna, abbiamo Carlisle, Esme, Alice e Jasper, Emmett e Edward” concluse con un leggero sorriso, che divenne un ghignò “La nostra disgustosa famiglia di mostriciattoli”
Chinai il capo mortificata, arrossendo. “Il problema è che non riesco a vedervi come mostri. Non voi. Però, più sto vicino a voi...”
“Più vedi quanto mostruosa e sbagliata sia tu” completò lei. “Credimi, lo so bene. Abbiamo la stessa visione della condizione d’immortale”. Fece una pausa, poi ghignò “Beh… un po’ tutti siamo dei mostri, se ci paragoniamo a San Carlisle Della Perpetua Speranza. E anche lui ha le sue paturnie. Ah, meno male che si gode il sesso, almeno”
“Rose!” esclamai allibita.
“Che cosa pensi, che giochi a scarabeo con Esme?” replicò “Guarda che Carlisle batte chiodo più di tutti noi messi insieme”
Rosalie!” esclamai in imbarazzo per lui “Sembri Emmett! Non puoi parlare così di…”
“Di papuccio?” rise lei “Se vuoi sparliamo di Jasper”
“No, grazie” replicai.
“Bella?”
“Uhm?”
“Non te la sto facendo passare liscia” disse seriamente “Questo discorso deve servire al tuo cambiamento. Perché – ammettiamolo entrambe! – non possiamo tornare indietro. Non possiamo riavere la nostra vita normale. Carlisle aggiungerebbe che Dio ci ha fatto dono di un’altra possibilità a che dobbiamo viverla al meglio e molte altre cose buone e positive da buon cristiano. Ma io non sono credente, e sinceramente non me ne frega un accidente della seconda possibilità, considerato come è andata la prima. Una volta mi è bastata, in questo purgatorio.”
Posò il capo contro il muro, rimanendo in silenzio per un tempo lunghissimo.
Dopo aver contatto quattrocentododici dei suoi respiri, ripresi la parola. “Allora… cosa facciamo?”
Lei si permise un mezzo sorriso. “Ah, non ne ho idea” rispose girandosi verso di me “Speravo potessi dirmelo tu”
Non mi unii al suo tentativo di allegria. “Non voglio essere una vampira”
“A questo c’è un solo rimedio: la morte” replicò lei con lo stesso tono “Per te potrebbe essere una liberazione, ma gli altri ne dovrebbero affrontare le conseguenze. E spero per te che l’anima non esista altrimenti appena calerà il sipario sulla mia vita verrò a cercarti e ti prenderò a calci in culo per l’eternità”
Mi cinse le spalle con un braccio. “Se però il tuo timore maggiore è quello di dimenticare te stessa, allora cerca di imprigionare la tua memoria in qualche modo. Dobbiamo accettare entrambe che i cambiamenti siano inevitabili anche e soprattutto in noi che ipocriticamente, come hai detto tu, ci definiamo immutabili. Chi lo sa, magari domani scoprirai che questa Bella ti piace di più di quella di prima”
“Sono punti di vista”
“Appunto. Forse è giunta l’ora di mutare prospettiva”




L’Angolino che Vorrei:

Buonsalve a chiunque sia giunto fin qui, dopo ventitré pagine di word e aver perso la vista. Prima scusa va a quest’ultimi lettori: per lo stile, lo ingrandirò dal prossimo, ampliandolo a tutta la storia, al mio rientro tra dieci giorni.
Secondo tipo di scuse a tutti coloro che si aspettavano una Bella più combattiva: anche qui piange un po’, ma non temete, nel prossimo (incrociando le dita) lascerò che si sfoghi su Edward.
Non vorrei sprecare molto su questo capitolo, perché lo sento mio. Bella esprime la mia rabbia durante il periodo in cui ho abbandonato le mie convinzioni, e Rose la santa donna che mi ha fatto risalire (Meow, questo è per te).
Amo la mia Tanya. Amo la mia Tanya insieme alla mia Bella. Voglio scrivere assolutamente qualcosa anche su loro due come coppia. Un assaggio ci sarà nel prossimo capitolo, che è praticamente finito, devo solo decidere se allungarlo un altro po’ con EdwardCar alla riscossa o lasciarlo così.
… Forse è il caso di trasformare questa storia in una serie, e concentrarmi di più sul resto della trama.
Cercherò di aggiornare entro il 15 di agosto, perché poi ci saranno delle belle, sia nella mia vita che nella storia.
Ah, le scuse sul ritardo stavolta non le metto, perché ero giustificata: MATURITA’ CLASSICA, e ho detto tutto.
Per i commenti, gli Avada Affanciulo, le lacrime, le maledizioni o le curiosità, vi prego di lasciare un commento o scrivermi una mail privata.
Le risposte alle scorse recensioni vedranno la luce al mio ritorno.
Un bacio a tutti, chi mi segue da sempre e non si è arreso, chi mi ha scoperto per caso e chi mi legge per scommessa!
Marzia


  
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