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Autore: Lechatvert    20/07/2013    5 recensioni
Perché una spalla a cui appoggiarsi nei momenti di bisogno serve a tutti, dopotutto, e Bianca non aveva nessun altro, nessun altro se non il suo stesso aguzzino. Non poteva contare che su Riario, se voleva sentirsi forte. Era costretta, non le era rimasto altro.
| Un'ultima fanfiction per dirle addio. Poi la smetto, lo giuro.
Scritta sulle note de "La prima volta" della bellissima Annalisa. |
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Girolamo Riario, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Per questo, più o meno, la chiamavano Papavero.'
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Lechatvert
L'ultima volta, lo giuro. Poi la smetto. Poi passo ad altro. Poi mi rassegno.
E' colpa di questa canzone. Veramete. ç_ç 

Capitemi.





La prima volta
Non andare


Non andare resta qui
solo per due minuti
o per i prossimi
venti o trent'anni dormi qui
c'è qualcosa di cui vorrei parlarti
solo tu puoi capire
adesso ascoltami
(Annalisa – La prima volta)




« … E la prossima volta non azzardatevi a chiedermi ancora un favore simile! »
La porta si chiuse sbattendo, mentre i passi veloci del Conte si allontanavano per i lunghi corridoi di Palazzo Orsini.
Bianca si accucciò contro il muro, massaggiandosi la guancia in fiamme. Sentiva il sapore del sangue in bocca; un labbro spaccato, il naso sbattuto contro il pavimento nella caduta, forse.
Piangente, affondò il viso nel vestito di pizzo, coprendosi la testa con le mani.
Tutto perché quella mattina non era stata abbastanza attenta, a Messa, ed era riuscita chissà come a mescolarsi alla folla all’uscita, persa nell’immaginare la sua prossima lettura. Aveva lasciato il braccio del Conte che in un attimo era sparito e non era più stato in grado di trovarla.
Poi era arrivato Grunwald a tirarla per un braccio, l’aveva portata a Palazzo Orsini dove era rimasta sola, chiusa a chiave nello studio, in attesa che il Conte tornasse dal pranzo con il Santo Padre. Riario era tornato e l’aveva picchiata, gettandole addosso il mantello che si era precedentemente offerto di portarle, e l’aveva insultata e picchiata di nuovo, quasi provasse gusto nel punire ogni suo piccolo errore.
Bianca era rimasta lì, come ogni volta. Rimaneva sempre in quello studio, accoccolata tra gli scaffali, incapace di muoversi, di alzarsi, di pensare. Voleva soltanto piangere e singhiozzare, estraniandosi da quel mondo fatto di pareti affrescate e scrivanie sporche d’inchiostro.
Così rimase a terra per un’ora ancora, immobile, finché non fu lo stesso Riario a tornare sui suoi passi, probabilmente mosso dall’esigenza di un tomo archiviato nello studio, più che per compassione.
Tornò nella stanza, superò Bianca con passo spedito, soffermandosi per un istante dinanzi a uno scaffale. Poi estrasse un libro, girò sui tacchi e fece per andarsene.
Ma non lo fece.
Restò fermo in piedi, con lo sguardo spento che guardava le assi del pavimento.
Le piccole mani di Bianca si erano fatte attorno al bavero nella sua giacca, supplicandolo, in qualche modo, di non lasciare la stanza.
« Bianca … », la chiamo Riario. Aveva un tono stanco, ben lontano dell’adirato, però.
La ragazza rispose con un sussurro, senza alzare il capo dalle ginocchia.
« Non andatevene, restate qui. Anche solo per due minuti ».
Lui spostò lo sguardo su di lei, ma non rispose.
« Per favore, non ho nessun altro ».
« Non credo dovremmo parlare di questo. Sono molto occupato ».
Il Conte diede uno strattone al cappotto, ma le dita della ragazza non si mossero.
Difficile dire se fu per redenzione o soltanto per fastidio; anzi, probabilmente fu per mera stanchezza, eppure Riario decise di accucciarsi accanto alla ragazza, emettendo un lungo sospiro di rassegnazione mentre si sistemava accanto a lei. Lasciò il tomo sulle ginocchia, incrociandovi sopra le braccia.
Bianca si accoccolò contro la sua spalla, intrecciando le mani al suo braccio, appoggiando il mento sporco di lacrime alla sua casacca.
Non gli permise di guardala in viso, nascondendosi nella sua chioma color del tramonto, ma smise di piangere, sciogliendosi a poco a poco in un piccolo sorriso.
Perché una spalla a cui appoggiarsi nei momenti di bisogno serve a tutti, dopotutto, e Bianca non aveva nessun altro, nessun altro se non il suo stesso aguzzino. Non poteva contare che su Riario, se voleva sentirsi forte. Era costretta, non le era rimasto altro.
Accanto a lui, sfiorata dal poco calore che quella vicinanza le infondeva, si sentiva più coraggiosa. Cercava così tanto quel contatto umano, che per la prima volta le cose sembravano più luminose. La sua situazione non era più così spaventosa, l’ombra del Conte che gravava su di lei non era più così malvagia.
Era un po’ come essere a casa, cullati tra le braccia di un amico, oppure al caldo davanti a una stufa, quando fuori nevica.
Per i pochi minuti che Riario spese in quella posizione, fermo a fissare la copertina del libro sul suo grembo, Bianca non disse nulla.
Non ce n’era bisogno.
Per la prima volta, quel silenzio parlava da solo.



Non è colpa mia se non riesco a dire niente
anche il silenzio con te è musica
ho già visto molte cose
alcune delle quali chissà
le avrò solo guardate e mai vissute veramente
con te, sarà la prima volta.


   
 
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