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Autore: Carmilla Lilith    20/07/2013    4 recensioni
Sirona si risveglia nella foresta e viene soccorsa da un misterioso cacciatore di taglie, Lovernios. La giovane non ricorda nulla del proprio passato, se non che è stata aggredita da Anya, una temibile assassina al servizio del Cavaliere dell'Incubo.
A Sirona non resta che partire, accompagnata da Lovernios, alla ricerca di Anya: solo così potrà ricostruire il proprio passato.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La ragazza si sentì scuotere e, lentamente, si risvegliò. Ancora stordita dal sonno si girò lentamente su un fianco e aprì gli occhi, pentendosi amaramente di quel gesto: un uomo, morto a causa delle numerose ferite d’arma bianca, giaceva poco distante da lei. La giovane scattò rapidamente a sedere, notando con orrore che tra le mani stringeva una spada, la cui lama era insanguinata.
Era talmente inorridita che per qualche minuto non si accorse dell’uomo che l’aveva risvegliata, un giovane della sua età, poco più alto di lei ma decisamente più possente. Aveva i capelli lunghi e biondi, indossava un’armatura e portava uno spadone enorme assicurato alla schiena. La ragazza si sentì perduta quando incrociò i suoi occhi azzurri, severi e indagatori.
Cosa poteva dire? Che non c’entrava, che non sapeva nulla dell’accaduto? In effetti era vero, non ricordava niente, assolutamente niente! Provò a parlare ma non vi riuscì, dato che il panico le aveva inaridito la gola e si sentiva estremamente debole. L’altro si chinò accanto a lei e le offrì la sua borraccia. La ragazza ringraziò con un cenno e bevve una lunga sorsata d’acqua, poi disse, indicando il corpo senza vita accanto a lei: “Non sono stata io!”.
Il ragazzo annuì. “Lo so, conosco l’arma che ha provocato quelle ferite e non è la tua spada”. La ragazza sentì un gran sollievo: allora era davvero innocente!
Il ragazzo, nel frattempo, aveva cominciato ad esaminare dei cadaveri che si trovavano poco distante, doveva esserci stato uno scontro particolarmente violento. La giovane si concentrò il più possibile, ma riuscì a far emergere soltanto pochi ricordi dalla sua mente confusa: si chiamava Sirona e la sua spada Foxy. Era in viaggio con l’uomo che giaceva accanto a lei, ricordava che erano stati aggrediti da un piccolo gruppo composto da quattro uomini, che aveva eliminato lei stessa, e una ragazza, che aveva ucciso il suo accompagnatore per poi fuggire.
Lo sconosciuto la raggiunse: “Sei stata tu a uccidere quei ladruncoli” annunciò, con freddezza. “Lo so” rispose Sirona, confusa.
“Come ti chiami?” le domandò il giovane. “Sirona.” rispose lei. “Ti ricordi da dove vieni? Perché eri qui?” proseguì l’altro. Lei scosse piano la testa, affranta.
“Sai chi è stato?” domandò all’uomo. “Sì, si chiama Anya, è un’assassina che vive nella Palude Nera, ai servigi del Cavaliere dell’Incubo.” rispose lui. Sirona sobbalzò: conosceva quei nomi e le mettevano i brividi, anche se non sapeva come mai.
“Ti senti bene?” le domandò l’altro. “Sì, solo che sono certa di aver già sentito quei nomi, ma non ricordo nè dove, nè quando.” rispose lei: stava tremando e aveva solo voglio di piangere, ma decise di non farlo, non era ancora il momento delle lacrime.  
“Non ti ho nemmeno chiesto come ti chiami.” Disse poi, rivolta al giovane.
“Mi chiamo Lovernios.” le rispose lui.
“Adesso che ne sarà di me, Lovernios? Dove posso andare?” domandò Sirona, confusa. Era senza ricordi e priva di qualsiasi aiuto, non poteva vagabondare senza meta.
“Puoi venire con me.” propose Lovernios. “Sono un cacciatore di taglie e si da il caso che sia anch’io alla ricerca di Anya. Tutto ciò che ti  chiedo è di non farti notare troppo e non interferire nei miei affari, a quanto pare sai difenderti da sola e questo è un bene”.
Sirona rifletté brevente, prima di rispondere: “Va bene, ci sto. Grazie Lovernios”.
Dopotutto accettare era la cosa migliore, dato che Lovernios ne sapeva più di lei su Anya e nemmeno lei desiderava finire in situazioni complicate, era stata appena aggredita e ancora non ne sapeva il motivo.
 
I due decisero di rimandare al giorno successivo la sepultura del compagno di viaggio di Sirona, dato che si stava approssimando il tramonto e la foresta di notte non era un luogo sicuro. Si diressero, quindi, verso un villaggio poco distante e decisero di pernottare nella locanda del paese. Presero due camere vicine e cenarono insieme. “Dove pensi di andare adesso?” domandò Sirona. “Verso oriente, la Palude Nera è in quella direzione.” rispose Lovernios.
“Cosa puoi dirmi della Palude Nera e del Cavaliere dell’Incubo? Per quanto mi sforzi non riesco a ricordare nulla di loro.” Domandò la giovane.
“Il Cavaliere dell’Incubo è un essere misterioso: si dice che sia lo spirito di un antico cavaliere devoto alla magia nera. Dopo la sua morte il suo spirito si è messo alla ricerca di potenti guerrieri, nel tentativo di prendere possesso del loro corpo, ed ha imparato a manipolare i sogni delle persone, trasformandoli in incubi. La malvagia presenza del Cavaliere ha contaminato queste terre, che si sono trasformate in una palude popolata da creature oscure” rispose Lovernios.
Sirona annuì, trovando familiari le parole del giovane.
“Perché conosci Anya?” domandò, poi, la giovane. Lovernios la fulminò con lo sguardo.
“Ho avuto a che fare con lei in passato. Non siamo proprio in rapporti amichevoli e preferisco non parlarne” rispose poi, con freddezza. Sirona ammutolì, notando che l’argomento aveva decisamente irritato Lovernios. Decise dunque di cambiare discorso.
“La tua spada è molto bella. Ha un nome?” domandò.“Sì, si chiama Rhuntde” rispose Lovernios, accennando un sorriso. Sirona annuì, mostrandosi interessata all’argomento, e il giovane prese a raccontarle di come suo padre lo avesse introdotto all’arte della spada e dell’affetto che provava nei confronti della sua arma. Sirona, con sorpresa, ricordò che la sua spada le era stata regalata, anche se non aveva idea di chi fosse stato a donargliela.
Dopo aver cenato, i due si ritirarono nelle rispettive stanze.
 
Benché si sentisse estremamente stanca, Sirona faticò ad addormentarsi, presa com’era dai dubbi circa la sua identità. Anche quando riuscì a prendere sonno, gli incubi la tormentarono: avvertiva il momorio di alcune voci che le suonavano dannatamente familiari, ma non riusciva a capire né chi stesse parlando, né cosa volessero dirle quei sussurri inquietanti.
Il giorno la giovane si svegliò presto, il sole aveva illuminato il suo letto e la luce l’aveva svegliata. Si lavò con l’acqua fredda del lavabo, si rivestì rapidamente e cercò nei suoi bagagli  un pettine con il quale sistemò i capelli castano scuro, lunghi fino alle spalle. Si specchiò rapidamente alla finestra, notando che i suoi occhi ebano erano pieni sonno. In quel momento sentì qualcuno bussare alla porta e si avvicinò, domandando chi fosse. “Sono Lovernios” rispose il ragazzo. Sirona raccolse i suoi averi e aprì la porta, raggiungendo il suo compagno di viaggio.
Giunti sul luogo del loro primo incontro i due ebbero una pessima sorpresa: la salma dell’uomo era scomparsa e nella zona circostante svolazzavano dei corvi. “Deve essere stata Anya.” intervenne improvvisamente Lovernios.
“Cosa?” domandò Sirona, sconvolta. Perché quella ragazza non le dava pace?
“I corvi sono i suoi compagni di viaggio, ma questi sono stati lasciati come retroguardia. Guarda, la stanno raggiungendo.” spiegò lui, indicandole il cielo. Era vero, i corvi stavano volando tutti nella stessa direzione.
“Seguiamoli!” esclamò la giovane, lanciandosi all’inseguimento dei neri uccelli e venendo rapidamente seguita da Lovernios.
 
I due giovani correvano, entrambi animati dall’ardente desiderio di trovare Anya, Sirona  per scoprire cosa la legava a quella disgustosa assassina, Lovernios nella speranza di ottenere da Anya informazioni su Sirona e su quello che stava accadendo all’interno della Palude Nera: avvertiva la presenza del Cavaliere dell’Incubo farsi ogni giorno più forte.
I due seguirono i corvi senza sosta per circa un’ora ma, dopo aver attraversato una piccola macchia di latifoglie,  scoprirono che non c’era più alcuna traccia degli uccelli del malaugurio nel  cielo.
“Li abbiamo persi” annunciò tristemente Sirona. “Temo tu abbia ragione.” concordò Lovernios. Seguì un breve silenzio, interrotto da Sirona che diede un calcio a un tronco e se ne andò, furiosa.
Non ci poteva credere: l’aveva lasciata sfuggire! Da quando aveva aperto gli occhi il giorno prima si erano susseguite solo disgrazie e lei non ne sapeva nemmeno il motivo, dannazione!  “Sirona”. Lovernios la stava cercando.
Strano, non pensava che l'avrebbe seguita. Si sedette e aspettò l'arrivo del suo compagno di viaggio tentando, invano, di non piangere. Le era stato insegnato che i sentimenti esprimevano debolezza e  che non dovevano essere mostrati agli estranei, era troppo rischioso. Quando Lovernios la raggiunse, però, non riuscì più a trattenersi e così scoppiò in un pianto sconsolato. Il giovane mercenario la osservò imbarazzato, ma poi l’abbracciò e le lasciò sfogare la sua rabbia e la sua tristezza.
Non appena si fu calmata, Sirona si alzò in piedi di scatto. Si vergognava terribilmente, sentiva di aver commesso una leggerezza imperdonabile. “Scusami, non accadrà mai più” si scusò freddamente con Lovernios.
Lui la osservò, un po’ stupito. “Non preoccuparti, è giusto sfogarsi.” rispose. Sirona si limitò ad annuire rapidamente prima di domandargli che cosa aveva intenzione di fare.
“Non saprei, la cosa migliore è senza dubbio proseguire verso oriente.” le rispose lui. “Allora andiamo. Non possiamo permetterci di perdere tempo” lo incitò, acidamente, lei.
Lovernios annuì e passò davanti alla compagna di viaggio, facendo strada.
 
Il giovane mercenario non riusciva proprio a capire cosa fosse accaduto a Sirona. Sembrava pentita di aver pianto. Che avesse dell’astio verso l’uomo ucciso? Non poteva vergognarsi dell’atto di piangere, le donne piangevano spesso, pensò Lovernios.
Doveva, però, ammettere che Sirona non si era rivelata una donna qualsiasi fino a quel momento: era una brava spadaccina e non si sconvolgeva davanti alla vista del sangue.
Un dubbio fulminò la mente di Lovernios, l’unica donna che assomigliava a Sirona era Anya, se anche la sua compagna di viaggio fosse stata un’assassina? Non era un’ipotesi da escludere, dato che  le aggressioni tra assassini erano piuttosto frequenti e forse Anya aveva aggredito Sirona e il suo compagno perché erano suoi rivali. “Dannazione!” imprecò tra sé Lovernios.
 
Sirona, dal canto suo, era rosa dalla rabbia nei confronti della sua assurda e insensata emotività. Non era il caso di disperarsi, tutto sommato aveva ancora tempo per trovare Anya, anzi, la vendetta sarebbe stata più cruenta e inaspettata se non avveniva nell’immediato. Si sentì pervadere da una certa letizia al pensiero del possibile scontro con colei che le aveva distrutto la vita, ma la sua mente venne attraversata da un dubbio: come mai provava tanta familiarità con l’atto di uccidere? I ladri che aveva trovato morti al suo risveglio li aveva uccisi per pura e semplice necessità, ma era ormai certa che quella non fosse la prima volta che aveva tolto la vita ad un essere umano. “Non può essere.” pensò accigliata, mentre accelerava il passo per raggiungere Lovernios.
 
I due proseguirono silenziosamente. Il cielo si stava lentamente coprendo di nuvoloni grigio scuro. “Presto comincerà a piovere, sarà meglio cercare un riparo, gli acquazzoni sono estremamente violenti in questa zona.” spiegò Lovernios alla ragazza che lo seguiva silenziosamente. In effetti anche Sirona aveva percepito una certa umidità nell’aria e anche una brezza particolare, si preparava certamente un temporale molto forte. “Qui dovrebbe esserci un casolare abbandonato, possiamo dormire lì.” le propose il giovane biondo. “Ottima idea, sta per aprirsi il cielo.” concordò Sirona.
Il casolare era una piccola struttura in mattoni, con il tetto miracolosamente intero. L’interno era spoglio e diroccato, ma una stanza al piano terra, probabilmente la cucina, era in buone condizioni ed era inoltre dotata di camino.
“Vado a prendere della legna.” annunciò Lovernios. “Aspettami, ti do una mano.” si offrì Sirona. Ormai le nuvole si erano addensate e non mancava molto all’inizio del temporale.
Riuscirono a rientrare nel casolare con la legna proprio mentre cominciavano a cadere le prime gocce di pioggia. Lovernios armeggiò un po’ con la legna e diede vita a un fuocherello che scaldò e illuminò la stanzetta mentre Sirona, seduta in un angolo, osservava il suo compagno di viaggio: si era accorta che lui non si fidava di lei, forse era giunto alla sua stessa conclusione riguardo ai suoi rapporti con Anya.
Decise di parlargliene, prima che la situazione si facesse troppo ambigua e pericolosa. “Non ti fidi di me, vero?” domandò a Lovernios. Lui la osservò e le si sedette davanti. “Cosa intendi dire?” le domandò. “Tu pensi che io sia un’assassina e non so darti torto, ma sappi che ti puoi fidare di me, non ho intenzione di farti del male” lo rassicurò lei.
Il ragazzo la fissò negli occhi, probabilmente stava verificando la veridicità delle sue parole. Sirona lo lasciò fare, era sicura di essere sincera. Dopo un po’ Lovernios rispose: “Nemmeno io posso dirti tutto di me, sarebbe veramente troppo pericoloso e non sono certo di potermi fidare completamente di te”.
“Nemmeno io posso fidarmi completamente di te, sei un cacciatore di taglie e forse io sono un’assassina, potresti decidere di catturarmi.” osservò Sirona.
“Non hai tutti i torti. Però dobbiamo collaborare se vogliamo raggiungere i nostri obbiettivi, sei in grado di farlo?” le domandò lui. “Sì, sono disposta a tutto per arrivare a Anya.” gli rispose.
“Anch’io. Siamo d’accordo, allora? Accetti di fidarti di me, per quanto ti è possibile, e di aiutarmi a trovare Anya?” le domandò Lovernios, porgendole la mano. Senza esitare nemmeno un istante, Sirona strinse la mano. “Certamente. Ma nemmeno tu devi tradire la mia fiducia, Lovernios. Per quanto riguarda Anya, devo essere io ad ucciderla.” disse con aria risoluta la ragazza.
Lovernios annuì. “Mi sembra giusto, hai la mia parola che non ti ostacolerò mai.” le promise poi, sciogliendo la stretta di mano.
Dopo aver suggellato quella bizzarra alleanza, i due cenarono con della carne secca che Lovernios si era procurato prima di partire, e si coricarono davanti al camino per scaldarsi.
 
Il giorno dopo, del temporale non rimaneva nulla, ad eccezzione di una fresca e umida brezza. Fu proprio questa a svegliare Sirona: la ragazza era accoccolata contro una delle pareti del camino ed era coperta da un mantello che non riconobbe subito. La giovane si stiracchiò e stropicciò gli occhi con le mani, poi mise a fuoco la stanza in cui si trovava: tutto era come la sera precedente, a parte il fuoco del camino, che si era trasformato in braci. Lovernios dormiva serenamente seduto con la schiena contro la colonna davanti a Sirona e non indossava il mantello; solo in quel momento Sirona si accorse che il mantello che indossava era quello di Lovernios, probabilmente il giovane l’aveva coperta la sera prima, quando si era addormentata.
La ragazza rimase stupita da quel gesto tanto gentile e decise di contraccambiare riaccendendo il fuoco. Sfortunatamente non c’era più legna. “Poco male.” pensò la ragazza. “Adesso mi alzo e vado a prenderla”. Si alzò e, dopo aver coperto Lovernios con il suo mantello, uscì alla ricerca di legna.
 
Nel bosco aleggiava un odore penetrante, tipico del muschio, e un leggera nebbiolina attutiva l’impatto dei primi raggi solari mentre l’aurora s’intravedeva tra i rami degli alberi. Non sarebbe stato facile trovare legna secca in quella situazione, ma Sirona non demorse. Infine riuscì a trovare una piccola rientranza che aveva riparato dalla pioggia dei piccoli arbusti: non era molta legna, ma bastava per riaccendere il fuocherello. Mentre era intenta nella sua raccolta, la giovane sentì un rumore alle sue spalle. Si voltò di scatto ma non vide nulla.
La giovane diede la colpa di quella sensazione al sonno ma, dopo dopo qualche istante, udì nuovamente il suono. Sicura di non sbagliarsi, posò a terra il suo piccolo carico di legna e uscì dalla rientranza.
Immediatamente scartò di lato, guidata dai suoi riflessi, e quest’azione le salvò la vita: un immenso essere grigio aveva tentato di decapitarla con la sua gigantesca ascia. La ragazza impugnò rapidamente la sua spada, pronta a combattere.
L’essere le si scagliò contro ma Sirona,  grazie alla corporatura esile, riuscì a schivarlo scivolando attraverso le sue gambe. Il gigante inveì contro di lei e abbassò la sua ascia ma la giovane parò l’attacco facendosi scudo con la sua spada. Approfittò poi dello stallo creatosi per scivolare di lato e infilare qualche rapida stoccata al fianco del mostro. Quello emise un gemito orribile e cominciò a roteare la sua arma, ferendo Sirona ad una gamba e strappandole un urlo di dolore.
La giovane si trascinò ancora dolorante su una piccola altura e da qui si gettò addosso al mostro: il suo istinto le aveva consigliato l’unica possibilità di sopravvivenza, ovvero uccidere. La ragazza si mise con difficoltà a cavalcioni sulle spalle del mostro e, da questa posizione, sollevò la spada per poi conficcarla nel cranio della creatura. L’effetto non fu quello sperato: la cosa ululò di dolore e la gettò giù dalle sue spalle. ma non morì. Sirona si trovava a terra, ferita e disarmata, mentre l’essere correva a destra e a manca, fendendo l’aria con la sua ascia. “Dannazione!” imprecò la ragazza: non sapeva più che fare. In quel momento un’ombra si stagliò dalla macchia e osservò, allarmato, la scena: era Lovernios che, svegliato dai lamenti del mostro, si era lanciato a vedere cosa stava succedendo. Sirona si accorse a malapena dell’arrivo del giovane, presa com’era dal combattimento. Aveva appena dato una vigorosa spallata al mostro e, approfittando del fatto che l’essere era in equilibrio molto precario, l’aveva fatto cadere a terra. Poi vi si gettò addosso e, scivolando sul suo busto, raggiunse la testa. “E adesso…” estrasse la spada insanguinata dal cranio con un unico, rapido, gesto per poi riaffondarla nella gola del mostro. Questo si agitò, in preda all’agonia, scalzandosi Sirona di dosso, per poi spegnersi sussultando.
“Che tu sia maledetta, Sirona!” urlò la creatura,  prima di morire.
Sirona si rialzò a fatica da terra e si diresse verso il cadavere dell’essere, che Lovernios aveva già raggiunto. “Lo conoscevi?” domandò il giovane a Sirona. “Non che io mi ricordi. Ma a quanto pare lui conosceva me.” rispose la ragazza, osservando il cadavere. “In effetti.” osservò il giovane. “Andiamocene da qui, non vorrei subire un’altra aggressione.”
“Buona idea. Andiamo!” accettò la ragazza, raccogliendo la sua spada e passandola lentamente contro un masso per pulirla dal sangue. “Vedo che sai come si pulisce una spada dal sangue.” osservò Lovernios. Sirona stupita dalla naturalezza con cui aveva eseguito quel gesto. “Chi sono io?” si domandò, sconvolta.
 
I due continuarono il loro cammino verso oriente. Lovernios prevedeva di non impiegare più di tre giorni per raggiungere la palude e Sirona si era affidata completamente a lui, in primo luogo perché non aveva altra scelta e perché, tutto sommato, aveva fiducia in quel misterioso giovane. Riconosceva in lui qualcosa di simile a lei, una colpa del passato che li continuava a perseguitare. Sirona adesso ricordava qualcosa: era brava a confondere la realtà, a mentire e ingannare per vivere e di averlo fatto spesso in passato, ma sapeva anche di non poter gabbare Lovernios perché quell’uomo era dannatamente furbo e sembrava prestare attenzione a tutto ciò che lo circondava. A dirla tutta, questo era uno dei motivi per cui Sirona lo rispettava e si fidava di lui.
 
Lovernios ormai non aveva più dubbi sul fatto che qualcosa di oscuro macchiasse il passato della sua ambigua compagna di viaggio. Aveva visto la sua espressione e le sue movenze finché combatteva e poteva tranquillamente concludere che uccidere non era una novità per la giovane. Eppure si fidava di lei: era sicuramente una ragazza troppo astuta per commettere stupidaggini ma Lovernios sentiva che, anche avendone l’occasione, non l’avrebbe fatto nulla di malvagio e gli sembrava che Sirona avesse imparato a combattere più per necessità che per mero sadismo. La sentiva molto simile a sé, in un certo senso, ma non poteva fare a meno di porsi alcune domande su di lei: chi era veramente? Perché aveva perso la memoria? Tutti questi interrogativi restavano senza risposta, anche perché al momento Lovernios doveva occuparsi di un problema ben più grande, ovvero l’orribile sensazione che il potere del Cavaliere dell’Incubo stesse pericolosamente aumentando. Forse l’immondo spettro aveva trovato un nuovo corpo da possedere e Lovernios sapeva bene quanto questo fosse pericoloso, perché c’era stato un tempo in cui lui e il Cavaliere erano stati una cosa sola.
 

L'angolo dell'autrice 
 

Salve gentaglia, eccomi di ritorno, pronta ad infestare nuovamente la sezione fantasy! 
Questa storia doveva partecipare al contest "Fantasy I love U" indetto da fravgolina sul forum di efp (http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10569622) ma, non sono riuscita a rispettare i termini di consegna. Intanto, vi lascio con il primo capitolo di una storia totalmente sconclusionata e qualche noticina: Sirona, nelle lingue celtiche, significa stellare ed era il nome della dea che i Romani decisero di porre come moglie di Apollo, mentre Lovernios, sempre in celtico, significa volpe. Rhutnde, invece è il pietoso anagramma di tuono in inglese (thunder). Detto ciò, non mi resta che sparire.
P.s. Mi spiace ma questa storia non ha nulla a che fare con Le sette spade di Efesto e C'è un re, MA mi impegno a dare aggiornamenti in tal senso prima di fine estate.
A presto, 

Carmilla Lilith.

   
 
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