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Autore: Nollie    26/07/2013    3 recensioni
Nella lettura di questa storia sarete accompagnati dalle pagine del diario di Ivan Oliver Knight. Uno Shadowhunter dell'Istituto di Sydney, fa una scelta importante nella sua vita e decide di racchiudere in pagine gli avvenimenti più importanti della sua vita, dove lo hanno circondato i genitori Anthon e Natalie, la sorella Eveleen, insieme a Heavenly, Shane, Nathan, Mickey, Wendy e tutti gli altri. Ci saranno ricordi sfuocati e ricordi più nitidi, purtroppo Ivan è cresciuto e rimembrare l'infanzia non sarà per lui facile.
Questo diario è ispirato ad un gioco di ruolo a cui partecipo dove Ivan è un mio personaggio, quindi il restante dei nomi non è di mia invenzione, ma avrò rispetto dei personaggi altrui non includendo scelte particolari che non siano già state decise dagli altri player. Più che altro la storia si incentrerà su Ivan, quindi il pericolo di uscire dal carattere degli altri personaggi è quasi nullo. Ma poi nelle mani di chi finirà questo diario?
Genere: Fantasy, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Si appoggiò allo stipite della porta, si passò una mano tra i capelli e a braccia conserte restò a fissare la scrivania della sua camera. Della camera di sua moglie, la sua e del piccolo bambino che in quel momento dormiva nella culla. Le pupille passavano dalla scrivania al piccolo, tormentando la mente dell’uomo. L’avrebbe abbandonato, avrebbe abbandonato lei, la donna con cui l’aveva messo al mondo e con cui aveva messo al mondo anche il fratellino maggiore.  Avrebbe abbandonato tutto, non come suo solito, quando si lasciava alle spalle la vita, quando non prendeva di petto le situazioni, tranne se si trattava di combattere un demone, bensì un’assenza molto differente. Sin da adolescente si era preparato a questa scelta, nonostante i primi mesi quel suo allenamento, se così lo si poteva chiamare, era iniziato per motivazioni futili. Forse tutte le sue scelte furono sbagliate e anche quest’ultima, ma Ivan Oliver Knight aveva quel suo modo strano di vedere la vita, che molti non comprendevano, e per quanto molti ancora credono sia un confusionario senza un’idea al posto giusto, lui possedeva il suo ordine e presto avrebbe compiuto il suo ultimo passo verso il restante pezzo da incastonare per completare la sua piccola opera.
Si staccò dallo stipite, chiuse la porta e camminò verso la sedia della scrivania, si sedette e fissò il blocco di fogli bianchi, che si era preparato la mattina, pronto per quella serata lunga di parole. Quella scrivania in realtà apparteneva alla moglie, sempre lì intenta a scrivere, cose di cui lui, nonostante fosse la persona a lei più vicina, non si era mai impicciato. Solo qualche notte la donna, in vestaglia, allegra prendeva un foglio e gli leggeva qualche verso delle sue poesie preferite o  da lei create. Altre notti, con la stessa allegria, guardavano i disegni di lei, in bianco e nero e lui continuamente, ogni volta, le ripeteva che avrebbe dovuto colorarli, ma lei rifiutava tutte le volte. Più volte Ivan aveva pensato che in fondo loro due non si capissero, essendo così diversi, opposti. L’amore, almeno dalla sua parte, l’aveva colpito e nonostante le dolci parole, lui continuava ad essere quel ragazzo insicuro, che credeva di non essere apprezzato, amato. Come se quel matrimonio, quella famiglia, fossero frutto di classici eventi che costituiscono la vita. L’uomo si riproduce per la continuità della specie, ecco perché la sua famiglia esisteva, non perché qualcuno ci tenesse a vivere quel sogno con lui.
Analizzò ogni singola penna ben curata e custodita nell’apposito contenitore, pensò di doverne scegliere una speciale, ma alla fine, non essendo il tipo che perde molto tempo, ne prese una a caso nera dentro e fuori, con la parte superiore argentea.  Fece scattare la punta, trascinò vicino a sé un foglio dal blocco e poggiò la sfera di ottone sulla carta, in alto a sinistra.
 
Ivan Oliver Knight.
Iniziò con il suo nome, come se potesse confermare, anche a se stesso, che veramente fossero parole sue.
16 Maggio 2019
Caro… a chi dovrei dedicare queste parole? A mia moglie? A mio figlio Benjamin? A mio figlio Nathan?
Caro.
Dovrei lasciare in mano al vento questi fogli, saprà lui a chi consegnarli? A costui, importerà mai delle mie parole?
Caro, spendo, per te che leggi, queste parole, magari non te ne farai nulla, dato che la mia vita non è poi così speciale, ma a qualcuno voglio lasciarla. Non ricordo benissimo i miei primi anni, come molti altri adulti, ovviamente, ma tenterò di rievocare i ricordi. Hai presente quando pensi a qualcosa ma non sei proprio sicuro che abbia fatto parte della tua vita, se è stato qualcuno a raccontartelo o è stato un sogno lontano? Be’, potrei confondermi in questo modo, ma non credo tutto ciò che ricordo sia stato un sogno e se lo fosse vorrei tanto che qualcuno mi svegliasse, raccontandomi cosa realmente ho fatto, cosa realmente è successo, se sono una persona migliore o se lo sono stato.
La vita inizia nascendo, poi si cresce, ci si riproduce e poi si muore, almeno così dicono.
Partiamo dalla mia nascita.
Sarà assurdo per voi credere che io vi parli veramente della mia nascita, ma ve ne voglio parlare perché il mio falso ricordo è speciale.
Io sono figlio di Natalie e Anthon Knight, due persone straordinarie, come dicono tutti dei propri genitori. Scelsero per me il nome di Ivan Oliver Knight, non so bene perché, ma mi hanno sempre ricordato il cavaliere della Tavola Rotonda, Sir Ivano, conosciuto grazie a Chrétien de Troyes, con l’opera Yvain il cavaliere del leone. Credo che mia madre studiasse tanto sui cavalieri solo per far colpo su mio padre, per il suo cognome.
Non cercare di immaginare una famiglia comune, perderesti tempo, mio lettore.
Chissà perché Yvain non torna dalla moglie dopo un anno, come promesso. Ma nonostante tutto Yvain poi viene accolto alla fortezza insieme al leone, non è di certo il mio caso.
Ritornando a me.
Sono nato il 9 Febbraio del 1995 e, sì, ho un ricordo strano della mia nascita, è più un’immaginazione della mia nascita, più che un ricordo. Nella mia mente alla mia nascita il viso che mi sorride non è quello di mia madre, né quello di mio padre, bensì quello di Nathan.
No, non mio figlio. Nathan Gregory Wilson, figlio del parabatai di mio padre.
Forse tutto è dovuto dalla mia fissazione sulla nostra amicizia, l’amicizia tra me, Nathan, Shane e mia sorella Eveleen. Nathan è nato un anno prima di me, questo mi fa credere che ci sia stata subito una scintilla tra noi, qualcosa che non ci avrebbe mai separati. La particolarità di questa immagine, però, è che non immagino un infante Nathan, bensì un ventenne, e non saprei darti la motivazione. So solo che quell’immagine mi da ogni giorno conforto, credendo sempre nella sua presenza nella mia vita e che sin da quel giorno, nonostante avesse un anno, era pronto a proteggermi come un grande ometto.
Crederai sia una gran perdita di tempo che io ti parli di un ricordo falso, ma quella figura è un minuscolo tassello di cosa c’è di più vero nel mio cuore. Nathan mi osservava, mi osserva e mi osserverà, è parte di me, parte della mia vita, è parte di tutto ciò che mi circonda.
 
Avrebbe voluto continuare e continuare, a parlare di quella persona, che gli aveva lasciato una lacrima sul viso, al sol raccontare una falsità che per anni vagava sotto forma di immaginazione nel suo spirito, ma lo interruppero.  La porta della camera, che prima si era ben curato di chiudere, si era spalancata, con un piccolo Benjamin in corsa, trattenuto subito dopo dalla madre. Ivan si voltò e velocemente nascose il foglio sotto la pila di quelli bianchi, lasciò la penna sulla scrivania incustodita e osservò la madre e il figlio.
– Papà! Papà! – Urlava il bambino.
Ivan fece quasi per rispondere che la moglie gli diede le spalle, si accovacciò davanti al figlio e gli disse: – Se urli ancora Nate si sveglierà, quindi poi non lamentarti se piange. –
Il padre fece un mezzo sorriso e iniziò a guardare il piccolo Nate - che in fondo non piangeva poi così tanto durante il giorno - con amore. 
– Ma devo parlare con papà! – Si giustificò Benji, ma la madre lo girò e con una piccola pacca sul sedere lo spinse verso l’uscita della camera. La donna si avvicinò al marito e gli chiese: – Come mai seduto qui? –
– Volevo chiederti di farmi sentire le tue nuove invenzioni. – Le disse con un sorriso un po’ più malinconico del solito. La moglie, come se avesse appreso l’angoscia del marito, gli baciò la fronte e poi ricambio il suo sorriso, con uno ancor più allegro e pieno di vita, dimostrando di esser pronta a far vedere l’incantevole che riusciva a far uscire dalle proprie mani.

Ringraziamenti
Beta-reading: mael_
   
 
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