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Autore: Just a sad song    26/07/2013    4 recensioni
«And I know I’ve said this all before / but opposites attract / we try and run away / but end up running back / all I want to do / all I want to do / is lie down and...crash, fall down» -YouMeAtSix
Jalex.
Genere: Romantico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alex Gaskarth, Jack Barakat
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Crash.
Storia costruita attorno alla canzone: Crash, You Me At Six.
Autrice: Just a sad song.
Pairing: Jalex (Alex/Jack)

Tutto ciò che viene narrato in questa storia è frutto dell’immaginazione dell’autrice. Ne la canzone ‘Crash’ ne Alex Gaskarth o Jack Barakat mi appartengono (purtroppo).
La storia, in ogni caso, appartiene all’autrice Just a sad song aka Antonia.

ENJOY!

                                                                                                                       




Wait, where you said you’ve been?
Where you say you’re goin’?
Who you goin’ with?


Coglione,coglione,coglione.
Se lo stava ripetendo da ore, mentre era seduto in modo scomposto tra il pavimento e la parete del soggiorno, rischiando un mal di schiena che sarebbe durato per diversi giorni.
Non sapeva cosa gli era venuto in mente, cosa era cambiato, cosa gli aveva fatto perdere il controllo dopo quasi quattro settimane di totale calma, nonostante la situazione non avesse proprio niente di ‘calmo’.
Gli veniva quasi da ridere al pensiero dei giorni precedenti, al numero di volte che si era ripetuto ‘è tutto okay, vedi? Era solo la sua presenza che te lo rendeva indispensabile: in realtà puoi tranquillamente vivere senza di lui’.
Cosa era cambiato, in quel venerdì sera come tanti, non lo sapeva ancora.
Era solo uscito –ci aveva almeno provato- per vivere, per riuscire a riprendere in mano quella sua vita da adolescente che, fino a pochi mesi prima, non aveva assaporato neanche un po’.

We were young,
We were in our teens.
It wasn’t real love,
Spent behind bars.
Oh and it’s sad to think,
We just let it be.
Prisoners of love.


Ora, in quello stato di semi-coscienza, si ritrovava a pensare a tutto quanto, tutto daccapo, a come aveva fatto a ridursi così.
Lui era Jack, cazzo, Jack Barakat.
Il se stesso di dieci anni prima non ci avrebbe creduto, se lo avesse visto in quel momento.

Alla fine proprio a quell’età era iniziato tutto, dieci anni prima, con uno degli oggetti più impensabili: una playstation.
Buffo, vero?
Ricordava di aver pregato la madre affinché glie la comprasse ‘ti prego, mammina, prometto di mettere apposto la mia camera tutti i giorni, prometto di aiutarti a lavare i piatti…’ e così via, fino a quando la povera donna, esasperata, non era tornata un giorno con l’agognato pacco in mano, rendendolo il bambino più felice del mondo.

‘Jack, ma così non vale!’ si lamentò Alex, imbronciandosi.
‘Perché, scusa? Ho vinto io!’
‘Sì, però tu imbrogli, è logico che vinci!’
Erano a casa sua, seduti sul divano arancione, mentre Alex gesticolava con le sue piccole manine, come se stesse parlando di un affare di stato, invece che di una stupida partita ad un gioco.
‘Eddai, ti concedo la rivincita…’ provò Jack, avvicinandosi leggermente a lui.
Alex però non voleva sentire ragioni, girò il viso dall’altro lato e disse, in tono solenne ‘No, ti devi far perdonare!’
E allora a Jack venne una idea, una di quelle idee molto simili a nuvole colorate, incoerenti, che ti passano per la mente e ti fanno pensare ‘perché no?’ anche se, molto probabilmente, il risultato sarà catastrofico.
E, se un adulto non riesce a tenere a bada queste idee, figuratevi se ne è capace un vivace bambino di otto anni.
Gli vennero in mente, come in un flash, tutte quelle volte in cui aveva visto quella scena: nei film, dalla finestra dei vicini appena trasferiti, dalla serratura della porta del fratello, mentre c’era a casa la fidanzata.
‘Perché no?’ pensò ancora, e quindi lo fece.
Toccò lievemente la spalla di Alex, giusto per farlo girare di nuovo verso di lui, e successivamente gli si buttò quasi addosso –con decisamente poca grazia- posando poi le sue mani sul viso di un Alex perplesso che iniziò a dire ‘Jack, sei pesan-…’
E poi lo baciò sulle labbra.
Non era uno di quei baci che, appunto, si vedono nei film –avevano otto anni, dopotutto- ma neanche uno di quei bacetti normali che si davano per mostrare affetto.
Era un bacio… loro. E di nessun altro.
‘Scusa, non volevo imbrogliare…’ sussurrò quindi Jack,spostandosi dal corpo di Alex, mentre quest’ultimo lo guardava con meno perplessità di prima.

Dopo tutti quegli anni, si sentiva ancora in imbarazzo per quella sua azione.
Cavolo: c’erano minimo altri venti modi per farsi perdonare, proprio quello aveva scelto?
Ma non aveva mai avuto troppo tempo per pensarci, a causa di ciò che, all’epoca, era successo pochi secondi dopo.

‘Cosa diamine state facendo?’ disse con tono incredulo John, il fratello di Jack., entrando nel soggiorno.
Non diede ai bambini neanche il tempo di dire una parola, perché poi continuò, con voce più aspra di prima ‘Siete solo due bambini, come vi salta in mente?!’
I due lo guardarono con occhi perplessi, non capendo a cosa si stesse riferendo il ragazzo.
John, intanto, sembrava aver visto un fantasma.
Incominciò a mormorare tra se e se qualcosa, costruendosi una storia tutta sua relativa ciò che aveva visto pochi secondi prima.
‘E’ s-b-a-g-l-i-a-t-o, Jack, hai capito?’ Disse quindi, marcando ogni lettera di quella parola, come per farglielo entrare meglio in testa ‘Non vedi me ed Anne? Mamma e Papà? Loro possono baciarsi, perché sono un maschio ed una femmina. Così è giusto. Ma ciò che avete fatto voi è assolutamente sbagliato. Non so cosa mi s trattenendo dall’andare a dirlo alla mamma’
Jack, allora, incominciò a tremare leggermente: non capiva cosa ci fosse di sbagliato in tutto ciò, ma il solo pensiero della madre lo fece rabbrividire.
‘Questa volta non dirò nulla, ma se vi trovo di nuovo in questo stato, lo dirò a mamma e papà’ poi spostò lo sguardo su Alex ‘anche ai tuoi genitori, Alex. Siete solo due bambini, come potete?!’ E, detto questo, se ne andò, sbattendo il portone di casa.
Non dissero neanche una parola per diversi minuti, come in attesa che tutta la rabbia di John potesse uscire dalle finestre.
‘Comunque ti perdono’ iniziò Alex, voltandosi per guardare Jack ‘E poi secondo me lui si sbaglia, non è stato male…’ quasi sussurrò, per paura che qualcuno lo potesse sentire.
‘Anche secondo me’ rispose Jack con sicurezza, sorridendogli.

Avrebbero dovuto fermarsi lì, capire che forse le parole di John erano vere, quello che avevano fatto era ‘sbagliato’.
Avrebbero dovuto cercare di liberarsi da quella situazione il prima possibile, fuggire da quella gabbia d’oro prima che fosse troppo tardi.
‘Siete solo dei bambini!’
Eppure, bambini o meno, fu lì che tutto iniziò.
Di fronte ad una playstation.

We grew up
We worked and changed our ways
Just like wildfire
We’ve been burning now for days
Tearing down these walls
Nothing’s in our way,
I said ‘nothing’s in our way’.


Negli anni successivi andò tutto bene, mentre Jack ed Alex abbandonavano l’infanzia e si tuffavano, pian piano, nell’oceano dell’adolescenza.
Da quel giorno erano stati molto più cauti: avevano capito che la situazione sarebbe degenerata, se qualcuno li avesse scoperti.
Entrambi, comunque, non avevano ancora capito cosa ci potesse essere di tanto male.
Un giorno, mentre la signora Barakat serviva il pranzo a tavola –portando solo tre porzioni, dato che John era a mangiare fuori con degli amici- Jack glie lo chiese.
‘Mamma, ma perché le persone si baciano?’
‘Perché si vogliono bene, tesoro’.
E lui ed Alex si volevano bene, quindi dov’era il problema?

Mentre si lasciava andare al flusso di ricordi, il telefono gli vibrò in tasca, annunciando un messaggio di Rian

Rian: Dove cazzo sei?

Effettivamente, andarsene furtivamente nel bel mezzo di un party, mormorando scuse poco credibili, non era il miglior modo di spiegarsi.
Non gli rispose, comunque, cercando di tornare a dove era rimasto.

Continuarono ad essere amici come sempre, nonostante tutto, nonostante il fratello di Jack ed anche i genitori di Alex avessero iniziato a sospettare qualcosa.
Ma loro si volevano solo bene, no?
No.

Successe tre anni prima di allora, quando entrambi avevano quindici anni, in uno di quei momenti dell’adolescenza in cui solo avere un amico affianco ti può salvare dall’affondare.

‘Jack…tu…’ iniziò Alex, guardando con insistenza il pavimento mentre parlava, come se, altrimenti, non riuscisse a continuare a parlare.
‘Sì?’ Rispose il moro casualmente, mentre si fissava allo specchio: stavano per andare alla festa di compleanno di Zack, ci teneva ad essere vestito bene.
Non si girò per guardarlo, semplicemente fissò la sua figura nel riflesso, aspettando che Alex continuasse a parlare.
‘Non è facile, Jack’
‘Non sarai mica incinto?’
‘No, coglione’ rise leggermente, facendo diminuire di poco la tensione.
‘E allora parla’
‘Tu lo sai che ti voglio bene, vero?’
‘Non ti vorrai mica suicidare?’ Il suo tono era leggermente spaventato.
‘No, cazzo! Ma come ti viene in mente?! Senti…’
‘Dai, muoviti, che dobbiamo andare’ disse Jack girandosi, cercando di arrivare alla porta della camera, prima di essere bloccato dalle mani di Alex che lo presero saldamente per le spalle.
‘Aspetta’
E gli disse tutto. Gli confessò tutti i suoi sentimenti, tutto ciò che si era tenuto dentro per anni.
Non gli importava di avere un tono di voce di circa una ottava superiore al suo normale, non gli importava di avere quasi le lacrime agli occhi.
‘Tu…mi piaci,Jack’ concluse,diminuendo la presa sulle sue spalle.
Il più alto era….confuso? No, non lo era.
Era… spaventato?
Sapeva ciò che le sue successive azioni avrebbero potuto comportare, sapeva che aveva tutte le ragioni per essere spaventato, ma dopo pochi secondi non ci pensò più.
Gli si avvicinò, posò le mani sul viso del biondo –era come un deja vu- e lo baciò. Di nuovo.
Ultimamente non lo avevano fatto spesso: già da diversi anni avevano capito che non era esattamente  
normale baciare il proprio migliore amico, ma in quel momento non erano più solo migliori amici.
Erano molto di più.

E da quel giorno iniziò il vero problema, iniziò la vera paura.
Perché il loro vocabolario, da quando avevano otto anni, si era ampliato. Ora comprendeva parole come ‘omofobia’, che erano affiancate, di solito, ad una immagine dei loro genitori.

Ma loro erano ‘piccoli’, potevano riuscire a tenere quel piccolo segreto.
O, almeno, ci erano riusciti fino ad un mese prima.

*

Arrivato a questo punto, Jack si riprese, si rese conto che forse gli sarebbe davvero venuto un mal di schiena allucinante, se non si fosse seduto correttamente.
Si alzò e stropicciò gli occhi, prima di girarsi ed appoggiare la fronte al muro.

Un mese prima, andando verso casa di Alex per la loro abituale serata di cazzeggio del fine settimana, aveva visto il suddetto ragazzo correre verso di lui e, con poche parole, riuscire a distruggergli tutti i piani di un felice week-end in compagnia del suo ragazzo
‘Lo hanno capito’ disse semplicemente.

Ritornando verso casa di Jack, Alex gli riassunse il discorso che i suoi genitori gli avevano fatto.
Il moro, intanto, si sentiva quasi morire dentro.
‘Mi hanno detto che non vogliono sapere il perché di questa nostra amicizia morbosa, che non vogliono neanche immaginare cosa altro ci possa essere sotto e che…’ pian piano la sua voce si era abbassata fino a diventare niente pià diun sussurro, come se Alex avesse paura delle sue stesse parole.
Si fermarono in quel momento, essendo anche vicini all’abitazione di Jack ‘Che…?’
‘…è meglio se non ci vediamo per un po’.’



bam.



Lo sapeva che quel momento sarebbe arrivato, che forse quella felicità non era destinata a durare, che quei tre anni di ‘pace’ erano stati pure troppi.
Lo sapeva, eppure non ce la faceva ad affrontare quel pensiero.
‘…e quindi?’ quasi tremò, mentre pronunciò quelle parole.
‘Lo sai che io ti amo, Jack…’ continuò Alex, guardandolo negli occhi.
Jack ricordò quante volte quegli occhi gli avevano fatto venir voglia di cantare dalla felicità, di quante volte ci aveva letto i ‘ti amo’ scritti a caratteri cubitali che sembravano trasparire da ogni azione che entrambi compivano per l’altro.
Ora, però, quelle due iridi scure gli facevano solo venir voglia di piangere.
‘…però penso che forse dovremmo separarci per un po’, giusto per far calmare le acque…’


bam, di nuovo.


Tutti avevano sempre detto che erano diversi, troppo diversi per essere amici (e non solo).
Alex era quello riflessivo, quello ordinato, quello che cercava sempre di essere chiaro e di non ferire nessuno.
Jack, invece, era quello impulsivo, quello che si portava dietro il disordine come se fosse parte di se –per non parlare del completo disastro che aveva in testa.

E proprio in quel momento  la sua impulsività decise di farsi notare, portandolo a fare una cosa davvero stupida.
Jack se ne andò.
Alex aveva già previsto una reazione del genere ma, nonostante ciò, lo lasciò andare, cercando di non complicare le cose.

Quello fu il loro ultimo incontro.
Non si parlarono ne video per un mese, dato che la scuola era finita e non avevano quindi neanche l’opportunità di incontrarsi in quel luogo.

Aveva sentito da Rian che Alex aveva iniziato a vedersi con una ragazza, una tale Mary, che era stata innamorata di lui fin dalle scuole medie.

‘A te non importa’ si era ripetuto Jack almeno cento, mille volte, in quelle quattro settimane.
‘E’ tutto okay, vedi? Era solo la sua presenza che te lo rendeva indispensabile: in realtà puoi tranquillamente vivere senza di lui’.’
Ma no, niente era ‘okay’.

Aveva provato a vivere senza di lui, a non avere l’impulso di scrivergli un messaggio ogni dieci secondi, a non pensare ‘oddio, questa cosa piacerebbe un sacco ad Alex’ ‘oddio, quel ragazzo ha la stessa camicia di Alex’ o cose simili ogni volta che usciva.
Aveva anche provato a fare tutto ciò che i normali teenagers fanno alla sua età: vivere.
Praticamente era andato quasi ogni sera ad una festa, in quelle quattro settimane; ci aveva anche provato con qualche ragazza, lasciando perdere poco dopo a causa della continua frase  ‘ma lei non è Alex’ che gli aleggiava in testa.

L’interessato, intanto, aveva continuato a sentirlo, ad inviargli ogni giorno innumerevoli messaggi, sperando forse in una sua risposta.
Ma Jack era ed è tutto’ora molto testardo e non aveva intenzione di rispondergli.

‘But when I looked at her
I thought of only you.
If only there was proof
I could use to show it’s true…’


Gli aveva anche inviato questi lyrics, cercando di convincerlo che non era colpa sua, che se stava con Mary era a causa dei suoi genitori.

‘Ma, se ci tenessi davvero a me, semplicemente te ne fotteresti di loro’ pensava Jack, continuando imperterrito a rifiutare chiamate e ad eliminare messaggi.

Ed eccolo ora, dopo quasi un mese esatto, con la fronte sul muro e lacrime che imploravano di uscire.
Perché la verità era che non ce la faceva.
Perché per quanto ci avesse provato, gli mancava Alex come l’aria.
Gli mancavano finanche le canzoni che il ragazzo componeva per lui e che poi gli cantava con la sua stupenda voce, facendolo arrossire inverosimilmente.

‘Ma Alex, lo sai che non so fare nulla, non riuscirò mai a ricambiare tutte le canzoni che mi dedichi’
‘Non fa nulla, a me basti tu’

Sinceramente non sapeva neanche lui perché era ‘scappato’ via da quella festa.
All’improvviso, mentre stava osservando l’ammasso di gente che si muoveva in modo convulsivo cercando di ‘ballare’, una vocina all’interno della sua testa aveva iniziato a dirgli qualcosa come ‘coglione, cosa cazzo stai facendo?’ e lo aveva convinto ad uscire.

Quella stessa vocina, al momento, gli stava sussurrando ‘muoviti e vai da lui’ e, complice forse l’alcol oppure semplicemente la tristezza che lo stava divorando all’interno, si era ritrovato fuori casa, mentre percorreva una strada che conosceva bene.

Non aveva neanche un piano –già solo spiegare ad Alex il perché della sua presenza fuori casa a mezzanotte sarebbe stato abbastanza complicato- però aveva contnuato lo stesso a camminare.

Mancavano ormai una decina di metri, quando lo vide fuori casa, mentre cercava qualcosa nelle tasche –forse una sigaretta? E da quando aveva iniziato a fumare?

Jack gli si avvicinò, anche se Alex si accorse di lui solo quando erano al massimo ad un metro e mezzo di distanza.

Quando lo notò, però, probabilmente il biondo si affogò con la sua stessa saliva dalla sorpresa, dato che iniziò a tossire in modo impacciato.

Jack semplicemente rise leggermente, aggiungendo poi un ‘Vedi di non morire’.

Alex quindi lo fissò, probabilmente pensando che quella fosse una apparizione o qualcosa del genere.
L’altro, tornando serio, fece per dire qualcosa –ancora non sapeva cosa, però avrebbe improvvisato- quando Alex lo fermò e disse ‘L’ho lasciata’.
‘Perché?’
‘Indovina’
Jack lo guardò aspramente, con uno sguardo che, nonostante la poca luce emanata dai lampioni, diceva chiaramente ‘ti pare il momento?’
‘Perché non è con lei che devo stare’ concluse quindi il più basso, avvicinandosi a lui ancora di più.

In quel momento, Jack voleva solo picchiarlo, o almeno dargli una sberla su quel faccino che tanto aveva ammirato.
Ci era voluto tanto per capirlo? Aveva davvero avuto bisogno di un mese per essere in grado di dire quelle parole?
Fermò ogni pensiero quando lo sentì sussurrare ‘Jack, mi dispiace’

E quelle quattordici lettere lo fecero a dir poco infuriare ‘Ti dispiace?! Alex, ti rendi conto del fatto che mi ha-‘
‘Zitto, fammi parlare.’ Lo fissò negli occhi, anche se il suo tono non era del tutto sicuro ‘So quello che ti ho fatto, okay? E lo so che avrei potuto evitare, però non pensare di essere l’unico che ne ha sofferto, dato che qua c’è qualcuno che non ha risposto a ben duecentonovantatre messaggi-‘
‘Li hai pure contati?’
‘Ovviamente’ Sorrise leggermente, prima di continuare ‘Lo so che ho fatto una cazzata, so che ho complicato tutto, ma davvero, quando ti dico che ti amo non lo dico per scherzo. E in queste settimane ho capito che per te farei qualunque cosa e non mi importa di ciò che potrebbero dire i miei genitori, i tuoi o chiunque sia. L’importante per me sei tu e nessun altro’
Si era evidentemente emozionato nel dire quelle parole e, in un momento diverso, Jack gli avrebbe probabilmente detto ‘sei proprio una checca’ per poi ricevere un ‘Intanto sei tu che lo prendi nel culo da me, stronzo’  come risposta.
Ma ora non era il momento, quindi semplicemente lasciò perdere, facendo scemare pian piano la rabbia e aspettando che Alex continuasse.
‘Forse non crederai a ciò che ti sto dicendo, probabilmente non mi crederei nemmeno io, ma ti assicuro che sono sincero e, se tu non fossi venuto oggi, probabilmente sarei venuto io domani a casa tua e te lo avrei detto’
‘Chi ti assicura che io ti avrei fatto entrare?’
‘Jack, davvero’ sospirò infine Alex ‘cosa vuoi fare, ora?’

Sinceramente, non lo sapeva.
Quella sera non aveva le parole: se non le aveva avute quando era arrivato, in quel momento la situazione era anche peggiore.
Gli venne in mente però, un pezzo della canzone che anche Alex aveva citato giorni prima, in uno dei suoi messaggi.

And I know I’ve said this all before,
But opposites attract
We try and run away, but end up running back
All I want to do,
All I want to do
Is lie down and…

 

E okay, forse il Jack normale non glie l’avrebbe data vinta così facilmente, perché con delle scuse non si può pensare si risolvere tutti i problemi.
Forse il Jack normale se ne sarebbe andato di nuovo, come un mese prima, senza però tornare mai più.

Ma ora stiamo non parlando di un Jack normale: c’era Alex con lui di nuovo, quindi poteva essere tutto tranne che normale.
E potevano scappare via l’uno dall’altro, come era successo nei mesi e negli anni precedenti quando litigavano, potevano pretendere di essere l’uno indifferente all’altro, ma in realtà sarebbero sempre e comunque tornati insieme, nonostante tutto.

Allora fece la cosa che entrambi si aspettavano di meno.
Jack diede uno schiaffo ad Alex.

Non era uno forte, anzi, però lasciò l’altro ragazzo decisamente perplesso.
‘Jack, ma che caz-‘
‘Sei una merda’ si avvicinò ancora di più, arrivandogli a pochi centimetri di distanza ‘e ti odio. Non hai la più pallida idea di quanto io ti stia odiando in questo momento’
Lo guardò negli occhi per una decina di secondi, senza dire nient’altro, aggiungendo infine ‘vaffanculo’, prima di stringerlo in un abbraccio.

Negli anni si erano abbracciati migliaia di volte: al ritorno dalle vacanze, quando uno dei due era triste, quando un bacio non era abbastanza, quando non potevano fare altro a causa della presenza di altre persone.

Ma ora, nonostante ciò, era diverso.
Sembrava un abbraccio di disperazione, di felicità, di tutto quanto mischiato insieme.
E, alla fine, era quello di cui entrambi avevano più bisogno.

Dopo una manciata di secondi di sorpresa, Alex ricambiò, stringendolo come mai aveva fatto in vita sua.
Gli era mancato così fottutamente tanto.

*

Rimasero in quella posizione per molto tempo –a nessuno dei due importava esattamente quanto.
Fu Jack a lasciarlo per primo ‘Però dobbiamo parlarne, perché non ce la faccio più a tenerlo come un segreto tra di noi. Non mi importa delle reazioni degli altri.’
Pensava che le sue parole avrebbero suscitato una chissà quale reazione nell’altro ragazzo –probabilmente un moto di rabbia o di pianto isterico- ma si accorse che le sue previsioni erano sbagliate.
‘Troveremo un modo, okay? Per ora non mi interessa degli altri’ disse Alex con calma, appoggiando di nuovo le braccia sulle sue spalle, prima di avvicinarsi e baciarlo.

E lì, a quel punto, niente importava più.
Poteva essere l’una di notte, potevano essere praticamente in mezzo alla strada, ma questi erano solo dettagli insignificanti.
Avevano ognuno le labbra dell’altro sulle proprie, quindi andava bene così.

Crash, fall down
I’ll wrap my arms around you now
Just crash
It’s our time now to make this work second time round

 

Nessuno dei due aveva la più pallida idea di cosa sarebbe successo dopo; anzi, in realtà avevano una mezza idea: genitori increduli nel vederli insieme in quel senso, probabili discorsi ed urla interminabili, probabili porte sbattute, probabili pianti.

Ma, mentre ancora cercava di riprendersi da tutto ciò che era successo, Jack pensò che per lui, per il ragazzo sorridente di fronte a se, ne valeva la pena.
E, guardando poi Alex negli occhi, pensò che anche l’altro ragazzo la dovesse pensare allo stesso modo.

Just crash, fall down,
Just crash, fall down…









*dundunduuuun* ANGOLO AUTRICE! *dundunduuuuuun*
Ciao, gente!
Dopo quasi due anni, Just a sad song torna su efp come autrice, yeah.
Avevo in mente questa one-shot/song-fic già da un paio di settimane e ieri notte, mentre mi rigiravo sul letto cercando di prendere sonno, ho fissato bene tutti i punti della storia ed ho pensato ‘perché non postarla?’
Vi ringrazio per aver letto e vi prego di lasciarmi una recensione per sapere cose ne pensate!
(seriamente, lasciatemi una recensione, ve ne sarei grata ;--;)
Vi consiglio, inoltre, di ascoltare la canzone alla quale questa os è ispirata, Crash degli YMAS, che è davvero meravigliosa.
Vi lascio il link di un video con i lyrics http://www.youtube.com/watch?v=FOSmayHAX04
Alla prossima!
-Just a sad song aka Anto c:
  
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