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Autore: Hi Ban    25/07/2013    1 recensioni
Sentì la porta chiudersi dietro di lei e si chiese soltanto perché.
Perché tutto fosse destinato a terminare quella notte, perché tutto aveva smesso di esistere in un attimo, senza che lei avesse avuto il tempo di accorgersene. Perché quel mondo che le sembrava così irrimediabilmente sbagliato era quello reale, quello in cui, per anni, aveva vissuto ad occhi chiusi senza rendersi conto di quanto tutto fosse triste, doloroso e pericoloso. Perché la sua vita non era una favola, ma era una macabra storia su cui stavano calando tenebre e oscurità.
Perché.
Non venne mai nessuno a darle una risposta.
Genere: Generale, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hinata Hyuuga, Kiba Inuzuka, Shino Aburame
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Ain’t your fairytale


I have always known the storm would come
Listen now my young ones
This is not a story I tell
of midnight, moon and sun...
Are you ready to walk the forbidden road?
Learn again what we tried to forget?
The dark can now take over you.

[Ain’t your fairytale – Sonata Arctica]




Più tardi fu svegliata dal rumore di una porta che si chiudeva. Sussultò con spavento e si sentì il cuore in gola; sembrava voler esplodere da un momento all’altro.
«Sono io» la rassicurò una voce bassa e monocorde.
Shino la osservava dall’altro lato della stanza e in mano recava ancora il fucile di prima.
Sospirò impercettibilmente e si rilassò per quanto lo permettesse un frangente del genere.
«Cosa è successo a Kiba?» chiese immediatamente, il tono allarmato e gli occhi chiari spalancati dalla preoccupazione. La voce le era uscita acuta e strozzata, ma in quel momento l’unica cosa che le importava era Kiba.
E, in più, voleva sapere.
«È in una delle celle qui sotto» rispose semplicemente, posando il fucile a terra e appoggiandosi al muro di fronte a lei. Era nella penombra della stanza, ma Hinata riusciva a scorgerlo piuttosto bene. Sembrava anche abbastanza stanco, ma forse era solo un’impressione sbagliata.
«Celle?» azzardò a chiedere, sempre più stupita da quanto stava accadendo.
Sapeva che c’era qualcosa che doveva conoscere e che era essenziale per comprendere tutto quello che stava succedendo; quello che sapeva era solo una parte, non riusciva a mettere insieme quei pezzi di puzzle che si agitavano nella sua mente.
«Gli Aburame, tempo fa, erano un clan che dava la caccia ai licantropi, lo siamo tutt’ora. Questo rifugio era usato già a quel tempo» spiegò con calma, come se fosse la cosa più normale del mondo. Hinata fu percorsa da un brivido, in attesa che continuasse. Voleva sapere come stava Kiba, ma era evidente che lui non glielo avrebbe detto facilmente. Non aveva detto che era morto, poteva aggrapparsi a quello e ascoltare ciò che aveva da dire.
«Non è più zona degli Inuzuka, correndo ti sei allontanata parecchio» aggiunse rispondendo ad una sua muta domanda.
Sapeva di avere il fiato sospeso, neanche respirare fosse l’azione più dolorosa mai compiuta; era conscia del dolore che si estendeva su buona parte del corpo, ma rispetto a prima aveva smesso di tremare. Si sentiva solo incredibilmente debilitata e stanca come mai lo era stata.
«Inuzuka è un licantropo, ma questo lo sai» esordì brevemente, aggiustandosi gli occhiali sul naso. Hinata si ritrovò inconsapevolmente ad annuire, anche se una parte di lei ancora voleva negare quanto accaduto; come poteva veramente essere successa una cosa del genere?
Non credeva nemmeno all’esistenza di creature sovrannaturali come quella e, in verità, erano cose che l’avevano sempre spaventata. Provava terrore quando si trattava di storie inventate, come doveva comportarsi ora che era tutto vero? Lei lo aveva visto, non poteva negare assolutamente nulla.
«La famiglia degli Inuzuka è portatrice del gene dei licantropi, lo è da anni. Non in tutti si risveglia, la cosa diviene sempre più rara di anno in anno.»
La professionalità con cui espose tutto fu un ulteriore prova per Hinata che tutto era reale; Shino ci conviveva da sempre probabilmente e quello spiegava perché avesse smesso di parlare con Kiba, rompendo ogni legame. L’Inuzuka le aveva detto che, più o meno, aveva smesso di rivolgersi a lui alle elementari e perciò nel periodo delle prime aggressioni.
Era già stato Kiba allora?
«Le prime aggressioni, allora…» iniziò, ma lasciò la frase in sospeso con un gemito strozzato. «No, non era Inuzuka, quello. Sempre un membro della sua famiglia, ma lui era troppo piccolo.»
Hinata continuava a non capire molto e Shino si lasciò andare ad un breve sospiro.
«Il gene si risveglia intorno ai sedici, diciassette anni, allora Kiba ne aveva soltanto otto.»
Storse la bocca lui stesso quando si rese conto di averlo chiamato per nome. Hinata avrebbe tanto voluto che non ci fossero quegli occhiali scuri ad ergersi come un muro nella discussione, la faceva sentire a disagio.
«La sua famiglia avrebbe dovuto liberarsene quando si sono accorti che in lui si era risvegliato» proferì e c’era una che di sprezzante in ciò che aveva detto.
Hinata sussultò violentemente e strinse le mani intorno a sé, come a volersi proteggere da tutta la confusione che c’era, sia fuori che dentro la sua mente.
«La sua famiglia lo sapeva?» chiese sconcertata, mentre nella sua mente passavano i volti dei gentili e un po’ eccentrici dei signori Inuzuka, poi di Hana. Cosa avrebbe detto una volta tornati a casa? Non li avrebbero trovati e probabilmente si sarebbero allarmati.
«Sì, ma hanno preferito tentare di arginare la cosa senza eliminarla definitivamente. Solo i genitori e qualche altro membro della famiglia, ma in sostanza era una questione segreta.»
Era evidente che allora la sorella non lo sapeva o quella sera non li avrebbe lasciati da soli. Era a conoscenza di qualcosa, come la questione degli Aburame, ma ignorava tutto il resto.
Hinata ancora non riusciva a crederci; stavano davvero discutendo di una cosa del genere, mentre lei avrebbe dovuto essere nel suo letto e crogiolarsi nel calore delle coperte; poi si sarebbe svegliata, come al solito avrebbe incontrato Kiba e sarebbe stata una domenica come tutte le altre.
«Ma Kiba non poteva saperlo, lui…»
«Non lo sapeva, no, dopo ogni trasformazione perde la memoria per quanto riguarda quanto accaduto» asserì conciso.
Sospirò pesantemente a quella scoperta e non poté non chinare il capo, ringraziando gli dei che le cose stessero così. Se Kiba non sapeva nulla voleva dire che non era cosciente delle sue azioni, non era colpa sua.
Si aggrappava a quelle consapevolezza, Hinata, ignorando quella parte di sé che, in continuazione, le ripeteva sibilando che però aveva ucciso delle persone. E quella non era una colpa che si poteva cancellare con un tratto deciso. Quella rimaneva e macchiava ogni cosa.
«Si trasforma con la luna piena…»
«Esatto» le fece eco Shino, mostrando ancora una volta quanto lui fosse informato sulla faccenda e in un angolo del suo cervello Hinata comprendeva finalmente tutti i doppi sensi con cui aveva farcito la conversazione a scuola solo quel pomeriggio.
Come poteva essere passato così tanto?
«Si trasforma con la luna… se è con la luna piena… perché allora i suoi genitori non…» iniziò, ma lasciò cadere la frase nel vuoto non sapendo come concluderla. In verità, Hinata non sapeva proprio più cosa pensare. Lei si basava unicamente sulle sue conoscenze riguardanti i licantropi in versione parecchio romanzata, ma era un tentativo di comprendere meglio la situazione che la faceva progredire a tentoni. Tutto sembrava diverso dalle versione proposte tramite i libri e lei temeva che più a fondo avrebbe potuto trovare qualcosa che andava ben oltre l’immaginazione cinematografica a riguardo.
«La luna piena fa da scenario ad ogni trasformazione, ma non la scatena sempre. Non c’è qualcosa che scandisca con regolarità il mutamento da forma umana a bestia, è casuale. È un pericolo che non po’ essere tenuto sotto controllo» qui si era fermato per un attimo, sembrava voler studiare ogni reazione di Hinata per comprendere fin dove potesse spingersi a parlare. Di rimando, Hinata aveva aggrottato le sopracciglia e si era imposta di non mostrare alcun segno di debolezza. Lei voleva sapere e capire, quello era il suo unico interesse.
«I suoi genitori hanno ritenuto che Inuzuka non fosse un problema visto che ultimamente non sembrava essere stato soggetto alla trasformazione; è stato da incoscienti, hanno fatto affidamento sul fatto che questa notte la luna piena sarebbe stata visibile difficilmente e che ciò avrebbe influito.»
Hinata avrebbe voluto chiudere per un attimo gli occhi, solo pochi secondi, per poi riaprirli. In seguito le sarebbe piaciuto molto che intorno a sé si fossero materializzate le pareti chiare della camera di Kiba e che davanti a lei ci fosse proprio quel ragazzo. Purtroppo sapeva che non era possibile e fece di tutto per ignorare quel groppo in gola che sembrava volerla soffocare.
«Forse hanno solo sperato che Kiba potesse guarire… hanno solo sperato, la speranza non è un reato» concluse con incertezza, non tanto perché insicura di ciò che aveva detto – lei viveva di speranza – quanto più perché non sapeva come interpretare il volto di Shino. Non poteva vedergli gli occhi e quello era limitante, molto.
«Uccidere è reato.»
«È loro figlio… volevano solo un futuro migliore per lui, loro hanno solo provato a…»
«Hanno ignorato la cosa, deliberatamente, mettendo davanti una sola vita a discapito di tutte le altre che in questo modo venivano sacrificate.»
Quelle parole giungevano smorzate e quasi ovattate alle orecchie di Hinata, come se il suo cervello volesse preservarla dalla durezza di cui era pregne. Si stupì lei stessa nel constatare come, però, Shino fosse calmo e pacato, nessuna traccia di ira o altro a segnare i lineamenti. Nel tono c’era solo una placida consapevolezza. Forse compassione mista a rispetto per il parere della ragazza, che comunque non avrebbe mai tentato di comprendere o assecondare.
«Non è colpa sua… non è colpa loro» pigolò quasi rivolta a se stessa, abbassando lo sguardo.
«Ad ogni modo, ci penserò io a mettere a posto le cose» disse risulto e nella sua voce vi era una nota di quella che ad Hinata parve quasi rassegnazione. Lo sguardo della Hyuuga volò in un attimo nella stessa direzione in cui probabilmente guizzarono per un secondo quelli di Shino: il fucile abbandonato li a terra.
«Cosa– No! È Kiba, lui non… Shino, ti prego…» la sua tenacia era scemata in brevi sussurri in cui pregava il ragazzo davanti a sé di non fare nulla di avventato.
Lui voleva uccidere Kiba, il suo amico, colui a cui doveva praticamente tutti i suoi sorrisi, l’unica nota colorata in un mondo perennemente grigio.
Non poteva permettere che compiesse un’azione tanto spietata, non poteva permetterglielo perché nel momento in cui avesse fermato definitivamente il cuore del ragazzo, quello di Hinata avrebbe cessato di tenerla in vita nello stesso istante.
Shino sospirò e ciò lasciò Hinata perplessa.
«Ucciderà ancora» le fece presente e lo disse anche se era conscio che Hinata già lo sapeva, ma ne soffriva comunque.
«Non c’è qualche modo per evitare che…» Hinata si rifiutava con tutta se stessa di mettere la parola uccidere nella stessa frase in cui compariva il nome dell’amico.
La Hyuuga era immobile sulla sedia e si sentiva sprofondare in un mare di panico e afflizione mentre si rendeva conto a poco a poco che non c’era nulla che realmente si potesse fare; lei non aveva idea di come aiutarlo, neanche quella volta, quando davvero aveva bisogno di lei.
Eppure non sapeva come fare; di suo conosceva poco i licantropi, ma anche se non fosse stato così Kiba non era un lupo mannaro come gli altri.
«Da duecento anni a questa parte l’unica soluzione è stata uccidere i portatori del gene. Ciò ha garantito la sicurezza di tutti» spiegò e Hinata comprese che quella da lui detta era la realtà.
Perché mentirle? Dubitava che il ragazzo odiasse davvero Kiba e se ci fosse stato un modo per salvarlo lo avesse fatto; era un licantropo, certo, ma uccidere qualcuno che poteva essere salvato non era da Shino.
Lo sguardo della ragazza si fece vuoto, privo di qualunque traccia di vitalità. Si sentiva svuotata, come se qualcuno l’avesse scossa fino a quel momento, con l’intento di far uscire da lei tutto ciò che la rendeva viva. Sapeva di essere più pallida del solito, con gli occhi chiari come due pezzi di vetro che sembravano sul punto di andare in frantumi.
Fino a quel momento aveva resistito solo perché una parte di lei aveva impedito che la consapevolezza le si abbattesse addosso, cercando scuse, soluzioni e possibili vie d’uscita da quell’incubo. Non aveva trovato nulla, il mondo le era crollato addosso, l’immagine di un sorridente Kiba le straziava l’anima attimo dopo attimo. Non avrebbe più rivisto nulla dell’Inuzuka che conosceva.
Era successo tutto troppo in fretta, senza preavviso e lei non aveva avuto modo di prepararsi ad un colpo del genere. Sentiva che qualcosa le veniva strappato via con una lentezza straziante e tentare di trattenerlo era come afferrare l’aria tra le mani. Impossibile.
Non ricordava di avergli detto che era stata felice di averlo conosciuto, anche se forse lo aveva compreso da solo. Non aveva mai ricambiato uno dei suoi tanti abbracci di Kiba come era giusto che fosse, anche se si era ripromessa che un giorno avrebbe messo da parte l’imbarazzo. Forse lui sapeva come stavano le cose anche in quel caso, ma restava il fatto che Hinata non aveva fatto nulla di suo, era stato sempre lui ad interpretare le cose.
Anche quella volta la Hyuuga non aveva fatto nulla e ora lo stava lasciando in una cella distante non sapeva quanto da lei a morire.
Probabilmente stava piangendo di nuovo, ma solo perché si sentiva inutile, non c’era nulla che potesse fare anche volendo.
Puntò lo sguardo su Shino, che non aveva più aggiunto nulla e si alzò in piedi.
«Vorrei vederlo» biascicò e quella richiesta uscì dalle sue labbra quasi inconsapevolmente.
L’Aburame storse le labbra in una smorfia appena accennata e poi le fece cenno verso la porta a destra.
«È una cosa sciocca, Hinata. Quello non è Kiba, è solo una bestia» disse in tono monocorde, sperando che quelle parole crude e altrettanto vere bastassero a dissuaderla.
Lei non annuì nemmeno, ma si avviò verso la porta di legno scuro. Non sapeva perché, forse per farsi più male ancora, ma poggiò davvero una mano sulla maniglia. Ed era davvero sul punto di abbassarla, per entrare, percorrere il lungo corridoio che si sarebbe trovata davanti e giungere da Kiba.
Ma si fermò, tolse la mano dal pezzo di ottone come se si fosse scottata e scattò indietro, con un gridò che vene comunque nascosto dalle urla che giungevano dall’interno.
Kiba.
Sussultò violentemente e indietreggio, andando a sbattere contro Shino, che la prese per le spalle e la allontanò da quella porta, quasi potesse esserle d’aiuto spostarsi da quella fonte di dolore, sia per chi gridava sia per lei.
Lei si lasciò trascinare, ma i suoi occhi rimanevano puntati sul legno e le orecchie pronte a captare ogni singolo lamento.
«Kiba-kun…» mormorò quasi sconvolta e Kiba la fece voltare verso di lui con una certa facilità.
«Non è colpa sua, Shino-kun… lui non è cattivo, lui è Kiba!» disse con disperazione e tenacia, mentre tutto intorno a lei sembrava vorticare e pronto ad inghiottirla.
Non voleva che tutto accadesse, non voleva! Non era giusto.
«Non ucciderlo, ti prego» disse un soffio appena udibile, tra i suoi stessi respiri mozzati dal dolore e quelli che non sembravano più guaiti animaleschi, ma umani.
«Cosa…» chiese sbalordita. Kiba era di nuovo lui?
«Si sta ritrasformando, segno che sta sorgendo il sole. Devi tornare a casa, Hinata» le disse fermezza, benché il suo tono tradisse una certa pressione.
«Ma se è lui voglio vederlo… ora è Kiba non un lupo» ribatté con una forza che veniva dimezzata dal tremore che ancora la percorreva.
Le urla, intanto, si intensificavano.
«Sono quasi le sei, presto sorgerà il sole e lui sarà di nuovo umano, ma ora non lo è.»
«Allora aspetterò.»
«Devi andare a casa, non puoi restare qui» mormorò di nuovo, abbandonando la presa sulle spalle della giovane, che ora si sentiva quasi persa senza un tocco di normalità in quella situazione del tutto incomprensibile per lei.
«Perché?» si sentì solo in grado di chiedere.
«Perché la trasformazione per ritornare umano fa più male di quella per diventare un licantropo e le urla si intensificano man mano che prosegue» asserì con calma, aggiustandosi gli occhiali sugli occhi.
Hinata spalancò gli occhi, ma non disse altro; era straziante sentire quelle urla, non voleva nemmeno immaginare come sarebbero potute essere dopo. Ringrazio con tutta se stessa il fatto che Kiba non ricordasse nulla di ciò che viveva alcune notti, anche il dolore doveva essere precluso ai suoi ricordi. «Kiba non morirà, Hinata» le disse ad un tratto.
La ragazza non capiva, non ci riusciva davvero più. Era troppo difficile.
Quelle poche parole rimbombavano nelle sue orecchie rendendole difficile anche comprenderle, invece di portare speranza – Kiba non morirà, così aveva detto – la confondevano e la inquietavano.
Sentiva le mani formicolare e la testa pesante. Voleva chiudere gli occhi, ma non si illudeva nemmeno più che riaprendoli sarebbe tutto finito.
In verità, tutto doveva ancora cominciare, quello era solo un macabro incipit in cui lei si poteva solo rendere conto che non c’era nulla di simile a quei pochi film che Kiba era riuscito a farle vedere sul sovrannaturale e a quei libri che lei aveva letto di sua spontanea volontà.
Era ovvio che tutto quello era ben diverso dalla finzione e la sostanziale differenza era che di solito si poteva sempre contare in un lieto fine.
La realtà era più dura, deludeva, quella era una consapevolezza che Hinata aveva compreso solo ora che si trovava dinnanzi ad una situazione che minacciava di distruggerla in tutti i sensi.
«Va’, Hinata» la esortò con garbo e corrugò la fronte all’ennesimo urlo del ragazzo nella cella.
La Hyuuga chiuse davvero gli occhi e annuì piano. Si sentiva stordita e pesante, come se una parte di sé si fosse completamente slegata da lei. Sentiva dolore da qualche parte, ma non riusciva a focalizzare nemmeno il punto preciso. Si faceva man mano più pressante, ma non riusciva proprio a comprendere da dove venisse. Forse doveva solo dormire e lasciare fuori il mondo dalla sua mente per un po’, ma più il tempo scorreva, più le sembrava di avere addosso una forza invisibile che la costringeva verso il basso.
Mentre Shino le diceva che fuori ad aspettarla c’era un altro Aburame che l’avrebbe accompagnata a casa, Hinata pensava solo a Kiba a poca distanza da lei e alla sua impossibilità di correre da lui e essergli d’aiuto, in qualunque modo.
Le parole di Shino erano l’unica cosa che riusciva a focalizzare, ma anche aggrapparsi ad esse era divenuto complicato, come aggrapparsi ad una roccia che però era troppo scivolosa, era impossibile restare attaccati.
Probabilmente lo aveva detto solo per rassicurarla; perché non ucciderlo se fino ad un attimo prima aveva detto che era l’unica soluzione possibile? Illuderla per non farla soffrire ingiustamente, forse, acuire un dolore che sarebbe esploso in seguito, come un fiume in piena che l’avrebbe completamente travolta.
Eppure aveva colto qualcosa di significativo in quelle parole, il tono le era sembrato intriso di totale veridicità, Shino non stava mentendo.
Forse c’era qualcosa in quelle parole che al ragazzo appariva chiaro, mentre ad Hinata era totalmente oscuro. Forse il senso che vi attribuiva l’Aburame era completamente differente da quel che ci si sarebbe potuto aspettare.
«Non lo…» la voce le si affievolì pian piano fino a divenire un sussurrò che non sentì nemmeno lei. Non lo voglio abbandonare. Non lo voglio lasciare. Non voglio. Era tutto quello che Hinata voleva dire, ma le parole non uscivano dalla sua bocca.
Si voltò, mentre la porta si apriva e un ragazzo sulla ventina si scostava per farla passare avanti. Hinata non vi badò particolarmente, ma doveva essere il cugino di Shino; non disse nulla, né lui fece diversamente.
Sentì la porta chiudersi dietro di lei e si chiese soltanto perché.
Perché tutto fosse destinato a terminare quella notte, perché tutto aveva smesso di esistere in un attimo, senza che lei avesse avuto il tempo di accorgersene. Perché quel mondo che le sembrava così irrimediabilmente sbagliato era quello reale, quello in cui, per anni, aveva vissuto ad occhi chiusi senza rendersi conto di quanto tutto fosse triste, doloroso e pericoloso. Perché la sua vita non era una favola, ma era una macabra storia su cui stavano calando tenebre e oscurità.
Perché.
Non venne mai nessuno a darle una risposta.


***


Shino era seduto per terra con la schiena appoggiata al muro, in attesa che qualcosa cambiasse. Sapeva cosa stava aspettando, sarebbe stato evidente e difficilmente ignorabile una volta successo, ma teneva comunque lo sguardo ben fisso dinnanzi a sé.
La stanza era buia se non per una misera illuminazione offerta dallo spiraglio di luce proveniente dalla porta socchiusa poco più in là. Puzzava di vecchio, chiuso, muffa e sangue, un connubio che i primi tempi aveva provocato in Shino conati di vomito. Ora, tuttavia, ci era abituato, era solo uno sgradevole sentore che giungeva smorzato e poco invadente alle sue narici: in quella stanza ci era stato più spesso di quel che avrebbe voluto.
Ora era lì e attendeva.
Alla fine era davvero accaduto tutto ciò per cui i suoi genitori lo avevano messo in guardia. Non per un attimo si era sognato di non credere a quanto gli avevano detto, benché fosse stato appena un bambino quando gli avevano riferito quelle assurde verità per la prima volta.
Aveva completamente accettato quella dura realtà, tuttavia una piccola parte di lui si era sempre rifiutata di credere che un giorno avrebbe davvero tenuto tra le mani quel fucile per puntarlo contro Kiba Inuzuka. Per ucciderlo definitivamente.
Forse quel lato di lui era ancora il piccolo Shino che giocava nel parco con Kiba, l’unico che gli aveva rivolto la parola e non si era lasciato intimidire dall’invalicabile muro degli occhiali scuri che portava sempre. Quelle stesse lenti scure che ora si rigirava tra le mani, mentre la testa era alta e lo sguardo fisso sul muro dinnanzi a lui.
Shibi Aburame, quando gli aveva detto di non dare più retta a quell’assillante ragazzino con quegli strani segni rossi sulle guance, era stato schietto, gli aveva detto la verità. Gli aveva rivelato quel segreto che legava quelle due famiglie da più tempo di quanto lui potesse immaginare. E non aveva parlato di un’eventualità neanche allora, quando forse era troppo piccolo per accettare tutto, aveva parlato di un semplice fatto futuro di cui lui stesso si sarebbe dovuto occupare. Sarebbe successo, nulla avrebbe potuto impedirlo.
Il ragazzo che ora stava steso in una posizione più rigida del normale a poca distanza da lui, a separarli solo spesse sbarre di ferro arrugginito, era la prova che le parole del padre erano state più vere di quel che aveva creduto Shino.
Kiba non aveva accettato subito quella separazione; ci erano voluti anni prima che accettasse l’essere ignorato e liquidato con frasi mordaci e più cattive di quanto lui potesse comprendere.
Non aveva davvero capito, Inuzuka, ma aveva smesso di assillarlo per tentare di capire, quando probabilmente dentro di lui continuavano ad agitarsi domande e quesiti a cui non poteva rispondere nemmeno ora che se ne stava nudo e reduce da una trasformazione di cui non aveva ricordo.
Sospirò, Shino, con una pesantezza che rendeva palese la sua stanchezza. La sua frustrazione, la sua fredda rabbia e, perché no, il suo dolore.
Non stava per uccidere una persona qualunque portatrice di quel gene di morte, ma il suo primo ed unico amico.
Non poteva esternare nessuna delle sensazioni contrastanti dentro di sé, il pandemonio nella sua mente era un’intrecciata trama di dolorosi pensieri, doveri morali, ricordi e patti trascendenti alla sua volontà.
Era stato uno sciocco a credere di poter svicolare a quella situazione, quella parte di sé che si era illusa ora pagava con la tristezza che rendeva il fucile che recava in mano cento volte più pesante. Hinata se n’era andata da quasi mezz’ora e Kiba aveva smesso di urlare da una ventina di minuti; presto si sarebbe svegliato.
Giusto in quel momento un grugnito giunse dal ragazzo, che si mosse con insistenza sul terreno freddo della cella, provocando un tintinnio di catene.
Con suo stupore, Shino si rese conto di non ricordarsi nemmeno come avesse fatto a legarlo giusto poche ore prima. Forse era stato troppo occupato a pensare ad Hinata, che sarebbe sicuramente morta se lui non fosse arrivato in tempo. Doveva ammetterlo, era successo tutto più in fretta di quanto avesse potuto immaginare; non si poteva sapere quando si sarebbe trasformato, eppure lui, in un certo senso, se lo era sentito ed era uscito in perlustrazione.
Quella sua intuizione sarebbe stata da lodare negli anni a venire, ma lo Shino che si era illuso per anni non riusciva a gioirne. Gli occhi di Hinata erano impressi nella sua mente e la consapevolezza di quel che sarebbe successo di lì a poco glielo impedivano.
Era totalmente diviso, Shino, tra ciò che doveva fare e ciò che voleva fare; alzarsi e uscire dalla stanza oppure continuare a stare seduto fino a che Kiba non si fosse svegliato, realizzando tutto. Il respiro si fece più leggero, segno che si stava davvero svegliando. Era giunto il momento, non c’era altro che potesse fare a quel punto.
Si rimise gli occhiali e attraverso le lenti scure lo osservò aprire gli occhi, rimanere attonito e sconvolto per un attimo, per poi tirarsi su di scatto. Si osservò, scoprendosi nudo, poi si guardò intorno, scorgendo finalmente lui.
Stupore, confusione, irritazione.
Il suo tono palesava molto più rabbia di quella che poteva manifestare a gesti a causa delle catene; «Che cosa…? È uno scherzo, Aburame?»
Fece tintinnare con più forza le catene, che battevano contro di loro producendo quel fastidioso rumore metallico.
Shino poggiò per terra il fucile.
Il modo sprezzante in cui aveva pronunciato il suo nome era stato quasi sconvolgente, mai aveva visto Kiba tanto irato; in fin dei conti, però, come poteva non esserlo?
«Non è uno scherzo, Inuzuka» si limitò solo a dire, perché Shino, sempre piuttosto abile con le parole, ora non sapeva come esprimere ciò che sarebbe successo di lì a poco.
Forse si illudeva ancora che se non lo avesse detto ad alta voce sarebbe cambiato qualcosa.
Eppure si sbagliava. Sapeva che tutto quello sarebbe successo, non era mai stata solo una leggenda poco veritiera usata come monito. Era la realtà, ce l’aveva davanti agli occhi ed era suo compito distruggerla per far sì che anche quel capitolo di quella favola del terrore terminasse.
«Non prendermi in giro! Che diavolo ci faccio qui nudo e legato come un idiota?» sbraitò, ma tanto nessuno lo avrebbe sentito.
«Rispondimi!» urlò ancora, dal momento che da Shino non proveniva nessuna risposta.
Da dietro gli occhiali scuri, poté vedere il cambiamento di Kiba; ora era agitato, la sua rabbia aggressiva era passata a difensiva e probabilmente si chiedeva sempre con più insistenza cosa stesse succedendo.
Forse era davvero il momento di darci un taglio.
«Non ho mai mentito quando ho detto che voi Inuzuka centravate qualcosa con queste morti» iniziò e batté sul tempo Kiba, che si stava lanciando in un’altra serie di domande urlate a squarciagola.
Lui chiuse la bocca con un colpo secco e strinse la mascella; evidentemente credeva che fosse solo l’ennesima stupida diceria sulla sua famiglia, infondata. Come dargli torto? Lui non poteva saperle quelle cose, nessuno gliele aveva mai detto, così come quasi nessuno nel clan era a conoscenza di quella sconvolgente verità. Più passava il tempo, meno generazioni venivano colpite; Kiba non aveva avuto quella fortuna.
Nelle favole il lupo cattivo era sempre l’antagonista, il mostro, non poteva vivere una vita felice dal momento che era destinato a rendere infelice quella di qualcun altro.
Lui, però, non aveva scelto di essere il cattivo.
«Ancora con queste stronzate?» sbottò con un ghigno sprezzante.
«Non sono stronzate, Inuzuka, è la verità.»
Kiba esordì in una risata bassa e gutturale, gli occhi ridotti a due fessure; lui non ci trovava senso in tutto quello, così come Hinata non era riuscita a capirci nulla.
«Si può sapere che problemi hai? Perché mi hai legato? Perché sono nudo e in una cella?» asserì con rabbia.
Era il momento delle risposte.
«Tu c’entri con le morti, Inuzuka, la tua famiglia si porta dietro questa maledizione da secoli» disse in tono monocorde, rievocando una storia che gli era stata ripetuta tante volte da fargliela imparare anche se non avesse voluto.
Inuzuka, bestie, lupi, luna, morte.
E poi il tutto si era ridotto ad Inuzuka e morte, cosa che aveva reso a tutti molto più semplice debellare quella minaccia con l’uccisione dei portatori del gene errante.
Per Shino era difficile allo stesso modo, che la serie di parole chiave fosse dimezzata o arricchita con termini scabrosi non aveva importanza.
«Tu sei pazzo! Io non ho ucciso assolutamente nessuno!» sbraitò ancora, me nei suoi movimenti c’era agitazione, i suoi occhi saettavano veloci per la stanza poco illuminata.
Era spaventato.
«Sei un lupo, Inuzuka, trasformandoti i tuoi vestiti si lacerano fino a strapparsi completamente, quando ti ritrasformi resti nudo» e fece un gesto eloquente con la mano verso la sua condizione di evidente nudità.
Continuò, non dandogli tempo di aprire bocca: «Non si sa cos’è a scatenare le tue trasformazioni, solitamente quando c’è la luna piena, ma non sempre.»
Shino se lo era sentito nelle ossa che quella notte sarebbe successo e così era stato.
«Questa notte ti sei trasformato e io ti ho sparato alla parte superiore della zampa destra, quella davanti.»
Kiba non gli staccava gli occhi di dosso, la bocca era socchiusa e i muscoli contratti. Con calma si portò una mano sulla spalla, dove si rese conto con stupore che effettivamente gli doleva. Spalancò gli occhi e una nuova scintilla di paura animò il suo sguardo.
«Tu stai mentendo, non posso aver ucciso, non ne ho il minimo ricordo, non è–»
«Non ricordi niente della trasformazione il giorno dopo, è come svegliarsi da una lunga dormita, con l’unica differenza che ti senti indolenzito» commentò con una dimestichezza che lasciava l’amaro in bocca anche a lui.
Non era particolarmente esaltante avere conoscenze tanto approfondite di tematiche simili, né tantomeno lo era informare l’ex migliore amico di tutte quelle mostruosità.
Ora Kiba tava tremando. I tremiti lo scuotevano e nei suoi occhi la rabbia aveva lasciato spazio a totale agitazione.
«Tu come… come sai tutte queste cose tu?» chiese allora, tentando di foggiare una sicurezza che non gli apparteneva più.
Quella situazione era fuori da ogni logica, era impossibile accettarla del tutto anche a distanza di anni, esserne il fulcro e la causa e sapere tutto nell’arco di pochi minuti era senza dubbio devastante.
«La mia famiglia debella da generazioni ciò che voi siete da secoli» disse semplicemente, come se effettivamente fosse tutto all’ordine del giorno.
Uccidere chi uccide per non essere a propria volta uccisi.
Ad un tratto le catene produssero un forte fragore: Kiba aveva abbandonato le braccia lungo i fianchi, aveva smesso di tentare di liberarsi. Nei suoi occhi c’era sconcerto e orrore.
«Tu ricordi qualcosa?»
«Io… vagamente, solo dei tratti, ma…» rendendosi conto di quel che stava dicendo – stava ammettendo di essere un mostro, una bestia o qualunque cosa intendesse Shino – strinse i denti «saranno solo dei sogni, qualcosa che ho sognato tempo fa.»
Nemmeno Kiba credeva alle sue malferme parole.
Ciò che lui vedeva nella sua mente erano immagini troppo vivide per essere solo dei semplici ricordi che la sua mente rievocava a causa della paura.
Più l’Inuzuka si sforzava di ricacciare indietro tutti quei ricordi che non sapeva gli appartenessero, più la sua mente li rievocava. Sentiva le tempie pulsare, come se fosse uno sforzo immenso riportare a galla sprazzi di quel che era accaduto poche ore prima. Si lasciò andare tremante, ignorando il freddo del pavimento e della parete a contatto con il suo corpo.
Lui non ci capiva più nulla, era tutto fin troppo surreale; in più, il solo pensare di essere stato lui ad aver ucciso quelle persone gli dava il volta stomaco, come poteva accettare come se nulla fosse?
Poi un particolare per nulla scontato giunse alla sua mente e lo fece trasalire: dov’era Hinata?
Se era vero quel che l’Aburame diceva… era quasi certo che l’amica fosse stata con lui quella sera, ma non riusciva a rievocare nessun immagine o ricordo che gli assicurasse che fosse giunta a casa sua, sana e salva.
Non aveva ancora deciso se crederci o no – la razionalità gli diceva di spaccare la faccia a Shino per tutte quelle idiozie, ma i sensi e il suo istinto gli dicevano che tutta quella faccenda non gli era sconosciuta; fatto stava che Hinata non era lì e lui non sapeva se realmente aveva fatto qualcosa di poco umano quella sera.
«Dov’è Hinata?» saltò su, solo intenzionato a sapere se la ragazza stesse bene.
Se c’era una cosa che per sicuro non poteva sopportare era la possibilità che Hinata fosse nei guai o in pericolo; che lui ne fosse la causa era totalmente impensabile e inaccettabile.
Shino aggrottò la fronte, ma non si esentò dal rispondere: «È al sicuro, è andata via meno di mezz’ora fa» lo aggiornò brevemente.
Kiba espirò con forza, come se avesse trattenuto il fiato senza accorgersene.
Hinata stava bene. Il sollievo per quella consapevolezza schiacciò completamente, anche se per breve tempo, tutto il resto. Purtroppo ci volle poco prima che le preoccupazioni e la diffidenza tornassero a prendere possesso di lui.
Shino era fermo ed immobile, non diceva una parola. Kiba provò ad imitarlo, lo osservò senza fiatare per qualche minuti. Ci volle davvero poco prima che la rabbia e la frustrazione lo attanagliassero con forza.
Come faceva ad essere così calmo dopo avergli detto una cosa del genere? Semplicemente voleva dire che non era vero, aveva mentito. Eppure non poteva averne la certezza, perché Shino celava perfettamente tutto. Fin troppo bene e quegli occhiali Kiba li aveva trovati da sempre un ostacolo, qualcosa di inopportuno. Tenevano alla larga tutti e tutto e in quel momento non gli permettevano di capir se ci fosse del vero in quanto aveva detto.
Perché Kiba non voleva crederci, ma non era da Shino fare scherzi stupidi come quello.
«Dammi una buona motivazione per cui dovrei crederti, Aburame!» sbottò allora, completamente intenzionato a non mostrare il dubbio che tuttavia condizionava i suoi pensieri.
«Trovi un motivo migliore per cui io debba tenerti legato e nudo in una cella?» chiese con freddo sarcasmo.
«Non puoi davvero aspettarti che io creda ad una stronzata del genere! Tu sei pazzo, ecco qual è la verità!»
Poi borbottò anche qualcosa che assomigliava molto a ‘con tutti quegli insetti’, ma Shino volontariamente lasciò correre.
«Vuoi farmi credere che il motivo per cui hai smesso di parlarmi e hai iniziato ad evitarmi è questo? Il fatto che mi trasformo e uccido la gente come in uno dei peggiori film di serie c? Tu sei pazzo» ripeté con maggiore enfasi, traendo forza dal fatto che il suo ragionamento, comunque, filava più di quello di Shino.
«Hai rincorso Hinata nel bosco, questa notte. Se non fossi arrivato l’avresti uccisa» espose con voce calma e pacata Shino, ignorando tutte le proteste e i latrati del compare nella cella.
L’Inuzuka, di rimando, si zitti immediatamente e aggrottò le sopracciglia.
Tirare in ballo Hinata, evidentemente, doveva essere l’unico metodo per convincerlo, altrimenti Shino non gli avrebbe detto quel che aveva rischiato di fare.
«Ti sei trasformato davanti a lei, lei ha visto Kiba lasciare il posto ad un essere mostruoso che non eri tu, Inuzuka.»
Fu quasi uno shock il flash di immagini che si riversarono nella mente dell’Inuzuka: un’Hinata in lacrime e che chiamava il suo nome; riusciva a rievocare chiaramente il respiro affannato della ragazza mentre correva con passo malfermo come se ce l’avesse di fianco in quel preciso istante. Eppure in quei pensieri c’era qualcosa di malsano, qualcosa di orribile che lo disgustava.
Insieme ai conati di vomito, Kiba sentiva affiorare in sé una certa consapevolezza e non seppe se la voglia di vomitare fosse dovuta alle immagini o alla comprensione che si faceva strada in lui.
«Lei mi ha… ha visto» borbottò senza logicità, erano solo parole dette ad alta voce volte a prendere atto di quanto veramente stava succedendo ed era successo.
«Sta bene, ma è scossa. Non si meritava una cosa del genere» asserì Shino, tirandosi in piedi di colpo.
Kiba portò il suo sguardo su di lui, lo osservò avvicinarsi alle sbarre di ferro di quella cella improvvisata. Per un attimo si sentì davvero un animale e la cosa lo disgustò maggiormente.
Era tutto così malsano e sconvolgente che per un attimo fu tentato di prendersi la testa tra le mani, chiudere gli occhi ed abbandonarsi all’oblio. Sarebbe stato meglio, ma sapeva che non era qualcosa che doveva fare. Doveva affrontare e sconfiggere ciò che gli si parava davanti, anche se era difficile da comprendere.
«Credi sia colpa mia, Aburame? Io non ne sapevo nulla! Non l’avrei mai messa in pericolo, idiota!» gli sbraitò contro, come se quella reazione spropositata e irriverente potesse risolvere almeno in parte quella situazione. Non era così, a sicuramente lo aiutava un po’.
Shino si aggiustò gli occhiali sul naso, aggiustando la presa sul fucile che teneva nell’altra mano. Kiba ci aveva già fatto caso, ma preferiva ignorare la cosa.
«Anche se lo avessi saputo le cose non sarebbero cambiate, Hinata e chiunque altro sarebbe stato in pericolo.»
Kiba si alzò in piedi e con uno scattò si portò di fronte a Shino: a dividerli vi erano solo le sbarre di ferro arrugginito.
«Ringrazia che ci siano queste o a quest’ora ti avrei già dato la lezione che meriti» ringhiò con rabbia l’Inuzuka.
«La tua arroganza non ti aiuterà, Inuzuka. Nessuno ti aiuterà, né i tuoi familiare né Hinata. Forse l’unico che può farlo sono io.»
Quelle parole per Kiba non avevano il minimo senso; erano tutte idiozie infondate, eppure doveva ammettere che il tono usato dal ragazzo di fronte a lui era quanto di più serio avesse mai sentito e si ritrovò più inquietato di quel che avrebbe dovuto al sentire quel che aveva da dire.
«E perché i miei genitori non mi avrebbero dovuto dire nulla?» lo sfidò con rabbia, certo che non avrebbe potuto trovare una risposta che lo avrebbe convito.
I suoi genitori gli volevano bene e se veramente fosse stato qualcosa di inumano… beh, era certo che non lo avrebbero tenuto all’oscuro di tutto.
«Hinata ha detto che è perché sono i tuoi familiari, ti vogliono bene, un figlio si protegge, non si distrugge. Può anche essere vero, Hinata ci credeva quando lo ha detto, ma mi permetto di aggiungere che forse il modo di proteggerti è stato quello sbagliato.»
Kiba strinse le labbra e non disse nulla; Shino lo osservò da dietro le lenti scure e si chiese se avesse accettato o meno quella verità. Era conscio che rivelargliela su due piedi poteva risultare complicato e difficile da accettare, ma aveva un compito da portare a termine, benché la cosa non lo entusiasmasse. Anzi. Le parole di Hinata, poi, lo avevano gettato in uno stato confusionale ben più devastante di quel che effettivamente dava a vedere.
«Hinata è sempre gentile, non riesce davvero a vedere del male in qualcuno» commentò ad un tratto Kiba, senza quel sempiterno sfondo di ironia. Le labbra erano incurvate leggermente, un sorriso di quelli che nascevano principalmente quando l’oggetto del discorso era Hinata.
«Ho davvero rischiato di…» non voleva aggiungere l’ultima parola semplicemente perché il solo pensiero era orribile, dirlo ad alta voce sarebbe stato addirittura atroce.
«Sì. Poteva succedere ogni giorno che le stavi accanto, ogni minuti che spendevi a parlare con lei. Era in costante pericolo, ma nessuno lo sapeva.»
Non lo aveva ancora accettato del tutto, convenne l’Aburame, ma la possibilità che Hinata potesse essere realmente stata ferita da lui lo aveva fatto ragionare e meditare.
«Io non le avrei mai fatto del male.»
«Tu no, ma il lupo sì.»
Frasi brevi e concise che ruppero il silenzio dell’angusto luogo in cui si trovavano.
«Non c’è un modo per evitare che accada?»
Shino aggrottò impercettibilmente la fronte e non rispose.
La cosa fece irritare Kiba, che in quel momento si trovava in un campo sconosciuto che metteva a dura prova la sua emotività e le sue reazioni. «Allora?» urlò ancora, in attesa.
Odiava non riuscire a controllarsi, ma provava quasi repulsione per se stesso. In lui albergava qualcosa che mieteva vittime, che uccideva, come poteva anche solo tentare di rimanere calmo? In quel breve arco di tempo non aveva compreso appieno quale fosse il momento esatto in cui aveva smesso di mentire a se stesso, eppure aveva accettato, aveva capito.
Kiba, tuttavia, dubitava seriamente che sarebbe riuscito a convivere con qualcosa del genere; come l’avrebbe guardato Hinata adesso? Con che faccia avrebbe osato guardarla lui? E i suoi genitori? Hana?
Si sporse con rabbia di più verso Shino e in un gesto repentino gli afferrò gli occhiali, sfilandoglieli con malagrazia dal volto.
Erano state davvero rare le volte in cui lo aveva visto senza quell’impenetrabile muro di difesa, eppure era come se avesse sempre saputo cosa si nascondeva dietro le lenti scure.
C’era solo Shino, il ragazzino che un tempo era suo amico e che poi, per motivazioni che lui allora non aveva potuto comprendere, lo aveva abbandonato.
Shino.
Quante cose erano cambiate?
Eppure, a quanto pareva, lui era sempre stato così. Un mostro.
«Non mi sono mai piaciuti gli occhiali scuri e tu li hai sempre portati. Rompipalle» si giustificò con gli occhiali ancora in mano, sotto lo sguardo indagatore di Shino.
«Allora? Su, spara. Anzi, no, credo di aver capito dove vuoi arrivare. È più o meno come per la storia dell’essere nudo in questa prigione che puzza» commentò con fare disinteressato, benché dentro di sé Kiba si sentisse scosso e tremante.
Il ghigno sul suo volto, però, voleva mascherare tutto quel tumulto interiore.
Ci riusciva? Non lo sapeva, ma finalmente negli occhi di Shino riusciva a leggere qualcosa che prima gli era sconosciuto. Anche l’Aburame era una persona come le altre, dopotutto.
«Di cosa parli?»
«Di motivazioni ovvie. Sono nella cella nudo perché sono un lupo squartatore, hai un fucile in mano perché devi… uccidermi.»
Il suo voler essere così spavaldo era stato reso vano dall’incrinarsi della voce sull’ultima parola. Essere ucciso. Morire. Lasciare mamma, papà, Hana, Akamaru.
Hinata.
Shino non ribatté; in verità si sentiva vagamente spaesato senza gli occhiali, ma sapeva anche che a quel punto celare tutto era inutile.
Non c’erano più segreti ora, eppure Shino non sapeva cosa fare. O meglio, come fare. Suo padre glielo aveva spiegato, eppure, benché lui fosse sempre stato conscio che quel giorno sarebbe venuto, ora si trovava impreparato.
Semplicemente perché non si poteva insegnare ad uccidere un amico.
«In fondo è giusto. Io non voglio fare male a nessuno, non voglio fare male ad Hinata, non voglio fare male a chiunque mi capiti davanti. È giusto.»
Kiba parlò senza sentimento, completamente intento a pensare a quante volte aveva rischiato di uccidere colei che gli era sempre accanto. L’unica vera ragione per cui era pronto a sacrificarsi, poiché era più importante di qualsiasi altra cosa.
Hinata non doveva rischiare nulla per lui; in quel disperato frangente, l’unica cosa di cui era certo Kiba era che non l’avrebbe fatta soffrire più del dovuto e che sacrificarsi per lei non era né azzardato né inutile.
Era Hinata, semplicemente lei.
«Sei coraggioso, Inuzuka.»
«E tu palloso! Almeno adesso puoi smetterla di chiamarmi Inuzuka, no? Giuro che non ti azzanno» esordì con quel latrato di risata che aveva.
Era incredibile vedere come riuscisse a fare ironia anche in un momento del genere, ma forse quella era una delle più grandi doti di Kiba.
Shino per un attimo vacillo; non ce l’avrebbe fatta.
Eppure fu proprio il sorriso dell’Inuzuka a fargli comprendere che quello era il suo dovere, il suo obbligo e che era giusto rispettarlo.
«Oh, beh, dille che… che mi dispiace. E beh, che deve sorridere di più. E che io la–» amo. Shino lo interruppe prima che potesse terminare la frase.
«Voleva vederti, prima di andare via. Gliel’ho impedito» sentiva che era giusto farglielo presente e visto che Kiba conosceva Hinata meglio di chiunque altro poteva benissimo trarre da sé le conclusioni: ovvero che la Hyuuga non lo aveva abbandonato nemmeno in quel momento e che aveva davvero tentato di fare del suo meglio. Voleva stargli vicino sempre. Quella era sicuramente una cosa che Kiba poteva capire da sé.
Negli occhi del ragazzo-lupo, per un breve attimo, passò un lampo di rabbia – perché non l’hai fatta venire da me, idiota.
Si limitò a storcere la bocca in una smorfia: «Mi scoccia dirlo, ma mi tocca ammettere che hai fatto la cosa giusta.»
Shino abbozzò un mezzo sorriso.
Kiba lo guardava dritto negli occhi: come poteva fare quel che doveva fare?
Il ragazzo parve comprendere da solo, perché accennò ad uno dei suoi ghigni malandrini.
Gli porse gli occhiali e poi si voltò verso la parete.
«Dille tutto, eh. E anche tu… beh, sappi che non mi sei mai veramente stato antipatico. Dicevo per dire. Mi sei mancato.»
Parlava velocemente, quasi avesse fretta.
L’Aburame non seppe cosa rispondere; sorrise. Kiba non poteva vederlo, ma non contava veramente in quel momento.
Entrambi i due ragazzi presenti in quel momento si sentivano in balia di qualcosa di più grande di loro, ma attanagliati da qualcosa di ancora più incomprensibile. Come potevano voltare così le spalle a certi legami? Eppure dovevano farlo. Uno era voltato di spalle e l’altro teneva in mano un fucile. Era così che dovevano andare le cose e lo sapevano entrambi. Le dinamiche della faccenda erano oscure a tutti e due, ma alla fine sia Shino che Kiba sapevano che sarebbe andata a finire così. Quella era una lotta eterna tra due forze che si sarebbero contrapposte all’infinito. Non era una favoletta né un romanzo da leggere e riporre sullo scaffale. Quella era la vita vera, reale, orribile e grottesca. Era un lato della verità che tutti si sforzavano di ignorare, benché alla fine venisse sempre a galla.
E una volta accettata bisognava fare quel che la situazione richiedeva.
Shino aumento la presa attorno al fucile, Kiba strinse le spalle involontariamente.
«Ho fatto una promessa ad Hinata, spero di poterla mantenere» Shino parlava a voce bassa, mentre Kiba se ne stava lì, fermo ed immobile. Non attendeva una risposta, voleva solo dirgli le cose come stavano. «È una promessa che forse non capirà, ma spero che un giorno ci possa riuscire.»
Tirò su il braccio con il fucile e si rimise gli occhiali.
Kiba non morirà, Hinata.
«È giusto così, un giorno capirà.»
Kiba non morirà.
No, non sarebbe morto: stava uccidendo il mostro dentro di lui in fin dei conti, no?
Non avrebbe ucciso Kiba.
Quella promessa probabilmente non riusciva a capirla nemmeno lui, ma forse sarebbe giunto il giorno per comprendere anche per lui.
Non morirà.
Stava salvando l’Inuzuka, stava uccidendo la bestia.
«Addio, Kiba.»
Seguì un lungo lamento, un latrato angoscioso proveniente dall’esterno: l’addio di Akamaru.



It ends tonight




The walls start breathing
My minds unweawing
Maybe it’s best you leave me alone
A weight is lifted
On this evening
I give the final blow.

[It ends tonight – The All-American Rejects]




C’erano alcuni ricordi che Hinata a volte non sapeva nemmeno di avere.
Kiba una volta l’aveva portata sulle spalle perché lei era caduta; erano andati al parco e lei era inciampata. Aveva tentato di non piangere, ma le faceva davvero male il piede ed era rimasta piuttosto interdetta quando Kiba l’aveva osservata per un attimo e poi era scoppiato a ridere.
Fragorosamente, tenendosi la pancia e poi cadendo in ginocchio.
Lei non aveva avuto il coraggio di dire nulla fino a che lui non si era minimamente ripreso, tanto che, tra uno sbuffo di risata e l’altro, aveva parlato lui.

«Ah, Hinata! Eri proprio buffa!» e cominciò a ridere di nuovo.
La Hyuuga proprio non riusciva a vedere cosa ci fosse di buffo, di divertente – il piede le faceva ancora male – ma vederlo così divertito l’aveva colpita: aveva smesso di piangere e si era girata. Kiba la osservava sorridendo.
«Io cado un sacco di volte quando corro, mia madre mi dice sempre che sono un impiastro» commentò, forse un po’ indispettito da quel che effettivamente pensava la madre. Poi aggiunse: «Però non piango! Tanto un attimo dopo arriva Akamaru che mi lecca e mi spinge su!»
L’Inuzuka si era avvicinato a lei e si era piegato, dandole la schiena.
Esitante, dopo averlo osservato sconvolta, aveva accettato il suo aiuto.
Anche lei non aveva motivo di piangere, anche lei aveva qualcuno che la aiutava a rialzarsi, qualsiasi volta fosse caduta.


Eppure lei non era riuscita ad aiutarlo, Kiba era morto, Akamaru ora era solo. Lei era sola. Doveva imparare anche ad alzarsi da sola, benché le sembrasse che intorno a lei tutto si stesse sgretolando e non ci fosse più nulla di sicuro.


Raramente Hinata si era concessa qualche momento solo per pensare. Aveva sempre creduto che per spazzare via quell’immagine distorta che tutti si erano fatti di lei – debole, inutile ragazza, un disonore per la casata – fare qualcosa, qualsiasi cosa, stare in movimento, agire fosse il modo migliore. E pertanto era così che aveva sempre fatto.
Eppure, in quel momento, in seguito a tutto quello che era accaduto, starsene ferma di fronte a quella piccola finestra ad osservare il nulla era l’unica cosa che le veniva naturale fare. Si sentiva pesante per muoversi, stanca per agire, impossibilitata a fare qualunque cosa. Mai come in vita sua sentiva che starsene lì, ad osservare la luce del giorno scomparire per lasciare spazio alla notte buia, fosse la cosa migliore da fare.
Ultimamente, tutto quello che le accadeva avveniva con una velocità impressionante, ma poi nella sua mente era ricordato con una lunghezza e una lentezza quasi dolorosa.
Era stato solo un attimo il momento in cui suo padre era giunto il camera sua, quel pomeriggio, e le aveva sbattuto in faccia l’atroce verità che, in fondo, sapeva già.
Chiuse gli occhi, la primogenita degli Hyuuga, e rievocò alla mente le parole di Hiashi. Dure, secche, una punta di soddisfazione nel farle sapere che alla fine era andato tutto come avevano previsto loro.
Era chiaro che in quel mondo non c’era posto per ciò che voleva lei. In fondo, poi, chiedeva solo un po’ di pace e considerazione. E Kiba.
No, non c’era posto per i suoi desideri.
«Kiba Inuzuka è stato trovato morto nella foresta dietro casa sua.»
Glielo aveva comunicato come se Kiba non fosse stata l’unica persona che Hinata avesse avuto affianco per molti anni. Il suo unico amico. La sua unica ancora di salvezza dalle ingiustizie da cui non sapeva difendersi da sola. L’unico.
Si era voltata di scatto, le labbra avevano tramato, le gambe avevano voluto cedere, ma la ragazza non glielo aveva permesso.
«Come… cosa…» non era riuscire nemmeno a formulare una frase di senso compiuto.
Una parte di lei, in verità, sapeva che presto una notizia del genere sarebbe giunta, la promessa di Shino nascondeva un significato che lei non aveva colto, ma che di certo non riguardava la reale sopravvivenza di Kiba a quella notte.
Si sentiva come svuotata, come se la morte dell’Inuzuka fosse seriamente la cosa più sciocca ed irreale a cui pensare. Ed effettivamente per lei era così, perché non aveva senso credere che Kiba non ci fosse più, non poteva essere.
Hiashi non aveva aggiunto altro, se n’era andato e non aveva inflitto sulla figlia, non le aveva fatto sapere che alla fine le cose sarebbe andate sempre diversamente da come avrebbe voluto lei.
Non c’era altro da aggiungere, poi. La morte di Kiba avrebbe ottenuto un inscenamento credibile e tutti avrebbero creduto che la sua fosse stata realmente una morte accidentale. C’erano tanti segreti ormai che soltanto uno in più non faceva alcuna differenza, mantenerlo era fin troppo semplice e credere alle bugie era divenuto qualcosa di automatico. Tutto, pur di mantenere la pace.
Una situazione del genere, comunque, non aveva un modo per essere gestita, quello Hinata lo sapeva, eppure, mentre se ne stava ferma ed immobile, in attesa, sapeva cosa fare. A gradi linee, certo, ma ne era conscia semplicemente perché il secondo atto di quella tragedia aveva già una trama, lei doveva solo recitare le battute.
Quando la sera prese possesso della scena e la luna si mostro parzialmente con lo sfondo della notte buia, lei capi che era il momento di andare. Sapeva dove andare, uscì senza dire nulla a nessuno. Nessuno era venuto a chiederle nulla, era semplicemente come se nella grande stanza di Hinata al momento non ci fosse nessuno. Uscire ed andare fu semplice.
Prima di abbandonare tutto – era quel che stava facendo, no? – e di dire addio a ciò che lasciava si diede un’occhiata allo specchio, ricambiando lo sguardo dell’Hinata riflessa. Era pallida, assente.
Morta.
Quella non era più Hinata.


Shino l’aveva osservata a lungo quando era arrivata prima di muovere anche un solo muscolo o fare qualcosa, qualsiasi cosa.
Il ragazzo si aspettava di vederla, così come si aspettava di non vedere mai più il suo volto. Non conosceva poi così bene Hinata, perché solo ora che se la trovava davanti poteva capire di non sapere cosa aspettarsi da lei.
«Cosa ci fai qui, Hinata?» glielo aveva chiesto perché lo voleva sapere davvero, non era solo una domanda con cui distruggere l’opprimente silenzio che si era creato.
Perché Hinata era lì?
Lui aveva ucciso Kiba.
Perché Hinata era lì?
In un certo senso lui l’aveva ingannata.
Perché Hinata era lì?
Non gli rispondeva, continuava ad osservarlo senza rispondergli.
Perché Hinata era lì?
Kiba era…
«Grazie, Shino-kun» soffiò con una lentezza straziante, che insieme a quelle parole dilanio la calma dell’Aburame con una forza devastante.
Perché era lì e gli diceva grazie?
Non aveva senso nulla di quel che stava accadendo, Shino non aveva la più pallida idea di cosa fare, benché avesse precedentemente dovuto fare fronte a situazioni quasi peggiori.
Aveva ucciso, perché ora non poteva mantenere la calma dinnanzi ad Hinata, che lo stava anche ringraziando?
«Perché mi ringrazi?» si fece forza e lo chiese, perché anche quella era una domanda necessaria, che aveva bisogno di una risposta altrettanto esplicativa.
Quella serata era fatta di verità, forse non c’era nemmeno spazio per rimorsi, tristezza e dolore. C’era qualcosa di diverso, di inaspettato, qualcosa che preannunciava una svolta che Shino non conosceva e che forse non voleva nemmeno capire.
Hinata abbassò lo sguardo, quasi quell’azione la aiutasse a capire meglio cosa fare, cosa dire. O meglio, come agire, perché era già tutto prestabilito, lei doveva solo portare il tutto alla fine.
«Tu mi hai detto che lo avresti salvato… ho capito. Ho capito» lo ripeté due volte, come voler imprimere quella consapevolezza anche a sé stessa. Aveva capito?
Sì, aveva capito. Shino lo aveva liberato da un male che Kiba non poteva nemmeno capire, perché non ricordava di essere un mostro in alcune ore della sua vita. Era innocente quanto colpevole, Hinata non sapeva se quello era davvero l’unico modo per salvarlo, ma comunque Shino lo aveva fatto. E Hinata aveva anche capito che Shino lo aveva davvero ucciso per salvarlo, non come obbligo del suo clan. Se così non fosse stato non ci avrebbe messo molto a farlo e non avrebbe rassicurato lei con promesse difficili da comprendere.
Aveva ucciso il mostro, aveva salvato Kiba.
Shino non aveva altro da aggiungere, non lo sapeva proprio cosa ci fosse da dire in quel caso. Ma Hinata parlò ancora e Shino non capì di nuovo.
«Mi… dispiace, Shino-kun, mi dispiace davvero» lo guardò negli occhi, la Hyuuga, con una forza tale da spingere Shino a spalancare i suoi, dietro le lenti scure.
«Di cosa parli» non era una domanda, era solo qualcosa che necessitava disperatamente di una risposta.
La sentiva fin troppo bene, Shino, quella sensazione di vertigine. Si sentiva come se si trovasse sull’orlo di un precipizio e bastava un solo passo per salvarsi così come per cadere.
Lui forse era già troppo avanti per tornare indietro e non cadere.
«Ieri notte… ieri notte è finito tutto, io non lo avevo capito, non me ne ero accorta» gli disse, la voce non era più ferma ma tremava e lei accettava una consapevolezza che prima era stata solo un pensiero poco definito; in un attimo si era trasformata in realtà.
Prima che l’Aburame dicesse qualcosa, lei continuò con quelle frasi a metà che proprio non riusciva a finire.
«Credo di meritarmi la solitudine, ora» Hinata si portò a sedere sul pavimento freddo con una lentezza esasperante, quasi temesse di collassare se solo avesse fatto un movimento di troppo. Le gambe erano distese dinnanzi a lei e le mani erano poggiate in grembo.
Shino non parlava.
Se fosse stato un film, come quelli che andavano a vedere lei e Kiba, a quel punto sicuramente a lato sarebbero iniziati a comparire i titoli di coda, mentre una colonna sonora avrebbe accompagnato il tutto. Poi però il film finiva, la finzione terminava, la vita era uguale a quella di prima.
La Hyuuga, invece, stava mettendo fine davvero a tutto.
Un lampo di comprensione balenò nella mente di Shino quando la vide toccarsi la gamba.
«Ti ha morso.»
Lo disse di getto, senza pensarci, senza alzare la voce. Constato, conscio che mai avrebbe accettato. «Mentre correvo mi ha… non me ne ero accorta, ma dubito faccia differenza. O-ora lo sono anche io, Shino-kun?» fece quella domanda certa che la risposta sarebbe stata sì, ma quel poco di speranza che le era rimasta l’aveva spinta a chiederlo.
Non ricordava esattamente quando Kiba fosse riuscito a farle quella ferita alla gamba, per l’adrenalina in circolo per un bel po’ non aveva nemmeno fatto caso al dolore e poi quando era tornato lancinante se ne era accorta. E non era stato possibile negare l’evidenza notando il segno di denti strascicati che erano riusciti ad aggrapparsi alla carne solo per un attimo, ma che erano riusciti nel loro intento.
Shino si tolse gli occhiali e fissò gli occhi in punto indefinito dietro alla ragazza.
Fino a quel momento, nessuno era rimasto contagiato da quella maledizione semplicemente perché chiunque si fosse scontrato con un licantropo moriva, non c’era tempo per nessuna trasformazione. Hinata si era salvata, ma Shino non la vedeva cosa, la questione.
Non poteva vederla così.
La Hyuuga era una persona importante per lui, era la ragazza che aveva osservato per anni a quella parte, mentre lei giocava con Inuzuka lui era dietro un albero ad osservare.
Però era anche un Aburame, lui aveva distrutto quello che prima era stato il suo migliore amico ed ora toccava a lei.
Erano su piani diversi, non si sarebbero mai avvicinati.
Rimasero solo più in silenzio, a lungo; Hinata non disse nulla, Shino fece altrettanto.
Hinata sedeva con la testa bassa, quasi in attesa che la colonna sonora finisse, per lasciarsi il giusto tempo prima di ricominciare a capire e decidere cosa fare.
Shino si chiese semplicemente per quanto tempo avrebbe potuto giocare su due livelli differenti Non c’era più nulla da dire.
Tre vite erano finite quella notte.
Quella di Kiba, quella di Hinata e quella di Shino.
In fondo, però, lo sapevano tutti e tre che la loro non era una favola, no? Nessuno aveva assicurato che ci sarebbe stato il lieto fine.


Hinata respirò forte, mentre vedeva la vecchia vita dietro di lei e quella nuova si affacciava dinnanzi a lei, spaventosa; non sapeva davvero cosa aspettarsi, cosa sarebbe successo di lì in poi non lo poteva proprio immaginare.
Una nuova vita che iniziava da dove era finita l’altra. Tutto era finito quella notte così come era ricominciato, le tinte scure che si prospettavano come future compagne non sarebbero andate via, Hinata lo sapeva.
Stava iniziando la sua eterna notte di fuga, in cui il suo cacciatore era la morte. La vera corsa iniziava nel momento in cui Hinata muoveva il primo passo avanti. Scappava dal mondo, dalla morte, da se stessa.
Quella notte buia, scappando via da tutto si rese conto di non poter più avere paura: anche se chiudeva gli occhi per non vedere il male, quello era dentro di lei, non sarebbe mai potuto andare abbastanza lontano.


Shino osservava due bambini giocare, rincorrendosi. Sembrava si stessero divertendo. Hinata Hyuuga e Kiba Inuzuka.
Perché non vado anche io? Se lo chiedeva, ogni tanto. C’era un po’ di tentennamento nel rispondersi e poi era sempre lo stesso: non poteva, lui era un Aburame.
Ora la bambina era caduta, piangeva mentre lui rideva. Ora lui le stava dicendo che quando cadeva non piangeva perché il suo cane lo aiutava a rialzarsi.
E se… e se fosse andato con loro? Se avessero giocato insieme e fossero diventati amici?
Anche lui avrebbe avuto qualcuno che lo aiutava a rialzarsi.
Kiba e Hinata uscirono dal parco, lei sulle spalle di lui.
No, Shino, non si poteva proprio.



Shino chiuse gli occhi. Non si poteva allora e nemmeno in quel momento.
In quell’orribile presente non era rimasto più nessuno di quei tre bambini di tanto tempo prima.




Ok, questa volta ci ho messo decisamente un sacco a postare, credo che ‘lenta’ non sia un termine abbastanza esplicativo per descrivermi XD
La storia l’avevo finita già da un bel po’ di tempo, ma per un motivo o per un altro è sempre rimasta sul computer, ogni tanto la aprivo e poi la richiudevo, fino a che non me ne sono completamente dimenticata (qui tento di discolparmi: ho cambiato computer e sono andata in letargo per un po’ *schiva pomodoro*).
Ho messo insieme il penultimo capitolo e l’epilogo perché quest’ultimo contava solo quattro o cinque pagine e, onde evitare di metterci secoli per chiudere il tutto, ho preferito fare un capitolo unico.
Il finale è volutamente aperto, non volevo farla finire completamente male e perciò ho lasciato un po’ di speranza.
Uuuh, è stato brutto rileggerla XD Mi ha messo tristezza, anche se non è poi tutta questa drammaticità, ma credo di essere io stessa il mio principale motivo per cui non mi discosto troppo dal comico/fluff/generale: diventa difficile rileggere quello che scrivo e mi passa la voglia XD
Ringrazio coloro che hanno letto e chi ha inserito la storia in una delle tre categorie: spero mi perdoniate per l’enorme ritardo!:/
  
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