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Autore: ClaryMorgenstern    27/07/2013    1 recensioni
Pioggia.
Era l'unica cosa che William Herondale riusciva a vedere. [...] Per un attimo, Will desiderò uscire per sentire il gelo dei minuscoli aghi di pioggia sulla pelle, ma scosse la testa, come a cacciare via quel pensiero fastidioso dalla propria mente.
Aveva ormai imparato che a desiderare le cose non si giunge mai a niente se non all'insoddisfazione e al dolore.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: William Herondale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutti morimmo a stento | ingoiando l'ultima voce | tirando calci al vento,
Vedemmo sfumar la luce.

Fabrizio de Andrè - La ballata degli impiccati

Sfumar la luce

Pioggia.
Era l'unica cosa che William Herondale riusciva a vedere. Una pioggia fitta e scura, che oltre le finestre della piccola stanza in cui era chiuso infuriava come l'inferno. Per un attimo, Will desiderò uscire per sentire il gelo dei minuscoli aghi di pioggia sulla pelle, ma scosse la testa, come a cacciare via quel pensiero fastidioso dalla propria mente.
Aveva ormai imparato che a desiderare le cose non si giunge mai a niente se non all'insoddisfazione e al dolore.
Strinse forte i pugni fasciati da delle lise fasce bianche e le dita, quasi dello stesso colore. Quelle fasciature coprivano in parte le cicatrici sulle sue mani, argentei ricordi e moniti della sua vita di guerre e combattimenti. Non sarebbe riuscito a immaginare le proprie mani senza quelle imperfezioni: Era come cercare di immaginare un quadro senza dipinto, o un libro senza parole. Quelle cicatrici identificavano le sue mani e, nel loro piccolo, lo rendevano un cacciatore. Senza le battaglie che aveva combattuto e vinto, lui non era nessuno.
Will decise che era stato anche abbastanza tempo fermo lì. Prese la sacca di tela nera che aveva lasciato in un angolo e uscì, scendendo le scale al buio illuminato solo debolmente da qualche rara candela.
Faceva attenzione a scegliere, ogni volta, un luogo diverso. Non che nessuno avrebbe mai capito ciò che nascondeva, ovviamente, ma preferiva non dare nell'occhio. Come sempre.
La sala in cui arrivò era così colma di gente che si stupì di essere riuscito a entrarvi. L'aria era praticamente finita, troppo intrisa di fumo dolciastro e odori forti da animali in cattività. L'odore di alcol vecchio si spandeva per tutta l'area come un serpente pronto a colpire.
Will si avvicinò a spintoni al centro della sala, dove un'alta struttura di legno occupava una trentina di metri quadri. Il pavimento del ring era viscido di sangue appena versato, e ne richiedeva ancora. Sopra di esso due uomini, uno grosso e tarchiato, l'altro molto più alto ma esile, stavano cercando di uccidersi a vicenda, cosa che per un attimo fece ridere Will. Dalle mosse che usavano, sembrava che stessero per accoppiarsi, non combattere.
Dopo un forte pugno ben assestato, che persino Will apprezzò, quello alto finì al tappeto e l'arbitro proclamò il vincitore. Dopo che tutti ritirarono le loro vincite, Will si avvicinò al banco delle scommesse e vi scaricò la borsa che aveva a tracolla, che atterrò con un tonfo sul registro del bagarino. «Cinquecento sterline su di me.» disse, secco.
L'altro lo squadrò per intero, da capo a piede, per offrirgli, infine, una smorfia di derisione che Will si gustò a pieno. Non avrebbe scommesso neanche un penny sulla sua vittoria. «E se perdi?» chiese, con tono divertito.
«Non perderò.» e salì sul ring.
Si appoggiò alle corde ruvide che gli pizzicavano la schiena, guardando intorno a sé la folla che si andava avvicinando, cercando di capire cosa avrebbe potuto fare quel ragazzo basso e mingherlino sul ring. Will non sorrise della loro stupidità, ma aspettò. Vide il bagarino che lo aveva deriso parlare con l'arbitro e poi entrambi guardare verso di lui e sorridere. Ignorò anche le urla che venivano dalla folla che lo invitavano a scendere da lì, prima di farsi male da solo. Erano un coro di voci indistinte, perché tanto Will sentiva nella sua testa solo la musica di un violino.
Anche l'arbitro salì sul palco. Passando accanto a Will chiese il suo nome e quindi si mise nel bel mezzo del ring.
Will non si sorprese affatto di vedere, dall'altra parte della struttura, un gigantesco e muscoloso uomo pronto a farlo a pezzi con un sorriso crudele. C'era abituato a quei bei scherzetti da parte dei bagarini.
L'arbitro urlò per avere il silenzio, e il frastuono divenne un mormorio concitato.
Allungò un braccio verso l'avversario di Will. «Alla mia destra, Joshua, cento chili mai battuti su questo o altri ring.»
Un coro di giubilo si levò dalla folla, che divennero derisioni quando il braccio dell'arbitro additò Will. «Da questa parte, William. Settanta chili scarsi dal Galles, a giudicare dall'accento.» Era impossibile contenere le urla del pubblico, troppo ubriaco per calmarsi o respirare.
Due piccoli ding diedero il via alla lotta. Joshua decise di partire subito all'attacco sperando di schiacciarlo da subito. Will se la prese comoda, e aspettò che fosse ad appena mezzo metro da lui per spostarsi in un battito di ciglia e finire alle spalle del bestione, che finì con violenza contro le corde ruvide, uscendo un verso soffocato. Si girò con rabbia verso Will, e per un secondo gli parve molto simile a un dimenticato, con i lineamenti deformati dalla rabbia.
Alzò le enormi braccia per afferrarlo, ma Will fece in modo che esse afferrassero l'aria, tanto il ragazzo era veloce. Soffocò un riso nel vedere la sua espressione prima confusa, e poi furiosa. Quella era la parte più divertente. Il confonderli e spaventarli giusto un po', prima di mandarli al tappeto.
Stavolta, però, il suo avversario, era leggermente diverso. Will non si aspettava subito un altro attacco, e quindi non fu abbastanza veloce nello schivare il colpo che seguì.
Will, da cacciatore -e quindi da guerriero- qual era, incassò il colpo rimanendo in piedi. Joshua non lo attaccò di nuovo, ma aspettò che Will si girasse di lato e, con delicatezza, sputò sangue.
Allora Joshua caricò di nuovo, e Will salì sulle corde, mentre il bestione gli veniva incontro e saltò all'indietro, finendo con le gambe avvolte contro il collo dell'avversario. Un calcio ben assestato nello stomaco lo convinse ad abbassare le braccia che quello aveva alzato per afferrarlo come Cecily faceva con le bamboline. Si gettò all'indietro con tutto il suo peso, facendo perdere l'equilibrio a Joshua che cadde rovinando sul sangue secco. Will, dal canto suo, era saltato prima della caduta atterrando con grazia sui propri stivali, che si macchiarono appena. Poggiò uno di quelli stessi stivali sul petto ansimante dell'avversario e contò fino a tre.
Un altro ding segnò la sua vittoria.
Alzando lo sguardo, si accorse per la prima volta del silenzio che era sceso sulla sala. Scrollando le spalle scese dal ring, si riprese la borsa di tela con i soldi della sua vincita e chinò la testa a mo' di saluto, prima di farsi strada tra la folla ancora troppo sconvolta e terrorizzata per fare alcunché.

«Sempre a bighellonare in giro la notte, Will?»
«Come sempre, James. Ma stavolta ho qualcosa anche per te.»
Porse a Jem un pacchetto dall'involucro argenteo. Il suo parabatai lo guardò per un lungo secondo, prima di alzare lo sguardo su Will. «Come sapevi che l'avevo appena finita?»
Will si tolse il cappotto di lana appendendolo all'attaccapanni, sopra la borsa di tela. «Dovresti esserti abituato, amico mio. Io so sempre tutto.»
Jem sorrise, posando il pacchetto sul suo mobiletto. «E sentiamo, come avresti procurato i soldi nel bel mezzo della notte?»
Will sorrise appena, scrollando le spalle. «Come faccio tutto ciò che faccio, James. Sputando sangue.»

  
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