Serie TV > Grey's Anatomy
Ricorda la storia  |      
Autore: _Trixie_    20/07/2013    3 recensioni
Provate a immaginare una giornata iniziata con il piede sbagliato, una giornata storta, una di quelle dove nulla va mai per il verso giusto e che vorremmo finisse subito, ma che sembra eterna, provate a immaginare una giornata del genere, perché è la giornata che sta vivendo Addison Montgomey, ancora Shepherd, e che forse si concluderà più disastrosamente di come era iniziata.
Genere: Angst, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Addison Montgomery Sheperd, Derek Sheperd, Mark Sloan
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Prima dell'inizio
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Autore: Trixie
Rating: Verde
Genere: Sentimentale, Slice of life, Angts
Lunghezza storia: One-shot, 5535
Tipo di Coppia: Het
Personaggi: Addison Montgomery, Mark Sloan, Derek Shepherd
Contesto: Prima dell’inizio
Note: -
Avvertimenti: Triangolo
Introduzione: Provate a immaginare una giornata iniziata con il piede sbagliato, una giornata storta, una di quelle dove nulla va mai per il verso giusto e che vorremmo finisse subito, ma che sembra eterna, provate a immaginare una giornata del genere, perché è la giornata che sta vivendo Addison Montgomey, ancora Shepherd e che forse si concluderà più disastrosamente di come era iniziata.

A K. e a tutti i lettori
che hanno avuto una giornata storta.

 

A wrong man
 

 
 
Si dice che in punto di morte la vita ti scorra davanti, come un vecchio film dall’audio disturbato e le immagini sfuocate. Per questo, camminando lungo il marciapiede quella mattina di novembre, Addison credé di essere sul punto di lasciare questo mondo.
La sua vita le passò davanti agli occhi, come un treno in corsa, senza che lei potesse fare nulla per fermarla. Eppure continuò a respirare, a guardare senza vedere la strada di fronte a sé, a reggere la borsa in una mano e il caffè bollente appena acquistato nell’altra.
E non si rese conto di essere d’impaccio ai frenetici Newyorkesi che imprecavano contro quella stupida donna ferma in mezzo al marciapiede fino a quando un uomo corpulento la urtò violentemente.
«Si sposti! C’è gente che ha fretta!» urlò il passante, senza nemmeno curarsi di lei.
Addison si riprese e scosse il capo indignata e furente. Nell’urto era riuscita a non cadere, ma si era rovesciata addosso il caffè e ora un’orribile macchia marrone rovinava il suo bel cappotto bianco, che era costato un intero mese di stipendio e diverse suppliche a Derek per il permesso di spendere una cifra esagerata per un capo d’abbigliamento.
Se suo marito avesse saputo che tutti quei soldi erano appena svaniti nel nulla, si sarebbe infuriato, e parecchio anche. Riguardo questo Addison non aveva il minimo dubbio.
«Maledizione!» disse più a sé stessa che al passante, visto che questo si era ormai dileguato nel nulla.
Camminò a passo veloce, di pessimo umore, stringendo convulsamente il contenitore del caffè ormai vuoto e cercando di coprire il cappotto con la borsa.
«Taxi! Taxi!» chiamò Addison, spostandosi sul ciglio della strada e agitando il braccio. Un taxi, vuoto, le passò davanti senza degnarla di uno sguardo o rallentare.
«Taxi!» urlò nuovamente, mettendosi anche in punta di piedi, nonostante i tacchi le dessero già qualche centimetro in più. Non era bassa di statura, anzi, era nella media, ma aveva ben presto imparato che un paio di tacchi, oltre a renderti più sexy, ti danno quei centimetri in più che possono giovare alla tua autorità.
Una seconda auto gialla le passò di fronte, questa volta rallentò e quando si fermò Addison ringraziò qualsiasi Entità Superiore le avesse concesso tanta fortuna, ammesso che esistesse.
«New York General Hospital» disse bruscamente all’autista, mentre l’auto partiva altrettanto bruscamente.
«Pessima giornata?» si informò l’uomo.
«Sì, e deve ancora iniziare» rispose Addison con rabbia, abbandonandosi sul sedile con un sonoro respiro. In genere non sopportava gli autisti chiacchieroni e quella mattina in particolare sentiva di non poter sopportare nessuno.
La corsa, nonostante il classico traffico delle ore di punta, fu breve e Addison tirò un sospiro di sollievo entrando in ospedale, sentendo quell’odore a lei familiare che molti ritenevano fastidioso.
Si tolse velocemente il cappotto e si diresse il più in fretta possibile nella saletta dei medici, sperando di non imbattersi in suo marito Derek, uscito presto quella mattina per una chiamata d’emergenza.
Guardandosi intorno nervosamente, era troppo distratta per notare l’uomo dalle spalle larghe e l’espressione corrucciata nel leggere una cartella medica che le venne addosso.
«Ma perché la gente non guarda dove diavolo va?!» esplose Addison esasperata.
«La gente? Questa me la segno, Addison» scherzò Mark Sloan.
«Oh, mio dio, scusami, Mark. È una giornataccia. Hai visto Derek per caso?» domandò guardando alle spalle dell’uomo, il cappotto ben stretto al petto.
«È appena entrato in sala operatoria, va forte oggi: un aneurisma dopo l’altro. Mentre sembra che io dovrò starmene con le mani in mano tutto il giorno» profetizzò Mark, il grande chirurgo plastico che non aspettava altro se non mostrare al mondo quanto lui fosse… perfetto.
«Ti rifarai domani, Mark» gli sorrise Addison.
«E tu dove vai così di corsa?  Sembra che ti stia inseguendo qualcuno!» si informò l’uomo, mettendole un braccio attorno alle spalle. Presero a camminare lentamente in direzione dell’ascensore.
Addison si rammaricò che quel braccio non fosse di Derek. A dire il vero negli ultimi mesi si era spesso rammaricata che Mark non fosse Derek.
Vedeva suo marito solo di sera, quando ormai lei era a letto con un romanzo tre la mani, una pila di riviste lette impilate sul comodino e un paio di occhiali che le scivolavano in continuazione lungo il naso.
Le loro conversazioni si erano ridotte ad un saluto, un breve resoconto da parte di Addison sulla sua giornata e a un bacio veloce. Poi lei chiudeva il suo libro, vi appoggiava sopra gli occhiali, spegneva la luce e non tardava molto a chiedersi perché Derek fosse diventato un completo estraneo.
«Mi sto nascondendo da Derek» rispose Addison sospirando. Non che la cosa sia difficile, mi evita come se avessi la peste.
«Oh, signora Shepherd, deve averla combinata grossa, questa volta!»
«Smettila! E guarda…».
Addison mostrò il cappotto all’uomo, mentre lui chiamava l’ascensore e liberava le spalle dell’amica.
«Una… macchia su una giacca. Seriamente, mi stai prendendo in giro?» domandò Mark. La sottile ruga in mezzo agli occhi divenne più profonda, tipico segno che era confuso e che non aveva capito nulla di quello che gli era stato detto.
«Questa giacca è l’intero stipendio di Derek. E questa macchia è… una macchia di caffè sulla busta paga di Derek. E guarda il mio viso, Mark, guardalo bene, lo vedi?» insistette Addison, indicando con un dito il proprio viso.
«Sì, lo vedo tutti i giorni, Addison. Ti trucchi in modo eccessivo per un chirurgo per poppanti, ma-»
«Chirurgo neonatale, Mark, sono un chirurgo neonatale! E questo mio bel viso truccato verrà rovinato dal mio altrettanto bel marito quando scoprirà che ho buttato i suoi soldi nel cesso».
Addison riprese fiato e l’ascensore annunciò il proprio arrivo con il suo caratteristico “din”.
«Metaforicamente parlando, intendo» aggiunse la donna, fulminando con lo sguardo Mark, che aveva assunto il suo irritabile ghigno da strafottente.
«Addison, stai facendo di questa macchia una tragedia. Tu e Derek siete due chirurghi di fama mondiale! Insieme guadagnate più di quanto possiate spendere, dove è il problema?»
Il chirurgo cedette il passo ad Addison entrando in ascensore e salutò il dottor Berserk con un cenno del capo.
«Perché, vedi, il tuo caro amico Derek Shepherd si è messo in testa di voler costruire una casa in campagna. Una casa in mezzo al nulla. Una casa fuori città, lontana da questo ospedale e da qualsiasi luogo abitato e pieno di vita. E per costruire questa maledettissima casa, stiamo risparmiando, con mia somma gioia» concluse Addison sarcastica.
«Lo sai che a Derek piace la pesca, ama i boschi, la natura… Vi divertirete insieme in campagna, vedrai! Lui coltiverà i campi, mungerà le mucche, toserà le pecore, interpreterà il ruolo del bravo contadino. Mentre tu lo aspetterai la sera davanti al fuoco, con una masnada di marmocchi. E ovviamente sarai incinta, perché sarai costantemente incinta, rimanere incinta sarà la tua unica occupazione! Ah, arrivederci, dottor Berserk!»
L’ascensore si fermò al terzo piano e il dottor Berserk scese.
«Alla prossima, dottor Sloan» salutò allegramente.
Addison attese che le porte si chiudessero, escludendo il resto dell’ospedale da quei pochi metri quadrati, prima di prendere l’uomo a borsate.
«Io. Odio. La. Campagna. E se dici di nuovo la parola “incinta”, io ti farò diventare la dottoressa Sloan!» promise Addison, sottolineando ogni parola con un colpo sul braccio di Mark.
«D’accordo! Ho capito! Che problemi hai conquella parola? Posso usare “gravida” se vuoi…» la stuzzicò Mark con espressione divertita.
Per tutta risposta, Addison rimase in silenzio, mentre l’ascensore saliva al quarto piano. Le porte si aprirono di nuovo. Scesero entrambi e Mark si avvicinò all’orecchio di Addison.
«Sei… gravida?»azzardò Mark, la ruga in mezzo agli occhi divenne ancora più profonda.
«No, maledizione. E Derek vuole un figlio. Voglio dire…noi… noi vogliamo un figlio, ma il mio utero si rifiuta di collaborare e così sono mesi che ci proviamo, con scarsi risultati. Voglio dire, provavamo. Derek quasi non mi guarda in faccia, ultimamente» sospirò Addison e solo in quel momento si rese conto che il sesso con Derek era forse la cosa che più gli mancava del suo uomo.
«Oh, maledizione».
«Già».
L’ascensore si aprì nuovamente e Mark prese Addison per un braccio, per evitare che la donna venisse investita da un’orda di medici e infermieri.
«Grazie, Mark» disse Addison. «Ora devo far sparire questo cappotto, prima che Derek lo veda».
«Addison!» la chiamò lui, mentre la donna si stava già allontanando. «Vuoi che parli con Derek? È mio amico, se le cose tra voi…»
«No, non è necessario, Mark. Va tutto bene, grazie»
Apprezzava sinceramente che Mark cercasse di aiutarla, ma lui non era un semplice amico di Derek, era l’amico di Derek. Metterlo in mezzo significava mettere a rischio il rapporto tra i due e Addison non voleva esserne la causa.
«Oh, Mark!» lo chiamò poi, tornando velocemente sui proprio passi. «Il dottor Berserk?» gli chiese, senza riuscire a mascherare un tono sorpreso.
«Che ha il dottor Berserk?» chiese stupito Mark.
«Che ha il dottor Berserk? Il dottor Berserk è un urologo, Mark. L’unico urologo gay in questa enorme città. E tu hai una buona conoscenza, con il dottor Berserk. Le voci girano» rispose Addison, trattenendo a stento una risata.
«Stai scherzando, vero?» la domandò lui, con sguardo allarmato. «Addison, stai scherzando, ti prego, dimmi che stai scherzando!» 
La donna scoppiò a ridere, mandando nel panico Mark Sloan, l’Uomo, con la U maiuscola, le cui imprese tra le lenzuola erano quasi più famose dei suoi interventi.
«Addison, tu sei una donna perfida!» le urlò dietro Mark, mentre lei si allontanava. «Perfida! Dimmi la verità. Addison!»
Fu solo la risata cristallina della donna a raggiungerlo.
 
 
«Stavi scherzando questa mattina, vero?»
Addison sussultò nell’udire il sussurro di Mark nelle orecchie.
«Mark!»
«Posso sedermi? Abbiamo un paio di cose da chiarire» specificò lui, reggendo un vassoio e indicando la sedia accanto alla donna.
Alle tre del pomeriggio la sala mensa non era molto affollata. La maggior parte del personale aveva già pranzato, ma infermieri di sala operatoria, chirurghi, anestesisti, specializzandi dagli orari impossibili o semplici medici che avevano perso la cognizione del tempo si aggiravano ancora tra i tavoli.
Ad Addison piaceva mangiare fuori orario, evitando così la confusione tipica delle mense e, in ogni caso, raramente poteva decidere quando pranzare e doveva sfruttare al meglio il tempo che le rimaneva tra un intervento e l’altro.
«Perché mangi ora? Sei rimasto bloccato in sala operatoria?» domandò Addison, dopo aver fatto un cenno affermativo a Mark.
«No. Pratico il tuo stesso sport…» rispose lui con tono sconsolato.
«Ma io non pratico sport».
«Scappo da tuo marito» disse Mark, addentando con rabbia una fetta di pane.
«Perché? Cosa hai combinato?»
«Perché dai per scontato che sia colpa mia, scusa?» replicò Mark indignato, scoccando ad Addison uno sguardo in tralice.
«È colpa di Derek?» chiese Addison incuriosita, abbandonando la bistecca mangiata per metà e l’insalata che non aveva nemmeno toccato. Si girò verso l’amico e si appollaiò a gambe incrociate sulla sedia. Derek l’avrebbe rimproverata se fosse stato lì, ricordandole che non era più una ragazzina e che avrebbe dovuto comportarsi in modo più decoroso, ma Derek non sapeva che quella era l’unica posizione in grado di alleviarle il dolore nel basso ventre nei giorni successivi al periodo della luna. E in ogni caso, Derek non c’era. Non c’era mai.
Mark infilzò con la forchetta il pezzo di carne non meglio definito che aveva scelto per pranzo prima di rispondere.
«Non è importante di chi sia la colpa» rispose in tono mesto, strappando ad Addison una risata divertita. Tipico di Mark, mai ammettere le proprie colpe se poteva essere evitato.
«No-» tentò di protestare l’uomo, ma la bocca piena gli rese il compito difficile. Facendo un grande sforzo, ingoiò e deglutì sonoramente.
«Non ridere!» riprese, massaggiandosi la gola. «Non l’ho mai visto così infuriato per una sciocchezza».
«Ha scoperto del cappotto? Gliel’hai detto?!» si allarmò Addison, drizzando la schiena di scatto.
«No, Coda di Paglia, ma dovresti dirglielo».
«E allora cosa è successo?» lo incalzò lei, rilassandosi al punto da rubare dal piatto di lui una patatina fritta.
«Non togliermi il cibo di bocca, non sei mia amica?» disse Mark, guardando la patatina scomparire nella bocca di Addison.
«La devo sputare?»
«No, ma…»
«Bene, allora racconta!»
«D’accordo. Sai che questa mattina ti ho detto che non avevo interventi oggi, giusto? Per di più c’è calma piatta, non sono stato chiamato in pronto soccorso nemmeno per un consulto. Così ho pensato che non ci sarebbero stati problemi nell’anticipare la ricostruzione dell’orecchio del signor Michaelson. E infatti non ce ne sono stati, non fino a quando tuo marito è entrato sbraitando nella mia sala operatoria» raccontò Mark.
Addison approfittò della pausa che lui fece per bere rubandogli una generosa manciata di patatine.
«E perché l’ha fatto?»
«Spero che tu abbia un’indigestione, Addison. Comunque ha urlato qualcosa sul fatto che a lui serviva quella sala, che erano tutte occupate, che doveva operare immediatamente, che sono un… Non ricordo esattamente l’aggettivo che ha usato, ma di sicuro era un insulto. Insomma, un po’ nervosetto il ragazzo».
«Gli hai rubato la sala? E tu la chiami sciocchezza
«Non gli ho rubato la sala!»
«Mark…»
«Credevo che avrei finito in tempo per lasciargliela libera, era tutto calcolato. Tutto, tranne l’incompetenza delle infermiere. Dovrei dire al capo di essere più selettivo nell’assumerle».
«Stai tranquillo, tra un paio di giorni gli passerà tutto quanto. Lo conosci, no? Si arrabbia, non vuole nessuno attorno, è fatto così» tentò di consolarlo Addison.
«Almeno io non l’ho sposato, auguri per il cappotto» la canzonò Mark, che ora teneva un braccio attorno al suo vassoio, proteggendo le sue preziose patatine dalle grinfie di Addison.
«Potrebbe anche non venirlo a sapere, tu preoccupati solo di tenere la bocca chiusa!» lo minacciò lei.
«Sei isterica quanto lui. La tua giornata è migliorata?»
«No. Speravo di salvare qualche bambino urlante, oggi, ma sembra che le mamme partoriscano solo figli belli e sani e forti. E dovunque mi volti vedo donne incinte, tutte incinte, tran-»
Addison venne interrotta dal suono del suo cercapersone, cui si unì prontamente quello di Mark.
«Nove uno uno, in pronto soccorso» disse lei, alzandosi prontamente in piedi.
«Maledizione! Cazzo, cazzo, cazzo!» urlò Mark, attirando le occhiate sconcertate della mensa e mettendosi a correre dietro ad Addison.
Quella era una chiamata d’emergenza dal pronto soccorso, che si trovava dal lato opposto dell’ospedale rispetto alla mensa. Qualsiasi tempo avessero impiegato a coprire una tale distanza, sarebbe stato troppo.
E questo Derek non mancò di sottolinearlo al loro arrivo.
«Dove diavolo eravate, voi due? Donna, 32 anni, incinta di 25 settimane. Tamponamento cardiaco, lesioni alla colonna vertebrale, ustioni su tutto il corpo. Addison, occupati del bambino. Mark, le ustioni, il viso è messo male».
«Maledizione, il bambino sta per nascere. Perché non avete fermato le contrazioni?!»
«L’occhio destro è irrecuperabile, ma credo di poter sistemare il resto».
«Chiamate la sala operatoria! Devo operarla subito, ha un’emorragia e se non la fermo immediatamente diventerà un vegetale ancora prima di poter partorire».
«Fate preparare anche per un cesareo, il bambino è podalico»
«Forza, signori, in sala operatoria!» urlò Derek, sovrastando il caos di medici e infermieri che si affollava intorno alla paziente.
Tre infermieri spinsero la barella.
Addison e Derek si unirono alla corsa.
 
 
 
«Addison, non sento il pianto del bambino. Perché non lo sento?» domandò Derek in tono calmo, concentrato nell’operare la sua paziente.
«Maledizione» sussurrò sua moglie, reggendo un bambino che, secondo il parere di Addison, superava a stento il mezzo chilo. Era debole, troppo debole.
«Addison…» tentò di nuovo Derek, ma le sue parole furono sommerse dalle richieste della donna.
Veloci infermieri si muovevano adesso intorno al neonato, seguendo le istruzioni di Addison.
«Non credo che ce la possa fare, Derek».
«Riprova, Addison, riprova. Voglio sentirlo piangere, intesi?» sibilò lui tra i denti.
«Derek, è nato di 25 settimane, non puoi credere davv-»
«E invece sì, ci credo. Perché lei non ce la può fare. L’emorragia era troppo estesa, troppi vasi erano lesionati e lei è cerebralmente morta. Sto cauterizzando gli ultimi, ma con una mancanza di sangue al cervello di tale entità e per tanto tempo non ci sono speranze. Come credi che prenderà la notizia, il marito?»
Derek posò il bisturi, facendo cenno a un medico perché richiudesse il cranio della donna.
«Il bambino non ce la fa, Derek. Io non so cosa fare, ho provato di tutto. Ora del deces-»
«No!» la interruppe nuovamente il marito.
«Non c’è niente da fare, abbiamo provato tutto il possibile» ribadì Addison.
Derek attraversò la sala operatoria, si tolse la mascherina che gli dava solo fastidio, e spinse la donna lontano dal neonato.
«Uno, due. Uno, due» bisbigliò, premendo delicatamente sul torace del piccolo. «Uno, due. Uno, due».
«Derek, quel bambino è morto. Ora del decesso: quindici e ventotto minuti» dichiarò Addison.
«Stai zitta, Addison, taci, maledizione! Uno, due. Uno, due» riprese a contare l’uomo.
Addison poteva vedere la vena dal collo del marito che pulsava furiosa, il viso rosso dalla rabbia, l’espressione feroce della sua bocca. Ma allo stesso tempo la pressione che le sue mani grandi e forti esercitavano sul bambino era minima, delicata.
Lei si guardò intorno: infermieri, medici, chirurghi, tutti erano terrorizzati da Derek.
Persino lei temeva di avvicinarsi.
«Derek?» sussurrò.
«Uno, due. Uno, due. Uno, due».
Addison azzardò un passo verso il marito.
«Derek?» ripeté, a voce poco più alta.
Lui sembrò non sentirla nemmeno questa volta.
«Uno, due. Uno, due».
«Derek» il tono di Addison risuonò deciso. Allungò un braccio, per toccare Derek e provare a farlo tornare in sé.
Lui si voltò, respirando affannosamente, guardando la moglie senza riconoscerla, negli occhi solo ira, le labbra contratte, ogni singolo muscolo teso, il respiro pesante.
Nella sala operatoria il silenzio si fece pesante, l’aria fredda, ma Addison sudava.
Quando Derek alzò un braccio, lei temette che stesse per colpirla. Ma l’uomo si limitò a levarsi la bandana dalla testa e gettarla a terra, accompagnando il gesto con un verso rabbioso.
Addison seguì con lo sguardo il marito uscire dalla sala operatoria, tirando un sospiro di sollievo quando la porta si richiuse dietro di lui.
Probabilmente si richiuderà in sé stesso,pensò, andrà a pesca per due o tre giorni, senza farsi vivo, senza parlarmi.
Nella sala i più temerari iniziarono commentare l’accaduto, bisbigliando, ben sapendo che tra loro era ancora presente la dottoressa Shepherd.
Ogni sussurrò fu improvvisamente troncato pochi secondi dopo da un rumore cupo proveniente dall’esterno.
«Continuate con il vostro lavoro» intimò a voce bassa Addison, precipitandosi fuori sulla scia di Derek, con un cattivo presentimento nel cuore.
Nel corridoio il dottor Shepherd camminava avanti e indietro, mettendosi le mani tra i capelli, sul fianco, attorno al collo. Movimenti nervosi, scattanti. Poco distante da lui Addison notò un quadro a terra, in frantumi. Derek deve averlo preso a pugni.
Imprecando, Addison prese per un braccio una delle infermiere.
«Trova il dottor Sloan e portalo qui, digli che è della massima urgenza» le ordinò.
Per essere sicura che l’amico accorresse al più presto, gli mandò un 911 con il cercapersone. Era poco professionale, ma anche il comportamento di Derek lo era. A mali estremi, estremi rimedi.
«Derek» lo chiamò, avvicinandosi decisa e nascondendo la propria paura.
Non aveva mai visto suo marito in quello stato. Non sapeva come prenderlo e, soprattutto, non sapeva che cosa sarebbe stato capace di fare.
«Smettila di chiamarmi, cazzo!» urlò lui in risposta, senza smettere di camminare avanti e indietro.
Mark, ti prego, corri.
«D’accordo, ma tu calmati. Stai spaventando tutti, stai spaventando anche me» gli disse Addison, che ormai si trovava al limite della traiettoria di Derek, che continuava incessantemente a muoversi.
«Calmarmi? Calmarmi?! Una madre e il suo bambino sono appena morti sotto i nostri occhi! Perché io sono stato in grado di salvarla e perché tu, Addison, hai lasciato morire quel bambino!»
Derek le puntò contro un dito, sottolineando la sua accusa, piantandosi di fronte a lei e sovrastandola.
Addison non capiva. Perdevano pazienti quasi ogni giorno, erano chirurghi, e Derek non aveva mai avuto problemi del genere.
Cosa aveva scatenato in lui una reazione tanto violenta?
«La conoscevi? Conoscevi quella donna?»
«No!»
«E allora non capisco, Derek, cosa abbia scatenato in te tutta questa rabbia. Siamo chirurghi, salviamo vite, ma a volte capita che non ci sia nulla da fare».
«È la sesta paziente che perdo oggi, Addison, e il bambino? Il settimo! Come mi dovrei sentire? Cosa dovrei fare? Stringere le spalle e fare come fai tu? Fingere che non sia successo nulla? Ho ucciso sette persone, Addison, e tu, oggi, solo oggi, un neonato» sibilò tra i denti Derek, prima di riprendere a camminare furiosamente.
«Hai provato a salvarle, quelle persone, Derek, non le hai uccise» tentò di farlo ragionare Addison, ma si interruppe, quando Mark le mise una mano sulla spalla. Aveva il fiato grosso.
Qualcuno ha ascoltato le mie preghiere, curioso.
«Fallo ragionare, Mark, per favore, è fuori di testa, urla, sbraita, è furioso. Ha perso sette pazienti, oggi» spiegò a bassa voce e velocemente Addison, rincuorata dall’arrivo del chirurgo plastico.
A Mark bastò un’occhiata al quadro in frantumi e alla camminata furiosa di Derek per capire che la rabbia dell’amico aveva raggiunto un livello mai toccato prima, che dentro di lui non c’era posto per altro che non fosse furia cieca, un’ira violenta che dilagava in tutto il suo corpo, scorrendo nei vasi sanguinei, impregnando i tessuti, gli organi, l’anima.
«Derek, dammi retta. Datti una calmata e vieni con me. Andiamo a fare una passeggiata. Anzi, andiamo a casa, prendi la tua canna da pesca e ce ne andiamo a pescare, d’accordo? Se no-»
«Pescare? Come cazzo fai a pensare alla pesca, Mark, quando sono un fottuto assassino?!»
Derek interruppe la sua camminata nervosa per pochi istanti, a una ventina di passi da Mark, guardandolo mentre parlava. Tra di loro c’era il vuoto. Medici, infermieri e personale ospedaliero si teneva lontano dai due, in particolar modo da Derek.
Addison non sapeva se mettersi a ridere per la situazione che si era creata o urlare alla gente di andarsene e a Derek di ritornare in sé e di farlo in fretta, in nome dell’amore che le portava.
O che mi aveva portato una volta.
Ma Addison non fece nulla di tutto questo, Derek non gliene diede il tempo.
Così lei rimase a guardare mentre suo marito si muoveva rapido, fulmineo, coprendo lo spazio che lo separava da Mark quasi correndo, e assestando all’amico un gancio destro dritto al volto.
Tra gli spettatori, immobili, si mosse un’infermiera dai capelli scuri, che Addison conosceva di vista. Era giovane, dal viso a forma di cuore, come piaceva a Mark.
La ragazza si avvicinò al chirurgo plastico, prendendo il viso di lui tra le mani e esaminando la ferita con occhio critico.
Addison spostò lo sguardo su Derek e ciò che vide la spinse a frapporsi tra lui e l’infermiera che cercava di aiutare Mark.
Vuole colpirla, probabilmente non si rende nemmeno conto che è solo una ragazza.
«Derek!» urlò Addison.
Lui la guardò e per un fugace momento sembrò averla riconosciuta, ma l’ira dovette invaderlo di nuovo, perché la spinse, gettandola a terra.
E poi Derek se ne andò, stringendo convulsamente i pugni, gettando a terra i cestini della carta, urtando le persone. Ma se ne andò e Addison lo guardò impotente allontanarsi, chiedendosi chi fosse quell’uomo che aveva sposato.
«Addison?»
Qualcuno la stava scuotendo per le spalle, questo lo percepiva, mentre guardava la svolta del corridoio dove Derek era scomparso.
«Addison! Addison, rispondimi».
«C-cosa? Chi? Sì, sc-scusa, Mark» disse lei, mettendo a fuoco il volto di Mark, che era entrato nel suo campo visivo. La parte sinistra del suo viso, di quel suo bel viso che ogni donna dell’ospedale sperava di vedere nel letto accanto a sé svegliandosi, stava lentamente assumendo una colorazione violacea.
Ad Addison venne la nausea al pensiero che era opera del migliore amico di Mark, di suo marito.
«Vieni, forza, alzati».
Mark le porse le mani, cui lei si aggrappò con forza, cercando di tenere a bada il senso di vomito. Vide l’infermiera dai capelli scuri avvicinarsi a Mark, appoggiargli del ghiaccio sul viso.
Chissà se l’ha già portata a letto…
«Come farai, ora, a far cadere ai tuoi piedi le giovani di questo ospedale che non hanno ancora ceduto al tuo fascino?» gli domandò con un flebile sorriso, appoggiandosi al muro.
La parete era piacevolmente fresca e Addison ringraziò per questo. Stava sudando.
«Sono comunque più figo di te, con quella faccia pallida che ti ritrovi. E poi le botte da rissa rendono ancora più sexy, non lo sai?» ribatté Mark, appoggiandosi al muro accanto a lei.
Nel notare l’espressione di Faccia di Cuore, che sembrava non chiedere altro che poter tenere il ghiaccio sul viso di Mark in eterno, Addison trovò conferma nelle parole dell’uomo.
E credo che non se la sia ancora portata a letto, ipotizzò Addison tra sé. 
«Come dubitarne?» ammiccò Addison.
«Dottoressa Shepherd? Dottor Sloan? State bene? Venite, farò in modo che vi visitino immediatamente» li interruppe il dottor Oxen, il grassoccio primario di chirurgia.
«Sto bene, dottor Oxen, non si preoccupi» lo rassicurò Addison, portandosi una mano alla bocca come involontario riflesso di un nuovo attacco di nausea.
«Anche io sto bene, l’infermiera…?»
«Mary, dottor Sloan, Mary Brown» disse Faccia di Cuore, arrossendo violentemente.
«Mary si è presa eccellentemente cura di me, signore» aggiunse Mark.
«Sono arrivato appena ho saputo. La sicurezza sta cercando il dottor Shepherd. Non avrei mai creduto possibile che Derek potesse comportarsi così, un uomo così talentuoso, così… rigido, pacato, davvero, io non so spiegarmi…»
«Non lo troveranno» lo interruppe Addison.
Se conosco mio marito, se mai l’ho conosciuto.
«Derek probabilmente ha lasciato l’ospedale e non lo vedremo per qualche giorno» concluse.
«È certa di questo, dottoressa Shepherd? Ad ogni modo» disse, senza lasciare tempo ad Addison di rispondere, «sono costretto ad insistere perché vi visitino. Poi sarete liberi di tornare a casa».
Addison e Mark si scambiarono uno sguardo d’intesa.
«Stiamo bene, dottor Oxen» disse duramente il chirurgo plastico.
«Sono solo caduta, non c’è ragione perché qualcuno mi visiti» rincarò Addison.
Il primario sembrò valutare la situazione, spostando gli occhi da uno all’altra più volte.
«Nessuno dei due riprenderà a lavorare, oggi, siete troppo scossi. Dottoressa Shepherd, può rimanere in ospedale a sistemare le cartelle dei suoi pazienti o può andarsene a casa, come preferisce, ma non entri in sala operatoria per nessun motivo e non visiti i suoi pazienti, la prego. Mentre lei, dottor Sloan» proseguì il dottor Oxen, mentre Addison cercava di nascondere il suo sorriso di sollievo, «andrà velocemente in pronto soccorso, dove qualcuno si occuperà di lei. Non voglio chirurghi plastici dal viso sfigurato, nel mio ospedale, sarebbe una pessima pubblicità» concluse il primario.
«Dottor Oxen, sto bene!» protestò Mark, mentre il suo superiore si allontanava, consapevole che Mark si sarebbe ribellato come un bambino capriccioso.
«Dottor Oxen!»
Mark sospirò, mordendosi il labro e pensando a come risolvere quella spinosa questione e di andare al pronto soccorso, Addison glielo lesse in faccia, lui non aveva la minima intenzione.
«Bene, io direi che le cose sono molto semplici. Io non andrò in pronto soccorso e se il dottor Oxen ve lo chiede, direte che io ci sono stato, d’accordo?» risolse Mark, guardando le due donne in cerca di sostegno.
Mary Faccia di Cuore annuì prontamente, mentre Addison fissò Mark enigmatica per qualche lungo secondo.
«No» disse infine.
«Cosa? Come sarebbe a dire no?!» esclamò l’uomo, incredulo.
«Se tu non vai in pronto soccorso, io farò in modo che Oxen lo sappia» spiegò Addison, allontanandosi dal muro, ma tenendo una mano sul ventre. La nausea non se ne andava, che avesse mangiato qualcosa di avariato alla mensa?
«Sei una perfida, perfida donna! Perché non mi vuoi aiutare?! Se ci fossi stata tu al mio posto, io ti avrei aiutata! Addison Forbes Montgomery Shepherd!»
«È per il tuo bene, Mark Sloan. E le botte da rissa ai miei occhi non ti rendono affatto sexy».
Mark la guardò allontanarsi con cipiglio corrucciato, ma Addison sapeva che le avrebbe dato retta.  
 
 
«Ti ho cercata per tutto l’ospedale, ormai credevo che fossi andata a casa ed ero venuto qua per farmi un pisolino» disse Mark, entrando nella saletta del medico di guardia.
«Cosa ti hanno detto in pronto soccorso?» si informò Addison, seduta sul basso letto a gambe incrociate, la schiena appoggiata al muro, lo sguardo perso nel vuoto. Le molle cigolarono quando Mark si sistemò accanto a lei con un sacchetto tra le mani.
«Che sono un chirurgo plastico e avrei tranquillamente potuto visitarmi da solo senza far perdere tempo a loro» rispose lui in tono secco.
«Hai intenzione di tenermi il muso
«Parli del mio muso perfettamente sano?»
«Mark, volevo essere certa che tu stessi bene» gli ricordò Addison. Le sue parole suonarono vagamente esasperate.
«Tranquilla, porto i vessilli di pace» rispose Mark, svelando all’amica il contenuto del sacchetto. Patatine fritte.
«No, Mark, ti prego!» esclamò Addison quando il profumo di olio e patate le solleticò le narici.
Lei si alzò di scatto, si precipitò nel bagno adiacente e si inginocchiò accanto al gabinetto.
Quella era la terza volta che vomitava in poco meno di un’ora.
Mark, sorpreso dalla reazione di Addison, spostò lo sguardo dal muro vuoto, che si era ritrovato a fissare dopo lo spostamento fulmineo dell’amica, al sacchetto di patatine, macchiato di olio, e infine lo posò sulla schiena della donna, scossa da un nuovo attacco.
Solo allora realizzò che Addison non stava bene e la raggiunse, abbandonando il suo vessillo di pace sul letto.
«Ma che diavolo hai?!» le chiese raccogliendole i capelli che scappavano alla presa di lei.
Addison tossì, sputò, tossì di nuovo, vomitò. Mark si voltò dall’altra parte.
Lei indicò un rotolo di carta abbandonato a terra con un braccio tremante, continuando a tossire.
Quando Mark le mise la carta tra le mani, Addison si pulì il viso, poi si mise a sedere, guardandolo con astio.
«Spero tu abbia un’indigestione» lo scimmiottò, con voce flebile. «Sei contento?»
«Spero tu possa rimanere incinta!» esclamò Mark, dopo un secondo di esitazione.
In risposta, ricevette un’espressione incredula da Addison.
«L’ho detto per te! Non guardarmi così! Quello che ho detto questa mattina si è avverato, magari anche ora...» spiegò Mark, tentando inutilmente di sorridere.
«Delle semplici scuse basterebbero, Mark» tagliò corto Addison, massaggiandosi la pancia.
«Oh, in questo caso, scusami, Addison» disse Mark. «Ma almeno impari a non rubare la patatine altrui» aggiunse, sedendosi accanto alla donna e cingendole le spalle con un braccio.
Addison gli sferrò una gomitata sul fianco.
«Addison! Mi hai fatto male!»
«Oh, in questo caso, scusami. Ma almeno impari a non fare commenti idioti!»
«Era solo per sdrammatizzare, sono qui per te» protestò l’uomo, attirando su di sé la completa attenzione di Addison.
Sono qui per te, aveva detto, dovrebbe esserci Derek. Ma c’è Mark, c’è sempre stato Mark.
L’uomo le accarezzò una guancia, le sorrise amaramente, perché adesso Addison aveva capito.
Mark Sloan poteva avere ogni donna desiderata tranne una, l’unica che aveva scoperto di amare e glielo aveva nascosto per mesi, anni, forse, ma ora Addison aveva capito.
«Mark, io…» aveva sussurrato la donna, guardandolo con le lacrime agli occhi, indugiando solo per un attimo su quelle labbra che avrebbe potuto baciare e che, con sorpresa e spavento, la attiravano a se.
«Non importa, Addison Montgomery Shepherd, passerà» la rassicurò Mark, aiutandola ad alzarsi e a stendersi sul letto. Il chirurgo gettò in un cestino lì vicino le patatine fritte.
«Sei qui per me» disse Addison, osservando Mark dal basso.
«Riposati, Addison, tra qualche ora ti riportò a casa, se ti va. Nel frattempo vado a sistemare i miei post-operatori».
«Tu odi i post-operatori» ricordò Addison, chiudendo gli occhi mentre Mark le posava un delicato bacio sulla fronte.
Lui era lì per lei.
Aveva dimenticato come ci si possa sentire bene quando c’è qualcuno a prendersi cura di te.
 
Durante il viaggio dall’ospedale fino alla casa di Addison e Derek, nella macchina di Mark non era risuonata una parola.
Addison tormentava con insistenza la macchia del suo cappotto, grattandola con le unghie, passandoci la mano. Mark fingeva di essere concentrato sulla strada, ma in realtà lanciava continue occhiate furtive alla donna, seduta accanto a lui.
«Eccoci arrivati» fu la prima parola che disse, quando si fermò a destinazione.
«Grazie, Mark» disse Addison, visibilmente a disagio, con un debole sorriso.
Mark allungò il braccio e si sporse con tutto il corpo nello spazio tra i due sedili anteriori, recuperando un’elegante scatola di cartone e porgendola ad Addison.
«Aprila in casa» disse semplicemente, con un sorriso. «Così non potrai rifiutare».
Addison sapeva cosa c’era in quella scatola.
Si avvicinò a Mark, per ringraziarlo, per abbracciarlo, per baciarlo, per una ragione non meglio definita, per una ragione che non voleva analizzare, ma che semplicemente la portò a posare le sue labbra su quelle dell’uomo, per sentirne il sapore, per ricordare come ci si sente, quando qualcosa al mondo si prende cura di te.
Grazie, dissero gli occhi della donna quando si allontanò da Mark e uscì precipitosamente dall’auto.
Sulla soglia di casa gli lanciò un ultimo sguardo.
Lui è qui per me.
Peccato solo che il soggetto della frase fosse il lui sbagliato.
 
 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Grey's Anatomy / Vai alla pagina dell'autore: _Trixie_