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Autore: Chuck    30/07/2013    1 recensioni
Tre persone, riunite in un unico dolore, quello della perdita di una parte di sé, la più importante.
Tre persone riunite dall’amore cieco provato nei confronti di quella bambina dagli occhi verdi.
Tre anime dalla deriva.
Sarebbero mai riusciti a sopravvivere a tutto questo dolore?
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ask for answers”

 

“Stuck between the do or die, I feel emaciated.

Hard to breathe I try and try, I'll get asphyxiated.

Swinging from the tallest height, with nothing left to hold on to.

Every sky is blue, but not for me and you.

Come home, come home, come home, come home.”

Placebo, “Come home”.

 

Quante persone si fermano un  istante ad osservare il cielo? Quante persone restano ancora sorprese di fronte alla meraviglia delle stelle, o dei giochi d’ombra e luce che nuvole e sole creano assieme? 

Poche, senz’altro. 

Ma tra quelle poche persone, tra quei pochi sognatori inarrestabili, c’era la piccola Sophie. 

Bambina che da quando era nata aveva vissuto più in un luogo impregnato di medicinali e di sofferenze, - chiamato comunemente ospedale; piuttosto  in quella che per la maggior parte dei suoi coetanei era la casa convenzionale. Eppure non aveva mai pianto per ciò, forse perché dall’acuta intelligenza e innocenza dei suoi otto anni odiava veder piangere i suoi genitori e parenti che, ultimamente, erano continui in quell’azione. Molte volte si era chiesta il perché e, in un pomeriggio trascorso a pettinare le sue bambole così perfette e dai capelli lisci e setosi  a differenza del cranio lucido di lei, aveva compreso il tutto. Aveva messo assieme le parti mancanti della quotidianità vissuta in quel luogo dalle pareti bianche e azzurre, con qualche sprazzo di colore e vivacità creato dagli altri bambini che, come lei, reputavano l’ospedale la loro casa; e aveva compreso. Stava per morire. Il suo tempo era arrivato. Fu allora che la piccola coraggiosa pianse per la prima volta, causando maggior scompiglio nell’animo già agitato dei suoi genitori, che mai prima d’ora l’avevano vista piangere.  Bastarono due semplici e allo stesso tempo complesse parole, per rompere la diga del fiume di parole che i genitori serbavano con dolore per loro stessi.

«Perché io, mamma?»

Bastarono queste due parole dette con l’innocenza di una bambina che aveva acconsentito al suo destino senza tante cerimonie, senza tante scene o lotte varie; a far crollare definitivamente i suoi genitori.

 Sophie l’aveva accettato. Aveva accettato il fatto che una malattia le avrebbe stroncato la vita sul nascere. Poteva soltanto acconsentire al suo destino, a cosa serviva poter urlare e piangere facendo disperare ancor di più i propri genitori, se sarebbe morta ugualmente?

I suoi genitori no, si ribellavano e si ostinavano come persone che non volevano ammettere a loro stessi la cruda realtà; la loro unica figlia sarebbe morta.

Morta.

Quella parola risuonava incredibilmente familiare ormai, alla piccola Sophie, che sperava invece che il suo amico, Tommaso, avesse più fortuna rispetto a lei. Si erano conosciuti nella loro casa e più volte avevano trascorsero  i minuti di attesa dalla chemio, assieme. Lo trovava un bambino simpatico e alla mano con cui poteva ridere e scherzare come una bambina normale, non come una bambina privata della sua infanzia come nella realtà che viveva. Con Tommaso, lei era una bambina che come unica  preoccupazione aveva quella di capire quale scherzo le avrebbe fatto l’amico, e non quello di portare sulle spalle il peso della leucemia che la stava mano a mano uccidendo.  

Con Tommaso aveva semplicemente otto anni.

*

«Perché a lei, Enrico? Tra tutte le persone al mondo, proprio il nostro unico miracolo.» Roberta pianse tra le braccia del marito la sventura che aveva colpito la sua famiglia. Non riusciva a comprendere perché Dio o chiunque potesse stare in cielo, -se mai ci fosse stato un qualcuno; prima le aveva donato quell’unico miracolo che dopo anni ed anni era arrivato… per poi toglierlo nuovamente.

Lei, così legata alla religione e alla fede, in quel momento brancolava nel buio dell’infedeltà perché non riusciva a capire la ragione per cui lei, doveva andarsene.

Non riusciva a pronunciare la parola morte, che molto bene urlava il suo cuore, il suo corpo dimagrito e le occhiaie scavate sotto gli occhi; non ci riuscivano né lei né suo marito.

Lei, la piccola Sophie, che era arrivata dopo anni ed anni di analisi da parte di Enrico e Roberta, per comprendere chi dei due fosse sterile. Ma puntualmente in ogni visita, il responso era negativo; sia se proveniva dall’ospedale di Roma, sia se proveniva da quello di Madrid o di Milano. Eppure la cosa che più desideravano non arrivava. Avevano un lavoro soddisfacente, erano innamorati, avevano una vita perfetta… eppure gli mancava un bambino che avrebbe interrotto la notte con un suo pianto o un suo gemito.

Alla fine, quando ormai si erano entrambi faticosamente rassegnati, arrivò lei. La loro piccola Sophie. Che con i suoi occhietti vispi e teneri, e la sua pelle rosea, aveva donato nuova vita ai Ferrara.

Ed ora, lei doveva morire.

Non riuscivano a capire la ragione. Non ci riuscivano.

«Siamo stati soli tanto a lungo Enrico e,  proprio quando la nostra vita aveva raggiunto quella pienezza che tanto desideravamo, lei dovrà andare via.»

I singhiozzi le scuoteva il corpo minuto con forza, e ogni lacrima era un battito cardiaco mancato.

Roberta stava andando alla deriva.

Enrico stava andando alla deriva.

Improvvisamente, erano diventati soltanto un pallido ricordo di ciò che erano.

Erano diventati delle anime perdute che si aggrappavano con le unghie e con i denti agli ultimi sorrisi della loro bambina, che in proprio in quel momento entrò nella stanza accompagnata dall’infermiera.

Roberta si asciugò immediatamente gli occhi.

Enrico improvvisò un sorriso che era più una smorfia che altro.

Dovevano lottare per stare con lei fino alla fine, con tranquillità.

Non potevano farla soffrire più di quando la malattia facesse già.

Non potevano.

Non volevano.

«Ti sei divertita con gli altri bambini, amore?» chiese Roberta con voce tremante.

«Ho fatto un disegno bellissimo mamma! Ecco guarda qua! L’ho fatto per te e per papà.»

Mostrò con orgoglio e con un sorriso dolcissimo, che solo una bambina di otto anni poteva donare, il disegno che rappresentava la loro famiglia.

Sophie, che stringeva la mano del padre e della madre.

Sorridevano tutti e tre in quel disegno e, in più, Sophie aveva i capelli lunghi.

Roberta non poté trattenere le lacrime stavolta e, con un mormorio di scuse, uscì dalla stanza.

Sophie strinse la mano al padre, chiedendogli con voce tremante se era a causa sua che la mamma era scappata; non seppe cosa dire.

Piange perché la nostra unica ragione di vita sta mano a mano morendo?

Piange perché una parte di noi morirà per sempre con te, cuore mio?

Piange perché non può alleviare il dolore insopportabile in nessun altro modo?

Piange, perché non ci sono risposte alle nostre domande?

Enrico la strinse semplicemente a sé, nascondendo il volto solcato dalle lacrime sull’incavo del collo di Sophie.

Il tempo delle parole era finito.

Il tempo delle parole non era mai nato.

“Sophie era una splendida bambina che tutti noi, qui riuniti, conoscevamo…”

Le parole del parroco, così come l’intera cerimonia, trascorse velocemente come se qualcuno con un telecomando avesse mandato avanti l’evento. Enrico e Roberta, stretti l’un l’altro, non avevano più lacrime da piangere, perché ora quello che piangeva, era il loro cuore. Inesorabilmente il loro cuore stava morendo, anzi, era già morto due giorni prima. Si era spenta come il più silenzioso rumore del battito d’ali di una farfalla e il cuore,  l’organo  grazie al quale ogni essere vivente continua a vivere… mancava. Se questo venisse strappato via nel più crudele dei modi e cioè, la perdita di una parte di se; come potevano continuare a vivere? Altra domanda senza risposta, per la coppia.

  Nel frattempo, altrove, nella sua casa, qualcun altro perdeva il suo cuore. Il piccolo Tommaso era divenuto orfano a causa di un ubriaco. Quel bambino era divenuto orfano a causa della stupidità di un uomo. Ma sarebbero mai tornati indietro i suoi genitori, grazie alla stupidità di quell’  uomo? Tommaso aveva perso anche la sua migliore amica, Sophie. 

Tre persone, riunite in un unico dolore, quello della perdita di una parte di sé, la più importante.

 Tre persone riunite dall’amore cieco provato nei confronti di quella bambina dagli occhi verdi.

Tre anime dalla deriva.

Sarebbero mai riusciti a sopravvivere a tutto questo dolore?

-Tre mesi dopo.

«Roberta, dobbiamo andare.» mormorò senza voce, Enrico.

«Tu vai se vuoi, io devo restare con la mia bambina. Non posso lasciarla.» mormorò con voce stanca, restando seduta di fronte alla lapide.

«Non possiamo più fare nulla, smettila di farti del male da sola ogni giorno che veniamo a trovarla. Lei sta nel nostro cuore. Andiamo, ti prego.»

Non riusciva più a reggere tutto quel dolore che lo corrodeva da dentro, che gli annebbiava la mente e distruggeva il suo cuore.

Senza aggiungere altre parole, Roberta si alzò e, dopo aver dato un bacio alla lapide e aver accarezzato la foto della figlia, strinse Enrico a sé e andarono via.

Dove?

Verso la deriva dove al largo, una bambina dagli occhi verdi sorrideva dolcemente e un bambino dagli occhi marroni di nome Tommaso aspettava il loro ritorno.

 

“'Cause a heart that hurts,

Is a heart that works.

A heart that hurts,

Is a heart that... works.”

Placebo, “Bright lights”.

   
 
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