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Autore: mortuaary    24/07/2013    0 recensioni
- Come si può soffrire e gioire dello stesso istante ?
La realtà in cui vive Katelynn si frantuma davanti ai suoi occhi senza che lei possa reagire. A sua insaputa, ciò che più desidera, l’attende dietro l’angolo.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Flughafen Köln-Bonn, Terminal 1 (Hauptgebäude)
Le vetrate dell’aeroporto spiccano al riflesso del sole invernale che le trafigge. Tanti grandi specchi che ne riflettono il potere. Vengo scortato all’interno della monovolume grigio topo, decocentrandomi dalla piacevole vista.
La mia guardia del corpo, accomodatosi affianco a me, mi avverte che i paparazzi sono inspiegabilmente informati di tutti i miei movimenti: e così sia. Il mondo intero, che da settimane ormai ci ha condotti nell’occhio del ciclone, deve sapere che sto per dare una svolta a tutto questo. Ti prenderò Katelynn, e tutto tornerà come deve essere.
O mia o di nessun altro.
 

-

 
Questa stanza odora di muschio, parquet di noce laccato e cannella.
Odio la cannella. Anche in questo caso deve rovinarmi tutto, per quanto non posandosi su della panna bensì ostacolando la percezione del mio olfatto.
 
-         A cosa pensi? –
La sua voce mi riporta alla realtà. Mi volto di scatto, alzando il viso verso il suo cuscino; solo adesso realizzo di essere realmente sveglia e con gli occhi aperti. Lui ricambia lo sguardo sotto le ciglia lunghissime: è come se mi stesse guardando da un secolo, con l’espressione immutata ma velata di mille pensieri.
-         In realtà a nulla. – Mento.
Credo che se confidassi ciò che inconsciamente o consciamente penso alle prime luci del giorno potrei esser scambiata per una malata mentale, quando il mio è semplicemente grande spirito d’osservazione.
-         Se lo dici tu. Ti va di far colazione? Se ti prepari ti porto in un posto. –
-         Okay. –
Mantengo lo sguardo un’altra manciata di secondi, il tempo necessario per perdermi nella sfumatura cioccolato che le sue iridi hanno assunto questa mattina.
 
Un rumore di zip invade la cabina armadio –desolatamente anch’essa bianca- adiacente al disimpegno, dove sono riposte tutte le nostre valigie, catturando l’attenzione di Bill. Appare sulla porta con fare convinto, aspettandosi evidentemente di trovare il fratello. Alla mia vista indietreggia di un passo.
 
-         Oh, scusa. – Il suo sguardo è un misto tra imbarazzo e malizia.
-         Non fa niente. – Gli sorrido, sistemando l’orlo della sottoveste. – Tom è di là. -
Si congeda sbrigativamente lasciandomi nuovamente alle mie perplessità.
Cosa diavolo mi metto? Trafugo da ogni bagaglio mille e mille capi, abbinandoli cromaticamente e dando vita così a dozzine di possibilità diverse, senza esser però convinta di alcuna. Sbuffo, maledicendo per una volta il freddo e l’inverno.
-         Tutto bene? – Tom, che sostava casualmente fino a poco fa nel disimpegno (sospetto che mi stia tenendo d’occhio, per assicurarsi che non scappi) entra.
-         No. – Rispondo, secca. Tutta questa situazione sta diventando opprimente.
-         Posso aiutarti? – La sua apparente non curanza mi rende ancora più nervosa.
-         No. – Replico nuovamente, stavolta abbassando lo sguardo.
Mi sento prigioniera ed ho bisogno di svagarmi, voglio ritrovare la serenità che fino a qualche giorno fa la sua presenza riusciva a trasmettermi.
-         Okay, ti lascio alle tue cose, così magari ti calmi. –
-         No. Non mi calmo. Chiamami Bill per favore. –
Quasi offeso da quest’ultima richiesta esce dalla stanza esaudendola. So che macinerà molto su queste tensioni ma siamo entrambi così orgogliosi che pur di ammettere qualcosa fingeremo e mentiremo oltre ogni limite. Semplicemente me ne frego.
 
Poco dopo il gemello rientra, sorpreso ed ancora imbarazzato.
-         Posso aiutarti? –
-         Sì Bill. Voglio che mi prometti una cosa. – I suoi occhi mi scrutano e a stenti riesco a mantenere la fermezza che mi serve per far risultare la richiesta seria.
-         Tutto quello che vuoi. – L’eccessiva enfasi che serra la risposta m’imbarazza.
Rimpiango questi mordi e fuggi che non mi hanno permesso il minimo acquisto.
-         Ehm. Portami a fare shopping, ho bisogno di vestiti nuovi. – Roteo gli occhi sull’ammasso di capi che spunta da ogni valigia, gesticolando nervosamente.
Credo che abbandonare per qualche ora i problemi non possa che essermi d’aiuto, specialmente poi se devo rinunciare di pensarvi in una grande boutique.
-         Va bene. – Scoppia a ridere, una risata dolce e leggera, una di quelle che dissolvendosi nell’aria lascia il buon umore. Gli sarò sempre eternamente grata per questo. – Ah, però avvisi tu mio fratello. –
 

-

 
Arriviamo al numero 5 di Alte Wallgasse, una stradina abbastanza frequentata; ad accoglierci vi sono tantissimi cartelloni con cupcakes bianchi su sfondo rosa, che fan tanto “fabbrica di dolci per principesse” di una fiaba per bambine. Sono letteralmente incantata.
L’insegna “Törtchen Törtchen” ci da il benvenuto.
 
-         Entriamo. – Mi esorta, tenendomi per mano.
Questo è uno dei tanti momenti in cui ringrazio di indossare gli occhiali da sole: non oso immaginare la mia espressione al momento, pensando di varcar la soglia della pasticceria più rosa del mondo mano nella mano con la persona che meno è adatta a questo luogo.
 
L’entrata è uno spettacolo: pasticcini, torte, dolci e cupcakes di ogni forma, tipo e colore si adagiano su innumerevoli vassoi collocati in ogni angolo. Il profumo di zucchero basta già da solo a farmi diventar diabetica.
 
-         Qui fanno il miglior cappuccino “originale” (come diresti tu) di tutta la Germania. –
Lo guardo ammaliata, contenta di aver ritrovato lo stesso ragazzo di cui sono innamorata. La serenità che aleggia sui nostri volti mi riporta alla prima serata trascorsa con la band.
 
Ci accomodiamo ad un tavolino angolare dallo stile un po’ barocco veneziano. Una biondina ci raggiunge con un sorriso a tremila denti stampato in volto ed il suo grembiule -di una tonalità leggermente più scura rispetto al rosa che va per la maggiore- ci svolazza attorno. Prende le ordinazioni e torna subito dopo con il servizio.
 
-         Hai ragione, è squisito. – Confermo, dopo aver sorseggiato la bevanda.
 
Tom intanto ha divorato il suo tortino al cioccolato, con zucchero a velo e glassa ai frutti di bosco. La situazione è così comica e leggera da farmi dimenticare tutto il resto, incluse le tensioni tra di noi.
 
-         Volevo proporti una cosa. A patto che non ti offenda. –
-         Solo il fatto che inizi così non mi entusiasma. – Confessa, guardandomi di sottecchi.
-         Nulla di particolarmente rilevante, dico davvero. Apprezzo che tu mi abbia portata qui e amo passare il mio tempo insieme a te. Sono quel tipo di ragazza che si conquista con la semplicità delle cose, per quanto nel nostro mondo sia una priorità offuscata. – Ammetto, preparandomi al finale. – Insomma, non ti scoccia se vado a far shopping con Bill oggi pomeriggio, vero? –
Mi sento quasi ridicola nel dover chiedere al mio “ragazzo” o meno che sia il permesso, specialmente per una cosa così banale. Solitamente avrei fatto di testa mia ma, poiché negli ultimi giorni sono tenuta al guinzaglio, preferisco non essere pressante.
Non voglio rischiare di essere fraintesa: in realtà apprezzo questa protezione, per quanto la ritenga eccessiva. Ho imparato sin da bambina a badare a me stessa e ne sono fiera, perciò so che potrei cavarmela da sola qualsiasi cosa accada.
-         Fate attenzione. – Non so bene che reazione mi aspettassi, fortunatamente lui non ha mai ecceduto in reazioni catastrofiche di gelosia come altri, ma la sua poca convinzione mi lascia l’amaro in bocca.
L’amaro del senso di colpa nel preferire un’altra persona a lui.
 

-

 
Dopo esser fuggiti a gambe levate dal centro commerciale più vicino all’hotel, ho deciso di seguire il consiglio di Bill e affidarmi alle sue conoscenze del settore. Non che mi abbia deluso (difatti sino ad ora ho perso il conto di quante volte ho consegnato la mia carta di credito alle casse) ma questo negozietto in Engelbertstraße non m’ispira affatto: ha un’insegna particolare che non riesco ad evitare di fissare. Dando le spalle alle vetrine non sono intenzionata ad entrare.
 
-         Dai vieni che ti faccio conoscere un’amica. – Tra le innumerevoli borse e l’euforia con la quale mi ha afferrato per il cappotto è stato arduo mantenere l’equilibrio.  Mi volto da un lato all’altro, scrutando la strada deserta.
-         Che? –
 
Senza che me ne renda conto siamo all’interno del negozio. Studio la disposizione dei vestiti e dell’arredamento, trovandolo molto più piacevole dell’insegna e del nome stesso: Madamski. Ci accoglie il sorriso di una donna carina e frizzante.
 
-         Melanie! – Dall’entusiasmo della sua voce deduco che siano amici di gran data. Mi sento nuovamente fuori luogo, è sempre un po’ strano quando ti ritrovi ad essere “l’amica di troppo” così all’improvviso.
-         Oh Bill, sei proprio tu? Ho perso il conto dei secoli che sono trascorsi. – Si salutano e dopodiché lei mi porge la mano, con una stretta equilibrata ma salda. Capisci molto di una persona dalla sua stretta di mano, se non tutto.
 
Contrariamente alle mie aspettative la proprietaria mi mette incredibilmente a mio agio, consigliandomi di provare alcuni capi e continuando a dialogare con il nostro amico in comune. Ne usciamo dopo un’oretta entrambi soddisfatti.
 
Devo assolutamente rifornire le mie scorte industriali, quindi affrontando a gran passi il freddo glaciale, giungiamo al M.A.C. Store di Ehrenstraße, a circa un chilometro dalla precedente fermata. Sono già stata qui e a confermare la mia supposizione ci pensa la vista dell’hotel Meininger, che suscita in me molti ricordi.
Emetto un sospiro soppesato che non passa ugualmente inudito.
 
-         Se sei stanca possiamo rientrare, abbiamo comprato abbastanza. –
Ignoro e mi piazzo avanti, pizzicandogli il naso con fare affettuoso prima di dargli le spalle e aumentare il passo. Ormai sono a pochi metri dal negozio.
Attraversando la strada un dettaglio sulle strisce (che non so ben identificare) mi riporta a una citazione che lessi una sera su un blog, una sera fredda in tutti i sensi.
 
Inghiotto il presente che sa di veleno e fuoco.
Il passato è impigliato da qualche parte.
A me un tempo bastava solo l’olfatto.

Arriviamo dall’altro capo della strada e lottando un po’ con i sacchetti riusciamo finalmente ad entrare, dove ad accoglierci c’è il tipico odore che si respira in profumeria e il colore sgargiante dei cosmetici esposti. Una musica leggera in sottofondo, respiro profondamente ed ecco apparire il seguito della citazione. 

Quando si rompe qualcosa produce rumore,
l’anima quando si lacera lo fa in totale silenzio.
Ti ritrovi ad urlare dentro, ma nessuno ti ode.

 
Ingoio la mentina che stavo masticando e con lei affondo questi pensieri, questi fantasmi rimasti a lungo nell’anticamera del mio cervello ad attendere il momento più giusto, forse per loro, per mostrarsi e colpire quella parte della mia anima vulnerabile che tento sempre di nascondere. Quella parte di me che si è dilaniata e che, se emergesse, basterebbe a incenerirmi definitivamente.

-         Possiamo tornare un’altra volta, se vuoi. –
-         No Bill, sto bene. –
Sbuffo e cerco di recludere nuovamente le ultime emozioni, scacciandole via e concentrandomi sui cosmetici di cui ho bisogno. Ne approfitto per dare un occhio alle novità e ai prodotti di tendenza, sfruttando l’assenza di altre persone oltre al personale. Arrivati alle casse veniamo riconosciuti, dando il via al classico giro di autografi e foto-ricordo.

Rientrando in hotel mi accorgo di come le ore siano realmente passate.
   
 
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