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Autore: workinprogress    24/07/2013    5 recensioni
Cosa è passato nella mente di Peeta durante il suo periodo di prigionia? Quali sono stati i suoi pensieri prima che il veleno degli aghi inseguitori lo trasformasse in qualcosa che non poteva più controllare?
«Peeta aveva ucciso.
Ai suoi torturatori piaceva ricordarglielo, mentre si divertivano a cercare il modo migliore per fargli provare un dolore insopportabile senza farlo svenire.
Peeta non era migliore di loro. Peeta era un assassino.»
[Angst] [La prossima volta vi scrivo una fluff, promesso]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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All'albero degli impiccati





Peeta aveva ucciso.

Ai suoi torturatori piaceva ricordarglielo, mentre si divertivano a cercare il modo migliore per fargli provare un dolore insopportabile senza farlo svenire.
Peeta non era migliore di loro. Peeta era un assassino.
Nella sua mente non c'era spazio per null'altro che il dolore, durante le torture, ma una volta nella cella quello che gli dicevano aveva tutto il tempo di riversarsi nei suoi pensieri.
Le pareti della stanza sembravano sempre restringersi, quando arrivavano i ricordi a perseguitarlo. Lui si rannicchiava in un angolo, ghermendo le sbarre, ma non c'era modo di sfuggire al passato.

La ragazza dell'Otto. Quando Peeta l'aveva trovata era stesa per terra, boccheggiante come un pesce tirato fuori dall'acqua. Aveva uno squarcio nel petto che andava da parte a parte. Lui si era chinato di fianco al suo volto e le aveva avvicinato le labbra all'orecchio.
«Va tutto bene», aveva mormorato mentre i rantoli della ragazza si accavallavano. Poi le aveva spezzato il collo con decisione.
Quella mossa l'aveva imparata al Centro di Addestramento, quando si era fermato a curiosare alla postazione del corpo a corpo. Ma una volta accovacciato di fianco al corpo di quella ragazza, si era ritrovato a desiderare di non averlo mai fatto.
Le aveva chiuso gli occhi, spalancati per l'orrore, ed era tornato dai Favoriti. Non era riuscito a pensare a qualcosa di peggio che uccidere a sangue freddo.
Saileen  – aveva scoperto che si chiamava così – lo veniva a trovare spesso, nei suoi incubi. Insieme al suo compagno di Distretto. Quello con cui aveva combattuto suo malgrado durante la fuga dalla Cornucopia. Ci era praticamente andato a sbattere contro, e la situazione era precipitata in fretta. L'altro aveva un coltello, ma non lo sapeva usare abbastanza bene. Prima che potesse lanciarlo o pugnalare Peeta a morte, era stato disarmato ed ucciso con la sua stessa lama. In quei frenetici attimi, Peeta Mellark aveva guadagnato qualche contusione, una ferita al braccio, un coltello. E un peso indelebile sulla coscienza.

I suoi torturatori con il tempo si rivelavano sempre più esperti di sottili tecniche di manipolazione, e riuscivano ad indurlo a ripensare a tutti i momenti più terribili. Persino il pensiero di Brutus, la sua vittima meno innocente, lo faceva sprofondare in un baratro di orrore.

La sua cella sembrava il posto perfetto per lasciarsi assalire dai ricordi. Peeta aveva già combattuto contro i fantasmi e l'angoscia nelle pareti familiari di casa sua, ma lì era mille volte peggio.
Alcune volte le sue vittime gli apparivano con tanta chiarezza da sembrare vive. Come succedeva per i capelli rossi di Faccia di Volpe, che ondeggiavano come una fiamma davanti ai suoi occhi. A volte gli offriva delle bacche e, quando lui rifiutava, lo legava e gliele ficcava a forza nella gola. Oppure lo inseguiva e, mentre correvano, il terreno sotto i piedi di Peeta cominciava a cedere, sgretolandosi, fino a che lui non si accorgeva che stava affondando in uno sconfinato mare di morsi della notte.
Poteva dire di aver ucciso solo tre persone? O doveva aggiungere anche lei al macabro conteggio? Non l'aveva aggredita né voleva ucciderla, ma contava forse qualcosa? Lei non c'era più.
Glielo dicevano spesso, che lui non era migliore di loro. Che non era migliore per niente. E, con il tempo, Peeta cominciò davvero a crederci.


Verrai, verrai,
all'albero verrai,
cui hanno appeso un uomo che tre ne uccise, o pare?
Strani eventi qui si son verificati
e nessuno mai verrebbe a curiosare
se a mezzanotte ci incontrassimo
all'albero degli impiccati.


Peeta non aveva mai collaborato.
Neanche quando la sua testa veniva spinta a fondo sott'acqua, o le percosse lo scuotevano fino a farlo svenire. Non aveva mai fornito informazioni che potessero essere utili al governo di Snow.
Non era stato difficile, in realtà. Non conosceva la risposta a nessuna delle domande che gli venivano poste. Ma, mentre serrava i denti sotto il dolore delle torture, gli piaceva pensare che non lo avrebbe fatto comunque. Che mai li avrebbe traditi.
Con il passare del tempo divenne chiaro anche ai suoi carnefici. Peeta Mellark era veramente all'oscuro di tutto, e chiaramente sprezzante del pericolo che correva. Non solo non collaborava, ma era complicato anche solo estorcergli delle urla. Lo vedevano con il viso rigato di lacrime, i muscoli di tutto il corpo tesi fino allo spasimo, mentre si contorceva. Si mordeva il labbro a sangue, affondando i denti senza pietà, ma raramente un urlo usciva da quella bocca serrata. Raramente una parola oltrepassava la barriera dei suoi denti digrignati.

Quando lo riportavano nella sua cella, crollava come un peso morto sul pavimento. Rinveniva Dio solo sa quanto tempo dopo, ed ogni volta il respiro gli si mozzava in gola non appena provava a muoversi. Si trascinava fino all'asse in fondo alla cella e lì crollava, sul duro legno. I Pacificatori che passavano davanti alle sbarre potevano sentire una sola parola uscire dalle sue labbra, una litania roca nel sonno e nella veglia. Katniss.


Verrai, verrai,
all'albero verrai,
là dove il morto implorò l'amor suo di scappare?
Strani eventi qui si son verificati
e nessuno mai verrebbe a curiosare
se a mezzanotte ci incontrassimo
all'albero degli impiccati.


Peeta a volte si guardava intorno, ascoltava le urla di qualcun altro, ed era felice. Felice perché quelle di Katniss non si sentivano mai.
Ovunque lei fosse, era al sicuro. Se si fosse trovata nelle mani di Snow come lui, non avrebbero certo perso tempo a torturarlo per estorcergli informazioni sulla sua posizione o sul piano dei Ribelli. Avrebbero organizzato la duplice esecuzione più spettacolare di tutta la storia di Panem, e lui l'avrebbe rivista un'ultima volta, prima di morire.
O forse no. Forse sarebbe stato l'ultimo monito per i Ribelli, e per tutti i cittadini. La tragica fine degli Amanti Sventurati. Separati fino all'ultimo istante di vita.
Ma tutto questo non importava, perchè Peeta non doveva desiderare di vederla.
Avrebbe davvero voluto che la visione di Katniss fosse l'ultima immagine catturata dai suoi occhi, sul serio. Solo che sapeva che la scena del loro ultimo incontro sarebbe stata veramente la pubblica esecuzione.
Era importante che lei non arrivasse mai a Capitol City.
Lui era condannato, ormai, ma Katniss poteva sfuggire.
E se fosse stato il pegno per far vivere lei, non gli sarebbe dispiaciuto morire in quell'istante, contro il freddo muro della sua cella. La morte lo avrebbe colto mentre ancora sorrideva al pensiero di saperla in salvo.


Verrai, verrai,
all'albero verrai,
ove ti dissi “Corri, se ci vuoi liberare”?
Strani eventi qui si son verificati
e nessuno mai verrebbe a curiosare
se a mezzanotte ci incontrassimo
all'albero degli impiccati.


Peeta riusciva ancora a sognare. Ancora per poco, ma ci riusciva.
Tra gli incubi che lo divoravano nei rari momenti di agitato dormiveglia, ogni tanto arrivava un sogno. Uno di quelli belli, di quelli che gli regalavano attimi di vero riposo.
Spesso veniva a fargli visita Katniss, affiorando da quella nebbia grigio-argentea, così come lui l'aveva ritratta mesi prima. Di solito arrivava di soppiatto, intrufolandosi nella cella senza che lui riuscisse mai a capire come, e poi gli si avvicinava con il passo felpato della cacciatrice.
Si chinava su di lui, steso ansimante sulla tavola dura, e invece di finire la sua preda con una freccia nel cuore, cominciava a scostargli con delicatezza i capelli dalla fronte. Gli parlava con un tono dolce che probabilmente non le aveva mai sentito usare. Beh, non nei suoi confronti. Forse era quello che riservava a Primrose.
Gli diceva che era venuta per liberarlo, e che presto sarebbero stati fuori di lì. Poi parlava di mille altre cose, come se non avesse avuto nessuna fretta, e lui restava ad ascoltarla senza fiatare, rapito, stordito.
E alla fine, ogni volta che lui allungava una mano per accarezzarle il viso, lei spariva pian piano e portava via con sé anche gli unici attimi di sonno delle sue notti.
Anche da sveglio, Peeta ogni volta tentava di richiamarla indietro. Sussurrava il suo nome come la più sacra delle parole, appiattendosi contro la sua tavola.
Katniss. Katniss.
Ma di solito a farsi viva era solo l'ombra del capo dei Pacificatori, che dall'alto si chinava e lo trascinava fuori dalla cella.


Verrai, verrai,
all'albero verrai,
di corda una collana, insieme a dondolare?
Strani eventi qui si son verificati
e nessuno mai verrebbe a curiosare
se a mezzanotte ci incontrassimo
all'albero degli impiccati.


Peeta si sarebbe spezzato, prima o poi. Era solo questione di tempo.
I suoi carnefici lo sapevano. Lo avevano capito quando si era mostrato saldo e fedele nonostante tutte le torture che gli avevano inflitto. Anche se Peeta Mellark non temeva il dolore, era umano. Avrebbero trovato il suo punto debole, prima o poi.
Non ci misero troppo tempo. Quando si resero conto che l'unico modo per farlo crollare era mirare alla mente, lo fecero rinchiudere nella sua cella. Coprirono con una lastra la parete con le sbarre, in modo che non potesse più guardare fuori dalla sua stessa stanza. Venne lasciata solo un'apertura per passargli il cibo.
Poi, tutto quello che fecero fu lasciarlo lì dentro. Costantemente.
Per giorni e giorni fu privato di ogni tipo di contatto umano. Tutto quello che poteva arrivargli erano le urla degli altri prigionieri. Ma di parole, neanche l'ombra. Le guardie avevano ricevuto l'ordine di mantenere il silenzio ogni volta che si trovavano in prossimità della sua cella.
Con il passare dei giorni, senza accorgersene, Peeta avvicinò la tavola che usava come letto a quella che una volta era la porta. Affamato di un qualsiasi contatto, il suo corpo si agitava quando sentiva dei passi o un sussurro indistinto.
Poi, dopo innumerevoli albe e tramonti passati in silenzio, alle sue orecchie ovattate arrivò una voce. Talmente chiara e definita che per un momento Peeta pensò di starsela solamente immaginando. Ma non assomigliava a nessuna di quelle che avrebbe potuto sognare, quindi si aggrappò con forza alle sbarre e ascoltò, tremante.
«Hanno deciso anche l'orario, ormai».
Da sotto la lastra filtrava la luce, con delle zone d'ombra che dovevano appartenere agli uomini che discutevano.
«Ah, è definitivo, allora. Voglio proprio vedere come si salva l'uccellino questa volta, se le bombardiamo il nido».
Peeta si accostò di più alla lastra, con movimenti febbrili.
Bombardamento. Poteva solo voler dire altre persone morte. Il suo cervello cominciò a lavorare più in fretta. Quale Distretto poteva aver causato dei problemi simili?
Uccellino. Era più che ovvio che non si stessero riferendo ad un vero volatile. A Peeta si rizzarono i peli sul collo quando intuì quale uccellino potesse dare tanto fastidio a Capitol City.
E se avessero bombardato il Dodici? Il nido della Ghiandaia...
«Spero che crepino tutti, in quello schifo di buco. Il 13 è già risorto troppe volte, per i miei gusti».
Il Tredici esisteva ancora. Katniss era rifugiata nel Tredici. Il Tredici stava per essere bombardato e distrutto definitivamente.
Peeta scivolò lungo le sbarre.
Katniss sarebbe morta, e lui non poteva nemmeno avvertirla. Probabilmente avrebbe anche dovuto assistere alla distruzione del Tredici minuto per minuto. Magari di fianco a Snow, o qualcosa del genere.
Katniss sarebbe morta, e lui le sarebbe sopravvissuto. Giusto il tempo sufficiente perchè quasi morisse di dolore, poi Capitol City si sarebbe sbarazzata anche di lui.
Era finita.
Katniss sarebbe morta, e Peeta con lei. Anzi, senza di lei.
Le sue dita corsero alla vecchia, logora camicia che indossava. Come in trance, guardò le sue mani strappare una striscia abbastanza spessa di tessuto e formare quello che aveva tutta l'aria di essere un cappio.
Quando si riprese abbastanza dallo shock per essere cosciente dei movimenti che compiva, lo vide e lo lanciò lontano, inorridito. Indietreggiò fino a che non si ritrovò con le spalle al muro, in un angolo.
Cosa voleva fare, impiccarsi?
Per un attimo nella sua testa balenò l'immagine di Katniss che gli dondolava accanto, insieme a lui in una stessa fine. Se fossero stati insieme, forse avrebbe anche potuto pensarci...
Si nascose la testa fra le ginocchia e cominciò a respirare profondamente, nel tentativo di scacciare quell'orribile idea, frutto del terrore. Ma appena socchiudeva le palpebre, lo assalivano angoscianti immagini di corpi lacerati e trecce di capelli scuri che bruciavano.
Dall'altra parte di quella lastra, i Pacificatori sorridevano. Poco lontano, qualche piano sopra di loro, delle figure vestite di bianco riempivano una serie di fiale con il veleno distillato degli aghi inseguitori.
Peeta Mellark si stava spezzando. Ancora una spintarella e di quel nome non sarebbe rimasto che un ricordo.


_______________


Salve, lettori e lettrici!

Siete affogati nell'angst? Mi dispiace, tra tutte le storie che ho scritto ho deciso di pubblicare questa. Perchè sono cattiva dentro.
No, a parte tutto. Perchè mi piace un sacco. Se a voi non è piaciuta mi dispiace moltissimo, ma per me è stato bellissimo scriverla.
Avevo pensato di utilizzare il testo originale della canzone, The Hanging Tree, ma poi ho realizzato che nel bel mezzo di una storia in italiano la versione tradotta sarebbe risultata più appropriata. E, detto fra noi, per quanto ami la versione inglese la frase "Di corda una collana, insieme a dondolare" è molto più raccapricciante dell'originale. Eh, angst... mi piace.

Come avrete capito, la storia si colloca nel periodo di prigionia di Peeta.
Un piccolo appunto sulla parte finale. Privare le persone di qualsiasi contatto umano provoca squilibrio e altre reazioni poco belle. Per Peeta non è durato molto, solo quanto bastava per fargli cogliere con attenzione quelle parole in mezzo al silenzio. Insomma, è così che è venuto a scoprire del bombardamento, anche se Snow lo ha poi istruito a dovere sull'operazione, giusto per aggiungere sale sulle ferite. Ma Peeta, che è un intelligente eroe badass, ha spifferato tutto in diretta nazionale e ha salvato la situazione. Non è vero, Katniss? Vedi di essere un po' più riconoscente.

Ah, e nel caso ve lo foste chiesti, , sono in grado di scrivere storie fluff. Spero che aspetterete che il mio periodo dark passi, intanto io mi sforzerò di smetterla di deprimere il fandom.


Un bacione a tutti i lettori, e se ne avete tempo e voglia lasciate una recensione :)


wip

  
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