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Autore: R e v a m    21/07/2013    0 recensioni
Gli uragani sono venti caratterizzati da piogge molto forti, possono superare i 250 km/h e formano grandi masse d'aria che si muovono in un movimento rotatorio in grado di risucchiare qualsiasi cosa.
Samuel viene risucchiato da un uragano. Un uragano alto appena un metro e cinquantacinque centimetri, con dei grandi occhi neri e un sorrisetto in grado di spazzare via tutto il mondo circostante.
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"In quello stanzino faceva caldo, se ne resero conto entrambi. Stavano sudando. Nessun rumore arrivava alle loro orecchie, il silenzio e l’aria impregnata dai loro respiri facevano sembrare come se, in quel mondo, ci fossero solamente loro due."
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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 Samuel varcò la soglia di quell’istituto con la faccia di chi, di lì a poco, sarebbe stato sbattuto dentro le sbarre per un crimine che non ha commesso. Non aveva davvero voglia di rivedere le solite facce che l’avrebbero guardato con sospetto e diffidenza come da due anni a questa parte. Quell’estate aveva lavorato a tempo pieno nel ristorante di suo zio, e ci sarebbe rimasto volentieri anche per la stagione invernale se sua madre non l’avesse pregato quasi in ginocchio per farlo tornare a scuola. Come se servisse a qualcosa, alla fine. La sua vita sarebbe continuata in quello stupido paesino e una volta finito il liceo sarebbe stato assunto come dipendente fisso al ristorante. Perché non iniziare subito, allora?
Domanda stupida: perché tutti quelli che mollavano la scuola prima di averla finita sarebbero diventati delinquenti come suo fratello, a detta di sua madre. E lui avrebbe dovuto essere il figlio perfetto che Alessandro non era stato.
Peccato che di perfetto non avesse proprio un bel niente, Samuel.
Si poggiò ad un albero nel cortile davanti all’edificio e si accese una sigaretta, mentre guardava i gruppetti di studenti raggrupparsi pian piano. Lui difficilmente arrivava in anticipo, ma il caldo soffocante d’inizio Settembre non gli permetteva di dormire per tutta la notte, e invece di stare in casa ad ammazzare le mosche come passatempo aveva deciso di fare uno sforzo e di mettersi addosso qualcosa di decente per andare a scuola. Come se volesse fare bella impressione sugli altri.
Gli spuntò un sorrisetto amaro sulle labbra. Che cazzata.
Pian piano qualcuno iniziò a notarlo. In effetti, tutto solo poggiato ad un albero a fissare le persone, poteva sembrare un maniaco o un pervertito, ma ben presto lo riconobbero e, come ogni anno, le voci iniziarono.

Ma è tornato a scuola?
Non era stato bocciato già due volte?
Sta ancora con quei tipi dell’Old West?
Fra poco raggiungerà il suo fratellino!
Meglio stare alla larga dai tipi come lui.

Già, meglio che quei bambocci figli di papà stessero alla larga da un tipo che aveva il fratello in carcere, che viveva in quella che per loro era una catapecchia e che frequentava gentaccia e locali della parte brutta della città. Peccato, era davvero un peccato che non vestisse ogni giorno con abiti firmati e che non avesse voti eccellenti per entrare in una delle migliori università d’Italia. Peccato che non avesse i soldi che gli uscissero dal culo e che la sua famiglia non fosse perfetta come quelle di quei bambocci che da soli non avrebbero saputo neanche allacciarsi le stringhe delle scarpe.
Ma almeno non aveva la puzza sotto il naso come loro.
Appena suonò la campanella buttò la sigaretta per terra e la spiaccicò col tacco della scarpa, poi corse dentro spintonando di tanto in tanto con la spalla qualcuno che gli passava troppo vicino. Se proprio doveva essere detestato, che almeno avessero un buon motivo.
Purtroppo si ritrovò a vagare sconsolato in cerca della sua classe, senza trovarla. Avrebbe chiesto volentieri ad un bidello se ce ne fosse stato uno, ma non se ne vedeva l’ombra neanche da lontano.
<< Possibile che ti perdi ogni anno? >> Quella voce e una pacca sulla spalla lo fecero voltare di scatto, già pronto ad una possibile rissa, ma si fermò con piacere alla vita di quel cespuglio di capelli che lui chiamava amico.
<< Ma guarda chi si rivede, il genio è tornato! Degni ancora noi comuni mortali della tua presenza? >> Gli sorrise e gli mise un braccio sulle spalle, continuando a camminare.
<< Vi faccio solo del bene, credimi. >>
Samuel, ridacchiando, si accorse che Luca era diventato più alto in quei tre mesi. E forse anche il suo cespuglio di capelli era diventato più folto. Avrebbe dovuto raparlo, prima o poi. Pensava ogni anno ad un modo per tagliargli quei capelli, ma chiunque sapeva che il cespuglio di Luca era sacro e che non si sarebbe fatto mettere un dito addosso per nessuna ragione al mondo. Nei due anni trascorsi come suo unico amico, in quella scuola, aveva capito che quella era l’unica cosa a cui tenesse sul serio. Una volta aveva persino portato il genietto all’Old West, e i ragazzi avevano tentato di tagliargli qualche ciocca di capelli. Luca aveva dato un pugno a Michael dicendo di ficcarsele in culo, quelle mani. Da quel momento era stato etichettato come “cespuglio tutto pugno”, ma a Luca sembrava piacere.
<< Sai in che cazzo di classe siamo finiti? >>
<< 3°B. Dovrebbe essere al secondo piano. Allora, dove te la sei fatta quella cicatrice? >>
Samuel si sfiorò la cicatrice sulla guancia destra, poco distante dall’occhio.
<< Mio zio mi ha preso mentre gesticolava con il coltello in mano. E lui sarebbe quello che dovrebbe insegnarmi le sue doti culinarie, eh! >>
<< Sembri ancora più cattivo. >> Poi si voltò, ridacchiando sotto i baffi. << Prova a fare un sorriso? >>
Samuel lo guardò torvo, ma alzò gli angoli della bocca cercando di risultare il più simpatico possibile.
Subito dopo vide Luca scoppiare a ridere e sventolargli una mano davanti al viso.
<< Lasciamo perdere! >>
Samuel gli dette una spintarella e salirono al secondo piano, mentre gli altri studenti si affrettavano ad entrare nelle loro classi e qualcuno di tanto in tanto gli lanciava un’occhiataccia o si scansava per farli passare, intimorito. Non era proprio cambiato niente.
Se ne sarebbe tornato a casa volentieri. Non è che si sentisse a disagio o triste perché i suoi compagni di scuola lo evitavano reputandolo un cattivo elemento. Non aveva più cinque anni. Solo che gli rodeva portarsi addosso le colpe di suo fratello e una reputazione che non si era guadagnato.
Mentre vedeva le faccette truccate delle ragazzine appena quindicenni che gli passavano accanto sculettando come papere e i ragazzi che stringevano le chiappe per non farsi uscire i soldi da ogni buco del corpo non desiderava altro che stare seduto ad un tavolo dell’Old West, a giocare a briscola con i ragazzi bevendo un po’ di birra. Ciò che faceva da quando aveva l’età per uscire da solo, alla fine.
Okey, doveva solo sedersi in classe, far finta di leggere e stare attento e quelle sei ore sarebbero volate in un batter d’occhio, sarebbe tornato a casa a farsi un sonnellino e poi dritto all’Old West, e dopo cena al ristorante. Cosa c’era di più facile?
<< Attenta, Becca! >>
Un tonfo. Samuel sentì un tonfo quando il suo sedere si spiaccicò per terra e la sua pancia venne colpita da qualcosa di duro che, abbassando lo sguardo, si accorse essere una testa. Un po’ spaesato cercò di scrollarsela di dosso, ma la testa stava lì, ciondoloni sopra la sua pancia, mentre il resto del corpo di quella che sembrava essere una ragazzina era fra le sue gambe. In quella posizione, in mezzo al corridoio, con la gente che si era fermata per guardare che cavolo stessero facendo. Che bella situazione.
<< E-ehi…? >>
La testa si alzò di colpo, facendolo sobbalzare. Era indemoniata?!
E dietro i capelli lunghi e neri vide che si nascondeva un visino carino, con due grandi occhi scuri che lo scrutarono aggrottando le sopracciglia.
Poi, come se si fosse accorta solo in quell’istante di essere seduta in mezzo alle gambe di un ragazzo, si staccò dandogli una spinta sul petto e indietreggiando, per poi alzarsi in tutta fretta, non rivolgendogli neanche una parola.
Samuel, ignorando quel “ehi, si sono già scontrati!” che sentì provenire da qualcuno in mezzo alla piccola folla di gente che si era creta intorno a loro, si alzò a sua volta mettendosi difronte alla ragazzina, che constatò arrivargli a mala pena al petto.
<< Non usa più chiedere scusa? >>
Non ebbe neanche il tempo di dire un’altra parola o di fare un respiro in più, che la mano di quella nana da giardino si spiaccicò sulla sua guancia con tutta la forza che poteva possedere una bimbetta che non arrivava nemmeno al metro e sessanta. Staccò le cinque dita lasciandogli una stampa rossa bruciargli sulla pelle del viso. Sentì qualcuno emettere qualche verso sorpreso, altri ridacchiare.
Lui, quando si rese conto di ciò che era appena successo, voltò il viso e digrignò i denti.
<< Ma che cazzo stai- >> Gridò incazzato come una belva, prima che le parole gli morissero in gola quando vide quei grandi occhi scuri ricolmi di lacrime.
Rimase con la bocca mezza aperta e la voce che non voleva uscirgli dalla gola. Solo per delle stupide lacrime.
La ragazzina dopo qualche secondo iniziò a correre dall’altra parte del corridoio, per poi entrare nel bagno delle femmine, seguita da un’altra ragazza un po’ più alta di lei.
La folla iniziò a diradarsi e Samuel si riscosse dai suoi pensieri quando Luca si appoggiò a lui, costringendolo a spostare lo sguardo dal bagno.


<< Hai appena conosciuto il piccolo uragano della scuola: Rebecca Nieri. >>



 
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.Sproloquiando.

Ehilà! :) Dopo vari tentativi di pubblicare una storia decente e che piacesse sul serio anche a me –e che soprattutto non mi venisse a noia-, credo di aver trovato quella giusta. Questa volta sono davvero decisa a continuarla e a finirla. Questa mi appassiona, m’intriga, e questo primo capitoletto non è solo il frutto dell’ispirazione di un momento –spero.
Insomma, non è che abbia molte cose da dire…spero che come inizio vi abbia incuriosito!
 
 
 
  
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