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Autore: A q u i l e g i a    20/07/2013    10 recensioni
«Lucciola» sussurrò. Già, lucciola! Un essere fragile, indifeso, impaurito, ma che cerca di brillare come una stella. Ecco cos'era.
Vera è una passeggiatrice dei grandi viali di Tokyo, la cui vita è segnata profondamente da questo stile vitalizio.
Con il suo Skitty, vive in uno squallido e deprimente appartamentino nel centro, dove arranca a fine mese per poter pagare l'affitto.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Drew, Misty, Vera | Coppie: Drew/Vera
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Anime
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真夜中にホタル

 

Mayonaka ni hotaru

 

 

Lucciola nella Mezzanotte

 

 

Primo Capitolo

第一章

 

 

 

Barcollava lungo tutto il corridoio, tendendo stretta fra le dita una chiave. A fatica, riusciva a sollevare le gambe, una ad una: il dolore era troppo forte. Come se un trapano le avesse squarciato le carni, proprio lì, nella zona più intima che una donna possa nascondere.

Si accasciò con la schiena sul muro e chinò il capo. Aveva preso le redini del suo corpo, ed eccola là; per l'ennesima volta: sola, dolorante, fragile.

Sentì dei timorosi passi, troppo silenziosi per essere di un giovane in salute. Chi era lo sapeva già. Era sempre lei, la sua salvatrice.

 

«Ogni notte la stessa storia» disse pacata la donna, accarezzandole il viso.

La giovane, inerme, tentò di alzarsi, facendo leva con le gambe.

«Non preoccuparti per me» sussurrò con un fil di voce.

La signora, vestita di grembiule azzurrino, si chinò faticosamente per raggiungere la mano della ragazza, prendendo la chiave.

La fanciulla alzò il volto e fissò la vecchietta nelle more pupille: «La prossima volta sarà l'ultima.»

Sì, era sempre l'ultima volta. Ogni promessa fatta da quella bocca, non valeva nemmeno il tempo di essere ascoltata.

«Fino ad allora» continuò l'anziana «Fatti un bel riposino. Segui il mio esempio! Non vedi quanto sono rampante ogni volta?» scherzò, cercando di nascondere quella nota di amarezza che velava ogni suo discorso con Vera.

 

La sveglia, puntuale, cominciò a strillare alle dieci in punto. Vera cercò di alzarsi da quel letto così scomodo e si guardò nello specchio appeso vicino a quel ammasso di coperte buttate lì alla rinfusa.

«Dio che occhiaie!» esplose, massaggiandosi gli occhi con le dita «E che mani sporche!» continuò.

Diede un'occhiata a Skitty, che giaceva comodo nella cuccia a fianco al letto, e sorrise. «Mi conviene fare una doccia!» esclamò accarezzandosi i capelli.

 

Si ritrovò nuda di fronte ad un altro specchio: non voleva vedere quel corpo. Non era più il suo, oramai. Si accarezzò le spoglie cosce, notando dei profondi lividi, i quali le dolevano molto.

Cercò di sorridere, ma quella vista le dava il voltastomaco.

«Asciugamano, accappatoio, asciugacapelli...» pensò, prima di mettere piede nella doccia.

Strinse con la mano la manopola per regolare l'acqua e la impostò quanto più calda poteva. Non voleva più sentirsi così sporca.

Incrociò le braccia davanti al petto e osservò i suoi seni: voleva essere l'unica a poterli toccare. Essere se stessi; parole così facili da pronunciare. Ma Vera poteva essere se stessa? Poteva dire: «Questo corpo è solo mio»?

Uscita dal bagno, cominciò ad asciugarsi. Ed ecco davanti a lei le solite viste: quel corpo che non era più il suo. Odiava lavarsi solo per questo.

 

«Questo è quanto ho guadagnato ieri.» annunciò schietta Vera, di fronte alla vecchia signora Fujiko.

«Sai che non basta, vero?» la rimproverò quella, mentre contava i soldi.

La castana si appoggiò con la schiena sulla porta.

«Non...» insistette, cercando di non scoppiare in lacrime «Non ce la faccio più... La prego, non mi dica che devo tornare là fuori...»

I suoi occhi celavano tristezza, ma soprattutto rabbia e vergogna.

«Per questo mese passi, ma la mia pietà ha un serio limite.»

Se potesse, Vera la avrebbe abbracciata e stretta forte forte. Amava quella donna.

Vera si rituffò nel suo letto. Per quanto fosse duro, era l'unico luogo in cui si sentiva protetta: era il suo spazio, nessun uomo ci sarebbe entrato. Mai e poi mai.

«Lucciola» sussurrò. Già, lucciola! Un essere fragile, indifeso, impaurito, ma che cerca di brillare come una stella. Ecco cos'era.

 

«Allora? Dici niente?»

Una giovane ragazza dai capelli arancioni raccolse i capelli per mettere in evidenza il petto.

«Be'. È una collana.» rispose Vera mentre sorseggiava una Guinness.

«Non una semplice collana! Questo è oro!» Spiegò mentre rigirava la preziosità tra le mani.

«Lo fai perché vuoi farmi sentire una povera sciattona?»

«Gelosa, eh? Dai, te lo concedo!»

«Non è giusto! Perché non regalano anche a me una bellezza del genere?! Uffa...» Sbottò con fare infantile, cercando, al contempo, di assaporare le ultime gocce del boccale.

«Eppure c'è chi potrebbe farlo...» era maliziosa, Misty.

«Oh, senti. Eravamo entrambe lucciole, giusto per ricordartelo!»

«Ovvio.» Misty cercò di forzare un sorriso «Ma vedi. Io ho deciso di smettere, non tanto perché gli altri mi guardavano dall'alto verso il basso, ma perché non mi sentivo più io. L'ho fatto per me, per essere di nuovo libera...»

«È facile parlare...» il tono di Vera s'era fatto malinconico «Tu hai trovato chi ti ha aiutata! E io chi ho? La Signora Fujiko, tu, mia madre e chi altri?»

«Di se stessi bisogna decidere da se stessi! Non fare troppo affidamento sul resto del mondo... Le piccole cose le puoi fare anche tu!»

«E sentiamo. Tu sei riuscita a diventare quello che sei oggi da sola?»

Vera non ottenne risposta. Misty si alzò, buttando sul bancone quattro spiccioli per pagare il barista.

«Non prendere la mia vita come esempio.» tuonò «Vivi la tua vita e non giudicare quella degli altri»

Vera non avrebbe voluto essere così acida con l'amica, ma preferiva vederla ridotta peggio di lei. L'unico suo conforto era quello di poterla consolare, ma ora non era Misty ad essere la poveraccia di turno.

L'unica che soffriva ogni notte e che sognava una nuova realtà era Vera, Vera Haruka.

Si alzò dallo sgabello e lasciò il locale vuoto. Sapeva bene dove si stava dirigendo. Era il pezzo di strada che più odiava, che più le ricordava chi era veramente.

Si appoggiò davanti al solito lampione, cercando di rendere più stretti e più sexy i suoi jeans, i quali arrivavano a mala pena a metà coscia.

Era il momento in cui si sentiva una merda. Nel verso senso della parola, e allora perché lo faceva? Una domanda che s'era posta molte volte, ma alla quale aveva risposto sempre allo stesso modo: «Per vivere». Menzogne. L'unico motivo per il quale Vera faceva quel lavoro era perché non voleva tuffarsi nel mondo, crescerci, aveva paura di assumersi delle responsabilità. Si odiava per questo.

«Mi faccio schifo» era l'unica cosa che riusciva a pensare in quelle occasioni. Ogni qualvolta che tentava di adescare un cliente, quello era il suo unico pensiero fisso.

 

Erano le dieci spaccate, come al solito. Dal fondo del viale si avvicinò una sfarzosa limousine, sempre la solita.

Abbassato il finestrino, Vera si ritrovò a sorridere nel modo più convincente possibile.

«Monta.» un'ombra scura, nascosta dal vetro semichiuso, aprì la portiera.

«Ma perché non crepi, brutto vecchiaccio?» pensò, mentre entrava nell'auto «Ciao tesoro...»

Era falsa, finta. Quella persona esigeva i suoi servizi da più di un mese, non voleva nessun'altra a parte lei. La cosa le dava il disgusto.

«Sai cosa fare.» le sussurrò all'orecchio, avvicinando la lingua al collo.

Si sforzò di non vomitare. Era di nuovo lì; nonostante la promessa alla governante. Erano quelli i momenti in cui si vergognava di esistere.

Quella puzza di sake era nauseabonda, e non sopportava stargli accanto. Avvicinò la mano alle gambe, e massaggiò l'inguine.

«Ti ho fatto male l'altra volta?» continuò con un sussurro, inebriandosi con il delicato profumo di vaniglia dei capelli di Vera.

«N-No.» rispose, cercando di velare i conati di vomito.

«Ti va di rifarlo?»

La ragazza deglutì. Cercava di respirare, voleva uscire da lì! Ma non poteva.

«Sì.» mentì.

Vera uscì dalla limousine. Era quasi mezzanotte, la fine e l'inizio di un giorno. Vagava solitaria lungo le vie del centro, meno dolorante delle volte precedenti. Preferiva non riportare alla mente ciò che le aveva fatto quello sporco pervertito.

Contava i soldi guadagnati. «Che miseria.» pensò mentre li intascava avidamente nella borsetta. Allo stesso tempo, prese un pacchetto di sigarette che nascondeva nel taschino più interno.

«Black Stones» lesse la scritta che sovrastava i soliti avvertimenti impressi su ogni marca di sigarette.

«Mi chiedo quando le abbia comprate.» rifletté, stringendo le sigarette nella mano destra «Che schifo.» sussurrò.

Era risaputo che quella particolare marca non era certamente delle migliori, tutt'altro. Non le aveva mai provate, è vero, ma non era il momento migliore per iniziare a scrutare nuovi orizzonti in fatto di sigarette.

Lungo la strada, si fermò di fronte ad un tabacchino chiuso. Infilò nel distributore automatico la prima banconota che riuscì a pescare dal portafoglio.

Non perse tempo e aprì il pacchetto, come fa una bambina mentre scarta il suo regalo di Natale.

Frugò nuovamente nella borsa e prese in mano un accendino rosa.

«Ti prego non abbandonarmi proprio ora!» gridò, scagliandolo lontano «Tutto Made in China, è mai possibile?»

Quella notte, Vera era particolarmente nervosa. Ma del resto, come poteva non esserlo? Dopo una giornata da dimenticare, come tutte, del resto, l'unica soddisfazione era quella di poter finalmente fumare; ma oggi non lo poteva fare.

 

«Qualcuno ha da accendere?» si ritrovò a domandare nel primo locale notturno capitatole a tiro.

Il barista le offrì un accendino.

«Posso, vero?» fece lei, già con la cicca in bocca, pronta per essere fumata.

«Fa' pure» rispose, continuando a pulire i bicchieri di birra.

Vera si sedette sul primo sgabello cigolante che trovò e si guardò attorno.

«Caspita, avreste bisogno di una bella mano di vernice, qua dentro» esordì, indicando le pareti scrostate e ingiallite.

«Già» intervenne una voce dal fondo della sala «Ma questo è ciò che spetta a noi comuni mortali.» avvicinandosi, il giovane scostò dalla fronte i capelli verdi «E tu non mi sembri una frequentatrice di locali di classe» alluse, infine, osservando i jeans esageratamente corti e stretti e la scollatura non poco evidente.

«Se è per questo, tu mi sembri appena uscito da un concerto punk.» ribatté «Ma come t'è venuto in mente di tingerti i capelli di verde?»

 

 

 

 

Giustificazioni (?)

 

Sarebbe troppo complicato spiegare i motivi che mi hanno spinta a scrivere questa nuova long. Si può notare, temo, che non è stata scritta in preda alla felicità più totale, bensì quando avevo poco per cui sorridere. … =_=

Per chi non avesse capito: lucciola = prostituta, giusto per intenderci ^^. Non mi chiedete: «Perché Vera è una prostituta?»; non ne ho idea. Boh, è così e basta, cosa devo dirvi? Se chiedete ad una lucciola (preferisco usare questo termine) per strada del perché la diano a destra e a manca per denaro: o vi sputeranno in faccia o vi manderanno a quel paese, dunque ritenetevi fortunati che io non faccia altrettanto … xD

Ci tengo, inoltre, a precisare che non sono esperta in materia, possono esserci delle imprecisioni qua e là, ma spero non siano troppo fastidiose xS Non essendo una lucciola, non posso che documentarmi su Wikipedia...

 

Aggiungo (lettori in coro: «Ebbasta!!!») che la storia non sfocerà mai nell'atto sessuale vero e proprio, verrà solo accennato, come avvenuto in questo capitolo.

Si richiede che sappiate che cosa sia il sesso; se così non è... Beh, parlatene con i vostri genitori... Che devo dire? *^*

 

La vostra Saku ♥

  
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