Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: lady vasshappenin    28/07/2013    5 recensioni
Un modo per soffocarmi. Per soffocare tutto.
Se ce ne fosse stato solo uno, sarebbe stato più facile andare avanti senza pensare, ma purtroppo la mente di Giulia viaggiava sempre sui soliti chiodi fissi che la facevano sanguinare in silenzio: si sentiva soffocata dalla luce abbagliante di Melissa, dall'inaspettata voglia di volare in alto di Giacomo, dalla superbia di Chiara, dalla dolce innocenza di Emilio, dalla rigidità dei suoi genitori, dall'incoerenza della società in cui viviamo, dalle apparenze, dalla fiducia data a gente che non la meritava, da una classe opprimente, da una cattiva fama e da una marea di sogni irrealizzati e irrealizzabili.
Lei vorrebbe riuscire ad urlare al mondo cosa pensa davvero, ma ha perso le motivazioni per farlo. Riuscirà a ritrovare uno scopo per migliorare la propria vita? O saranno le motivazioni perdute a ripresentarsi alla sua porta in compagnia di qualcuno pronto a spronarla?
In un racconto pieno di vite che si intrecciano, vicende che si rincorrono e storie che si ripetono, Giulia riuscirà a lasciarsi il passato alle spalle una volta per tutte?
Nel tentativo di creare qualcosa di originale e creativo, vi propongo la mia nuova fanfiction.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

A way to suffocate me.



1° capitolo.
A come Andare in bagno.

 
SPLASH!
Un getto d’acqua fredda mi bagnò il viso e poi tutto il corpo, scorrendo incessante e riempiendo tutta la vasca. Amavo fare il bagno di mattina presto, quando ancora tutti in casa dormivano e non c’era un corri corri generale verso il bagno.
A casa mia, essendoci solo un gabinetto, prima e dopo i pasti, si scatena una vera e propria guerra tra me, i miei genitori e i miei fratelli! Io penso che la soluzione migliore sarebbe quella di prendere un numeretto davanti alla porta del bagno, creando una fila ordinata come quella che si forma in salumeria e iniziando ad avere, così, una parvenza di persone civili.
Ma si sa, quando scappa, scappa e non si possono trattenere certe urgenze, quindi l’idea dei numeretti ad ogni modo sarebbe inutile. Finiremo solo per creare ancora più confusione di quella che normalmente possiede il nostro appartamento.
Avere una famiglia composta da sette componenti è abbastanza problematico, specie la mattina prima di andare a scuola, quando non puoi entrare in bagno perché è occupato dalla tua sorella maggiore che parla con il suo fidanzato, o dal tuo fratello più grande che si fa la barba, o dalla tua sorellina di otto anni che si improvvisa truccatrice professionista o dai tuoi genitori sempre di fretta, che si lavano i denti mentre parlano al telefono in inglese di trattative con qualche strana società asiatica dal nome impronunciabile.
Fortunatamente Emilio, il mio fratellino più piccolo, porta il pannolino e non concorre ancora alla lotta giornaliera per il possesso dei gloriosi cinque minuti di meritato relax sul “trono”.
Giocherellai un po’ con i piedi, schizzando un po’ d’acqua saponata ai bordi della vasca. Penso che il bagno sia la mia stanza preferita. E’ vero, bisogna vincere una gara di velocità per entrarvi, ma è l’unico posto in cui posso avere un po’ di pace.
Nelle altre stanze c’è sempre qualcuno che grida, parla, chiacchiera o litiga: nemmeno la mia cameretta è un luogo tranquillo, visto che sono obbligata a condividerla con quella rompiscatole di mia sorella Melissa, convinta che il mondo le ruoti attorno solo perché mezzo liceo la venera come se fosse una dea greca, e con la piccola di casa, Chiara, la bambina più viziata e capricciosa che abbia mai conosciuto in vita mia.
Penso che la mia stanza sia perlopiù il luogo in cui sono costretta a dormire, non ci trascorro molto tempo, non mi va di fare la candela mentre mia sorella esplora le cavità orali del ragazzo oggetto di turno oppure di vedere come tutte le mie vecchie bambole, che ho sempre trattato con cura, perdano la testa, gli arti o gli occhi per opera di quella piccola peste.
Le altre zone della casa sono quasi peggio di camera mia, pensandoci: la cucina è continuamente affollata, soprattutto durante i pasti, la camera dei miei genitori funge anche da studio quindi, se non si vuole assistere alle loro manifestazioni d’ira per averli interrotti in un momento cruciale nell’organizzare ed ultimare il lavoro portatosi a casa, è raccomandabile non varcare la soglia di quella porta e la camera di Emilio è il posto meno indicato per rilassarsi, visto che i bambini piccoli hanno la cattiva abitudine di piagnucolare continuamente. La camera di mio fratello Giacomo, il maggiore di casa, invece, è proibita a tutte le donne di casa. Sulla sua porta c’è un cartello uguale al divieto d’accesso con scritto su ‘NO WOMEN HERE’.
Quando ero piccola pensavo che nascondesse chissà quale segreto misterioso sotto il letto, qualcosa di magico come uno scrigno pieno di tesori o la lampada di un potente genio.
Crescendo, però, ho capito che si trattava solo di una questione di privacy, visto che in casa nostra è un concetto sconosciuto. Probabilmente non voleva che la mamma frugasse tra i suoi cassetti o che Chiara si divertisse a strappare i suoi amati poster e gli davo perfettamente ragione: se avessi avuto una camera tutta per me, avrei messo una decina di lucchetti alla serratura per allontanare i curiosi e gli impiccioni, due categorie a cui tutti i miei familiari appartengono. Non ho mai avuto il desiderio di curiosare in camera di mio fratello: se esige un po’ di rispetto per la sua vita privata, mi sono detta, chi sono io per violare la sua privacy? Ma, come sempre, Melissa, qualche mese fa, mi ha fatto cambiare idea.
Eravamo in camera nostra, ognuna sdraiata sul proprio livello del letto a castello. Il piano più in basso era vuoto perché Chiara era alla festa di compleanno di qualche suo amichetto petulante e odioso, mentre il letto a metà altezza era occupato da una Melissa intenta a passare lo smalto rosso su quei cerchietti pieni di pellicine alla fine delle sue dita che lei ha l’ardire di chiamare unghie.
Io dormo nel letto più alto. Da piccola mi piaceva salire la scaletta di metallo e guardare tutta la camera dall’alto, ma adesso sono cresciuta e la scelta del letto più alto non è stato un vantaggio, anzi: ormai riesco a toccare il soffitto alzando una gamba e la cosa inizia a darmi un forte senso di occlusione, soprattutto nelle nottate più calde, quando mi manca l’aria a causa dell’afa.
Quel giorno avevo il cellulare in mano ed ero intenta a messaggiare con una delle mie migliori amiche, Alice, che mi stava raccontando le novità riguardanti il nuovo tour di Demi Lovato, quando ho avvertito un colpo sferrato al mio materasso. Mi sono affacciata dal letto e ho detto a Melissa «Sei una belva, perché mi hai dato un calcio?».
Lei, soffiando sulle unghie appena smaltate, mi ha risposto, ghignando «Mi scocciavo a chiamarti e pensavo che, con un calcio, ti saresti degnata di rispondermi.»
Che ragionamento è?! Non penso esistano persone così idiote e detestabili su questo pianeta, mia sorella è un diavolo dalla lingua biforcuta che ama torturarmi e penso che dovrebbe esistere la pena capitale per chi si diverte ad infastidire le proprie sorelle minori, dovremmo essere tutelate come una specie in via d’estinzione da qualche associazione come il WWF.
«Melissa, sinceramente, vaffanculo!» e, detto questo, ritornai alla mia posizione iniziale, ovvero stesa sul letto con il cuscino tra le gambe e il cellulare tra le mani. Dopo nemmeno due secondi mi arrivò un secondo calcio, ancora più forte del primo.
Mi sono sporta nuovamente dal letto, stavolta molto più arrabbiata di prima. So di avere una soglia di sopportazione molto bassa, ma con una sorella come Melissa questo è il massimo che riesco a tollerare.
«Che diavolo vuoi?» le sbuffai contro.
«Mi chiedevo …» e sospese la frase, aspettando che io le chiedessi di continuare. Ormai sono abituata a stare ai giochetti di mia sorella; se non facessi così, penso che la mia vita sarebbe ancora più infernale di quanto già non sia.
Sforzandomi di compiacerla, le chiesi «Ti chiedevi?».
Avendole dato l’input, la mia “adorata” sorella maggiore mi regalò uno dei suoi sorrisi accattivanti e continuò a parlare.
«Beh, mi chiedevo che ne pensassi di Giacomo.»
Per un attimo credetti di aver capito male. Mi sembrava strano che la reginetta del quartiere mi chiedesse cosa ne pensassi di un essere umano, visto che l’unico parere che contava, alla fine, era sempre e solo il suo, sia a scuola, che a casa, che in qualsiasi altro luogo.
E poi era noto a tutto il paese che tra Melissa e Giacomo non corresse buon sangue. Pur essendo quasi coetanei e avendo lo stesso dna, vivevano in due mondi opposti. Melissa era la stella della scuola, con la sua luce eclissava chiunque nel raggio di chilometri. Melissa aveva avuto una vita amorosa più intensa di quella di una star del cinema hollywoodiano, aveva decine di rubriche piene di numeri telefonici affiancati da nomi maschili che andavano dalla A alla Z, comprendendo le lettere straniere. Melissa suonava il basso nella band pop-rock più famosa dei dintorni ed era diventata la più popolare del gruppo, la sua fama batteva anche quella della solista. Era abituata a stare al centro del mondo da anni, forse da sempre.
Giacomo, invece, viveva di libri e sui libri passava i suoi pomeriggi. Giacomo era il primo della classe, un vero e proprio genio che, però, non si vantava della sua strabiliante intelligenza e degli ottimi voti che costellavano le sue pagelle. Giacomo trascorreva i suoi sabati assieme ai suoi amici nerd a giocare ad Assassin’s Creed 3 alla playstation oppure chiuso in camera sua, da solo, a creare non si sa cosa con il suo computer. Giacomo era invisibile, oscurato anche lui dalla luce abbagliante ma inconsistente della propria sorella.
Se avessero fatto parte di qualche compagnia teatrale, Melissa sarebbe stata  la fortunata incompetente che, sfoggiando unicamente il suo sorriso perfetto, avrebbe ottenuto il ruolo della protagonista, diventando la beniamina del pubblico, mentre Giacomo sarebbe stato lo scenografo geniale rimasto dietro il sipario, senza prendersi il merito di quello che, con estrema pazienza e bravura, aveva creato.
Sì, era un paragone azzeccato, ma suonava comunque strano. Era assurdo che due personaggi del genere potessero coesistere nello stesso mondo, anche nella vita reale. Riflettendoci, infatti, veniva difficile credere che sullo stesso pianeta potessero vivere persone come Melissa e allo stesso tempo gente come Giacomo.
Fu mia sorella a riportarmi alla nostra discussione. E, come sempre, fu molto gentile nel farlo.
«Pronto? Sei entrata in coma? O sei alla ricerca dell’unico neurone funzionante che ti rimane?».
Oh, ma quanto può essere dolce quella sottospecie di cercopiteco strabico con cui sono costretta a vivere?
«Scusa, stavo pensando, un’attività celebrale forse a te sconosciuta a quanto pare.»
«Sì sì, blatera pure. Io ti avevo fatto una domanda e tu ancora non mi hai dato una risposta.»
«Beh, sinceramente non so che dirti. E’ mio fratello, gli voglio bene e penso che sia un ragazzo apposto. Forse esageratamente fissato con quei difficilissimi giochi di ruolo che solo lui e un’altra decina di persone riescono a completare, ma è apposto.»
Pensavo di aver risposto in modo esauriente, ma probabilmente non era quello che Melissa si aspettava di sentire. Così, lanciandomi un dei suoi sguardi diabolici, mi disse «Ne sei proprio sicura?».
«Beh, sì. Cavolo, se Giacomo non è un bravo ragazzo, chi altri lo è?»
E poi mia sorella fece una smorfia che detesto, quella con la quale vuole sottolineare quanto mi sia superiore e quanto io sia ingenua.
«Ah povera piccola Giulietta, davvero credi ancora che la gente sia come si mostra agli altri?»
Perché doveva sempre trovare il modo per biasimarmi, per ribadire per l’ennesima volta la mia scarsa acutezza e il fatto che mi fido troppo delle apparenze? Amava sminuirmi e trasformarmi in una bambinetta con qualche anno in più di Chiara  solo utilizzando quell’odiosissimo diminutivo del mio nome.
Lei non è mai stata chiamata Melissina o Melissuccia in vita sua, non può capire che tremenda sofferenza sia essere chiamate con un nomignolo così melenso.
Odio quando mi chiamano Giulietta. Ho quindici anni, è assurdo che ancora i miei parenti mi chiamino così. Quando andiamo a trovare le zie di mio padre raggiungo il culmine dell’umiliazione.
Zia Maria e zia Angela sono due vecchiette novantenni consacrate al Movimento dei Focolari che vivono in una casetta pericolante in mezzo alla campagna. Sono due gemelle e, come tali, sembrano due pezzi complementari dello stesso puzzle: una è esageratamente magra e l’altra avrebbe sicuramente bisogno di dimagrire, una è mezza cieca e l’altra è mezza sorda, una ama cucire e l’altra cucinare. Spesso l’una completava le frasi dell’altra e bastava un semplice sguardo d’intesa per capire che stavano pensando alla stessa cosa.
Ho sempre invidiato il loro rapporto, Melissa e io riusciamo a stento a non litigare per più di un quarto d’ora, non è mai esistita alcuna intesa tra noi. Forse è un fattore presente solo nei gemelli o, più probabilmente, è un legame causato dal carattere simile.
Anche se spesso le zie litigano a causa di idee e pensieri divergenti, le loro liti sono brevi e superficiali; insomma, appena finita la burrasca, torna la pace tra di loro.
Tra me e Melissa la situazione è completamente diversa: non essendoci mai stato tra noi un bel rapporto di sorellanza, i nostri frequenti litigi sono seguiti da silenzi pesanti che si prolungano anche per giorni o settimane. Non abbiamo mai avuto molte cose in comune, condividiamo solo la casa, la camera e i familiari.
Le zie, invece, hanno molte passioni comuni, tra le quali l’amore nell’umiliarmi. Non lo fanno intenzionalmente, anzi, sono fin troppo affettuose, ma mi fanno sentire  stupida.
Appena mi vedono, prima mi strangolano con i loro abbracci a dir poco calorosi, poi mi lavano la faccia inondandomi di baci e, infine, fanno qualche passo indietro, prendono gli occhiali per mettere a fuoco la mia persona e iniziano a cinguettare “Oddio, quanto è cresciuta Giuliettina”, “Sei diventata un signorina Giuliettuccia, dobbiamo fare un discorsetto”, “Sei troppo magra bambina, ti va se ti prepariamo i biscotti che ti piacevano tanto quando avevi quattro anni?”.
Ecco, infatti, mi piacevano quando avevo quattro anni, sono passati più di dieci anni da allora. E in realtà non mi piacevano nemmeno, li mangiavo per educazione.
Con Melissa si comportano diversamente, la salutano con distacco, sono gentili, ma non affettuose. Ho sempre pensato che mia sorella incuta loro paura: la ritengono la prova che il nuovo millennio stia rovinando le ragazze, rendendole sempre più simili a delle sgualdrine svestite e senza il minimo segno di pudore.
Melissa è sempre stata abbastanza sveglia per la sua età, questo è anche vero, ma penso che la loro convinzione sia completamente errata. Mia sorella non è stupida, può essere ignorante e svogliata, ma sa gestire sempre le situazioni in cui si caccia, anche le peggiori. Se la vita amorosa di mia sorella fosse una frase, potrei farne una rapida analisi logica: i suoi spasimanti sono tutti complementi indiretti, non indispensabili al completamento della frase, il complemento oggetto non esiste, lei è il verbo passivo, senza di cui la frase non sarebbe potuta esistere, ed è anche il soggetto, visto che su di lei ricadono tutte le azioni, le attenzioni e i gesti affettuosi. E’ fin troppo furba, non è una cosiddetta ragazza facile.
Non è di sicuro un’adolescente pudica, ma non risponde nemmeno all’idea che si sono fatte di lei le zie. Probabilmente in lei vedono come Satana possa influire nella vita della gioventù del duemila e forse è proprio per questo che con me si comportano diversamente. In me vedono una luce che mi potrebbe condurre in salvezza, per questo, ogni santa volta che andiamo a trovarle, mi obbligano a trascorrere il pomeriggio a recitare il rosario in loro compagnia in una cappella che hanno creato nella stanza più buia della casa.
E’ illuminata da sole candele, ovunque ci sono quadri e immaginette della Madonna, di Gesù e dei santi e al centro della stanzetta c’è un leggio su cui è posta la Bibbia.
Ogni volta che entrano in quel luogo di culto creato da loro, profumano il libro sacro abbondando con l’incenso. In una specie di cella dove imposte sono sempre chiuse, l’unica luce è quella prodotta da centinaia di cerini e si respira più incenso che ossigeno, la morte sembra più che altro un sollievo.
Nei sogni di quelle due vecchie vestali c’è forse quello di spedirmi in un convento di clausura e di farmi prendere i voti? Loro hanno scelto una forma di clausura che io ritengo decisamente peggiore di stare in convento: si sono estraniate dal mondo vivendo lontano da tutto e tutti, cibandosi di ciò che il loro orto produce o delle galline che accudiscono. Hanno scelto un tipo di vita che io non avrei mai scelto e che mai sceglierò.
Mi accorsi, però, di aver ricominciato a pensare troppo, estraniandomi di nuovo dalla conversazione con Melissa.
«Beh, allora illuminami,» le risposi, prima che mi attaccasse con qualche altra stupida battuta,  «dimmi cosa ne pensi di nostro fratello.»
«Per prima cosa penso che non sia un santo, anzi. Per me ci nasconde molti aspetti del suo carattere. In realtà è tutto l’opposto di quel bravo ragazzo che sembra.»
«Melissa, perché dici questo? Perché vuoi vedere del marcio ovunque?»
«Io sto dicendo solo quello che penso. Ti sei mai chiesta perché nostro fratello ci proibisce di entrare nella sua camera da letto?»
«Forse vuole solo un po’ di privacy.»
«Questo lo penso anche io. Ma perché vuole tutta questa privacy? Perché ha qualcosa da tenere nascosto. Qualcosa che possa screditarlo agli occhi di tutta la famiglia, qualcosa di cui si vergogna.»
Iniziavo ad intuire cosa volesse insinuare, ma continuai ad essere vaga e a chiedere spiegazioni.
Speravo di sbagliarmi.
«In che senso?» le chiesi timidamente.
«Nel senso che secondo me Giacomo passa i pomeriggi davanti al computer a vedere alcuni video d’argomento equivoco. E non vado oltre, non voglio sentirmi in colpa per averti bloccato la crescita.»
No, non mi sbagliavo, avevo capito dove mia sorella voleva andare a parare. All’inizio mi venne da ridere, mi sembrò una storia troppo assurda per essere vera. L’assurdità, piano piano, però, mi sembrò sempre più realistica, seguendo quella tesi tutto combaciava.
«Da quanto lo pensi?» le chiesi.
«Beh, ormai saranno cinque o sei mesi. Vorrei averne la conferma però …»
«Hai intenzione di entrare in camera sua?!» esclamai alzando il tono di voce.
Mia sorella mi zittì con un sonoro “shh” e, con voce piuttosto bassa, rispose «Certo che sì, non c’è altro modo.»
Sapevo che mia sorella avrebbe varcato la soglia di quella camera senza alcuno scrupolo e che non si sarebbe limitata a curiosare sulla cronologia del pc. Sapevo, inoltre, che se avesse scoperto qualcos’altro di altrettanto ghiotto, lo avrebbe tenuto per sé, senza farne parola con nessuno, men che meno con me.
Scesi dal letto e uscii dalla camera con la scusa di voler sgranocchiare qualcosa, ma in realtà mi fermai davanti alla porta della stanza di Giacomo: mio fratello non sarebbe rientrato prima delle sei, ora in cui terminava il corso d’inglese che frequentava tre volte a settimana per prepararsi a conseguire l’esame FIRST, quindi avevo campo libero. Diedi una veloce controllata intorno prima di afferrare la maniglia della porta, ma, sfortunatamente, la trovai chiusa a chiave.
Mi sentii improvvisamente osservata, così mi girai di scatto e ai miei piedi ritrovai Emilio che gattonava nella mia direzione. Dall’espressione soddisfatta stampata sul suo viso immaginai che fosse riuscito dopo diversi tentativi ad evadere dal suo box.
Lo presi in braccio e lui scoppiò in una sonora risata. In un altro momento quel suono mi avrebbe deliziato e mi sarei imbambolata davanti al mio dolcissimo fratellino, ma in quel frangente la sua risatina avrebbe potuto smascherare il mio piano, così, presa dal panico, gli feci segno di fare silenzio.
Forse, fraintendendomi, aveva capito che gli stessi proponendo qualche strano gioco del silenzio perché, sorridendo, ripeté il mio stesso gesto. Ho sempre detto che l’unica persona normale che vive in questa casa oltre me è questo piccolo genietto!
Mi mossi verso la mia camera da letto cercando di non fare alcun rumore e, rasentando il muro, mi affacciai dalla porta per vedere se Melissa avesse sentito qualcosa.
La trovai seduta sulla poltroncina davanti alla scrivania con due gigantesche cuffie nelle orecchie e, da come simulava di suonare una chitarra, si poteva ipotizzare che il volume fosse al massimo e che, di conseguenza, non avesse sentito nulla. Pericolo scampato!
Mi diressi in cucina e presi un biscotto per Emilio, nel caso in cui avessi avuto il bisogno di tenerlo impegnato per farlo tacere.
Nel frattempo guardai l’orario dal grosso orologio giallo con i limoni che mia madre aveva fatto appendere sopra la cappa del forno. Segnava le 17.13, avevo poco meno di un’ora prima che mio fratello tornasse a casa. Svicolai in corridoio e mi ripresentai davanti alla porta chiusa a chiave. Poggiando Emilio sul pavimento, cercai di forzare la porta con le mani, senza riuscirci.
In quel momento rimpiansi di non utilizzare le forcine per capelli, ho visto così tanti film in cui le adolescenti riuscivano in meno di un minuto a scassinare qualsiasi tipo di serratura utilizzandone una e in quel momento sarebbe stata l’ideale.
Quando avevo raggiunto il picco dell’esaurimento e stavo valutando l’idea di buttare la porta giù a pedate, mi sentii tirare il piede: era Emilio che, essendosi accorto del biscotto che tenevo in mano, esigeva la sua merenda. Sconfortata e insoddisfatta, mi chinai alla sua altezza e gli diedi distrattamente lo snack. Poi tornai a guardarlo con più attenzione e mi resi conto che teneva in mano un portachiavi rosso a forma di G da cui pendeva una piccola chiave ramata.
I miei occhi tornarono a brillare e la speranza di soddisfare la mia curiosità ricomparve nella mia testa.
Utilizzando il tono più dolce che conoscessi e cercando di scandire le parole e di gesticolare per rendermi il più comprensibile possibile, chiesi ad Emilio «Emi, dove hai trovato quella chiave? LA-CHIAVE. C-H-I-A-V-E.»
Dopo diversi tentativi, il bambino sembrò recepire il messaggio e, balbettando monosillabi senza alcun nesso logico, indicò lo zerbino ai piedi della porta.
Ma come non c’ero arrivata? Era più che normale che fosse lì.
Forse sopravvaluto troppo Giacomo a volte e penso che le soluzioni troppo comuni non siano le sue predilette. Ovviamente mi sbaglio, come sempre d’altronde.
Mi godetti immensamente il cigolio che fece la porta quando finalmente si aprì. Presi in braccio il mio fratellino e mi tuffai in quel rifugio buio.
Accendendo la luce, mi stupii dell’ordine che regnava in quella stanza: non un libro era in disordine, il letto era perfettamente sistemato, la scrivania era stata recentemente spolverata e i vestiti non ricoprivano il pavimento, bensì erano piegati nei loro cassetti.
Troppo ordine per un ragazzo. Troppo ordine per me. Mi bruciavano gli occhi davanti a tutte quelle cose sistemate al loro posto, a quella pulizia maniacale. Era anormale, sembrava una di quelle camere modello che si trova nei negozi di mobili.
Cercando di non toccare nulla e di non lasciare traccia del mio ingresso in quel mausoleo dell’ordine, mi avvicinai al computer di mio fratello.
Fortunatamente lo trovai acceso e non fui costretta a dovermi scervellare per indovinare una possibile password d’accesso al sistema.
La prima cosa che mi stranì fu lo sfondo del pc: era una foto di mio fratello con una moretta occhialuta che mi ricordava tantissimo Edna Mode degli Incredibili che non avevo mai visto prima.
Che io sapessi, mio fratello non aveva amiche femmine. Che si fosse fidanzato?
No, che assurdità! Mio fratello poteva anche navigare su siti poco raccomandabili, ma che avesse una ragazza era surreale. Lui era convolato a nozze anni prima con la Playstation, quello sì che era il suo primo vero ed unico amore.
Smisi di gingillarmi e aprii internet, accedendo alla cronologia.
Trovai lo stesso link ripetuto più e più volte. Cliccai nel più recente e mi apparve una pagina di log in della Mondadori Giovani. Mi chiesi immediatamente cosa servisse a mio fratello un account su un sito editoriale e per un attimo mi dimenticai di ciò che mi aveva detto Melissa.
Serviva un nickname e una password per accedere al sito e, conoscendo quello smemorato di Giacomo, avrei trovato entrambi i dati appuntati in un post-it sulla scrivania.
Fu difficile trovare il suddetto fogliettino e ancora più difficile fu mantenere l’ordine mentre lo cercavo. Lo trovai attaccato alla copertina del suo libro di letteratura greca e, dopo aver digitato i dati al pc e aver cliccato il tasto “invio”, mi spuntò un’ulteriore pagina.
Mi salutava con caloroso “Ciao Giacomo Leonardi, ci sono novità per te!” e subito sotto, in grassetto, c’era un gigantesco “Clicca qui per saperne di più!”.
Mi apparve una lettera da parte della Mondadori Autori che comunicava a mio fratello che il suo manoscritto aveva vinto un fantomatico concorso editoriale, che, con le opportune revisioni, sarebbe stato pubblicato entro la fine dell’anno e che attendevano al più presto una risposta.
La rilessi un paio di volte prima di capire che mio fratello avrebbe pubblicato un suo libro.
Poi mi spuntò un interrogativo nella testa: ma da quando mio fratello scriveva? E cosa mai scriveva?
Scesi più giù con il cursore e trovai il manoscritto revisionato. La curiosità mi mangiava viva, cliccai il pulsante per stampare il brano e la stampante iniziò a sputare un centinaio di fogli.
Riuniti tutti in un fascicolo e lasciando la pagina della Mondadori aperta, curiosai ancora tra la cronologia.
Non trovai praticamente nulla di sconcio e, dopo la recente scoperta del talento nascosto di Giacomo, l’idea che trascorresse i suoi pomeriggi a guardare zozzerie varie ritornava ad essere un’idiozia.
Non so quanto tempo esattamente fosse passato, ma sentii lo sbattere della porta d’ingresso. Il cuore mi salì in gola: doveva essere Giacomo.
Non ebbi il tempo di chiudere internet, presi velocemente in braccio Emilio, afferrai con la mano libera il fascicolo di fogli, uscii dalla stanza, chiusi la porta e rimisi la chiave al suo posto.
Appena posata la chiave, mi girai e vidi Giacomo che mi fissava.
«Cosa stai facendo?»
Sembrava abbastanza irritato, se non quasi spaventato e ormai sapevo il perché. Aveva paura di non riuscirci, ecco perché non ne aveva fatto parola con nessuno. Buttava sangue su un foglio Word ogni pomeriggio solo per sentirsi qualcuno, per uscire dall’anonimato, per non essere invisibile anche questa volta.
Mi sentii colpevole, sia per aver pensato male di lui che per aver violato la sua privacy. Cercai, però, di sembrare il più innocente possibile.
«Ciao Giacomo, finito di già il corso d’inglese?»
«Direi, sono quasi le sei e mezza! Ma non cambiare discorso, che ci fai davanti alla mia camera?»
«Ma niente, tranquillo, ehm, devi sapere che stavo portando Emi in cucina. Lui però si è messo a giocare … Con il mio bracciale, ecco, quello con il segno dell’infinito che mi ha regalato mamma per il compleanno, ti ricordi? Lo ha rotto ed è volato non si sa dove. Lo stavo per l'appunto cercando per terra … Sono disperata!»
Inizialmente studiò il mio volto, come per capire se dicessi o no la verità, allora accentuai la mia espressione triste. Dopo un po’ rilassò i suoi tratti, probabilmente aveva deciso che non stessi mentendo.
«Oh, okay. In caso, vuoi una mano?»
Fingendo di sentirmi improvvisamente sollevata, gli sorrisi e gli dissi con tono melenso «Mi faresti un enorme favore, guarda! Tu controlla qui, io vedo un po’ in camera mia e nel mentre poso questo mucchio di fotocopie che mi ha portato una mia compagna di classe. Sai, la mia professoressa di scienze è pazza, ci ha assegnato un centinaio di pagine da studiare per la prossima verifica e, per giunta, non sono nemmeno pagine del nostro libro di testo!  Non ne parliamo o inizio ad innervosirmi!» e con un gesto veloce lo liquidai.
Non sono mai stata una brava bugiarda, ma Giacomo è peggio di un bambino, crede a tutto e a tutti. Probabilmente crede ancora in Babbo Natale anche se ha quasi 18 anni.
Dopo un po’ Giacomo uscì di camera sua furente e corse rabbiosamente verso la mia stanza.
La mia fine sarebbe stata lenta e dolorosa, ne ero cosciente. Mi preparavo ad una sfuriata e anche a qualche schiaffone quando vidi mio fratello accanto alla porta: era livido dalla rabbia.
Ma non venne dalla mia parte, anzi, si diresse verso la poltrona su cui era spaparanzata Melissa. Le tolse bruscamente le cuffie e gli urlò a squarciagola «COME TI SEI PERMESSA AD ENTRARE IN CAMERA MIA E A CURIOSARE TRA LE MIE COSE SUL COMPUTER?!»
Le gridò contro per circa mezz’ora, urlando frasi sconnesse piene di rabbia e di imbarazzo. Mia sorella lo riteneva evidentemente matto, lo guardava con sguardo spaventato ed si vedeva chiaramente che non avesse capito una sola parola di quello di cui blaterava a tutto volume Giacomo.
Mio fratello aveva sbagliato nell’individuare la colpevole, era ovviamente più probabile che la colpa fosse di una ragazza malefica come Melissa che di una sciocca ingenua come la suddetta. Mi ricordo ancora che per un paio di settimane Melissa guardò con vergogna e paura Giacomo, impaurita dal fatto che qualche suo amico avesse potuto scoprire che lei era imparentata con un malato di mente che aveva attacchi di rabbia improvvisi e non prevedibili.
Fino ad oggi non ho mai detto a Melissa della mia irruzione in camera di nostro fratello, come ancora Giacomo non ha reso pubblico in famiglia il suo ingresso nel mondo degli scrittori e sono passati già diversi mesi, tra cui un’intera estate in mezzo.
Ho letto il manoscritto di Giacomo e, appena sono arrivata alla conclusione, sono scoppiata in lacrime. Piango spesso dopo aver letto qualcosa che mi appassiona tanto, ma la sua storia mi a toccato particolarmente.
Ha scritto di un ragazzo che si sente solo anche in mezzo alla gente, di un adolescente che il sabato sera, invece di ballare fino alle tre di notte o di fumare uno spinello in gruppo, preferisce diversificarsi dalla massa, con le dovute conseguenze. La conseguenza peggiore è quella di sentirsi continuamente eclissato, invisibile davanti a qualsiasi altra persona, relegato nel gruppo degli sfigati pur non sentendosi tale. Come un uccello con le ali tarpate, non può prendere il volo per colpa di una società che lo confinava in un abisso buio. La faccenda peggiora quando anche i suoi parenti si dimenticano di lui, fanno finta che non esista e sminuiscono i suoi successi, sia piccoli che grandi, dando tutto per scontato. Questo ragazzo inizia quindi a pensare di mettere fine a tutto, vuole fuggire, andare in un posto da cui non avrebbe fatto più ritorno.
Ma poi arriva LEI e lo salva. Nel manoscritto era chiamata come “l’angelo custode”, una figura angelica perfetta con le sue imperfezioni, un angelo fuori da ogni convenzione che viene allontanato dagli altri angeli per il suo carattere e i suoi pensieri diversi dalla massa. Appare al ragazzo in sogno, prima che sia troppo tardi, e gli racconta la sua storia, una storia triste tanto quanto quella del ragazzo.
Da allora lei gli apparirà ogni sera in sogno, lo convincerà ad andare avanti fregandosene delle critiche altrui e lo aiuterà a diventare più forte. Anche se tutto questo accade solo nella sua mente, il ragazzo inizia ad innamorarsi di questa figura angelica, prova un senso di devozione nei suoi confronti.
Una sera, in uno dei tanti sogni, lui le dichiara il suo amore e lei gli confessa che ricambia i suoi sentimenti. Ma, purtroppo, il loro è un amore irrealizzabile, agli angeli non è concesso innamorarsi. Quella sarà l’ultima volta che si vedranno, è lei che decide di mettere un punto a quella lunga catena di incontri, non vuole vederlo soffrire per un sentimento che non può esistere tra loro.
Il sogno finisce con i due che si scambiano un bacio a stampo, un’azione che costerà all’angelo più di quanto potesse pensare.
Il ragazzo torna alla sua vita, scrive un libro e riesce a farsi conoscere da tutti per com’è davvero. Anche se non è più invisibile, però, conserva nel suo cuore il ricordo del suo angelo custode, sperando sempre di poterla rivedere.
Nel frattempo, l’angelo, per aver disubbidito alle leggi divine, viene giudicato da una corte suprema che la reputa indegna di meritare l’immortalità e la confina sulla Terra a vivere la vita di una qualsiasi adolescente mortale. Se, però, si fosse comportata bene durante la sua vita mortale, come tutti gli altri uomini, avrebbe potuto ambire ad un posto in paradiso, ma mai più avrebbe avuto il privilegio di appartenere alla sfera angelica.
Agli altri angeli questa sembrava una punizione esemplare. A lei no, a lei sembrava un premio.
Il romanzo si conclude con la ragazza che, ormai priva di ali, cade sulla terra con un pensiero fisso: trovare il ragazzo che le aveva rubato il cuore.
Non so cosa mio fratello avesse inventato di quella storia, ma sapevo che c’era una parte di lui in quel romanzo, una parte concreta, reale e non solo un pezzo della sua anima. Inizialmente mi vergognai di averlo letto, era come se lo avessi messo a nudo, scoprendo tutto ciò che provava.
Poi mi resi conto che Giacomo aveva scritto quel testo proprio per farsi conoscere, per togliersi dalla coscienza un peso che lo opprimeva ormai e per uscire da una vita che non lo rispecchiava in pieno. Da quando ho finito di leggere il manoscritto, ho più stima nei confronti di mio fratello.
Anche io mi sento spesso eclissata, lui ha avuto il coraggio di provare a brillare di luce propria e, anche se il barlume è ancora fievole, ci sta riuscendo. Vorrei avere la stessa forza per riuscire a sbarazzarmi di un passato di cui non vado fierissima.
E, mentre pensavo a tutte queste cose e mi infilavo l’accappatoio, sentii la sveglia che suonava. Erano di già le 7.00, di li a poco sarebbe scoppiata la guerra per andare in bagno. Mi guardai allo specchio con aria amareggiata: anche quel giorno mi sarebbe toccato andare a scuola con i capelli bagnati!
 
Spazio dell’autore
 
Ciao gente! Sono lady vasshappenin, aka Let it Be_ (ho cambiato nickname). Il mio vero nome è Roberta, ho 15 anni e frequento il liceo classico. Scrivo spesso e ho messo tempo fa altre fan-fiction su questo profilo, ma, visto che sono cambiata molto in questo ultimo periodo sia negli interessi che nello stile, penso che verranno presto rimosse. Avevo infatti scritto della storie sui One Direction, ma ultimamente sto odiando le fan-fiction riguardanti persone reali, mi sembrano stupide, non so esattamente il perché. Ho iniziato a scribacchiare questa fan-fiction di mia invenzione qualche settimana fa, appena conclusasi la scuola.
La mia protagonista è Giulia Leonardi, una ragazza italiana di 15 anni diversa dalle altre. In questo capitolo non la si conosce molto, più che altro si parla della sua famiglia, dei suoi fratelli e della lotta per raggiungere il bagno la mattina, ma ho già in mente il suo carattere e ve lo farò conoscere molto presto.
Pensavo che questo capitolo si sarebbe sviluppato diversamente, ma poi ho deciso di puntare l’attenzione sulle persone con cui convive Giulia. L’ambiente in cui si cresce, d’altronde, è decisivo per la formazione del carattere di una persona.
Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, so che è abbastanza lungo, ma non sono riuscita a mettere un freno alla mia immaginazione. Se volete contattarmi, mandatemi un messaggio privato oppure cercatemi su Tumblr, nella mia presentazione ho lasciato per l’appunto il link del mio blog.
Accetto sia critiche che consigli, so di non essere una vera e propria scrittrice quindi qualsiasi recensione negativa sarà costruttiva.
Se vi è piaciuto questo capitolo, ci vediamo al prossimo capitolo e se non vi è piaciuto, beh, cercherò di migliorare.
 
Baci xx.

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: lady vasshappenin