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Autore: Evilcassy    25/07/2013    5 recensioni
"I miei cognati non hanno lavori dozzinali. Stiamo parlando di un avvocato e del chirurgo plastico a cui devi l'assenza di
zampe di gallina attorno agli occhi!"
Bruce scoppia a ridere, Tony ringhia: "Quante volte te lo devo ripetere, Pepper: non davanti ai ragazzi. Ora Bruce manderà un messaggio a Barton e sarò lo zimbello dei Vendicatori!"

Sequela di OS sul TheSeventhUniverse, slegate tra di loro.
Genere: Avventura, Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Loki, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A Seven Heroes Army [The Seventh Saga]'
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The Seventh: 50 Shades of Grey(Raven)

 

 

The Seventh:  50 Shades of Grey(Raven)

 

PART: ORIGIN.

 

1 - Shades of GreyWidow.

 

Friendship is unnecessary, like philosophy, like art... it has no survival value; rather it is one of those things that give value to survival. [C.S. Lewis]

 

 

La prima volta che le ho rivolto veramente parola è stata la settimana successiva al mio arruolamento allo S.H.I.E.L.D.

Avevo appena finito la mia terza lezione di Aikido, e dopo essermi concessa una doccia gelata anestetizzante per i vari muscoli doloranti mi ero accorta di avere una gran fame e neppure uno spicciolo da cui rifornirmi alle macchinette.

Così, come un paio di pomeriggi prima avevo visto fare a Barton, mi sono diretta verso la sala mensa con l'intento di saccheggiarla. Avevo notato che fuori dagli orari di pasto è solitamente deserta e che la serratura della dispensa poteva essere tranquillamente forzata con mezzo giro di forcina per i capelli. Non che mi aspettassi granché: mi avevano già spiegato che la mensa segue rigidi dettami nutrizionistici, ed è il motivo principale per il fuggifuggi generale che si registra durante le ore pasti.

Ciò non mi sarei aspettata, era la compagnia con cui avrei condiviso il mio spuntino.

 

Natasha era seduta in un angolo del tavolo più lontano, braccio fasciato al collo, capelli raccolti sulla nuca da una matita e sguardo che annegava nel piatto di passato di verdure che muoveva appena con la punta del cucchiaio.

Quando entrai alzò appena un sopracciglio senza rispondere al mio saluto. Per chiunque con un briciolo di raziocinio, quello sarebbe stato un chiaro segnale: Non rompere le scatole, levati di torno. Ma ne ero priva, avevo troppa fame e, sinceramente, una curiosità matta verso quella donna che aveva cercato di strangolarmi nell'auto di Coulson otto giorni prima e che faceva così tanto la sostenuta snobbandomi indecorosamente.

E odio essere snobbata.

Ma chi cavolo ti credi di essere, gioia? Io ho il potere di evocare fiamme grigiazzurre dalle mani, sono una mezzodemone e mio cugino è il Re del Limbo. Se c'è una che ha il diritto di essere la primadonna, qua dentro, quella sono io.

 

Così, senza aggiungere nulla e con tutta la calma del mondo passai dietro al bancone di servizio canticchiando, mi diressi verso la dispensa, e quando tornai fuori avevo le braccia piene di carote, gallette di mais e marmellata senza zucchero e la forcina per capelli tra i denti.

Trotterellai verso il tavolo di Natasha e presi posto nell'angolo opposto al suo.

Neppure questo le fece alzare la testa dal piatto e smettere di disegnare cerchi nel minestrone, ma almeno si degnò di rivolgermi la parola: "Ci sono altri diciassette tavoli liberi."

"Non voglio sporcare altrove, il capocuoco è un tizio abbastanza irascibile e mi è stato sconsigliato di litigarci."

"Gli stessi che ti hanno istruita a scassinare la dispensa?"

"Perché, quel minestrone te lo sei portata da casa?"

"Il capocuoco me l'ha tenuto da parte" finalmente alzò gli occhi dal piatto per dedicarmi uno sguardo a metà tra l'annoiato ed il minaccioso: "Evidentemente, sono più temibile di lui." Aggiunse con un sopracciglio alzato. Alzai le spalle con aria noncurante e lei appoggiò il cucchiaio al bordo del piatto: "Hai una vaga idea di chi sono io?"

Oh, signorina, qui ce la tiriamo, eh?

"Una molto, molto cazzuta" risposi sarcastica.

"Bene, e..."

"Lo si capisce dal minestrone. Ci vuole fegato per mangiare quella brodaglia."

 

A distanza di sette anni, davvero non ho la più pallida idea da dove mi sia uscita quella risposta. Avventatezza giovanile, credo.

Delirio di onnipotenza, probabilmente, condito da strascichi di autolesionismo adolescenziale e/o manie suicide.

Non l'ho quasi vista saltare il tavolo.

So solo che il bavero della tuta mi si è improvvisamente stretto attorno al collo, i colori metallici della stanza si sono fusi in un unico vortice (pavimento -soffitto - soffitto - finestrioni- pavimento - tavoli bianchi) prima che la mia schiena impattasse contro la superficie del tavolo dalla parte opposta di quello in cui mi ero seduta prima, con il ginocchio di Natasha sullo sterno a bloccarmi con la stessa facilità di un fermacarte al centro di un foglio di carta velina.

Credo di aver boccheggiato inutilmente per tre buoni minuti, prima che i polmoni tornassero ad una funzionalità parziale che garantisse la mia soppravvivenza.

Senza togliermi gli occhi di dosso Natasha piegò leggermente la testa di lato, una singola sottilissima ciocca ondulata liberata dalla matita ad incorniciarle il sorrisetto sadico: "Dovresti mangiare più verdura" mi canzonò "Non vedi come rende forti?"

Lasciò scivolare il ginocchio via dal mio sterno permettendo ad un paio di organi interni di ritornare in sede e tornò con calma al tavolo, riprendendo la cena da dove l'aveva interrotta: un giro di cucchiaio a sinistra, due a destra, piccolo sorso di minestra, come se non fossi mai entrata dalla porta.

 

Mi rialzai dal tavolo con un leggero senso di nausea e la netta sensazione di avere un'emorragia interna in corso fatale da lì a pochi minuti.

Probabilmente è stata proprio questa convinzione a darmi la forza di alzare la testa, soffocare un paio di gemiti di dolore, ignorare la vertigine per tornare a sedere sulla sedia del tavolo e scartare una crostatina industriale con le mani magistralmente ferme.

Creperò, sì, ma con stile.

Natasha si concesse un sopracciglio alzato e un'occhiata che sembrava positivamente colpita.

Non parlai per il resto del pranzo.

 

Avventatezza giovanile? Predisposizione al suicidio?

Sicuramente qualcosa di molto simile mi ha portato nuovamente in sala mensa dopo l'ora di chiusura, circa un paio di settimane dopo.

Il punto è: adoro le sfide e non avevo la benché minima intenzione di mostrarmi intimorita nei confronti di chichessia. Nei miei 18anni scarsi, non riuscivo ancora a contemplare la differenza tra il Liceo e l'addestramento, volevo essere popolare come a scuola e la mia solita spacconeria mi impediva di lasciar perdere.

Sì, ero una deficiente.

 

"Ti hanno già tolto il gesso al braccio?"

Era notte inoltrata e avevo terminato l'ultima sessione al poligono. Lei era sempre davanti ad un piatto di minestra e mi sorse spontaneo il dubbio fosse lo stesso della volta precedente

"Evidentemente" disse con un sospiro scocciato.

Sì, in effetti questa è stata una CapitanOvvio tremenda.

Anche questa volta mi diressi alla dispensa, giro di forcina nella serratura e scelta di paio di merendine teoricamente scevre da additivi chimici e calorie in eccesso e una confezione di frutta secca.

Occhiata agli altri tavoli. E poi a quello di Natasha.

Lei alzò gli occhi nei miei: Non ne hai avuto abbastanza l'altra volta?

Sguardo di sfida: Oh no bella.

Appoggio lo spuntino al tavolo e le chiappe alla sedia: "Sai, tornando al discorso dell'altra volta..." Sopracciglio che scatta verso l'alto - non è un buon segno "... rubare dalla dispensa non è considerato un reato grave, qui dentro. Lo fanno un sacco di agenti, anche di alto livello. Tipo Barton, gliel'ho visto fare un paio di volte, ora che è sempre in giro per la base e..."

Oh - Oh, parolina magica. Natasha ha contratto quasi impercettibilmente la mascella rivolgendo le pupille gelide nella mia direzione senza spostare nessun'altro muscolo. "Deve essere periodo di magra lavorativa, qui allo S.H.I.E.L.D., per lasciare tempo alle reclute di spiare gli agenti attivi in cerca di spuntini."

"Oh no, direi proprio di no. Ma tra una lezione e l'altra mi piace cercare di fare amicizia" Cinguetto, mentre borbotta un 'purtroppo' di rimando:  "E Barton è veramente uno da seguire..." Ridacchiai maliziosa. Guizzo nella mascella: tavolata nella schiena tra tre... due...

uno degli uomini più in gamba di tutto lo S.H.I.E.L.D." Mi affretto ad aggiungere. "Per noi reclute è un modello da imitare, quasi una leggenda, tanto che la sua recente sospensione dal servizio attivo non ha intaccato minimamente la sua reputazione."

"È stato degradato?" Mi domanda. Scuoto la testa e spiego che è solo sospeso dal servizio e sotto inchiesta. Natasha brontola qualcosa in russo di cui chiedo traduzione: "Ho detto che è un idiota" quasi ringhia: "Trovo sia molto stupido proporlo come modello di comportamento, dopo la cazzata che ha fatto" poi aggiunge, sorridendo macabra nel chiaro intento di intimidirmi: "Sai, lavoravo per gente che infilava pallottole in testa per molto meno."

"Sì, ho sentito. Questa settimana ho cercato un paio di notizie su di te."

"Oh, ma che brava, sei già passata alla decriptazione dei file individuali..."

"Veramente ho chiesto alla guardia notturna in portineria. È un gran pettegolo, ha un turno lunghissimo e tanto bisogno di compagnia..."

Appoggia il cucchiaio e spinge il piatto mezzo pieno lontano. Finalmente mi rivolge uno sguardo pieno: ha gli occhi chiari, gelidi e bellissimi, mi fissano con l'intensità intimidatoria di chi è abituato a vedere la gente tremare in sua presenza e se ne fa vanto.

"E che ti ha detto, il tuo amico ficcanaso?"

"Che rischio la vita solo a rivolgerti la parola." Sorride soddisfatta: "Ed io gli ho risposto che ne ho avuto le prove qualche giorno fa. E poi mi ha spiegato che Barton ti ha salvato il culo, rischiando il suo, quando invece doveva solo farti fuori. E che ora sei qui grazie a lui."

"Lo S.H.I.E.L.D. sta solo valutando quanto possa essergli utile. Un giorno verrai qui per il tuo spuntino illegale e non troverai più questo tavolo occupato."

"E Barton degradato."

"Probabilmente."

"Sembra ti dispiaccia."

"È un idiota, ma è un idiota molto valido. Uno di quegli uomini che vale la pena uccidere."

"E tu?"

"Sono una donna che vale la pena uccidere." C'era orgoglio nella sua voce, eppure nel suo sguardo intravidi il velo opaco della rassegnazione; è una cosa che mi affascina tutt'oggi nella sua ambivalenza: come si può essere fieri e sdegnati di sé stessi nello stesso momento?

Finita la confezione di gallette di mais biologico raccolsi i rimasugli della merenda e mi alzai per buttarli nel sacco dell'immondizia: "Sai, per questo mondo sono una neonata, eppure credo di capire che ti ha salvato le chiappe per un motivo che neppure tu riesci ad afferrare in pieno, e forse è proprio questo che ti infastidisce maggiormente. Non si sarebbe esposto per portare a casa qualcuno in grado di fargli la pelle o per farlo ammazzare comunque. Quando dicono che Barton ci vede benissimo da lontano, credo si riferiscano anche a questo. Gli devi un gran favore, non c'è che dire." Lei alza le spalle come per minimizzare la cosa. "Se fossi nei tuoi panni, anche solo per ripagarlo in parte cercherei di convincere lo S.H.I.E.L.D. di essere una risorsa preziosa."

"Questo lo faresti tu, che come hai detto sei una neonata in questo mondo."

Ammisi la sconfitta con un "Già" e feci qualche passo verso l'uscita, prima di sentirmi fermare con un 'Hey!' Mi chiese se avrei visto Barton nei giorni successivi. Risposi "Probabilmente" e aggiunse di dargli un messaggio da parte sua. "Basta che non me lo incidi sulla pelle viva..." Piegò un angolo della labbra: più che un ghigno questo sembrò quasi un sorriso "D'accordo, dimmi pure"

Si umettò le labbra pensando a cosa dire, e quando finalmente si decise fu solo: "Spasiba".

 

 "Biscotti al kamut! Questa mensa si sta evolvendo!" cinguettai prendendo posto al tavolo, stessa sedia opposta alla sua delle volte precedenti. "Ne vuoi uno?" Natasha alzò un sopracciglio a domandarmi se stessi scherzando, prima di tornare a concentrarsi su un'insalata mista che mi confermò il buonumore del capocuoco.

Restammo un po' in silenzio, con lei che ogni tre forchettate si portava qualcosa alla bocca ed io che sgranocchiavo stancamente i miei biscotti. "Barton ci tiene a dirti che per lui va bene."

"Cosa?"

Allargai le braccia con ovvietà: "Spasiba."

La forchetta restò a mezz'aria mentre lei mi fissava attentamente: "Questa risposta è priva di senso logico. Devi spiegarti meglio."

"Beh, io ho detto Spasiba a Barton da parte tua e mi ha risposto che sì, un goccio se lo fa volentieri con te." Natasha tuffò il viso tra le mani e le chiesi cosa ci fosse di sbagliato.

"Hai una vaga idea di cosa significhi Spasiba in russo? Semplicemente GRAZIE. Come puoi essere tanto ignorante da non saperlo?"

"Hey! La maggior parte degli americani ce l'ha ancora con voi per quella faccenda comunista, che pretendi, che ci insegnino addirittura Russo al liceo? E poi prenditela con FalcoDiMondo Barton, non con una appena uscita da una scuola di provincia. Ma qual'è il problema, scusa? Sistemo tutto, non preoccuparti..."

Brontolò qualcosa in russo di cui non ebbi il coraggio di chiedere la traduzione e si alzò di scatto, scostando la ciotola dell'insalata in avanti e sibilare poi seccata che avevo fatto già abbastanza danni. Mortificata abbassai lo sguardo sul tavolo e lo tenni fisso tra le briciole dei biscotti e la carta ormai vuota finché non sentì i suoi tacchi allontanarsi nel corridoio.

Poi mi lasciai scappare un sorriso e pensai fosse il caso il caso di restare in luoghi illuminati e con molti muscolosi testimoni armati sino ai denti per la prossima decina d'anni.

 

 

Quella sera Barton era nel suo box al parcheggio interrato. In compagnia del suo mp3 attaccato ad una cassa rubata ad un addetto di plancia approfittava del tempo libero per mettere in sesto una vecchia moto acquistata a Cleveland quattro anni prima.

Per la cronaca, non è mai riuscito a farla funzionare e, dopo che neppure Stark era riuscito a saltarci fuori, l'ha venduta per cinque dollari a Steve, che l'ha messa in moto al primo colpo dopo aver semplicemente stretto una valvola con le dita. Per lo shock Tony non ha parlato per tutto il giorno. Impensabile.

Tornando al racconto, quando Clint sentì la musica dell'mp3 spegnersi pensò inizialmente alla batteria finita, voltandosi borbottando una mezza bestemmia solo per scoprire Natasha sulla soglia.

Poteva essere l'inizio del perfetto film porno: lui in pantaloni di tuta e canotta, con i bicipiti esposti e coperti di morchia si trova davanti lei, avvolta in una tuta nera attillata dal cipiglio da dominatrix.

Non lo fu, o almeno questo mi hanno raccontato, ma Natasha tempo dopo ha ammesso che Barton con canotta immorchiata è una visione ormonalmente disturbante.

E grazie tante, gli occhi ce li ho anch'io.

 

Inizialmente la VedovaNera lo affrontò diretta, che certe cose è meglio metterle in chiaro sin da subito: Gli diede dell'ignorante e gli ricordò di avere in attivo abbastanza cazzate con lei, quindi di smetterla di cercare di avere ulteriori contatti che la sua carriera si è già compromessa abbastanza. Smise solo quando si accorse dell'aria perplessa di Clint, seduto su uno sgabello con uno straccio a strofinarsi meccanicamente le mani sporche: "Hai capito a cosa mi riferisco?"

"No"

"Spasiba significa grazie"

"Lo so. Ed il 'Non c'è di Che', qui in America, è considerata una necessaria risposta educata. Pensavo fosse una cosa internazionale."

Natasha si irrigidisce; incrocia le braccia al petto e si mette a camminare per il box nervosamente; probabilmente questo l'aiutava a progettare un modo doloroso, umiliante e pubblico con cui farmi morire: qualcosa che comprendesse torture orribili come puntine da disegno nelle gengive, peli del naso strappati e varecchina negli occhi. Mentre stava per uscire Clint la fermò afferrandola per un polso, per lasciarla immediatamente scusandosi davanti al suo sguardo furibondo: "Voglio solo che tu sappia" quasi balbettò, mandando a monte tutta la fama da tombeur de femmes costruita in anni di onorato servizio "Che apprezzo molto che tu abbia deciso di essere come dire, collaborativa, con lo S.H.I.E.L.D.. Mi hanno anticipato oggi che probabilmente sarò reintegrato dalla prossima settimana, la Direzione ha accolto positivamente la tua decisione e le informazioni che ci hai fornito. Ecco. Ci tenevo a dirtelo di persona e non ne avevo ancora avuto l'occasione."

"Non avevo molta scelta. O così o spedita nel braccio della morte di un qualche carcere federale."

"A Budapest non sembrava importarti molto. Di vivere, intendo."

Natasha si buttò - manco a dirlo - sulla difensiva: "A che gioco stai giocando, Agente Barton? Al salvatore di anime? Hai mire da missionario, per caso?"

Clint scoppiò a ridere di gusto che - - le mire da missionario ce le aveva eccome con Natasha, ma non come stava intendendo lei in quel momento e cercò di calmarsi scotendo la testa mordendosi il labbro inferiore per riprendere la serietà che la situazione richiedeva: "Ho solo visto qualcosa in più di un obbiettivo da abbattere. Potenziale, chiamalo così."

"Potenziale" ripete lei, sciogliendo le braccia lungo i fianchi. "Potenziale bellico."

"Non necessariamente. È che... beh, è un po' difficile da spiegare. E poi è tardi e... e questa moto non si aggiusta da sola. Capirai presto cosa intendo."

"Sicuro" asserì, prima di salutarlo con un gesto del capo e andarsene.

 

Il giorno dopo Barton si presentò al poligono con un vistoso bernoccolo: aveva passato il resto della serata a tirarsi la chiave inglese in fronte come autopunizione per aver lasciato andare Natasha così, senza aggiungere altro. 

Quanto a lei... beh, entrò come una furia a lezione di Aikido quasi ultimata e mi afferrò per le spalle. E poi ci fu il nero doloroso di un violento colpo alla testa.

Trauma cranico frontale. Ne ebbi per una settimana.

 

Da quella volta non ci siamo più trovate in sala mensa, ed incontrate solo di passaggio negli spogliatoi o nei corridoi.

Poi mi hanno trasferito per dieci mesi alla base di addestramento in Nebraska e per un sacco ho solo avuto racconti delle prodezze di Barton e Romanoff, mentre mi addestravo con lo S.H.I.E.L.D. di giorno, imparavo ad usare i miei poteri di notte con Amon e studiavo addirittura psicologia nei ritagli di tempo libero. La mia vita sociale ne risentiva così tanto che quando dormivo sognavo di soccorrere camion di aitanti pompieri restati in panne nel deserto, che per ringraziamento si esibivano in bollentissimi striptease in mio onore invitandomi a giocare con loro sotto il getto degli idranti.

Possedere geni da demone ha i suoi bei vantaggi: oltre ad una forza e ad una rigenerazione decisamente sovraumane, le mie capacità di apprendimento sono nettamente migliori della media: neurotrasmettitori più veloci e memoria audiovisiva pressochè illimitata.

Averle scoperte prima, queste capacità, avrei evitato figure di merda durante le ore di matematica al liceo.

 

Poi in Nebraska arrivò l'ordine di una prima missione. Sulla carta niente di più che ricognizione e controllo ad Okinawa. Sono partita con altre tre reclute e due tutor con il sorriso stampato sulle labbra e lo sguardo emozionato dietro ai miei Rayban a specchio, che mi aspettavo di imparare il karate da Miyagi e mangiare Sushi leggendo manga sulla spiaggia.

Non andò esattamente così.

Anzi, per niente.

Fu un casino.

 

La Base venne attaccata da una sezione dell'esercito NordCoreano mentre finivo il mio spuntino di mezzanotte a base di carote insipide e insignificante tofu davanti al tomo di Psicologia Cognitivia II. In parte ne fui quasi sollevata, perché il tofu era davvero terribile e il libro di una noia mortale. E poi quella era l'occasione perfetta per scatenare i miei poteri da mezzodemone e dar sfogo a quelle fiamme grigiazzurre che ora riuscivo a padroneggiare e che avevo appena battezzato Fuoco Fatuo.

 

Vorrei poter raccontare di essere comparsa sul tetto dell'edificio sotto attacco, in controluce rispetto alle esplosioni, capelli al vento, occhi illuminati da un bagliore sinistro e guizzi grigiazzurri tra le dita. Mi piacerebbe davvero vantarmi di come ho fronteggiato il nemico, abbattuto un paio di elicotteri, scaravoltato un carroarmato e arrostito una decina di soldati, per poi essere portata in trionfo da commilitoni adoranti.

Potessi, racconterei tutto questo e lo ingigantirei pure.

Ma esistono i video di sorveglianza a smentirmi.

 

Quando arrivarono i rinforzi i miei compagni erano sparsi tra infermeria e macerie, per lo più salvi e in discreto stato. I NordCoreani ci avevano sottovalutati pesantemente, ma il merito della vittoria non era stato decisamente mio. Certo, avevo dato il mio contributo, ma quando ero riuscita a dar sfogo alla mia natura demoniaca e ai miei poteri, non avevo letto negli occhi dei miei compagni che timore e sgomento, non ammirazione.

Ora reagisco diversamente. Sono più adulta e so come gestire la paura della diversità che posso suscitare. Ora mi sono conquistata il mio posto allo S.H.I.E.L.D. l'approvazione, il rispetto e la fiducia dei miei colleghi.

Ma allora ancora no. E tutto quello che feci fu di infilarmi negli spogliatoi femminili con la testa che girava e le mani spellate per nascondermi dal mondo.

 

 

Sotto la doccia decisi di smettere di lottare contro le mie ginocchia tremanti e di lasciarle libere di cedere, le mani scoordinatamente lanciate in avanti e pronte ad impattare contro le piastrelle del pavimento.

Ad interrompere la mia caduta è stato un braccio attorno alla vita e una voce conosciuta: "Hey".

 

Girai mollemente la testa per scoprire un riccio rosso fuoco di Natasha Romanoff, intenta a chiudere il miscelatore della doccia, con un mio braccio attorno alle mie spalle per sollevarmi: "Hey, ci sei?" annuisco debolmente mentre mi aiuta ad arrivare alla panchina dello spogliatoio dove recuperò un salviettone e mi fece coricare posizionando qualcosa sotto le gambe per tenerle alzate ed agevolare la circolazione; dovevo avere davvero un aspetto spettrale per meritarmi quelle premure.

"Ho sentito cose curiose su di te. Tipo che sei una mezza piromane o qualcosa di simile."

"Si chiama FuocoFatuo. È un potere di origine demoniaca" spiegai "Mi sento a pezzi."

"Forse hai esagerato."

"Non posso conoscere la portata del FuocoFatuo se non conosco i suoi limiti".

"Giusto" Si appoggiò alla parete opposta della stanza con le braccia incrociate, studiandomi con lo sguardo. "Ti stavamo tutti sottovalutando, ed invece hai dimostrato di non essere solo un bel faccino ambizioso. Pare sia proprio vera la storia che Fury non sbagli un colpo."

Cercai di riaprire gli occhi, con scarso risultato: "Sono ancora troppo umana."

Storse la bocca in una smorfia di noncuranza, prima di alzare le spalle: "Non è necessariamente uno svantaggio."

"Lo è, quando sei circondato da umani che ti temono."

"Non è male, essere temuti."

"Ed isolati?" La domanda ed il mio sguardo annebbiato la colgono di sorpresa.

So che era una spia nemica e che agiva da sola: una singola mina vagante in grado di creare un gran casino, a quanto pare. Non so neppure cosa mi ha spinto a porre quella domanda, Natasha non ha l'aria loquace o amichevole, nulla che possa far intuire un bisogno di compagnia con cui condividere la propria giornata e le proprie missioni.

Eppure l'ho spiazzata, lasciandola per qualche secondo senza parole. Gira gli occhi su un punto imprecisato sul soffitto, alza le spalle e sospira leggermente prima di tornare a guardarmi: "Non sto qui ad elencarti gli innumerevoli vantaggi di non avere persone insulse tra i piedi."

Bella risposta, mi piace. Mi sforzai di piegare gli angoli delle labbra in un sorriso.

Incredibilmente, lei fece lo stesso.

 

Fu il primo passo. Il primo, piccolo grande passo sul primo gradino.

E poi ce ne è stato un altro, ed un altro ancora.

La vita è fatta a scale, ed è una gradinata lunghissima dagli scalini scoscesi e senza alcun corrimano. È decisamente più facile salire quando hai un'amica pronta a sorreggerti quando sei stanca e ti cedono le gambe, o ad afferrarti quando scivoli.

E questa è l'Origine della nostra amicizia. E da quel mezzo sorriso stanco, giorno dopo giorno, passo dopo passo, siamo diventate Due Occhi della stessa Faccia, Due braccia dello stesso Busto, Due Chiappe dello stesso Culo.

 

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Sì, sono ancora io.

Sì, sono ancora loro.

E' una scocciatura, lo so, e probabilmente qualcuno griderà allo scandalo e alla persecuzione. Mi dispiace, ma avevo troppo il bisogno di scrivere ancora.

Chiedo venia.

Allora: questo NON è un sequel di TS:W. E' semplicemente una raccolta 'disimpegnata' (che significa che l'aggiornerò più o meno quando ne avrò voglia) sul TheSeventhUniverse e tutti i personaggi (soprattutto Adie, of course, ma non solo loro e non solo dal suo POV)

Non è completamente necessario aver letto le due serie precedenti, perché saranno delle OS slegate tra loro e slegate (quanto è possibile) dalle serie. Tuttavia, se ancora non le conoscete e avete tempo che non sapete come impiegare, qui troverete tutto:

http://www.efpfanfic.net/viewseries.php?ssid=6910&i=1. Se vi va di lasciare un commento (anche critico, per carità!) fate pure. Se avete qualche curiosità o dubbio, sono attrezzatissima,  ho anche un Ask: http://ask.fm/EvilCassyBuenacidos.

Grazie per essere arrivati sino a qui e se vorrete lasciare un vostro parere, vi ringrazio in anticipo ancor di più.

PS: Checché si evinca dal titolo, non saranno 50 Os. No, non potrei farcela. Non garantisco, invece, sul 'candore' di tutte le storie. C'è GreyRaven di mezzo, che non è esattamente la castità fatta a persona.

 

Grazie,

EC.

 

 

 

 

   
 
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