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Autore: Clover by Clover    07/02/2008    0 recensioni
Wendy è una creatura eterea, impalpabile eppure concreta come il sangue pulsante. Wendy non è mai esistita, poiché non ha un nome proprio.
Genere: Romantico, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

 

Si svegliò con  la notte che già premeva impaziente ai vetri scuri. Inforcò gli occhiali con una lentezza esasperante e si rizzò malamente a sedere massaggiandosi la nuca. Ancora una volta, non si ricordava dove si fosse addormentato la sera prima né perché in quel luogo ci fosse una tale puzza di aceto e alcool. Tentò di mettersi in piedi ma un braccio femminile gli si avvinghiò al collo trascinandolo di nuovo giù. Senza guardare in faccia la proprietaria dell’arto possessivo si districò da quella stretta indesiderata e finalmente riuscì ad alzarsi.

Intorno solo mobili rovesciati, bottiglie vuote, resti di cibo e di vestiti e qua e là qualche individuo completamente sbronzo riverso su un fianco. Doveva essere stata proprio una bella bolgia quella del giorno precedente, proprio un peccato non ricordarne neppure un dettaglio.

Con un po’ di fatica riuscì miracolosamente a reperire le scarpe ed il cappotto, dopo essersi accertato che fossero veramente i suoi dato che si sentiva ancora un po’ annebbiato, ed uscì spingendo a caso una grande porta a vetri.

Fuori tutto il gelo della notte lo investì come un pugno allo stomaco e rabbrividì negli abiti consunti che aveva addosso. Si strascinò stancamente per le vie innevate e semivuote evitando a malapena quei pochi passanti che di tanto in tanto gli passavano accanto e lo urtavano con sgarbo.

L’ennesima notte di perdizione era appena che già un’altra era in fermento nei bordelli aperti lungo le vie. Vecchi bavosi che si affannavano dietro le gonne ridicolmente corte di giovani donne. Disgustosi. La bellezza doveva essere accompagnata esclusivamente alla bellezza. Senza bellezza non c’era alcuno motivo di proseguire ostinatamente a vivere. Perso ogni fulgore giovanile l’unica via era la morte. Perché sottoporre un fisico ormai ridotto all’ombra di sé stesso ad una tale quanto mai ingiusta agonia. La bellezza e la giovinezza erano le uniche due buone ragioni per condurre quell’esistenza insensata e dolorosa.

E lui le aveva entrambe, lo vedeva chiaramente negli occhi febbricitanti di desiderio di quelle estroverse dame che, mentre venivano strette da un qualche orribile individuo, gli lanciavano sguardi supplichevoli, implorando una sua qualche attenzione. Lo vedeva nelle vergini in fiore che poco sapevano dell’amore carnale quanto a profusione di quello puramente platonico.

Lo vedeva anche in quei giovani fanciulli dei quali nessuno avrebbe mai scoperto le nascoste perversioni. Lo vedeva, lo sentiva, l’odore del sesso.

Casa sua non gli era mai sembrata tanto lontana come allora, che arrancava ancora imbacuccato nel cappotto di stoffa grezza. Uno strano senso d’inquietudine lo prese quando svoltò un angolo in una via deserta. Continuava a voltarsi indietro, tremebondo che qualche anima inquieta lo stesse seguendo, che avesse una qualche ombra gli fosse alle costole, per punirlo di quella sua perdizione ormai non più espiabile. Eppure ogni volta che il suo cuore aveva un fremito, quelle presenze sembravano svanire nel nulla e solo il vento con il suo lento soffiare gli ricordava il gelo dell’inverno.

Ad un tratto però una delle sue paure sembrò balzare improvvisamente fuori dalla sua mente. E si adagiò sulle spalle di una figura davanti a lui, veleggiante sul sentiero. Una donna, anzi, una ragazza, vestita con solo una camiciola di stoffa leggera così bianca che si confondeva con la neve stessa e così trasparente da farla assomigliare ad un qualche elfo.

Il freddo sembrava non scalfirla nella perfezione della sua figura, piegata qual volta a raccoglier rami intirizziti con una febbrilità armoniosa. Lui, rimasto impietrito da quella visione ultraterrena che quanto più gli si avvicinava tanto più gli pareva irreale, si lasciò sfuggire un gemito di stupore e confusione.

Cosicché la giovine lo vide, ma il suo sguardo d’acqua lo sorpassò, e si fermò in un punto oltre le sue spalle. Tese poi le braccia candide aprendo piano le dita e si diresse nella sua direzione, come un sonnambulo che cammina in un sogno noto solo a lui.  

-Chi c’è?- domandò piano e finalmente lui incontrò le pupille vuote che ormai non conoscono più luce di due occhi ciechi.

-Chi c’è? Chi c’è?- ripeté agitando le braccia nel nulla. Con prudenza lui le sfiorò le punte delle dita, quasi con paura di poterla rompere tanto gli appariva fragile.

-Sei tu Rin? Rin sei tu?- lentamente le sue mani diafane descrissero ogni zigomo del suo viso, soffermandosi qualche secondo sulle palpebre chiuse, per poi scendere dolcemente fino alla curva del collo, là dove iniziavano le spalle.

-Tu…non sei Rin- e questa volta non era una domanda.

-Mi chiamo Luis. Luis Onorik-

Lei soppesò un attimo quel nome sulla lingua come una caramella dal gusto particolarmente delicato.

-Luis… io sono Wendy-

 

  
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