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Autore: IamShe    29/07/2013    27 recensioni
Shinichi è rimasto adulto, ma non sa né come né perché né quanto durerà l'antidoto. Sebbene cerchi di godersi questi attimi preziosi nel suo corpo originale, un vortice arriva a sconvolgergli la vita: una giornalista ha scritto un articolo su di lui e sul suo ultimo caso risolto, e Ran comincia a nutrire dei seri sospetti sulla sua doppia identità. E chissà che tutto ciò, non giunga alle orecchie sbagliate....
•••
“Rimani?” chiese lei di rimando, velocemente. Non voleva una vera risposta, voleva solo ascoltare la sua voce. Voleva solo sentirlo parlare. Perché sapeva che ogni cosa, ne avrebbe nascosta un’altra. Ogni verità, avrebbe nascosto una bugia. Una scia di luce, forse quella di prima, forse quella che si era persa nell’oscurità, forse quella che aveva cercato costantemente, passò negli occhi di Shinichi.
Ran non seppe interpretarla, ma non le importò.
“Sì.”
La bastò solo quello: credere alle sue bugie.
Genere: Generale, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Veleno! È stato questo la tua fine?
Cattivo! L’hai bevuto fino in fondo,
senza lasciarmene una goccia amica
che m’avrebbe aiutato!
Bacerò le tue labbra: c’è rimasto
forse un po’ di veleno a darmi morte
come per un balsamico ristoro.»
 
 “Romeo e Giulietta” di W. Shakespeare
V atto, III scena

 

Epilogo

 
 
 
Ospedale di Washington, ore 06:00
 
 
“Siete sicuri di voler restare?”
La voce del chirurgo giapponese, dolce e rassegnata, arrivava lontana alle loro orecchie. In camera di Shinichi vi erano rimasti Yukiko ed Heiji, gli unici che avessero voluto assistere agli ultimi istanti della vita del detective. La madre era disperata, gli occhi lacrimavano senza sosta e il respiro non riusciva a tranquillizzarsi. Singhiozzava e si teneva sulla spalla dell’altro liceale, di quello che assomigliava tanto a suo figlio tra le tante diversità. Heiji non guardava, non annuiva, voleva soltanto stargli vicino. Una volta tolta quella spina non sarebbe soltanto morto lui, ma anche una parte della sua vita. Il migliore amico che avrebbe voluto fin da piccolo e che invece aveva trovato soltanto a diciassette anni, soltanto un anno prima.
Il medico titubò: sapeva quanto fosse straziante tutto ciò, eppure non riusciva ad andare avanti ascoltando i singhiozzi ininterrotti di Yukiko Fujimine.
“Siete ancora sicuri di voler...?” chiese allora, imbarazzato. Era una domanda un po’ stupida, e lui se ne rese conto subito dopo: come poteva essere sicura una madre della morte di un figlio? Eppure a volte la vita ti pone davanti ad un muro senza porte, senza alcuna via d’uscita.
“Signori” li chiamò l’uomo, i due alzarono impercettibilmente il capo. “Perché non lasciate la stanza per qualche minuto? Potreste restare con lui ancora un po’ se vorreste.”
Heiji guardò la madre dell’amico e con un braccio l’aiutò ad alzarsi. Fece qualche passo ed il medico si scontrò con i suoi occhi: erano rossi, erano gonfi e tirati, erano umidi sotto le palpebre.
“U-usciamo un attimo, ok?” balbettò il ragazzo.
L’uomo annuì, li seguì e uscì dalla stanza.
 
 
I primi raggi del Sole, tiepidi e fievoli, illuminarono la facciata orientale della villa. Era l’alba di un nuovo giorno, quello della fine di una vita. Yusaku era seduto a terra con lo sguardo fisso nel vuoto, gli occhi lucidi e il viso paonazzo. Accanto a lui, vuota e rotolante sul pavimento, una bottiglia di Korn. In mano, gocciolante sul parquet della villa, una seconda bottiglia dello stesso alcol micidiale, dello stesso liquore che aveva ucciso suo figlio. Perché non aveva fatto indigestione a lui? Perché non poteva farsi male?
Gli agenti dell’FBI avevano fatto scomparire ogni pistola, quasi come se l’avessero capito. Anche il sediolino su cui Shinichi faceva le trasfusioni era stato smantellato da Agasa, lui l’aveva capito.
Cosa doveva fare per uccidersi?
Morire prima ancora che lo facesse il piccolo dai suoi stessi capelli corvini e ribelli appariva adesso come la cosa più giusta da fare. Eppure non poteva, non dopo che il figlio aveva rischiato la vita per salvare la sua. Non poteva rendere vani i suoi sforzi e il suo ultimo grido.
“PAPA’!” urlò e portò le mani avanti, attraendo l’attenzione di Yusaku. Fu un attimo: il fucile di Korn, dapprima puntato sullo scrittore, virò fino al corpo del figlio: l’abilità da cecchino che lo caratterizzava non mancò di trionfare nemmeno in quel caso.
Papà era stata la sua ultima parola.
Guardò l’orologio: il quadrante era sfocato ai suoi occhi, nemmeno riusciva a distinguere le lancette. Ma non aveva bisogno del minuto esatto per capire che ore fossero. Era l’alba, era l’alba ormai...
 
 
Il camice da infermiera le andava largo, ma era l’unico che aveva trovato disponibile. Se lo strinse in petto ed avanzò verso una donna, che aveva l’aria di essere una sua probabile collega.
“S-scusa” la chiamò e quella si girò. “Mi indichi il laboratorio chimico dell’ospedale?”
La donna, decisamente robusta e forzuta, le scoccò un’occhiata truce.
“What?” domandò.
Aveva dimenticato d’essere in America...
“Oh, sorry. Can you show me hospital’s chemical laboratory?”
L’infermiera continuò ad osservarla con fare sospetto. “Are you taken recently?”
La giovane da lunghi capelli bruni fece un leggero sorriso. “Yeah.”
Finalmente la donna sembrò fidarsi.
“Is on the third floor, there is a long corridor... Walk it all, it's the last door on the right.”
Ran sperò di aver capito bene. “Thank you.”
Terzo piano, lungo corridoio, ultima porta a destra. Perfetto: il cianuro di potassio era senza dubbio lì dentro.
 
 
“Check the corridors, verify there are no patients or families around them.”
La seconda guardia, l’agente più giovane annuì. Era il suo primo giorno lì e non aveva alcuna voglia di sbagliare.
“Yes, captain.”
Il ragazzo si fissò davanti ai monitor. Tutte le telecamere dell’ospedale erano sotto i suoi occhi, e vigilare che non ci fosse nessuno dappertutto era più difficile di quanto pensasse. Osservò il primo piano ed era libero. Osservò il secondo: libero. Osservò il terzo: vi erano due infermiere che entravano in due diverse porte, mentre vicino ad una finestra erano accostati una donna e un ragazzo.
“There are two people on the third floor.”
Il capitano della sicurezza s’avvicinò ai monitor, li scrutò per un po’, e poi notò anche il dottor Washituru. Ci aveva parlato dieci minuti prima.
“Don’t worry. They can stay.”
 
 
 
Ospedale di Washington, ore 06:30
 
 
Il dottor Washituru tornò in camera e notò vi fossero anche la mamma e l’amico di quel giovane ragazzo costretto alla morte. Yukiko non singhiozzava più, ma il suo pianto era ancora vivace e inarrestabile. Cercava di mormorare qualcosa di indefinito, mentre Heiji le accarezzava la spalla.
Il detective di Osaka guardò l’amico e gli strinse la mano.
“Ti voglio bene” gli disse, mentre una lacrima cadde sul dorso della mano di Shinichi. Quasi ebbe l’impressione che fosse calda. “Quando avrò un’agenzia tutta mia la chiamerò Kudo. Te lo prometto.”
“T-ti amo Shin-chan” dopo un paio di minuti gli si rivolse la madre. Si staccò dal detective e portò la sua mano sul suo petto. Anche lei notò che fosse più calda del normale. “T-ti ho amato fin dal primo giorno che ho saputo della tua esistenza. Sei stato la cosa più bella che mi sia mai capitata.”
Heiji rilasciò andare un’altra lacrima, mentre il dottore abbassò il capo stringendo le mani.
Yukiko si allontanò leggermente, e l’uomo chiese conferma ai due se potesse procedere.
Faticarono ad annuire.
Passarono altri cinque secondi, il medico si accovacciò e staccò la spina. D’improvviso tutti i valori che testimoniarono il coma del ragazzo si spensero, e il suo battito, quello che fino alla fine era rimasto, divenne una linea dritta e muta.
 
 
Yusaku si alzò, barcollante, lasciando infrangere a terra anche la seconda bottiglia di Korn. Si diresse verso la porta d’entrata, la chiuse dietro di sé. Volse lo sguardo al Sole e se ne ritrovò abbagliato, fu costretto a chiudere gli occhi. Odiava l’alba con tutto se stesso.
Shinichi...girò il capo coi capelli scombinati verso oriente ed occidente. Shinichi...
Camminò, lo ricercò, e senza volerlo, si diresse di nuovo verso l’ospedale.
 
 
“Eccolo...”
Ran afferrò tra le sue mani il vasetto con la scritta KCN. Il cianuro di potassio era tra le sue mani, e tra un po’ le avrebbe permesso anche di raggiungere la persona che più amava al mondo. Voleva soltanto salutarlo un’ultima volta, un’ultima volta prima che anche lei non riuscisse a vedere più nessuna alba. Lasciò il laboratorio chimico e si diresse verso la sua stanza: in lontananza notò Heiji e Yukiko andare via, sotto braccio. Era ormai troppo tardi...
 
 
La guardia notò che i due pazienti a cui il suo capitano aveva lasciato libero arbitrio stavano andando via. Proprio in quel momento avevano percorso il corridoio, avevano sceso le scale e s’erano imbattuti in un’infermiera. Era bionda. Dalle telecamere sembrava anche molto carina. Quando la videro i due sobbalzarono: le stavano chiedendo qualcosa, sembravano dapprima distrutti, poi agitati.
Volse lo sguardo ad un’altra telecamera: c’era un uomo in giardino, bruno e dall’aspetto familiare, che barcollava tra il primo e secondo edificio in evidente stato di ebbrezza.
Sbuffò, e guardò il suo capo: “There is a man outside the building.”
Il capitano si volse ad osservarlo: “Who?”
“I don’t know” disse lui. “Wait, he is entering. He is drunk, what should we do?”
“Let's take a look.”
 
 
Ospedale di Washington, ore 06:45
 
“S-Shinichi...”
Yusaku camminò per il corridoio del secondo piano del primo edificio dell’ospedale. Continuava a barcollare, e la vista era sempre più annebbiata e sbiadita. Non riusciva a vedere oltre il metro, e non riusciva nemmeno a decidere dove andare. Aveva il fiatone e lo stomaco gli faceva malissimo, come se qualcuno l’avesse perforato con mille chiodi. Alla fine del corridoio vi era una porta, era quella di sicurezza. Oltre l’infisso intravide le scale antincendio che percorrevano tutta l’altezza dell’edificio. Uscì fuori e guardò verso l’alto: erano più di quattro piani. Singhiozzò e barcollò all’indietro: se si fosse buttato da lì sarebbe riuscito a morire? Per un attimo ci pensò. Poi ricordò: Shinichi era morto per lui.
“È morto... morto per me”
Dannati raggi di Sole che già illuminavano tutto! La fronte sudata e i capelli appiccicati gli cadevano avanti, infastidendolo, e tutto il corpo rilasciava acqua in eccesso. Cominciò a salire le scale con un’inesorabile lentezza e stravaganza: la sbronza non gli permetteva di mantenere l’equilibrio per più di dieci secondi. Raggiunse il terzo piano, lo guardò: gli era familiare. Si appoggiò al vetro e lo scrutò per un po’ da fuori. Certo, era il piano dov’era ricoverato suo figlio. Chissà se era ancora in camera sua, chissà se l’avevano già portato all’obitorio. Non ci pensò un attimo in più e virò verso la porta: voleva rivederlo.
 
 
 
Ran avanzò verso di lui. Guardò i macchinari staccati, il suo corpo inerme sul letto. Era bello, bellissimo. Nessuno avrebbe mai potuto raggiungere tanta bellezza e attrazione, nessuno. Nemmeno la morte gliel’aveva tolta.
 

«O mia Giulietta,
perché sei tanto bella ancora, cara?
Debbo creder che palpita d’amore
l’immateriale spettro della Morte?
E che quell’aborrito, scarno mostro
ti mantenga per sé qui, nella tenebra,
perché vuol far di te la propria amante?
Per tema, io resto qui con te, in eterno;
e più non lascerò questa dimora
della notte, qui, qui, voglio restare
insieme ai vermi, tue fedeli ancelle,
qui fisserò l’eterno mio riposo,
qui scrollerò dalla mia carne stanca
il triste giogo delle avverse stelle.
Occhi, miratela un’ultima volta!
Braccia, carpitele l’estremo amplesso!
E voi, mie labbra, porte del respiro,
suggellate con un pudico bacio
un contratto d’acquisto senza termine
con l’eterna grossista ch’è la Morte!»

 
Già, la loro recita. Romeo e Giulietta, Shinichi e Ran. Non c’era alcuna differenza, era soltanto il gioco sadico  e spaventoso del destino. Il veleno era tra le sue mani, pronto per essere inghiottito e fatto scivolare giù per il suo corpo. Lo accarezzò sul dorso della mano, sembrava addirittura caldo.
“Sei meraviglioso”, rilasciò una lacrima che cadde sul suo viso. “Non potrei amare nessuno come ho amato te, nemmeno volendo, perché nessuno al mondo potrebbe mai eguagliarti.”
Si sporse verso il suo viso, riuscì addirittura ad odorarne quel profumo. Baciò le sue labbra: non erano fredde e secche come se l’aspettava, ma erano calde e morbide. Sorrise leggermente, ricordando che le erano sempre piaciute, fin dalla prima volta che poté assaggiarle.
“Scusami se non ti ho dato la possibilità di spiegare, scusa se non mi sono fidata di te.”
Gli diede un altro bacio.
“Ma non rimproverarti di non essere mai riuscito a capirmi. In realtà è l’esatto contrario: hai sempre saputo tutto prima ancora che mi accadesse.”
Le sue parole coprirono il rumore di un leggero fruscio: l’indice destro di Shinichi s’alzò.
“Scusami anche se non ti ho ascoltato. Scusami amore. Ma non riuscirei mai a vivere senza di te, senza i tuoi occhi e il tuo profumo. Non potrei mai volere accarezzare un’altra pelle né baciare altre labbra. Eri e sei il senso della mia vita, Shinichi. Ti amo.”
Le mani le tremavano, ma non ci pensò un secondo in più: fece scivolare tra le sue dita un po’ di cianuro di potassio. I nervi erano tesi come corde di violino. Portò la mano vicino alla sua bocca.
Lo sapeva, lui gliel’aveva ripetuto più volte: il cianuro di potassio agisce all’istante, quindi non avrebbe nemmeno avuto il tempo di soffrire. Un secondo e l’attimo dopo l’avrebbe raggiunto. Chiuse gli occhi, riuscendo già ad avvertire quella puzza di mandorla acida infiammarle la lingua e la bocca. Era finito tutto, per lei, per lui e per il mondo. Era finito tutto, ma lei non poté saperlo: qualcosa scosse le lenzuola, smuovendole. Era la mano di lui.
 
 
“M-Miyano?”
Heiji sobbalzò nel vederla arrivare, ma lei non sembrava particolarmente scossa. Era vestita da infermiera ed aveva il taschino del camice rigonfio.
“Ma... che... che stai facendo?”
“Era l’unico modo per non destare sospetti alle sei del mattino” spiegò, guardandosi e tirando su un po’ di stoffa della divisa.
“Destare...sospetti?”
“Sì. Non so se sai che di notte non si può girovagare per gli ospedali come se nulla fosse.”
“Certo, ma... perché?” inarcò un sopracciglio quello di Osaka.
La scienziata abbassò lo sguardo ed intrufolò la mano nel suo taschino; ne estrasse una siringa.
“L’ho completato stanotte e l’ho provato su di me. È l’antidoto definitivodell’apotoxina.”
“Oh!”, “Cosa?!” per un attimo sia il detective che l’attrice si colorarono. L’antidoto definitivo: quello che Shinichi avrebbe voluto più di ogni altra cosa al mondo, era davanti a loro. Poi ricordarono: la spina era già stata staccata. Era stato tutto inutile...
“È... è troppo tardi anche per somministrarglielo...”
Shiho mostrò loro meglio la siringa. “Non vedete? È vuota.”
I due non riuscirono a capire.  “Che vuoi...?”
“Gliel’ho già somministrato. Quando voi siete usciti, quando era ancora vivo.”
Heiji avvertì l’aria arrivargli alla gola ma senza riuscire ad uscire.
“C-cosa?”
“Glielo dovevo” disse.
“Sì, ma...” balbettò Heiji. “Cioè... cosa gli è successo?”
Lei scosse il capo. “Non ne ho idea. Potrei elencarti le conseguenze su un soggetto normale – o meglio, su un soggetto a cui era stata somministrata l’apotoxina ed era in salute. Ma con un soggetto in coma, o meglio in stato vegetativo, io... non lo so” abbassò il capo, sembrava amareggiata e stravolta. “Purtroppo non sono potuta rimanere. Stava arrivando il chirurgo.”
“Ma non c’è nessuna possibilità che l’antidoto abbia potuto... in qualche modo... s-svegliarlo!?” chiese con veemenza il giovane, avvicinandosi all’amica.
“Ma... il dottor Washituru... ha... ha staccato la spina” si lamentò Yukiko, era come se improvvisamente volesse tornare indietro ed impedirglielo. Perché non aveva aspettato ancora?
“Be’, in realtà, se l’antidoto avesse davvero compiuto miracoli... che la spina sia stata staccata non importerebbe. Se, e sottolineo il se, fosse successo... a quel punto, Kudo sarebbe uscito dal coma e non avrebbe più avuto bisogno di un’altra alimentazione.”
Heiji ascoltò tutto con le orecchie tese: c’era una piccola possibilità che l’amico fosse ancora vivo o stava impazzendo lui? Forse la seconda, decisamente stava sognando. Avrebbe voluto raggiungerlo, ma Yukiko stava per svenire: si sentiva male, e per sorreggersi, s’appoggiò al giovane.
“Non...non mi sento bene...” mormorò, scivolando fra le sue braccia. Cominciò a vedere i volti sfocati, ma in realtà ne distingueva solo uno, quello di suo figlio.
“Yukiko!?”, avvertì la voce di Heiji e gli parve quella della piccola peste che aveva dato un senso alla sua vita.
Lo guardò: il volto era proprio quello del liceale di Tokyo.
“Shi...Shin-chan...”
 
 
“Stop! Hands up!”
Yusaku si voltò all’indietro: vide due agenti della sicurezza mirargli una pistola contro e intimargli di alzare le mani al cielo. Neanche fosse un ladro! Avvertì il suo corpo tremare e ne ignorava la ragione: quelle pistole avrebbero potuto ucciderlo, volendo, se solo li avesse aggrediti... se avesse finto di reagire male! Bastava una pallottola dritta in cuore e i conti si sarebbero eguagliati. Eppure qualcosa lo frenava, e non era paura.
“Shinichi è morto per me, dannazione, per me...” mormorò in giapponese, incuriosendo quei due.
Inoltre non poteva di certo lasciare Yukiko sola, a crogiolarsi nel dolore. No, non l’avrebbe fatto.
“I'm just a father who wants to say thanksto his son. Just a father who wants to say sorryto his son.”
“Are you the boy’s father? The famous writer?” domandò il capitano, colpito.
Yusaku annuì a fatica.
“I’m really sad for your son.”
Lo scrittore sentì gli occhi bruciare. Si girò e continuò, dritto verso la stanza del giovane detective. Sperò con tutte le sue forze che fosse ancora lì, anche solo per dirgli davvero un’ultima volta “scusa”. Aprì la porta lentamente, alzò gli occhi al letto e s’imbatté nella figura della ragazza. Fu un attimo. Protese le mani in avanti, cercando di raggiungerla, mentre un grido gli partì spontaneo dalla gola: “RAN!”.
 
 
 

Un anno dopo

 
 
Jodie fu la prima ad arrivare al cimitero, in un elegante abito azzurro dalla spallina contornata di cristalli. Si prospettava una bella giornata quella: il Sole splendeva alto nel cielo e con i suoi raggi spazzava via le nuvole bianche. Vi era un leggero venticello che donava sollievo al collo e alle braccia, accaldati per le prime calure estive. Avanzò verso il rettilineo e poi girò a destra, ritrovandosi di fronte alla tomba di quel ragazzo dagli occhi azzurri e dai capelli corvini che aveva dato filo da torcere a quella dannata organizzazione. Solo qualche giorno prima vi era stato l’ultimo arresto, quello del loro boss. Lui aveva fatto sì che ci si arrivasse. Un ricordo lontano, ma pur sempre vivo. Si concentrò sulla foto: era davvero bello, ma la morte l’aveva strappato alla vita spericolata che aveva condotto fin troppo presto. E poi quella lapide accanto, quella della ragazza bruna dai lunghi capelli. Uniti anche lì, proprio come sarebbe dovuto essere. Chissà se poi son riusciti a rincontrarsi, quel giorno...
Dopo qualche minuto, giunse alle sue spalle Yusaku Kudo, accompagnato da sua moglie Yukiko. Entrambi erano davvero belli quel giorno: la donna indossava un abito rosso lungo che le andava a coprire le gambe ma le lasciava scoperte da un lato, mentre il marito aveva optato per un semplice smoking. La bionda abbracciò l’attrice e sorrise allo scrittore, dandogli la mano.
“Come va? È da tempo che non ci vediamo.”
L’uomo annuì, abbozzando un sorriso. “Già. Siamo stati impegnati col trasloco ultimamente, siamo tornati in Giappone.”
“Oh, ma è meraviglioso!” si congratulò l’agente dell’FBI, poi scrutò alcune persone alle sue spalle. Erano Kogoro, accanto ad Agasa e alla giovane e bella Shiho.
Il detective privato probabilmente si stava lamentando di qualcosa, perché aveva un’espressione seccata dipinta sul viso, come quella che assumeva quando Ran lo sgridava di combinare qualcosa a lavoro.
Agasa cercava di sorridere agli altri, mentre la scienziata rimase impassibile. Salutò col cenno del capo il gruppo e poi si concentrò subito sulla tomba: vi era una scritta nera incisa sopra.
Diceva: «Fai buon viaggio, Silver Bullet». Sorrise: ricordava che Vermouth aveva insistito per farla inserire. Abbassò lo sguardo e lo concentrò su qualcos’altro: dietro di lei giungevano Saigo e sua sorella Yukiko. Hana aveva ormai tolto il travestimento: non era più ramata, ma bionda.
Il giovane le si avvicinò e le sorrise.
“Ciao Shiho”, le accarezzò per un attimo la spalla scoperta dal delizioso vestito in seta nera che indossava, ma ritrasse il tocco all’immediato.
“Ciao Higo” replicò lei. “Che hai? Dormito stanotte?”
Lui la guardò con fare ironico. “Più o meno.”
Entrambi guardarono la tomba: era molto statuaria, di un bellissimo marmo di Carrara.
“È già passato un anno” soffiò il giovane Masuyama, rattristito. “Sembra ieri.”
“Ieri proprio no” replicò una voce in lontananza, che proveniva da qualche metro distante. Tutti si voltarono verso il nuovo arrivato: capelli scuri e carnagione olivastra, occhi verdi. Heiji aveva il suo solito sorriso sulle labbra, ma il volto decisamente stanco e tirato lo tradiva. Indossava uno smoking nero col farfallino rosso. All’occhiello un fiore.
“Ma nessuno dorme la notte?” chiese Kogoro, osservandolo.
Heiji lo guardò truce. “C’è gente che lavora, mica come te.”
Mouri ricambiò l’occhiata. Il giovane s’avvicinò al gruppetto: quando fu vicino abbastanza alla lapide ci passò debolmente la mano sopra, poi si alzò.
“Come va l’agenzia Hattori?” chiese Jodie, ammirata.
“L’SHva sempre alla grande.”
“Ovvio, avendomi rubato tutti i clienti...” sbuffò Kogoro ancora, decisamente irritato quella mattina.
“Perché... avevi clienti?” lo punzecchiò quello di Osaka, ridente.
“L’SH?” chiese Jodie, incuriosita.
Lui annuì. “Sta per Sherlock Holmes, o meglio... per ShinichiHeiji.”
“Cool!” approvò l’agente dell’FBI, chiudendo la mano in un pugno ed issando il pollice. “Proprio come Cool Guy, ricordo bene che anche tu eri molto acuto.”
Lui ghignò. “Ricorda bene, miss FBI.”
“La tua fidanzata?” chiese poi Kogoro, facendolo arrossire a dismisura. Odiava chiamare Kazuha la sua fidanzata. Insomma... per gli altri doveva essere la sua assistentee basta. Però quando i ragazzi ci provavano no: lì era la sua ragazza da una vita, e questo doveva essere chiaro a tutti.
“E-ehm... è rimasta a casa, ovvio... non è voluta venire.”
“Eh beh! Immagino, si starà facendo bella per il matrimonio!” replicò con dolcezza Jodie, mentre Heiji distolse a stento lo sguardo, imbarazzato.
“A proposito...”, Yukiko guardò l’orologio e sobbalzò. “È tardi! Dobbiamo andare!”
Diedero un ultimo sguardo alle tombe dei due innamorati, poi fuggirono via.
 
 
La giovane dai capelli lunghi e scuri si scrutò allo specchio, girando un po’ su se stessa. Quel vestito era meraviglioso: bianco, con alcuni brillanti dalle luci dai mille colori a cingerle il petto. La parte superiore le fasciava il seno con grazia, mentre quella inferiore era un trionfo di tulle e seta, coprendole le snelle e belle gambe.
“Oh, sei meravigliosa!”, le dissero le preparatrici con un gran sorriso sulle labbra: per lei quel giorno erano arrivate estetiste, parrucchiere e sarte. La madre l’ammirò per un po’, affascinata da tanta bellezza, poi si fece avanti e le aggiustò il velo in testa, con l’aiuto della sarta.
“Sei la più bella”, e poi le rubò un abbraccio, socchiudendo gli occhi.
Si staccarono e camminarono fino alla macchina. Suo padre era lì ad aspettarla, appoggiato alla carrozzeria dalla vernice bianca della vettura d’epoca. Quando i loro sguardi si incrociarono, per un attimo ebbe l’impressione di star tornando indietro nel tempo: era identica alla madre, circa vent’anni prima. Gli occhi gli si abbagliarono, ma si sforzò di non emozionarsi: era un uomo lui, ed anche un uomo di legge.
“Sei...” cominciò, poi lei rise e lui trovò il coraggio di continuare. “Troppo bella per lui.”
“Dai, papà!” lo rimbeccò, dandogli un colpetto alla spalla. La fece salire in auto, aprendole la portiera, e poi misero in moto l’auto. Percorsero circa tre chilometri: la chiesa era vicina e per fortuna quella mattina vi era un cielo splendido. Aveva temuto tanto che piovesse!
Scese dall’auto, mentre l’agitazione le salì vertiginosamente: erano all’epilogo della loro vita, ma in realtà sapeva che oltre quella storia ce ne sarebbe stata subito un’altra da raccontare. Ma quel giorno tanto bello e tanto caldo pareva la fine di un ciclo e l’inizio di un altro, che sperava ancora migliore del precedente. Fece un passo ed avvertì le gambe tremare sulle scarpe a tacchi alti che aveva comprato. Sarebbe riuscita ad arrivare fino all’altare?
“Sei ancora sicura, vero?” le chiese il padre, prendendola sotto braccio e avvicinandola a lui. “Perché se non lo sei, sappi che a casa ci sono sempre io che ti aspetto.”
Lei rise, arrossendo leggermente. “Sono sicura, papà.”
Lui annuì, ma non sembrava troppo convinto. Continuarono a camminare, e dalla chiesa riuscirono ad avvertire l’eco dell’inno nuziale diffondersi nell’ambiente. Poche note che le entrarono nel cervello e mandarono in tilt il suo cuore: il suo amico d’infanzia era lì, ad aspettarla sull’altare. Col suo smoking nero e col farfallino rosso, col suo fiore all’occhiello che risplendeva nell’immensità dei suoi occhi.
Cominciò a palpitare, e il tremore non le passò nemmeno quando i due si diedero la mano. Nemmeno quando lui le tirò indietro il velo e le baciò la fronte. Si scambiarono un’altra occhiata, sorridendo, e si incamminarono verso l’altare.
Il prete cominciò a parlare, ma loro due lo ignorarono. Era come se il mondo intorno avesse cominciato a girare, e loro fossero l’unico punto fermo dell’universo.
“Ehi?” sussurrò lui, in modo che lo sentisse solo lei. “Ti devo dire una cosa.”
Quell’aria seria la spaventò, ma allo stesso tempo moriva dalla voglia di ascoltare. Cosa aveva da dirle di così importante il giorno del loro matrimonio?
“Cosa?”
Ci fu una pausa di qualche minuto. Il sacerdote stava distribuendo le ostie ai fedeli, nell’atto della comunione.
In quel momento di distrazione, lei lo punzecchiò: “Allora? Il segreto?”
Lui non rispose subito: fece finta di voltare lo sguardo altrove. Intravide gli occhi di sua madre, osservarlo con tenerezza e commozione; si scontrò con quelli di Kogoro, che cercava di trattenere a fatica la sua gelosia; vide quelli del suo testimone, Heiji, che quel giorno pareva il suo gemello e suo fratello. Si imbatté in quelli di Sonoko, che anche in quell’istante non facevano altro che punzecchiarlo, ed infine incontrò quelli di suo padre. Fu un attimo, e ancora una volta gli disse che era tutto apposto, che non era stata colpa sua, che lui gli aveva salvato la vita, un anno prima.
Ci furono i soliti scambi di battuta. Ma quando il prete pronunciò il “vi dichiaro marito e moglie”, nella chiesa scoppiò un applauso generale. Lo sposo abbracciò la sua sposa, stampandole un bacio sulle sue labbra. Morbide e calde, proprio come quel giorno .
“Cosa dovevi dirmi?” le sussurrò lei, nascondendo il viso arrossito nel suo petto, mentre la chiesa rimbombava di applausi.
 “Giurami che non proverai mai più ad ucciderti per me. Qualsiasi cosa succeda, promettimi che farai di tutto per andare avanti e vivere.”
Ran si ritrovò per un attimo spiazzata, non se l’aspettava.
Poi alzò gli occhi a lui e gli sorrise.
“Non riesco nemmeno ad immaginare di vivere senza te, ma se dovessi farlo sarà solo per tenere vivo il tuo ricordo a chiunque incontrerò.”
Lui scosse il capo, socchiudendo gli occhi.
“Però lo farò ad una condizione” disse lei, aggrappandosi alle sue spalle.
Shinichi sbatté per un po’ le palpebre, incuriosito.
“Scrivimi lettere d’amore più spesso.”
Lui sorrise, illuminandosi in volto e scuotendo il capo. “Credimi, sarà più facile per te resistere alla mia morte.”
Lei ghignò. “Ma a te piacciono le cose difficili, vero?”
Poi lo baciò, e in quelle labbra ritrovò finalmente quella luce che, più di un anno prima, aveva visto fuggire via dalle sue iridi. Era la luce della fiducia, quella che per troppo tempo aveva perso in lui, quella che le sue bugie avevano oscurato.
Il rombo degli applausi era lontano, quasi inudibile. Ma erano certi che, in un modo o nell’altro, anche Akemi e Shuichi, in qualche parte sconosciuta dell’universo, stessero brindando alla loro unione.

 
 
 
 
 
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Traduzioni:
 “Oh, sorry. Can you show me hospital’s chemical laboratory?” = “Oh, scusami. Puoi indicarmi il laboratorio chimico dell’ospedale?”
 “Are you taken recently?” = “Sei stata assunta da poco?”
 “Is on the third floor, there is a long corridor... Walk it all, it's the last door on the right.” = “È al terzo piano, c’è un lungo corriodio... percorrilo tutto, si trova nell’ultima porta sulla destra.”
 “Thank you.” = “Grazie.”
 “Check the corridors, verify there are no patients or families around them.” = “Controlla i corriodoi, verifica che non ci siano pazienti o famiglie in giro.”
 “Yes, captain.” = “Sì, capitano.”
 “There are two people on the third floor.” = “Ci sono due persone al terzo piano.”
 “Don’t worry. They can stay.” = “Non preoccuparti, loro possono restare.”
 “There is a man outside the building.” = “C’è un uomo fuori l’edificio.”
“Who?” = “Chi?”
“I don’t know. Wait, he is entering. He is drunk, what should we do?” = “Non lo so. Aspetta, sta entrando.  È ubriaco, cosa facciamo?”
“Let's take a look.” = “Andiamo a dare un’occhiata.”
“Stop! Hands up!” = “Fermo! Mani in alto!”
 “I'm just a father who wants to say thanksto his son. Just a father who wants to say sorryto his son.” = “Sono solo un padre che vuol dire grazie a suo figlio. Solo un padre che gli vuole chiedere scusa.”
“Are you the boy’s father? The famous writer?” = “Sei il padre del ragazzo? Il famoso scrittore?”
 “I’m really sad for your son.” = “Mi dispiace tanto per tuo figlio.”



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HAHAHAHAH. Lo sapete perché rido? Perché mi immagino la vostra faccia. Immagino i vostri pensieri e le vostre maledizioni, ma allo stesso tempo immagino i vostri sguardi un po' smarriti e scioccati come a dire "questa pazza sadica c'ha fregato di nuovo". XD Ok, allora, qualcuno aveva immaginato che le cose andassero diversamente, altri erano riusciti ad aggrapparsi alla speranza che non potessi far morire il mio personaggio preferito, ma la maggior parte di voi, dite la verità, era convinta che il finale fosse tragico! Ed io sono doppiamente soddisfatta, perché, mesi fa, parlando con qualcuno, dovetti sentirmi dire che "nessuno avrebbe creduto che facessi morire Shinichi". Ebbene, ce l'ho fatta XD
È stato molto divertente leggere le vostre recensioni, ma allo stesso tempo ho cominciato a stare in pena per voi... perché, insomma, c'ero riuscita troppo bene XD e mi dispiaceva vedervi così... depressi XD Però poi ho pensato che avreste dovuto aspettare solo fino ad adesso, e quindi.. ho taciuto anche nelle risposte, dove, se avrete notato, non mi sono proprio sbilanciata XD
Allora, allora, allora... il finale è lieto e richiama in un certo senso Romeo e Giulietta. L'intento era quello, solo che non sarebbe dovuto finire tragicamente. A me i finali tristi non piacciono proprio, mi sanno troppo di conclusione sbagliata, però allo stesso tempo vorrei avere il coraggio di scriverli e di accetterli. Perché, insomma, un finale triste ha quello charme che uno lieto non ha.
Bah, forse un giorno, lo farò XD Però, non è questo il giorno XD
Shinichi e Ran si sono sposati, com'è giusto che sia, ed è ovvio che le tombe al cimitero erano quelle di Akemi e Shuichi, con cui ho voluto giocare per farvi credere fossero loro in realtà. Ci terrei a precisare, per chi non lo sa, che anche Akai è soprannominato "Silver Bullet" da Vermouth. Poi... be', credo si sia capito come sia finita un anno prima. Ran era sul punto di morire, Yusaku l'ha fermata e Shinichi si è risvegliato per via dell'antidoto definitivo dell'aptx. 
Devo dire che, neanche questo finale (come tutti quelli delle mie fan fiction) mi piace. È come se non desse quello che speravo, e tutto ciò mi fa incazzare XD però, nonostante c'abbia provato, non riesco a farlo venire meglio! Chissà a voi che impressione vi farà :)
Be', siamo alla fine... davvero alla fine, e devo assolutamente spendere un po' di parole per i recensori di questa fortunata storia. Una ventina di recensioni a capitolo è un lusso di cui, ammetto, vado enormemente fiera, e che mi ha permesso di credere ogni giorno di più nelle mie capacità. Siete stati magnifici nell'accompagnarmi nelle mie pazze idee e nell'infinita lunghezza di questa storia...quando pubblicai il prologo non avrei mai pensato d'essere seguita da così tante persone, ma allo stesso tempo mi imposi un obiettivo: avrei voluto superare Vivere d'emozioni, e credo di avercela fatta. :D Be', ovviamente, è tutto grazie a voi. Quindi grazie, grazie, e grazie.
Forse ci rivedremo, anzi, ci rivedremo (con una storia molto....... rossa), ma non presto! :P
Un bacione a tutti!
Grazie ancora, e buone vacanze!


La vostra Tonia.
   
 
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