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Autore: _Astrea7469_    24/07/2013    6 recensioni
Delilah è un'adolescente americana fin troppo comune, assolutamente nella media. Certo, è cinica, intelligente, sagace, con qualche pungente battutina sempre sulle labbra, ma niente di che. Una come tante, insomma. Ma ritrovarsi a doversi districare in una fitta rete di messaggi segreti e privi di mittente che sembrano voler fare da cupido, ma che riescono solo a gettare zizzania non è cosa da tutti.
Tra intrighi d'amore, liti da adolescenti, familiari dalla dubbia utilità, considerazioni acide e figure da dimenticare, riuscirà Delilah a scoprire chi diamine si sta facendo in 4 per trovarsi un compagno di vita?
Genere: Commedia, Generale, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Se credete che esista qualcosa di peggiore di passare una domenica pomeriggio di fine Agosto su un libro di trigonometria, avete dei serissimi problemi mentali.

Ma, dopotutto, io non dovrei proprio parlare, giacché sono io quella a scervellarsi a suon di matematica, non voi.

E' verità universalmente riconosciuta che, quando un qualunque essere umano dotato di comprendonio tale da permettergli di esprimere in maniera coerente i propri pensieri, pensi ad un'adolescente in vacanza estiva, si figuri una di quelle scene molto da spot pubblicitario delle macchine fotografiche Nikon: un gruppo di affiatati ragazzi vestiti in maniera amabilmente casual che ride fino a farsi sanguinare le gengive mentre vanno in giro per le più belle capitali d'Europa, fanno bagni nelle fontane, si baciano e ballano in mezzo ad una piazza al ritmo della canzone pop del momento.

Qualcuno dovrebbe citare in giudizio gli ideatori di queste pubblicità per calunnia.

Io sono una comunissima adolescente americana media e non ho mai visto l'Europa più da vicino che con Google Map, la mia logora maglietta color pesca con tanto di macchia di gelato non è decisamente frutto di uno studiato lavoro costumistico e l'ultima volta che sono entrata saltellando e strepitando sulle note di Icona Pop dentro una fontana è stato, uhm, fatemici pensare...ah, sì, mai.

Ta-dan, addio preconcetti da teenagers surrogati tenuti in vita tramite l'immaginazione di Stephenie Meyer.

Per quanto, tuttavia, io sia una normale ragazza sotto un trilione di punti di vista, è dai tempi di Newton che un ragazzo non passava la sua estate a studiare di propria volontà.

La spiegazione al fatto per cui in un caldo pomeriggio estivo io stia rintanata in camera mia e stia trafficando con la calcolatrice, è semplice e concisa: punizione.

No, non una punizione da parte dei miei, non ho più tre anni e quel terrore referenziale che consentiva il mantenimento di questa triviale usanza arcaica tra genitori e figli, ma è per punizione divina.

Si dà il caso, cari miei, che la noia sia la costante imperante della mia vita. Non fraintendetemi, so anch'io divertirmi e, anche se tutti coloro che mi conoscono mi vedono come una cinica senza cuore, il mio atteggiamento critico è dettato solo dal mio spirito pseudo edonistico, non da qualche strana ambizione in stile Paris Hilton. Il vero punto, è che riuscire a trovare qualcosa di positivo ed appagante, che ti doni il sorriso giorno dopo giorno, incondizionatamente, in questo sputo di mondo, è facile tanto quanto combattere contro un alligatore con le mani legate dietro la schiena e le gambe ingessate.

Qui, nella meravigliosa Gloomfield nello stato dell'Indiana, parlare di divertimento da farti lacrimare gli occhi per la gioia coincide con il descrivere 10 ore di seduta non stop nei pressi del lago Greenwood, aspettando che almeno un topo-ragno abbocchi a uno dei viscidi vermi usati come esca.

L'altro giorno, mi sono ritrovata a parlare via Skype, alle tre del mattino, con una tizia inglese che non ricordo più come diamine ho fatto a conoscere. Be', in pratica lei, snobbissima ragazza dall'inguardabile dentatura di non ricordo quale pittoresca zona di Londra, mi ha rivelato di anelare gli States come se si trattasse della terra promessa per gli ebrei fuggiti dall'Egitto e che mi invidia per avere la fortuna di vivere in un così interessante stato.

Le ho riso in faccia.

Probabilmente il mio comportamento da villica yankee deve aver profondamente offeso Amelie (la londinese) che non ha esitato a scollegarsi, ma parlare di invidia per una che vive in Nulla-landia è esilarante quanto vedere una puntata di Scrubs!

Non lo nego, gli Stati Uniti d'America sono un posto molto allettante: un'aria da eterna potenza anche quando siamo con le pezze sui glutei, grandi City in cui vivere come pashà e morire come barboni, Liza Minelli che canta per le vie di Brodway, tutto molto invitante, non c'è che dire. Piccola postilla, però, che nessuno ricorda mai: gli USA non sono tutti L.A., New York, Seattle, Chicago o New England. Esistono anche delle piccole, anonime macchiette paesane che sembrano fossilizzate negli anni '50 come la mia città natale Gloomfield.

Qui non c'è veramente niente. Niente. Solo negozi anonimi in centro, villette a schiera tutte uguali in periferia, stalle e granai nella campagna, una scuola elementare che sembra progettata da Freddy Krueger in persona e un Municipio sormontato da una statua equestre di un qualche villico ex criminale inglese che deve aver ben deciso di edificare qui la sua cittadella dei sogni.

La natura, qui intorno, ha preservato un aspetto decisamente bucolico (se si esclude una discarica vicina che sembra un museo di scheletri d'auto, frigoriferi di 60 anni fa e vecchie TV probabilmente appartenute a Roosvelt in persona, data l'età), con le sue verdi colline, le libellule vicino agli stagni più in periferia, le lucciole di notte, zanzare grandi quanto cuccioli di gatto, ma i tempi in cui una ragazza poteva ragionare come Rossella O'Hara sono finiti da un bel pezzo e vedere arrivare qui nei paraggi un pizzico di civiltà del XXI secolo non sarebbe affatto male.

In città c'è solo un Internet-Cafè, con computer che risalgono al dopoguerra...della prima guerra mondiale, il teatro è stato adibito secoli fa a comunità per gli alcolisti anonimi e, quindi, se qualcuno dovesse ricevere una mazzata in fronte tanto forte da fargli desiderare di sapere che cosa sia successo ad Amleto dell'omonima opera di Shakespeare, dovrà recarsi nel teatro della scuola elementare e portarsi dietro la sedia da casa, visto che le poltrone sono scomparse nel lontano 1982. La biblioteca pubblica sembra più che altro un ritrovo per quarantenni sessualmente inquieti che cercano riferimenti sessuali nei libri di Jane Austen, ma che se la fanno sotto non appena si avvicinano per più di 45 metri ad una minorenne o ad una ragazza in generale. Il nostro museo è principalmente basato su quel perdigiorno del colonnello Gloomfield che ebbe lo spirito di fondare questo "magnifico" luogo e per tutto il resto della storia americana c'è un angolino molto in stile "Oggetti smarriti" che contiene cianfrusaglie degne del peggior negozio di souvenirs. Questo tanto per render l'idea del meraviglioso luogo in cui i miei hanno avuto l'ardire di mettermi al mondo.

Ogni giorno mi stupisco del fatto che nell'ospedale della città, non si utilizzino ancora i salassi.

A completare, poi, questo eterno stato di punizione cosmica che mi ritrovo a vivere, si va and aggiungere anche il fatto che tutti i miei amici sono fidanzati. E questo è un evento decisamente tremendo, la coltellata al cuore che segna inesorabilmente la mia prematura morte, il simbolo di come ogni male venga per nuocere, la concretizzazione della famosissima frase di Frankenstein Junior "Potrebbe andare peggio. Potrebbe piovere".

No, non è per invidia o quant'altro che dico tutto ciò, ma solo per oggettività: se i miei amici sono fidanzati, mi sembra ovvio che i loro partner vogliano passare molto tempo con loro e, nel caso in cui io riuscissi a vincere il mio orgoglio e supplicare in ginocchio uno dei miei amici di portarmi con loro durante una delle loro scampagnate da coppietta felice, finiremmo in una parodica rivisitazione di Dorothy e le Scarpette rosse, ossia come tre beoti che si tengono sottobraccio e vanno in giro saltellando. Decisamente non fa per me.

E allora preferisco starmene a casa...e sì, studiare matematica.

Un giorno, quando gli alieni conquisteranno il mondo e la salvezza del genere umano dipenderà dal risultato dalla formula di una conica traslata rispetto al piano, capirò di aver speso bene il mio tempo. Fino ad allora, mi maledirò apertamente.

-Delih, puoi andare da nonna, per cortesia?- Yeee, ecco un buon utilizzo del proprio tempo: indossare i panni di una Cappuccetto Rosso del 2000 e affogare i propri dispiaceri in una mega fetta di crostata mentre tua nonna ti descrive in ogni minimo dettaglio il matrimonio di una qualche sua amica morta agli inizi del secolo scorso. Che bello, sono tutta un fricciore.

-Ma', sto studiando!- urlo a mia madre, cercando di smuovere il suo istinto materno basato sul principio de "Lo studio al primo posto".

-E' estate, smettila di fare l'asociale e va' da nonna. Quella povera vecchia si sente così sola...- mi risponde mia madre, infierendo sulla mia presunta asocialità.

Pesco le scarpe da tennis da sotto il mio letto imprecando a bassa voce, senza far notare a mia madre che

1. non sarei decisamente meno asociale se iniziassi a passare tutti i pomeriggi con un'ultra ottantenne;

2. il fatto che mia nonna si senta sola dovrebbe riguardare innanzitutto lei, trattandosi di sua madre.

Scendo le scale con una postura che farebbe invidia ad un bradipo ed esco in giardino, ignorando del tutto mia madre. Già, sono veramente bravissima ad ignorare le persone, come se non esistessero, ma da queste parti l'egocentrismo si butta giù come acqua e nessuno capisce quando io lo sto ignorando.

Prendo la bicicletta e, con il sudore che mi bagna la faccia e mi appiccica addosso i vestiti, imbocco la strada verso la campagna.

Qui da me, il pomeriggio estivo è umido come all'Equatore e un semplice tragitto casa-cassetta della posta è in grado di far perdere tutti i liquidi presenti nel nostro corpo tramite sudorazione.

Una cosa veramente disgustosa e fastidiosa, ragion per cui pedalo con la velocità di un criceto in una ruota giocattolo per creare un po' di venticello che neutralizzi nella mia psiche la potenza dell'afa.

Probabilmente, in qualsiasi altra parte d'America, vedere una sedicenne con tanto di patente pedalare come una pazza su di una bici stinta, sarebbe un'immagine più unica che rara, ma i miei genitori si fidano delle mie capacità di guida tanto quanto si fiderebbero di lasciare casa libera ad una setta satanica (nonostante io abbia superato tutti gli esami a pieni voti), e così, il giorno in cui mi concederanno di possedere un auto, verranno inventate le scope volanti e tutte le macchine saranno date in pasto alle fiamme.

Dopo una faticaccia della Madonna, eccomi arrivata in quella che sembra la casetta della strega di Hansel e Gretel, alias la dimora di mia nonna Cherry.

Il nome di mia nonna è Cheryl, ma la sua vita sembra essere scandita a suon di marmellate, dolci e macedonie di ciliegie, alché il soprannome era inevitabile.

Butto la bici ai piedi di uno dei ciliegi che fanno ombra a casa di mia nonna ed entro, senza fare troppi complimenti.

-Ehy, nonna, mamma mi ha mandata qui- biascico, chiudendo la zanzariera alle mie spalle.

Mia nonna sbuca nell'ingresso, con il suo eterno chignon argenteo e l'abito blu a fiori bianchi con i bottoni sul davanti, sorridendomi.

Senza dire una parola, ma sorridendo come una vecchia pettegola, mi prende per un braccio e mi trascina strascicando i piedi fino in cucina, per poi mettermi di fronte pane, burro di noccioline e marmellata di ciliegie, come quando ero bambina e passavo a casa sua dopo la scuola.

In realtà, mia nonna mi piace. E' una donna intelligente che ha lavorato per più di 40 anni della sua vita come maestra elementare e che tutt'ora ricorda perfettamente Chaucer e dà ripetizioni a casa ad i ragazzi del liceo. Con me è sempre stata buona e la sua cucina è degna di una corte, ma, nonostante quando ero bambina la venerassi come una strega buona, quei 10 anni che sono sopraggiunti nel frattempo hanno reso molto meno allettante la prospettiva di girovagare per tutto il pomeriggio per quelle stanze di legno foderate con carta da parati a fiorellini.

-Allora, Delilah- mi chiede nonna sedendosi di fianco a me -Che fai di bello in questi giorni?-

Sì, mia nonna è probabilmente l'ultima persona al mondo che ancora mi chiama col mio nome intero. Il nome di un gatto, per di più.

Suppongo che quando mia mamma abbia scelto il mio nome, si fosse appena scolata un bel cicchetto di brandy. Non che il nome non mi piaccia, è carino, ma è il nome del gatto di Freddy Mercury, e per quanto sia fan dei Queen, un gatto non è una ragazza.

-Niente, non faccio proprio un bel niente. Mi alzo, mangio, guardo la TV, mangio ancora, TV, TV e ancora TV e poi a dormire. Credo che ci siano delle partite di battaglia navale più emozionanti della mia vita- rispondo, sporcandomi tutta di marmellata.

-Ti fa male vedere tutta quella TV, gliel'ho detto mille volte a tua madre: la TV appiattisce il cervello- si lamenta mia nonna.

-Oh, be', allora significa che entro le prossime 5 ore mi sarò trasformata in una perfetta americana media- ironizzo.

Purtroppo, mia nonna non conosce ironia quando si parla di TV. La sua è mummificata sotto uno spesso strato di cellophane ed è una convinta sostenitrice della lettura al posto di un rimbabimento di fronte figure in una scatola. Ha ragione, certo, chi può negarlo, ma spegnere la mente per un po' con programmi dalla dubbia qualità è una tentazione talmente potente da non poter essere ignorata con molta facilità.

Passo così il resto del mio pomeriggio: a rattoppare calzini destinati alle Dame di Carità, parlando di dove siamo arrivati con la mia classe in letteratura e commentando lo stato di salute dei fiori piantati sulla tomba del mio defunto nonno Vincent.

Alle 7 di sera torno a casa in sella alla mia fedele ed arruginita bici.

La sera è piacevole stare fuori, se non fosse per le lumache che assediano i giardini, ma il buio non mi piace e, per quanto la gente di qui sia sveglia come un grizzly in letargo, vagare da sola, quando è buio, per la periferia, mi dà disagio psicologico. Forse ho davvero visto troppe puntate di Cold Case e Criminal Minds.

Eppure, sento degli occhi puntati sulla mia schiena. E non chiedetemi che genere di sensazione sia, perchè non faccio in tempo a percepire tale stato che subito pedalo come un robot, arrivo a casa, butto la bici contro il garage facendo un chiasso tale da far tremare il silenzio che pregna l'aria e mi fiondo dentro casa, chiudendomi la porta alle spalle, col fiato mozzo.

-Delih, guarda chi c'è?- mi urla mia mamma.

Se non stessi rischiando una congestione polmonare, avrei paura di vedere seduta alla tavola della cena la mia professoressa di chimica (come è già precedentemente successo, causandomi un vero e proprio attacco cardiaco degno del peggior consumatore di pancetta dello stato dell'Indiana).

Ma la sorpresa che mi si para davanti, una volta giunta nel soggiorno è un'altra...ed ha solo 24 anni: mia sorella Lana, la perfezione fatta essere umano.

Per farla breve, mia sorella Lana è una 24enne che è riuscita a vincere una borsa di studio per la Boston University, ha degli invidiatissimi occhi grigi sormontati da ciglia nere come i suoi folti capelli scalati di media lunghezza, viene corteggiata da tutto e tutti a memoria d'uomo e tutti quanti la amano. A volte mi stupisco del fatto che nessuno dei suoi ammiratori abbia un altarino, nella sua stanza, con una foto di mia sorella al posto di quella di qualche santone Malesiano.

La perfezione cosmica in gonnela, quindi, ha deciso di farci un'improvvisata, così, giusto per ricordare al mondo lo stacco che passa tra lei ed il resto dei comuni mortali, fermandosi nella ormai da diverso tempo solo ed unicamente mia stanza. Gran fregatura.

L'ultima volta che ho controllato Madre Teresa di Calcutta non dormiva in un comodo letto con tutti i confort. Ma decisamente devo aver controllato male.

La mattina dopo, eccomi sveglia dalle 6 del mattino per quella stra-fottutissima sveglia di Lana che sembra un allarme uragano.

-Lana, puoi andare a vedere se è arrivata la posta?- cinguetta mia mamma, sfornando pancakes per l'occasionale ritorno della figliol prodiga.

-Certo, mamma- risponde Lana, lavandosi i denti -Delih, puoi andare a prendere la posta?-

No comment. Davvero un gran bel metodo per svolgere le proprie mansioni, sorella.

-Certo, Lana. Perchè non dovrei voler uscire in mezzo alla strada in pigiama e senza aver fatto colazione. Scusa, ma c'è anche da chiedere...- rispondo acida, ignorata bellamente dall'ex reginetta di bellezza del liceo che popola il bagno.

Esco a prendere la posta, assaporando il leggero freddo di prima mattina.

Bollette, bollette, pubblicità, bollette, pubblicità, buono sconto per cinque litri di pesticida per bruchi, bollette...e questa?

Una lettera a me? A me, che non ricevevo lettere neppure quando avevo un'amica di penna in Svezia? Apro la busta, basita, leggendo il criptico conenuto:

A.A.A. Cercasi partner, disperatamente

 

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