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Autore: Necromance_theatre    19/07/2013    3 recensioni
Questa non è una fanfiction SUGLI Avenged Sevenfold.
Loro ci sono, ma fanno da sfondo.
Non sono brava con le presentazioni...
"Ocean tirò fuori la pistola dal cassetto.
Aveva approfittato della partenza di suo padre per lavoro per intrufolarsi nel suo ufficio, stando attenta a non spostare niente.
Suo padre, l’uomo ordinato e preciso, l’architetto impegnato, colui che non si curava minimamente di quello che sua figlia doveva passare ogni giorno.
...
“Fa che non ci sia, fa che non ci sia, fa che non ci sia…” Implorò, aprendo la porta dell’ufficio della preside.
Evidentemente qualcuno accolse le sue suppliche, e riuscì ad entrare indisturbata.
“Ok, non si torna indietro…” Sussurrò a se stessa, infilando la chiavetta nell’entrata USB del computer. Selezionò il brano e si collegò alle varie casse disposte nelle aule.
Il pianoforte di “I won’t see you tonight pt.1” riecheggiò nei vari locali della scuola."
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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A-hem... Salve Sevenfoldist, come va? :)

Prima di venire massacrata di botte, ci tengo a precisare che questa cosuccia cososa l'ho scritta sulla base di un sogno della mia cara Easter S. che se non spammo mi uccide.

Lei mi ha raccontato il suo bel sogno (non come me, che sogno solo cose idiote tipo apocalisse degli zombie o Mike Patton che mi fa lezione di giardinaggio o.o) e io lo messo su a mo' di racconto... un po' di cose sono cambiate, ma la linea generale rimane quella.

Come dicevo in introduzione, non parla DEGLI Avenged Sevenfold, ma li vede come sfondo, o meglio, vede come sfondo la bellissima I Won't See You Tonight...

Che altro aggiungere... è la prima cosa seria che pubblico qua sopra... *Applausi*

Spero in un non linciaggio ^-^

Vi sarei mooooolto grata se lasciasse un piccolo commentino nelle recensioni, anche negativo!

Sbizzarritevi xD

A presto :3

Necromance_Theatre

 

 

Ocean tirò fuori la pistola dal cassetto.
Aveva approfittato della partenza di suo padre per lavoro per intrufolarsi nel suo ufficio, stando attenta a non spostare niente.
Suo padre, l’uomo ordinato e preciso, l’architetto impegnato, colui che non si curava minimamente di quello che sua figlia doveva passare ogni giorno.
Non lo apriva mai quel cassetto, non si sarebbe accorto della sparizione di un oggetto così pericoloso. In ogni caso, sarebbe stato comunque troppo tardi.
Si chiuse la porta alle spalle, andando a prepararsi per la scuola.
In genere non gli avrebbe attribuito troppa importanza (che senso aveva ormai?), ma decise di vestirsi come meglio poteva.
Indossò la sua maglietta preferita, un enorme deathbat stampato sul davanti, un semplice “foREVer” sul retro.
Cercò di acconciarsi i lunghi e neri capelli nel migliore dei modi, lasciandoseli cadere da un lato.
Raramente si truccava, aveva da tempo perso la voglia, ma per quel giorno optò per una semplice linea di eye liner nero per dare espressione ai profondi occhi blu. Waterproof, altrimenti le lacrime l’avrebbero fatto sbavare…
Non c’era tempo per i ripensamenti, infilò la pistola nel fondo della cartella e andò a prendere l’autobus.
“Oh, guardate ragazzi, arriva la strega…”
Esclamò qualcuno dall’ultima fila.
Ocean proseguì.
“Cos’è questo nuovo look? Cercavi di sembrare meno sfigata del solito? Beh, hai fallito.”
Ocean proseguì.
“Hey, little architetto, papino oggi non ti ha accompagnata?”
Ocean si sedette da sola, vicino al finestrino, infilandosi le cuffie.
“No, guarda nana, il posto è occupato.”
Ocean interruppe la canzone controvoglia, liberandosi un orecchio.
“Lo vedo, lo sto occupando io.” Borbottò.
“Cosa hai detto?!”
“Ti stavo semplicemente facendo notare che…”
“Hai rotto il cazzo, nana.”
La ragazza venne strattonata e buttata a terra.
Si levarono un elevato numero di risatine.
Si aggiustò i capelli, cercando di non dare a vedere le sue emozioni, rimanendo fredda e distaccata: aveva un obbiettivo per quel giorno, e lo avrebbe portato a termine, a qualsiasi costo.
Sopportò le prime tre ore di lezione con rassegnata apatia. La sua mente vomitava pensieri e ricordi ad una frequenza insana.
Arrivata all’intervallo, scribacchiò due righe su un bigliettino, lasciandolo sul banco.
“Scusate, ragazzi…” Mormorò, pensando ai suoi amici, i pochi che gli erano rimasti.
Ocean salì le scale velocemente, evitando le solite battutine e prese in giro da parte dei compagni.
Cosa aveva fatto di male per meritarsi tutto questo? Perché fin dal primo giorno di scuola era stata presa di mira da chiunque?
Strinse la lingua tra i denti, gli occhi lucidi.
“Fa che non ci sia, fa che non ci sia, fa che non ci sia…” Implorò, aprendo la porta dell’ufficio della preside.
Evidentemente qualcuno accolse le sue suppliche, e riuscì ad entrare indisturbata.
“Ok, non si torna indietro…” Sussurrò a se stessa, infilando la chiavetta nell’entrata USB del computer. Selezionò il brano e si collegò alle varie casse disposte nelle aule.
Il pianoforte di “I won’t see you tonight pt.1” riecheggiò nei vari locali della scuola.
Ocean sorrise tristemente: non avrebbe potuto scegliere canzone più azzeccata per ciò che stava per fare… Quelle parole l’avevano accompagnata per tutti quei lunghi mesi, giorno dopo giorno, sputo dopo sputo, livido dopo livido.
Ma il peggio erano le parole: i sussurri che si levavano al suo passaggio, le risatine che infestavano i corridoi, come se fosse un fenomeno da baraccone, lo spettacolo della giornata.
E tutto questo per il fatto che era diversa, per il semplice modo che aveva di pensare, esporre le sue opinioni, ragionare. Lei non seguiva la corrente di pensiero della massa, se di corrente di pensiero vi voleva pensare, e la massa la ripudiava.
Aveva creduto che i suoi amici sarebbero riusciti ad aiutarla, effettivamente avevano fatto il possibile. Erano più grandi, e questo le faceva guadagnare almeno un paio di punti quando girava con loro, per lo meno la violenza fisica se la poteva risparmiare…
Ma tutto il resto la opprimeva, e nessuno avrebbe potuto aiutarla.
Cercò di offuscare la riproduzione del brano, in modo che chi fosse arrivato non avrebbe potuto interromperlo tanto facilmente.
Uscì dall’ufficio silenziosamente così come era arrivata, dirigendosi verso la palestra, la pistola nello zaino.

“Cry alone, I’ve gone away, no more nights, no more pain…”

Dall’altra parte della scuola, William e Fadi riconobbero la canzone con cui Ocean si era fissata in quel periodo… Da parecchio tempo, a dire il vero.
Stavano andando a salutarla nella sua classe, dove in genere trascorreva la ricreazione. Trovando il banco vuoto, i due si guardarono attorno spaesati.
“Che cosa sta succedendo?” Chiese Wlli confuso.
Per pura casualità, lo sguardo dell’amico cadde sul foglietto infilato tra i libri che aveva scritto Ocean.

“Sorrow, sank deep inside my blood
all the ones around me,
I cared for and most of all I loved
but I can’t see myself that way
please don’t forget me or cry while I’m away
So far away, I’m gone. Please don’t follow me tonight.
And while I’m gone, everything will be alright.”

“Cosa…questo cosa…” Mormorò stringendo il biglietto tra le mani.
“Ma è la stessa canzone che stiamo ascoltando ora… Non…”
I due amici arrivarono alla conclusione simultaneamente.
“Ocean, fermati!” Esclamarono in coro uscendo di corsa fuori dall’aula.
Nessuno prestò attenzione a loro, come nessuno prestò attenzione ad Ocean che, nei sotterranei, continuava a camminare verso la sua meta.
L’intera scuola era presa da una strana sensazione di disagio, nel sentire la musica uscire negli altoparlanti dove di solito riecheggiava la severa voce della preside.
I due ragazzi salirono all’ultimo piano, ma non la trovarono.
Di lei non c’era traccia nemmeno al piano terra.
L’idea della palestra venne a Fadi: a quell’ora doveva essere deserta.
In quel momento Ocean aprì le pesanti porte con maniglioni antipanico del locale, guardando le banchine deserte.
Il potente crescendo di archi che aveva tanto amato nella canzone, le trasmetteva un caldo torpore, una sorta di irrealtà che la portò a riflettere su cosa stesse per fare, o semplicemente a fare un breve elenco delle cose di cui avrebbe sentito la mancanza.

Tirò fuori la pistola.

William e Fadi imboccarono l’inizio del corridoio che portava alla palestra, cercando di pensare al fatto che forse si stavano solo sbagliando, che avevano frainteso…

Ocean iniziò a piangere, ma per una volta nella sua vita lo fece senza vergogna: non si vergognava del suo gesto, aveva preso una decisione e finalmente si sentiva in pace con se stessa. Non si vergognava del suo gesto perché sarebbe servito d’esempio, tutti avrebbero visto, tutti avrebbero capito… Tutti avrebbero pagato. E se il prezzo di questo era la morte, bene, era pronta ad accettarlo, a pagare.
Sentiva i passi dei suoi amici che si avvicinavano alla palestra, ansimando.
Si portò la pistola alla tempia.
“Ocean, fermati!”
Non riconobbe di chi fosse la voce, la musica ora era troppo forte.

“No more breath inside, essence left my heart tonight.”

Ocean premette il grilletto.

Il suono dello sparo risuonò tra le mura della stanza, quando finalmente i due amici aprivano le porte.
Erano arrivati troppo tardi.
Dietro di loro, che assistevano al tutto impotenti, shoccati, increduli, accorsero studenti e professori.
Fu il caos, grida inorridite, parole confuse, rumore di passi, il tutto mentre la canzone si dissolveva.
Poi tornò il silenzio, e tutti si zittirono.
“Avete visto?” Urlò William fuori di se. “Avete visto che cosa le avete fatto?” Lui e Fadi, insieme alla moltitudine di ragazzi e curiosi che si era accalcata, vennero spinti fuori dai professori, mentre qualcuno chiamava un’ambulanza e la polizia, entrambe inutili, data la situazione.

Ai funerali di Ocean, si presentò gran parte della gente che per mesi l’aveva perseguitata fisicamente e psicologicamente. Il suo sangue era davvero servito? Ne era valsa la pena? Era questo il prezzo da pagare per ritrovare la pace?

“Building up, inside of me
A place so dark, so cold, I had to set me free
Don’t mourn for me, you’re not the one to place the blame…
…i won’t see you tonight…”

  
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