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Autore: jakefan    30/07/2013    10 recensioni
Bella Swan ha scelto Jacob Black. E per giorni, mesi ed anni si è felicemente dimenticata che esiste qualcosa chiamato Imprinting.
Ma cosa accadrebbe se un giorno il lupo reclamasse il suo diritto?
Una storia di Twilight, una storia di tutti. Seconda classificata al contest "Se..." indetto da cenerella sul forum di EFP.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Isabella Swan, Jacob Black, Nuovo personaggio, Quileute | Coppie: Bella/Jacob
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
- Questa storia fa parte della serie 'Rising Sun'
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Imprinting
Sotto i pini di La Push si chiama così.
Nel resto del mondo si chiama in un altro modo, sempre lo stesso,
con una sola parola.

.




IMPRINTING


Tatuaggio dei Lupi Quileute


.


Il mio nome non ha alcuna importanza.

Conta solo sapere che io ero lì, e c’ero perché amavo lei. Diversamente, credo che molto prima di quei fatti me ne sarei andato, come hanno fatto altri. C’ero perché l’amavo, e non so se fosse colpa della Magia o di qualche altra cosa nel mio essere che risuonava con il suo fin da quando l’ho conosciuta. Sta di fatto che, benché lei non sia mia, il fatto di amarla o meno non è una scelta.
Non l’ho capito subito. All’inizio credevo fosse amicizia. Forse perché il primo aggrovigliarsi di qualcosa, dentro, non l’ho avvertito sotto la cintura dei pantaloni ma decisamente più in alto, a sinistra, appena sotto le prime costole.
Sono uno degli ultimi lupi del branco di La Push e lei è la donna del mio Alfa, Jacob Black. E la storia che sto per raccontare, alla quale ho assistito da impotente spettatore, potrebbe avere molti nomi ma qui da noi ne ha uno solo.
Imprinting.



Diario di Bella Swan Black
.

.


Devo restare calma. Devo farcela. Devo stare calma. Questa cosa non sta realmente succedendo, non a noi. Non a noi. E poi però mi dico, perché a noi no? Succede anche di peggio nella vita, non possiamo pensare che succeda sempre e solo agli altri, vero? Cosa sono io, una raccomandata? Sono stata esentata? Al contrario, magari ho avuto fin troppo culo fino ad ora. Le cose non succedono sempre e solo agli altri. Ora noi siamo gli altri e gli altri siamo noi. Uno si siede dal parrucchiere, apre un giornale di gossip e trova almeno una dozzina di storie così. Appunto. Un giornale di gossip, non noi. Non io. Non lui.
Stai calma, stai calma. Gli altri sopravvivono, sembra. Forse ce la puoi fare anche tu.




Ho fatto anche questo. Spiarla. Quella sera non mi bastava viverla nei pensieri di Jacob: sapevo quanto stava male, dovevo sapere. Volevo soffrire anch’io. E poi Jacob era corso via ed era mutato, chiudendomi fuori. Allora sono andato a casa loro e l’ho spiata da lontano.

I ragazzi dormivano, l’unica luce era quella della sua finestra, e io la guardavo scrivere su un quaderno dalla copertina nera, sola in un letto per metà vuoto. La vedo ancora, con le spalle nude e i capelli raccolti malamente, le labbra pallide segnate dai suoi stessi morsi, le guance lucide, bagnate.
Scrive alla luce della lampada da notte, reggendosi su un gomito; con la stessa mano con cui stringe la penna, preme per tenere aperto il quaderno e contemporaneamente traccia segni sulla carta, a fatica.
Sembra così piccola.
Poi torna lui. Solo perché è stordito non si accorge di me, solo perché è ubriaco di emozioni contrastanti, spaccato in due, lacerato nella direzione dei quattro punti cardinali non avverte l’onda dei miei pensieri; ho il timore che lo investano e mi scopra, anche se non siamo nella forma del lupo.
Così lo vedo aprire la porta ed entrare nella loro camera da letto, dove lei sta scrivendo. Vedo il suo disappunto doloroso nel trovarla sveglia. Vedo lei trafitta, ancora. La fortuna è dalla mia parte: il vento soffia nella direzione opposta e non mi porta le parole, sono abbastanza lontano da non comprendere quello che si stanno dicendo. Non voglio sentire.
Vedo lui che si gira per uscire di nuovo, vedo lei che lo trattiene stringendolo per la vita, aggrappandosi al suo corpo. Lui si irrigidisce, chiude i pugni, si volta e l’afferra per abbracciarla, poi cerca di andare e lei ancora lo ferma. Sembrano i passi di una danza atroce. Lo vedo prenderla in braccio, portarla sul letto e spogliarla così in fretta da strapparle la camicia da notte; ora è lui ad aggrapparsi a lei come un naufrago ad un relitto, al pezzo di legno rovinato e solitario che può ancora tenerlo a galla. Osservo il modo in cui le parla scostandole i capelli, concitato e teso mentre cerca di strapparsi via ma non riesce a farlo, perché il suo corpo la cerca - la danza atroce continua. Vedo lei stringerlo, chiamarlo, lei che non vuole arrendersi. Resto a guardare sul viso di lei le conseguenze di una risposta rude, vedo lui cercarla perché il suo corpo si ribella e si rifugia in lei, come ha sempre fatto nei momenti più bui. Lei lo lascia fare, lo chiama e so che lo sta supplicando, anche se non sento percepisco distintamente le parole.
So che lui la ama e la odia per quanto la ama, vorrebbe lasciarla ma non può, vorrebbe restare e non può, allo stesso modo. Lo vedo.
Lo vedo scoparsela mentre brucia per un’altra.
Lo odio con tutto me stesso. Quasi quanto odio me, noi e la Magia.
Lo vedo staccarsela di dosso, alzarsi e alla fine lasciarla comunque: è stato tutto inutile. Lui sparisce dietro la porta lasciandosela alle spalle come un guscio vuoto.
Lei è così piccola.
Si copre con un lenzuolo, il diario è per terra e la penna chissà dove è finita. So che muore di freddo sotto quel lenzuolo, la guardo da anni e conosco ogni suo brivido, anche se non sono mai stato io a scaldarla. Vorrei andare da lei e prenderla in braccio e fare come fa lei coi suoi figli, accarezzarle i capelli e dirle che va tutto bene.
Ma non va bene proprio niente. E in ogni caso, è niente quello che io posso fare.
Le stelle girano sulla nostra testa e cercare di fermarle è impossibile; fermare quello che sta accadendo è esattamente la stessa cosa. Le mani mi tremano, come se le catene fossero diventate reali, pesanti. Atroci.
Lui starà fuori tutta la notte a graffiare sugli alberi della foresta il suo sdegno. Lei si addormenterà sfinita.
Decido di mutare e corro dalla parte opposta, non voglio incontrare Jacob. So che non incontrerò nemmeno i suoi pensieri, li protegge da me in questo momento. Da noi. Brucia da solo.
Sono fortunato almeno in questo: quando mi arrendo al lupo, il lupo ancora una volta mi salva.


* * *


Si chiamava Lorna Williams, un cazzo di nome da playmate o da parrucchiera di Port Angeles, ma non faceva la parrucchiera. E neanche la playmate. Era un’insegnante della scuola della riserva, nazione Lakota se non ricordo male. Il fottutissimo imprinting ci vede bene: figli in abbondanza, lupi più forti e lei sembrava nata per quello. Per accogliere corpi di maschi, figli o amanti che fossero. Alta e imponente come la Dea che ha creato il mondo, fianchi larghi, gambe infinite e tette a sufficienza per tutto il vecchio branco, Paul compreso. Anche tutti insieme. Lei era.. tanta, e bella come la Madre del mondo.
Una sera ce ne stiamo tranquilli alla nuova birreria, si festeggia il compleanno di Kim e va tutto divinamente. I bambini sistemati col nuovo metodo, che consiste nel portarli tutti quanti a casa di Sue e Charlie e lasciarli lì a dormire, tanto hanno una tale paura di Nonna Sue che si guardano bene dal fare casino: giocano per un po’ mentre i vecchi fanno finta di non sentire, ma quando la vecchia sciamana infila dentro la testa e dice basta anche i più audaci la piantano e si addormentano in fretta.
Le mogli, senza figli appresso, sono tornate ragazzine: hanno le scarpe col tacco e vestitini leggeri ma non troppo aderenti perché i figli, anche quando non ci sono, i segni addosso li lasciano; nessuna di loro ha il corpo che aveva quando è nato il branco, quando siamo diventati quello che siamo. Noi non invecchiamo, il tempo passa solo su di loro: le guardiamo andare avanti, vorremmo seguirle e non riusciamo. Nemmeno stasera riesco a scordare la nostra maledizione.
Bella è rimasta sottile sempre, anche dopo i gemelli. Ha un po’ di pancia, ovvio, e il seno è più largo e morbido, ma sembra ancora una ragazzina. Solo che non dà più l’idea di scomparire al primo soffio di vento, è abbastanza solida adesso da poterla afferrare o da potersi aggrappare a lei senza paura di spezzarla, da poterla stringerla per fare l’amore senza paura di farle troppo male.
Lui la trova ancora più seducente; nella sua testa ci sono sempre tutte nello stesso momento, la bambina, la ragazzina, la madre con il ventre enorme e rotondo, la giovane donna dai fianchi materni. Sua moglie. Bella. Dio mi perdoni o mi accechi se non vuole che io la guardi più, non riesco a farne a meno, e anche se non volessi la vedrei mille volte con gli occhi del mio Alfa. Non avrei comunque scampo.
Lui non vede nessun’altra se non lei e ad ogni anno che passa lei è sempre più sua, come marchiata da lui. I fianchi glieli hanno allargati i suoi figli, lei gli appartiene come la terra, come casa sua, come l’aria che respira. Perciò nessuno di noi avrebbe immaginato nemmeno lontanamente quello che stava per accadere.
E io mi ricordo solo che avevo finito la birra e stavo per ordinarne un’altra, ma non l’ho mai fatto.
Il DJ mette la musica un po’ più alta, finalmente si può ballare; le ragazze si alzano, Bella prende Jacob per mano e lo trascina sulla pista dove lui prima prova qualche passo, poi ci rinuncia e la tira vicino e comincia a ballare un lento, mentre tutti si dimenano al ritmo di Love is Forever.

Quando sta per succedere, Bella ha gli occhi lucidi e le guance rosa e sta ridendo con la testa all’indietro, perché loro due quando ballano sono ridicoli; Jacob le annusa il collo e la bacia, fingendo di ignorare che sono in mezzo ad una piccola folla, ridendo nella sua risata e nel suo collo profumato.
- Jake, guarda. C’è la professoressa di Aaron e Caleb, quella nuova. Professoressa Williams! Non mi sente. Vieni che te la presento.
Lo riprende per mano, si avvicinano al bancone.
Ancora pochi secondi.
- Professoressa, buonasera! Anche lei qui a fare follie?
- Signora Black, che piacere. Io…
- Questo è mio marito, Jacob. Non credo che vi siate ancora conosciuti, vero?
Tutto quello che c’è intorno scompare.
Le luci si sono spente, non c’è più niente. Solo loro tre.
Lorna guarda Jacob, Jacob guarda Lorna. Bella guarda Jacob che guarda Lorna; non capisce. Nella sua testa non c’è posto per quello che sta vedendo. Immagino il reset nel suo cervello, non può pensare che sia possibile, di sicuro si sta sbagliando. Vuole che torni la musica e la musica non torna, la luce resta spenta, l’unica cosa visibile sono loro tre dentro al globo di luce, come avessero un faro puntato addosso in una stanza vuota e completamente buia. Solo loro tre, non si vede nient’altro.
E poi l’orrore.
Bella è fuori al buio. Nel globo di luce ci sono solo Lorna e Jacob.

Il giorno dopo Jacob va a portare i ragazzi a scuola; diversamente da come fa di solito li accompagna fin sulla porta della classe. Casualmente la prima ora di lezione è proprio di Lorna Williams, che è già in classe e sta compilando il registro. Aaron e Caleb appendono i giubbotti nell’armadietto, trafficano con gli zaini; il loro padre è già sulla soglia.
Lo vedono lì fermo, le braccia abbandonate. Non li guarda più. Sta lì senza parlare, lo sguardo fisso dentro la classe, dove sta la professoressa Williams.
Lorna Williams alza gli occhi dal registro che sta compilando e volta la testa di scatto verso la porta, come se qualcuno l’avesse chiamata di colpo - ma nessuno ha parlato. Diventa rossa come un peperone e i ragazzi pensano toh, sembrava una dura questa prof e invece guarda lì, basta che venga un genitore a parlare e lei si agita.
La professoressa guarda il padre di Aaron e Caleb, i ragazzi pensano visto prof, che figo mio padre, eh? Lo sai che è il capo della tribù? Lo sai che è il capobranco, anche se non te lo possiamo dire?
Chissà cosa vede, lei? Jacob è imponente, ai suoi ragazzini sembra sempre enorme e tipo un supereroe, anche solo con la maglietta bianca e i pantaloni da lavoro che porta ogni mattina. I ragazzi entrano in classe, la professoressa resta ferma, il petto che si alza e si abbassa veloce, il respiro affannato.
Gli occhi di Jacob sono duri ma non la lasciano andare.
Suona la campanella e li salva tutti.

I vecchi l’hanno capito in fretta: i segni erano evidenti e poi quelli che l’avevano provato l’hanno riconosciuto subito. E anche quelli che per abitudine hanno sempre la risposta pronta quella volta se ne sono stati zitti, e quando passava Bella abbassavano la testa, sparivano nelle porte, fingevano di non vedere. Nemmeno la vecchia Sue sapeva cosa dire, lei che non starà zitta nemmeno davanti a Dio nel giorno del Giudizio.
Il crimine era sulle spalle di tutti.
Perché, Ok, lo stramaledetto lupo avrebbe anche potuto accontentarsi, no? Quattro figli nati da loro, quattro bellissimi figli. Cosa poteva volere ancora il lupo? Che altro tributo poteva pretendere? Quattro cuccioli maschi di sangue alfa non erano abbastanza?
Ogni tanto Bella ci pensava. Si chiedeva perché a Jacob non era capitato, se poteva dirsi al sicuro, se avrebbe ancora potuto accadere, ma il vecchio Ateara aveva sentenziato che ormai non sarebbe successo più. Evidentemente ancora non bastava: il lupo voleva di più, avido come un vampiro.
Alla riserva non si parlava d’altro, cambiava solo il modo. Al supermercato, a scuola, al lavoro, in paese, a Bella sembrava di essere sulla bocca di tutti ed aveva ragione, lo era davvero. Camminava con la testa bassa, nascondendosi dietro ai capelli o ai suoi figli o tuffandosi improvvisamente concentrata nel foglietto spiegazzato della lista della spesa. Girava tra gli scaffali con passi brevi e veloci, raccattava due cose e scappava, fingendo fretta con tutti. Non reggeva la compassione; la compassione è per chi è spezzato, per chi ha perso, per chi soffre. Lei non aveva ancora perso, perché la davano per spacciata? Lei non voleva piangere. Perché tutti sembravano allungarle il fazzoletto?
Così alla fine la evitavano, credendo di beffare la propria vergogna.
La evitava Emily che sapeva cos’era l’imprinting e non aveva il coraggio di dirglielo; la evitava anche per non pensare a Leah Clearwater, per non stare di nuovo male, per non essere proprio lei a dirle la verità. La evitava Sam perché aveva il cuore a pezzi, non sapeva cosa fare e soprattutto cosa dire, Sam non è mai stato un gran chiacchierone. Sembrava si sentisse colpevole, manco avesse contagiato Jacob e lo stramaledetto imprinting fosse una roba infettiva come l’Aids.
I più anziani del branco, Jared, Paul, anche loro giravano al largo e nessuno era più tanto fiero della tradizione e delle leggende, lo schifo era troppo. E il vecchio Quil guardava in giro con umidi occhi tristi, sconsolato, incapace di sorriderle e prenderla in giro come aveva sempre fatto da quando l’aveva conosciuta. Non avrebbe mai pensato di chiudere la sua vita vedendo una simile ingiustizia, uno scherzo degli spiriti, una battuta venuta male come questa; e soprattutto mai avrebbe pensato che la magia potesse essere tanto infame.


Sbandata. Cotta. Imbarcata. Infatuazione. Scuffia.
Adulterio.
Tradimento.
Così ne parlava chi non sapeva nulla o chi non aveva capito niente. Commiserando lei, accusando Jacob, insultando la puttana straniera venuta a portare guai.
Una delle mie amiche lavorava a scuola, così avevo notizie anche da lì. Una sera mi dice che Lorna Williams da alcuni giorni mangia da sola, né al tavolo insegnanti né in mezzo ai ragazzi, come faceva appena arrivata.
Cosa diavolo sta succedendo?

* * *

- Vieni.
Vuole proprio me. No, per favore, penso io. Non ce la faccio.
- Con ‘sto tempo di mer… Non siamo di turno, non ti ricordi? Ci sono Jared e Colin là fuori e mi sa che stanno perdendo tempo anche loro… E’ tutto tran…
- Vieni.
Così lo seguo. La notte è la più buia che io mi ricordi; non solo non c’è luna, ma la pioggia è tagliente e nera come inchiostro. Non si vede ad un palmo dal naso, ma lui si allontana veloce e sicuro dalla luce e quasi non mi ricordo che anch’io, come lui, sono in grado di vedere nel buio. Lui salta e mi aspetta.
Quando raggiungo la sua mente è come tuffarsi in una voragine nera e rosso fuoco, un vulcano maledetto sul punto di esplodere. Il calore fa bruciare anche la notte ma non è un piacevole tepore che riscaldi, è solo tormento.
“Seguimi. Devi seguirmi.”
Corre in direzione opposta alla linea del trattato, verso la foresta, al confine col Canada. Corre come avesse mille demoni alle calcagna e in realtà è proprio così: correndo mi trascina con sé in un abisso nero, ma non posso evitare di seguirlo. La donna chiamata Lorna Williams mi appare mutando continuamente la sua forma: la mattina a scuola, spiata dalla finestra, nuda sotto la doccia, nuda e fremente. Quand’è che Jacob l’ha vista così? E’ un ricordo o un desiderio? Sono sconvolto, mi dibatto con lui nei tentacoli dell’imprinting, nella colpa del desiderio bruciante del mio alfa che cerca di mutilarsi per annullarlo. C’è la donna chiamata Lorna e poi Bella, i figli e poi ancora lei. Cavi d’acciaio spietati lo riportano alla donna alta, quella che sembra la madre del mondo.
Corre, corre e intanto mi trascina nel vortice, sempre più lontano dalle nostre case, dalla luce e dal calore. E’ la sua notte più buia. E’ la nostra notte più buia.
La corsa non rallenta, sono i suoi pensieri a farlo; pare ricordarsi della mia esistenza.
“Aiutami. Cosa posso fare? Ci sarà qualcosa che posso fare, cazzo!”
“Jake, io non…”
La bestemmia lacera la mia mente e l’aria intorno.
E’ infuriato, il fuoco della sua disperazione è nero e gelido. Il vento che ci flagella a confronto non è niente, è un sollievo.
La tormenta mi tira giù insieme a lui. Non mi rimane più niente.


* * *

- Chi è lei?
- Sono… Siamo… uhm, siamo vicini di casa. Abito laggiù, dopo i due alberi grandi. Sono venuto a conoscerla - dico, allungando a Lorna Williams un piatto di biscotti. Regole del buon vicinato, qualche volta servono a qualcosa.
Indico la casetta tra gli alberi, da cui si vede il mare. È lì che vivo, in quella che è stata la prima casa di Bella e Jake a La Push.
Miss Williams mi fa entrare in casa sua. Ci sono ancora scatoloni nell’ingresso e odore di vernice fresca; la casa era della vecchia Montgomery che ci viveva da una cinquantina d’anni. Lorna l’ha affittata con tutti i mobili ma l’ha prima vuotata, poi riverniciata di colori caldi - ogni parete un colore diverso, dev’essere anche lei un po’ strana, dopotutto - e poi evidentemente ha deciso di non riempirla di nuovo, non con le cose della vecchia. L’arredamento è nuovo, l’odore di fabbrica e vernici quasi mi brucia il naso. Di vecchio c’è solo una credenza di legno dalla quale occhieggiano stoviglie colorate. Piatti, anche quelli uno diverso dall’altro. Sì, Lorna Williams è un tipo particolare.
Al centro della stanza sono stati aperti alcuni scatoloni: sono pieni di libri. Altri libri sono impilati di fianco a scatole semivuote, l’effetto generale è quello che delle grandi bocche aperte stiano vomitando libri sul pavimento.
- Prego. Posso offrirle qualcosa?
- Uhm… un bicchiere d’acqua?
- Non sia timido. Ho del vino rosso.
- Vada per il vino rosso.
Sparisce nella cucina che è separata dalla sala da una tenda di perline. Riappare con due calici colmi fino a metà di un liquido rosso rubino; odore di vigne e di sole, di frutta e muschio. Un vino italiano, e dei migliori.
Non riesco a non chiedermi se l’abbia offerto anche a Jacob, lo stesso vino, e cosa potrebbe avere risposto lui. Non riesco a chiedermi se sia successo qui. Se è successo, poi. Mi scopro a cercare il loro odore nell’aria.
Non riesco a evitare di fare la prima domanda idiota. D’altronde non poteva essere diversamente: non so nemmeno esattamente perché sono qui, ma adesso che ci sono qualcosa devo fare.
- Si tratterrà molto alla riserva?
Idiota, certo che sì. Questa casa sa di vita nuova, di speranze. Le hanno fatto delle promesse e Lorna è venuta per restare.
- Detto così, sembra che non veda l’ora di vedermi ripartire. Siete tutti così simpatici da queste parti?
- No, io… Non mi fraintenda.
Non è una stupida. Sono io lo stupido, che sono venuto qui a impicciarmi dei fatti degli altri.
Farei ancora in tempo a stare zitto, a inventarmi qualcosa per rimediare. Invece lo dico.
- Sono un amico della famiglia Black. Sono un amico di Jacob Black e di sua moglie Bella.
E poi la guardo, dritto negli occhi. E lei sa che so tutto, tutto, e scommetto che si chiede come cazzo sia possibile perché in realtà non è successo niente: niente a parte l’inferno che li sta consumando entrambi, ovviamente.
Qualcosa che assomiglia ad un senso di colpa si dimena all’altezza dello stomaco, ma non abbasso lo sguardo. Lo abbassa lei.
Lorna Williams dev’essere una che non mente mai. Una che si tradisce in questo modo non deve essere molto abile, con le bugie. Una che cambia colore come una bambina cui è stato rubato un segreto, non può essere una che d’abitudine racconta palle. Mi piace, e con la pelle arrossata, il respiro corto e questo imbarazzo delizioso che le impedisce di guardarmi in faccia la trovo quasi simpatica.
Innegabilmente bellissima. Il fottutissimo imprinting ci vede bene.
- E’ venuto per raccontarmi le sue relazione sociali?
Non rispondo, mi limito a guardarla: quella finta padronanza di sé, quel lampo di sicurezza svanisce rapidamente, come durante un temporale. Lorna si sgretola davanti ai miei occhi.
Cazzo sono venuto a fare qui?
- No. Sono venuto a conoscerla.
Mi alzo, imbarazzato più di lei. Me ne vado senza dire altro, consapevole che è tutto sbagliato. Sono sbagliato perfino io e a nessuno interessa il fatto che mi farei tagliare le mani, se servisse a trovare un rimedio.
Non è una puttana. E’ una donna colpita da un fulmine. E’ una donna che cercava di tutto, alla riserva, ma non questo.
- Stia bene, professoressa. Se avesse bisogno di qualcosa io abito là. La mia casa è laggiù, la prima dopo quei due alberi più grandi.


* * *


Sono stato via qualche giorno per lavoro, un corso di aggiornamento. Quando rientro è quasi sera e vorrei correre fino a casa dei Black come farei se tutto fosse normale; mi mancano i ragazzi, Bella prepara sempre qualcosa in più per cena e magari potrei fermarmi da loro. Una volta si faceva a casa di Emily, da qualche anno si viene qui, da quando Sam ha lasciato il branco. Ho le foto del compleanno di Kim e ce ne sono alcune che voglio lasciare a Bella; potrebbe ingrandirle e appenderle, penso, perché sono venute troppo bene. In una ci siamo noi due, è quando diamo i regali a Kim; siamo entrambi rivolti verso di lei con qualcosa in mano e un sorriso a trentadue denti. Peccato che lei guardi Kim e io guardi lei.

Sto per andare dai Black, come farei di solito. Invece un istinto bastardo mi fa allungare la strada e senza quasi accorgermene sto camminando verso la casa di Lorna Williams.
E’ quasi buio, perfino con la mia vista so che potrei sbagliarmi e spero, spero come un pazzo, con tutta la disperazione che riesco a metterci, di essermi sbagliato, di avere visto male: ma la sagoma che appare in lontananza è inconfondibile, anche sfumata dalla cortina della pioggia. La clessidra del tempo sembra essersi riempita di nuovo, il nastro si avvolge all’indietro: un ragazzo bruno a torso nudo, i capelli gocciolanti, le grandi spalle curve sotto un peso insopportabile, risale dal sentiero verso la casa della professoressa. Assisto da lontano: lui, a piedi nudi, fradicio e infangato, bussa alla porta. Lei apre, è pallida e scarmigliata, i capelli sciolti, spettinati, molli. Guarda per terra, poi solleva la testa.
E’ lei che si muove per prima.
Le loro bocche si trovano subito e non c’è niente di gentile in quello che vedo, solo un bisogno disperato e senza tenerezza: non si abbracciano, sono solo labbra denti respiro a scontrarsi. Lei cede terreno, Jacob entra in casa e chiude la porta dietro di sé.
Non reggo più, muto anch’io e corro dalla parte opposta. Vorrei avere braccia abbastanza grandi e forti da parare la catastrofe, da raccogliere il mondo che sta cadendo, stringerlo e tenere assieme i pezzi, cancellare il dolore. Invece ho solo zampe di lupo e l’unica cosa che riesco a fare è fermarmi a gridare la mia disperazione, nell’ attesa vana che qualcuno la ascolti e ci salvi tutti.
Poco più tardi mi rendo conto che Bella è sola, forse ha bisogno di qualcuno. Mi illudo che potrebbe avere bisogno di me.
Decido di rientrare.


- Sei… Sei tu? Oh… scu-scusa. Credevo fossi…
- Perché stai al buio, Bella?
-Non accendere. Lascia spento.
E infatti è sola. I ragazzi non ci sono, mi chiedo se sia solo una coincidenza o se li abbia mandati via lei.
- Co.. come stai? Ti ho portato…
- E’ andato da lei.
Non me lo sta chiedendo.
- Bella…
- Non mentirmi, per favore. Almeno tu. E’ andato da lei.
Non resisto più. Mi precipito da lei senza nemmeno chiudere la porta, la prendo per le braccia e la sollevo. Non si regge in piedi, sono costretto a sostenerla con un braccio.
- Bella. Guardami, per favore. Ti prego, guardami.
Non riesco a fermare la mano che le accarezza le guance bagnate, non riesco a non scendere sulle labbra semiaperte in cerca di respiro. Ma resto congelato, la mano ricade, una lama gelida mi svuota il petto: gli occhi che lei mi mostra sono due pozzi ciechi di dolore. Non vedono niente. Ma per me è bellissima anche così, con lo sguardo vuoto, spezzata dalla sofferenza. E spezzata, crolla.
Sono qui per questo, amore. Sono qui perché tu possa lasciarti andare, non ti farai del male. Cadi su di me, feriscimi, dai un senso a questo idiota che sta qui senza poter fare niente più che esserci. Prendimi, fa’ qualcosa di me, per favore. Qualsiasi cosa.
Comincia a piangere gemendo come il temporale fuori dalla porta, quasi gridando, molle tra le mie braccia; la sostengo e non so cosa fare, non so se devo muovermi o restare fermo, dirle che so esattamente come sta oppure restare indifferente, fingere che non è niente, e intanto la stringo, la premo contro di me la pelle la maglia la pelle calda mentre vomita il suo dolore e io mi odio perché non so mentire, perché sono talmente idiota da non riuscire a dire niente, dovrei dirle che è bellissima e Jacob deve essere impazzito per volerla perdere, dovrei, dovrei…
Ma lei non c’è, non è qui. È solo un urlo nel temporale.
Ora tace, non ha più fiato, mi guarda, guardo il suo viso bagnato, le labbra semichiuse. Sono così vicine alle mie, lei è troppo vicina. Sono anni che non la stringo in questo modo, anzi, erano solo sogni e in realtà non è successo mai. In realtà l’ho abbracciata davvero solo una volta, un giorno lontano. Lei era vestita di bianco, per quell’unico ballo che non ho dimenticato mai. Il giorno del suo matrimonio con Jacob. Ce l’ho di nuovo tra le braccia e sto per dimenticare che è solo disperazione, mia e sua, e che se anche ora lo facessi, se davvero posassi le labbra sulle sue e lei non mi cacciasse via, sarebbe solo disperazione.
Lei ama solo un uomo, e non sono io.
È così vicina e io sto morendo e la sua bocca è solo ad un respiro dalla mia.
Ed è lui che compare nel vano della porta.
Me la strappa, la prende in braccio, la stringe convulsamente. Il suo viso è quello di un morto.

.


Ore dopo Bella ha smesso di piangere e si è addormentata. I ragazzi ormai erano tornati e dormivano tutti; lui era ancora sveglio, seduto davanti al camino nella sala grande. Guardava le fiamme, immobile, non più fradicio d’acqua ma ancora gelido. Quell'onda di gelo arriva fino a me.

- Corri con me.
- Non voglio saper…
- Vaffanculo. Muoviti, andiamo. Io… Ti prego.
Il tono cambia, da ordine si trasforma in preghiera. Credo abbia come bisogno di un testimone, vuole che guardi nella sua mente. E’ pallido come un cadavere, dovrebbe dormire invece di propormi di lanciarmi nella foresta con lui, ma non riesco a fermarlo; se ne va verso la porta ed io lo seguo. Poco dopo, quando trovo la sua mente, il vulcano si è spento e solo un tenue fuoco rossastro ne illumina il cratere.

- Guarda, per favore. Almeno tu, voglio che tu lo sappia.
Obbedisco.
Sono lui, adesso.
Sono Jacob Black.

Ho spinto Lorna in casa, Lorna fuoco freddo e disperato che brucia e mi bacia tanto quanto io bacio lei. L’ho schiantata tra la porta e il mio corpo e ho chiamato tutto il coraggio dei miei antenati per fare quello che dovevo.
L’ho baciata, baciata, a lungo. Ho ascoltato i suoi gemiti e ho avuto la netta sensazione delle sue gambe che diventavano molli, inconsistenti. L’ho baciata, ancora, e poi ho parlato.
- Devi andartene. Non è una proposta.
- E’ un ordine? Un ordine di chi, signor Black? E’ impazzito, per caso?
La bacio ancora, disperatamente.
Lo dico a me stesso più che a lei, ma la forza che ci metto è esattamente la stessa.
- E’ un ordine.
- Prendo ordini solo dal mio preside.
- Ti caccerà. Se glielo chiedo io ti caccerà. E’ un mio vecchio amico.
- Il preside Call è un suo vecchio amico?
- Dei migliori.
Lorna trema sotto le mie mani e io mi sento l’essere più abbietto che cammina sulla terra, in forma di uomo o di bestia.
- Non mi sono mai. Sentita. Così. Non me ne andrò.
- Lo farai.
- Perché mai?
La bacio come ho fatto prima, ancora, e ancora. E ancora, perché è l’ultima volta.
- Perché se no mi uccidi.


.
Lorna Williams è partita la mattina dopo. Nessuno ha più saputo niente di lei.

Sono tornato dai Black una sera, un paio di settimane più tardi, ho dato ai ragazzi le cose che avevo comprato per loro in viaggio e abbiamo guardato le fotografie del compleanno di Kim. Una l’ho rubata, quella dove Bella ed io le diamo i regali. Sono riuscito ad infilarmela in tasca; solo che poi, fuori dalla porta, mi sono sentito incredibilmente idiota e così l’ho strappata e ho buttato i pezzi per terra. Poi ho raccolto una metà, quella dove lei ride con gli occhi, le guance e la bocca spalancata; l’altra metà, quella dove ci sono io, l’ho lasciata cadere nel fango.


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Il mio nome non ha alcuna importanza. Probabilmente nemmeno il nome che diamo a certe cose, qui a La Push, ha importanza.
Anni dopo, passata la tempesta, mi sono trovato a pensare che da ovunque la si guardi e la si racconti - con gli occhi di Lorna, o di Bella, o di Jacob, o vissuta da dentro come fosse mia, come è accaduto a me - questa storia di nome ne può avere uno solo.
Lorna. Bella. Jacob. Io stesso. Uomini, donne, lupi. Le parti che si cambiano, i finali mutano, chi vince ha perso e chi sembra aver perso in realtà ha vinto davvero. Basta un solo nome per una banalissima storia, vecchia quanto il mondo. E quel nome non è “Imprinting”.


Moleskina aperta, in mezzo a tutta pagina è scritto


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Seconda classificata al Flash Contest "Se..." indetto da cenerella sul forum di EFP.
Questa storia è... non lo so bene, comunque era un episodio di una long che ho cancellato e che era il seguito della mia Rising Sun. Spero che funzioni anche da sola, come storia a sé. Storia di una crisi e di una vittoria. Alla fine poi si tratta solo di una scusa per parlare di tradimento e di come si può cadere e rialzarsi.
Comunque in questo Universo Bella ha scelto Jacob, vive a La Push e ha avuto quattro figli con suo marito. Ed è amata in segreto da uno dei lupi del Branco. Per capire che è, provare a spulciare in Rising Sun dove ho seminato qualche indizio :) Poi magari un giorno ripubblicherò Invictus, visto che tanto ormai di qua non passa più nessuno XD e io forse ho superato qualche menata relativa a quella storia.
Grazie per avere letto fin qui.
Un abbraccio

J.
   
 
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