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Autore: Nadie    27/07/2013    1 recensioni
'E tu? Hai già fatto tutto quello che volevi fare prima di morire?'
'Assolutamente no'

[Ben e Prudence]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Temporale '
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I difetti della memoria
 

C’è troppa gente.
Decisamente troppa gente.
Credo proprio che la stazione della metropolitana di Dublino non sia mai stata più piena prima d’ora.
Tante persone compresse in una calca unica che sgomitano per riuscire a sedersi.
La gente non presta mai attenzione alle metropolitane.
Le vedono tutti come semplici laccetti che collegano un punto ad un altro, ma non è così.
Le metropolitane sono come luoghi di transizione e tra una fermata e l’altra, tutto può cambiare.
Nelle metropolitane non ci sono mai vie di mezzo. La metropolitana o arriva o non arriva più, dentro o c’è un rumore assordante o c’è completo silenzio.
Nelle metropolitane milioni di culture si fondono e le persone di tutto il mondo si incontrano, certo, per pochi attimi, ma si incontrano.
Già, perché in una metropolitana puoi incontrare chiunque.
«Dovrebbe arrivare tra pochi secondi…»
«Muoviti a prendere i posti, non fare il rincitrullito come al solito!»
Sento lingue diverse mischiarsi.
Sento alle mie spalle delle ragazze ridere e parlare velocemente. Sono cinesi… o forse giapponesi, non riesco a capire, di fianco c’è un gruppo di ragazzi inglesi che borbotta qualcosa riguardo ad un concerto.
Infilo gli auricolari nelle orecchie e le loro voci scompaiono.
E poi lo sento, il solito venticello che scuote i capelli, e la luce in fondo che si avvicina a poco a poco, ed arriva subito.
Le porte si aprono e le persone escono velocemente.
Tante persone.
Le guardo, le studio, le seguo attentamente con gli occhi.
Escono in fretta, qualcuno si saluta con un sorriso, qualcun altro si spinge.
E poi vedo uscire un ragazzo con i capelli scuri, spettinati, e gli occhi neri. Si guarda intorno, ha lo sguardo stanco, fa qualche passo avanti poi alza il capo e legge le scritte sui cartelli, si gira e si accorge che lo sto fissando.
E resta lì, immobile.
Gli occhi nei miei.
E mentre ci guardiamo, sento la gente scomparire attorno a me, sento il buio cadermi addosso e i giorni tornare indietro, sempre più indietro, sempre più indietro.
Indietro.
Indietro fino alla notte del 16 Dicembre di otto anni fa. Proprio in quella stazione.




Faceva freddo quella notte, molto freddo.
L’aria penetrava la carne e gelava le ossa.
La stazione della metropolitana di Dublino era deserta, deserta e meravigliosamente silenziosa, e le panchine vuote.
Incrociai le gambe e girai un’altra pagina del libro.
Non riuscivo proprio a leggere quella notte.
Tutte quelle parole che passavano per la mia testa non avevano alcun significato, le dimenticavo l’istante dopo averle lette.
Chiusi gli occhi.
Faceva così dannatamente freddo!
Sfregai le mani sulle braccia e mi guardai intorno.
C’era un ragazzo, piuttosto alto, che guardava confuso le rotaie, si voltò e si avvicinò alla mappa della metropolitana appesa al muro.
Seguiva con l'indice una linea verde.
Sospirò.
«E’ guasta.» dissi ad un tratto, con una nota di dispiacere nella voce.
Già, perché a dirla tutta mi faceva un po’ pena, quel ragazzo.
Sicuramente non era di Dublino, e sicuramente si era perso.
«Come?»
«E’ guasta, la metro intendo. La linea verde si ferma a Sandyford, da Central Park a Cherrywood non funziona, c’è stato un guasto.» sospirò.
«Perfetto! Perfettissimo, la perfetta conclusione di una perfetta serata del cavolo!» sembrava più disperato che arrabbiato.
Girai un’altra pagina del libro, fingendo di leggere.
«Una serata del cavolo!»
«Puoi prendere un autobus… credo, non lo so, dovresti provare a chiedere…»
Sbuffò e alzò le spalle.
«Non importa… grazie, comunque.» accennò un sorriso e gli feci l’occhiolino.
«Tu, tu che ci fai qui a quest’ora, se la metro è guasta?»
«Aspetto.»
Increspò le sopracciglia e mi guardò perplesso.
«Aspetti… cosa?»
«Aspetto. Qualcosa, qualcuno, non lo so. Io aspetto, prima o poi succederà qualcosa, no?» mi studiò attentamente, aveva gli occhi davvero scuri, i più scuri che avessi mai visto.
«Per curiosità, da quant’è che aspetti accada qualcosa, o arrivi qualcuno?»
«Da un bel po’, a dirla tutta.»
«E non è ancora successo nulla?» scossi la testa.
«Capisco. Be’, allora forse vuol dire che qualcosa o qualcuno sta aspettando te.»
«Forse» concordai.
Annuì, poi voltò lo sguardo verso le rotaie.
Le guardava distrattamente, e intanto pensava, non so bene a che cosa, però doveva essere qualcosa che lo turbava, lo si capiva dal modo in cui si mordeva il labbro e da come tamburellava con le dita sulla gamba destra.
Spostai una ciocca di capelli dietro l’orecchio e ripresi a fingere di leggere.
«Non ho la più pallida idea di come riuscirò a tornare a casa stanotte, per cui, ti dispiace se mi metto ad aspettare assieme a te?» lo fissai per un attimo, con uno sguardo tra lo stupito e il divertito.
«No… no, figurati» si avvicinò e si mise seduto di fianco a me.
La gente, di solito, preferiva evitarmi.
Mi guardava con occhiate di scherno, pensando fossi una teppistella di qualche sobborgo malfamato, e mi stava ben alla larga.
E a me andava benissimo così.
Non avevo mai cercato di farmi capire da qualcuno, non avevo mai elemosinato la compagnia di qualcuno, speravo solo, un giorno, di poter trovare qualcosa di diverso, qualcosa che gli altri non avrebbero mai visto nel modo in cui la vedevo io, e speravo di trovare una persona che l’avrebbe guardata insieme a me, una persona che mi somigliasse un poco.
Oppure presto avrei preso un treno anch’io e sarei sparita per sempre.
Ma quel ragazzo era diverso.
C’era, nei suoi occhi, qualcosa di diverso.
«Vieni qui spesso?»
«Tutte le volte che posso.» risposi, e chiusi il libro.
«Non hai una… una casa?»
«Dipende da cosa intendi tu per ‘casa’. Vivo in uno sputo di appartamento con mio fratello e mia madre. Ma non è ‘casa’ per me. E’ soltanto un tetto sopra la testa, ecco.»
«Dov’è tuo padre?»
«Non c’è. Non c’è più» annuì triste, e tornò a guardare le rotaie.
Sembrava uno che era appena stato deluso in modo imperdonabile.
Sembrava uno stanco, che non ne poteva più.
«E tu? Come mai sei qua?»
«Oh, io non sono di qua, vengo da Londra. Cercavo un po’ di pace da tutto il trambusto che c’è lì, sai.»
«Da Londra a Dublino? E perché?» si lasciò sfuggire una risatina. Ma non sembrava né divertito né felice, tutt’altro.
«Sono un attore da quattro soldi che sta cercando di diventare qualcuno. E ho appena mandato a fanculo la mia compagnia teatrale per fare un provino che già so di non aver passato.»
Mi morsi il labbro e abbassai lo sguardo sulle mie mani.
Sbuffai.
«Ma come fai a sapere già che non l’hai passato?» mi guardò basito.
«Non lo so. E’ una sensazione.»
«Caspita, sei un tipo ottimista tu, eh?!» rise. E stavolta era una risata sincera, così sincera che cominciai a ridere anch’io.
«Già» confermò.
Guardai le lancette dell’ enorme orologio appeso alla parete. Segnavano le tre e dodici minuti.
«Direi che non ho più bisogno di aspettare» mi alzai dalla panchina e mi misi la borsa a tracolla.
«Che significa? E’ successo quello che volevi succedesse?» annuii.
«E come fai a saperlo?»
«Non lo so. E’ una sensazione» sorrise e si alzò anche lui.
«Torno sotto… sotto il mio tetto.»
«Già, be’, io credo dovrò restare a dormire qui»
«Te l’ho detto, ci sono gli autobus che sostituiscono le fermate della metro, devi solo chiedere a che ora.»
«Sì, ora vado. Be’, allora, ci rivediamo magari, eh?!»
«Lo spero.»
E in fondo, lo speravo davvero.
 
 
 
 
 
Ebbene sì, l'ho fatto, ho inquinato il fandom di BinBons con la mia cagoserrima long, ed ora è troppo tardi per tornare indietro, quindi spero a Barnes non diaspiaccia.
No, okay, chiudendo la parentesi demenza, dico subito che non mi soddisfa assai, però confido in qualche saggio consiglio, magari.
Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di Ben Barnes, né offenderlo in alcun modo.
Grazie millissime ai lettori, silenziosi e non, mi eclisso.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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