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Autore: Evelyn Doyle    20/07/2013    9 recensioni
Non potevamo starcene qui, in Irlanda, tranquilli e buoni?
[...]
Qui ho Doreen, Candace, Hattie, Lauren e altri... Irlandesi quanto me fino alla punta dei capelli.
Qui posso parlare l’irlandese, lì dovrò parlare sempre e solo inglese doc.
Qui le campagne sono verdeggianti e floride.
Qui non ci sono le onde bazzicanti di surfisti ogni giorno dell’anno, il mare è freddo e le coste alte e rocciose.
In ogni caso, dovrò abituarmi all’idea.
Dovrò abituarmi all’idea di dire: “Io abito a Sydney, la conosci?” e non “Io abito in Irlanda, sono irlandese, non vedi?”

[...]
Non posso ancora capacitarmi che questo sarà un biglietto di sola andata, non una vacanza leggera di un paio di settimane.
Io andrò in Australia e non tornerò.

* * * *
Questa storia mi frullava da un bel po’ in testa e, nonostante non credo sia delle più originali volevo comunque scriverla, un po’ per sfizio.
Detto questo, spero di avervi incuriosito anche solo in minima parte e, ovviamente, buona lettura!
Se vi va lasciatemi anche qualche recensione, ci tengo a sapere il vostro parere ;)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Note autrice:

Eccomi con una nuova storia, lo so che ne ho altre due da continuare, ma proprio non ce la facevo a non pubblicarla, per cui ECCOMI QUA.

Vorrei intanto precisare che, come ho già scritto, questo genere di storia si è già sentito molte volte, direi, un po’ come le classiche storie dei due che si odiano e poi improvvisamente si attraggono inconsciamente, ovviamente questa non è esattamente una di quelle... o forse sì? xD

E so che quindi leggendo l’introduzione iniziale avrete pensato: “Ma non ha proprio fantasia, questa?” e in realtà non posso darvi così torto, il titolo è piuttosto banale, lo so, però posso solo dirvi che cercherò di svilupparla al meglio, perché ho già deciso che a questa storia ci tengo moltissimo e anche se ne esistono già centinaia con lo schema iniziale di “nuova nazione, nuovo inizio” ecc. spero comunque che qualcuno la legga.

Comunque, sebbene lo schema iniziale sia il solito (che io, ormai l’avrete capito, chiamo “nuova nazione, nuovo inizio” xD), in sé la vera storia non è poi quella... ma è ciò che accade DOPO il trasferimento, non il trasferimento in sé, mi spiego?

Comunque io voglio raccontare anche quello, di come la protagonista viaggia, di tutti gli scali e le ore che è costretta a sopportarsi.
Detto questo, credo di aver chiarito tutti i punti che ritenevo dovessi chiarire.

Ah, in questa storia ci tengo anche a fare ampie descrizioni del paesaggio oltre che dei personaggi, perciò mi documenterò quasi ossessivamente (?) sull’Australia e in particolare su Sydney.

Spero davvero che apprezzerete, io ce la metto tutta.
Adesso credo proprio sia il momento di lasciarvi, scusate queste note iniziali leggermente lunghe (?).
Buona lettura!

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Prologo


Non riuscivo a crederci quando i miei genitori mi dissero testuali parole:

«Brooke, ci hanno offerto un contratto in Australia. Dobbiamo trasferirci»

Insomma, in Australia?! Dall’altra parte del mondo dovevano offrirgli un contratto di lavoro?
Non potevamo starcene qui, in Irlanda, tranquilli e buoni?
Okay, l’Australia è fantastica, ovviamente.
Quante volte ho guardato su Internet le foto della particolarissima Opera House oppure di quei giganteschi parchi cittadini di Sydney? O vogliamo parlare di quegli animali fantastici che esistono solo lì?
Canguri, koala, ornitorinchi, echidne e altri di cui ignoro i nomi...
Ma ormai è inutile rammaricarsi, partiamo domani e basta.
Ancora non riesco ad accettare l’idea di lasciare l’Irlanda, io ci sono nata qui, ci vivo da quindici anni!
Okay, non ancora quindici anni perché li compio fra tre mesi, però è pur sempre tanto tempo!
Non posso lasciare quest’isoletta per andare in quell’isola a dir poco gigantesca, non posso...
Qui ho Doreen, Candace, Hattie, Lauren e altri... Irlandesi quanto me fino alla punta dei capelli.
Qui posso parlare l’irlandese, lì dovrò parlare sempre e solo inglese doc.
Qui le campagne sono verdeggianti e floride.
Qui non ci sono le onde bazzicanti di surfisti ogni giorno dell’anno, il mare è freddo e le coste alte e rocciose.
In ogni caso, dovrò abituarmi all’idea.
Dovrò abituarmi all’idea di dire: “Io abito a Sydney, la conosci?” e non “Io abito in Irlanda, sono irlandese, non vedi?”
Ormai non posso fare nulla, però.
Partiremo domani e dovrò anche sorbirmi un numero troppo alto di ore in aereo.

Non ricordo quante siano, ma sono di certo fin troppe per me. Solo ricordare quel numero mi fa passare la voglia di salire sull’aereo.
I bagagli li ho già fatti, o meglio, mia madre me li ha fatti senza che nemmeno me ne accorgessi.
La valigia blu cobalto giace vicino al letto, la casa è praticamente vuota, spoglia da tutti i mobili che prima la rendevano un po’ più viva e colorata.
Doreen stava quasi per piangere, lei la conosco da sempre praticamente.
Mi ha regalato un piccolo album fotografico con le foto di tutte loro.
«Per non dimenticarci» mi ha detto.
Mi sembrava una frase da funerale, ma è quasi come se morissi e rinascessi da un’altra parte.
Sembrerà esagerato, forse lo è, però io adoro l’Irlanda!
Forse è meglio che la finisco con questi stupidi pensieri melodrammatici, però.
Domani parto. Punto e stop.
Sono le dieci e mezza, devo andare a dormire... domani mi aspetta un risveglio orribile: alle quattro devo alzarmi dal mio amato letto e per le sei e mezza dobbiamo stare al Aerfort Bhaile Átha Cliath, ovvero il “Dublin Airport”, come lo chiamano gli inglesi.

* * *

«Brooke, sono le quattro e cinque minuti! Svegliati o non arriveremo in tempo!» cosa? È già mattino? Mi sembra che siano passati cinque minuti da quando mi sono addormentata!

Mi alzo a malavoglia, scendo in cucina e mangio i miei adorati pancake con la mia adorata tazza di latte.

«Non ti preoccupare, Brooke. Vedrai che Sydney ti piacerà da matti» mi dice mia madre intenta a portare giù le valigie per poterle caricare sul Taxi che ci porterà all’aeroporto.

Faccio una breve doccia in bagno e poi corro a vestirmi con gli unici vestiti rimasti fuori dalla valigia.
Una maglia leggera a maniche corte e dei jeans scuri.
È strano pensare che lì, a Sydney, sia primavera mentre io sono abituata all’autunno appena iniziato dell’Irlanda.
Sono le cinque meno un quarto e ci dirigiamo verso il Taxi, appena arrivato.
Mentre salgo guardo i giardini, le casette, i negozietti e tutto ciò che ho intorno.
Domani mi risveglierò in un posto completamente diverso da questo.
Lunedì dovrò anche iniziare la scuola, lì, in Australia. Fortunatamente è ancora giovedì.
Non so ancora come si chiama la scuola in cui andrò, nonostante mia madre mi abbia già iscritto.
Chissà come sarà la divisa, come saranno i miei compagni di classe, i professori, il preside...

I miei pensieri vengono interrotti dalla vista di un immensa struttura, piena di gente che va e viene: il Dublin Airport è il più importante dell’Irlanda e quindi il più affollato.
Scendiamo dal Taxi.
Prendo il mio bagaglio, ci dirigiamo dentro l’aeroporto.
Il volo non sarà diretto, ovviamente: faremo scalo prima ad Atene e poi a Singapore. Fortunatamente dovremo aspettare soltanto un’oretta ogni scalo, ma il viaggio durerà più di ventiquattro ore.
Mi viene l’ansia a pensarci, ma so che con me avrò un bel PC con cui smanettare.
Dopo un’interminabile coda, finalmente facciamo il check-in e ci dirigiamo verso il gate.
Non posso ancora capacitarmi che questo sarà un biglietto di sola andata, non una vacanza leggera di un paio di settimane.
Io andrò in Australia e non tornerò.
Non tornerò.
Arriva il fatidico momento: l’imbarco.
Una gentile assistente di volo controlla i biglietti e fa imbarcare i passeggeri: l’aereo è immenso, molto più di quel che pensassi.
Appena troviamo i nostri posti ci sediamo comodamente e attendiamo che diano istruzioni.
Muovo il piede incessantemente, come se fossi nervosa.
In effetti, lo sono.
Passano circa dieci minuti, dopodiché bisogna allacciare le cinture di sicurezza: si parte.
Si parte, per non ritornare.

Dopo un quarto d’ora circa fluttuiamo ancora nel cielo irlandese, anche se per poco, dato che tra non molto saremo sopra l’Inghilterra.

Aspetto pazientemente qualche oretta, ormai non controllo nemmeno il tempo che passa, stiamo viaggiando attraverso i fusi orari e sarebbe inutile.
Dopo ancora tre ore - estenuanti - arriviamo ad Atene, precisamente all’Aeroporto Internazionale di Atene.
Siamo già al primo scalo!
Aspettiamo nella sala d’attesa dell’aeroporto, dopotutto dobbiamo attendere soltanto un’oretta, per poi prendere un altro aereo... adesso dovrò aspettare più o meno dieci ore, anzi, credo addirittura dodici, prima di arrivare al prossimo scalo: Singapore, nel cuore del sud-est asiatico.

* * *

Le ore in aereo sono estenuanti, non sono mai stata rinchiusa in un posto per così tante ore.
Sono passate ben dodici ore da quando siamo partiti da Dublino.
Accidenti, ma perché caspita hanno dovuto cercare lavoro in Australia i miei? L’Irlanda non era abbastanza grande per trovarlo?
Mi viene da sospirare, se non da imprecare, ma cerco di aspettare ancora e ancora... mi stupisco della mia pazienza.
Dovrebbe essere sera, perché il cielo è buio.
Osservo fuori dal finestrino: vedo candide nuvole, che sembrano quasi cotone, morbide e bianchissime; sopra di esse il cielo è scuro e qualche stella appare qua e là.

Non mi accorgo di essermi addormentata, subito dopo la cena servita ieri sera.
«Brooke, dobbiamo scendere» siamo a Singapore? Non posso crederci, finalmente!
Cioè, non proprio... ancora un numero non definito di ore e poi saremo veramente arrivati in Australia.
Scendiamo, nuovamente. Siamo nel grande aeroporto di Singapore Changi.
Aspettiamo, nuovamente.
«Sappiamo che tutte queste ore di aereo non sono eccezionali... ma vedrai, quando arriveremo a Sydney ti piacerà moltissimo, soprattutto la casa che abbiamo comprato: si vede il mare» mi dice mia madre, sorridente.
Certo, come se io adorassi il mare.
Forse non amo andarci perché la mia pelle al solo pensiero del sole si cuoce come carne sul fuoco, sensazione che non amo assolutamente provare.

Arriva il momento di salire sull’ultimo aereo.
Dai, Brooke, ancora qualche ora e sarai in Australia.
Facile da dire, ma non a farsi.
Guardo ancora fuori dal finestrino: siamo appena partiti e vedo Singapore: è piena di grattacieli.
Sono altissimi, si vede chiaramente anche da quassù.
Smanetto poi per qualche oretta con il PC, dopodiché viene servito il pranzo su quel bell’aereo dove siamo saliti.
E’ molto grande, probabilmente (anzi, sicuramente) è pensato apposta per questi viaggi estenuanti in giro per il mondo.
Probabilmente, se qualcuno mi avesse detto l’anno scorso che l’anno successivo sarei andata ad abitare in Australia, gli avrei riso bellamente in faccia.
Probabile, già.
In realtà nemmeno ora me ne capacito, insomma, io, una quasi-quindicenne irlandese fino alla punta dei capelli, che va nella solare Australia, precisamente a Sydney, piena di belle spiagge, surfisti che cavalcano le onde ad ogni ora del giorno, ogni giorno dell’anno.
Non mi rendo nemmeno conto che, con tutti questi pensieri, il tempo scorre e scorre... finché...

«I signori passeggeri sono pregati di allacciare le cinture e di spegnere ogni apparecchio elettronico per l’atterraggio»

Non me lo faccio ripetere due volte e allaccio la cintura.
Appena scendiamo, recuperiamo tutti i bagagli e le valigie e ci rechiamo fuori dal grande, immenso Aeroporto Internazionale Kingsford Smith.
Un taxi si ferma e ci porta all’indirizzo dettato da mio padre.
Mentre viaggiamo guardo la città, siamo vicini al centro finanziario di Sydney: vedo grattacieli, ma anche spazi verdi pieni d’alberi e il mio occhio si posa su una struttura, una struttura che ho già visto...
la celebre Opera House, certo!
È inconfondibile, con il suo design così particolare... e io la sto vedendo con i miei occhi!
C’è anche il mare, azzurro limpido, come il cielo oggi.
Non sono abituata a tutto questo sole, in Irlanda sì e no d’estate faceva così nei giorni che io consideravo torridi.
Arriviamo poi nella parte urbana della città: case e casette, alcune vicine al mare, altre quasi sulla sabbia, altre invece vicino a grandi cortili e giardini.
Chissà se le spiagge bazzicano di surfisti, intenti a cavalcare le onde... non ne ho mai visti, se non nei film, ma quelle onde devono essere veramente alte.

Il taxi si ferma: siamo arrivati.
Siamo arrivati in quella che sarà la mia nuova casa, dove abiterò da oggi.
Fuori è di un colore simile al giallo, molto più chiaro però.
Entriamo, con le valigie in mano.
Ha due piani, come quella che avevamo in Irlanda.
Però, a differenza di quella, è spoglia e senza vita.
I muri sono monotoni, così come le stanze, in cui rimbombano i nostri passi decisi.
Poggio la via valigia vicino a quello che dovrebbe essere un letto.
Il mio letto, precisamente.
Non è brutto, per carità, è solo... nuovo.
Tutto è nuovo, per me.
Ogni singolo centimetro di quella casa è nuovo, per me.
Guardo l’orologio, ma poi mi do della stupida da sola: segna ancora l’ora di Dublino, l’ora della mia Irlanda.
Sarà pomeriggio o giù di lì, comunque, qua.
Ed è venerdì.
Un tiepido venerdì autunnale... aspetta, non è autunno qua! Qui è primavera... ecco perché fa abbastanza caldo e c’è questo sole accecante!
Non sono ancora abituata all’idea di avere le stagioni ribaltate, dopotutto sono nell’emisfero australe, non più in quello boreale!

Credo proprio che ci metterò un po’ ad abituarmi a tutto questo.
   
 
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