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Autore: Obliviosa Black    31/07/2013    0 recensioni
Tutti siamo stati spettatori della conclusione di JIM, ma cosa è successo veramente a Kid Loki ( e al suo io adulto) quando ha "ingoiato la bugia"?
Questa FF è una mia personalissima interpretazione del finale della serie, nonché l'unica spiegazione che sono riuscita a dare a quanto successo e ai successivi sviluppi.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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N.d.A:  tutti i dialoghi di questa fanfiction sono presi da Journey Into Mystery 645 del dicembre 2012 e quindi di assoluta invenzione e proprietà di Kieron Gillen, lo sceneggiatore della serie. Ho preferito non alterarli (o ometterli in alcuni casi) perchè questa FF è la rivisitazione dell'episodio dal punto di vista di Loki (e non da quello di un osservatore esterno) e ho voluto utilizzare i dialoghi come collante tra la mia interpretazione e la vicenda creta da Gillen e splendidamente illustrata da Stephanie Hans.
Le descrizioni e le riflessioni sono ispirate all'epilogo di Everything Burns ma di mia invenzione.

 

Un grazie urlato dalle guglie di Asgard e che riecceggia per tutti i Nove Reami a Mendori, che è stata così gentile da sopportare le mie  elucubrazioni mentali sul finele di JIM.

 

Mr. Gazza


"Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi"
Tancredi ne Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa.
 

... e vissero tutti felici contenti.
O meglio: sarebbero vissuti tutti felici e contenti fino al prossimo pseudo Ragnarock, per sprofondare nel Valhalla ed infine reincarnarsi. Allora, avrebbero vissuto tutti felici e contenti: Odino, con il suo sguardo distaccato ed imperioso sui nove reami; Thor, lo spirito guerriero di Asgard, l’eroe degli eroi sempre in prima linea, con Sif l’innarestabile e i tre guerrieri al suo fianco; Hela con il suo fazzoletto d’inferno; Balder il bello preso dalla sua lotta senza tempo con i nemici degli Aesir.
Loki  sapeva che questa era la verità: il ciclo faceva sempre il  suo pigro giro, per poi tornare al punto d’inizio. Intrappolato nel suo subconscio, ascoltava le parole del suo io più anziano e prendeva atto di ciò che stava dicendo.
Alzò lo sguardo, lo fece scorrere sul mantello che si dipartiva dalle fiamme verdastre, si soffermò sui peli del colletto, che volteggiavano nel nulla, per infine scontrarsi con lui. Lo osservò per un brevissimo istante, molto più brevemente di quanto non avesse mai fatto in precedenza, anche quando si trattava di Ikol.
Eppure non ebbe bisogno soffermarsi troppo perché in quel luogo, in quel momento entrambi sapevano ciò che sapeva l’altro: si vedava piccolo, teso come una corda di violino, con quel viso infantile così in contrasto con le palbebre pesanti, le occhiaie leggermente segnate, la piega dura della bocca, così come vedeva lui, alto, imponente, con quell’espressione elegante e molto, molto stanca, con quel viso nel quale solo ora riconosceva tra le rughe, i suoi stessi zigomi, le sue stesse labbra, i suoi stessi occhi.
-È al di là dei nostri poteri finire una storia così- disse una volta distolto lo sguardo.
Non sapeva nemmeno se stesse parlando, probabilmente riuscivano a parlarsi senza bisogno di dare fiato alla bocca: bastava che uno pensasse in maniera abbastanza chiara, e l’altro capiva. Tuttavia doveva provare a dare voce ai suoi pensieri; era l’unico modo per evitare di impazzire.
-Vero- commentò l’altro- è triste.
Fu allora che ne ebbe la conferma.
Era al di là dei loro poteri finire una storia così:  questo era ormai evidente, una scritta a caratteri cubitali al neon che entrambi fissavano. Loro non potevano farcela, ma Loki si.
Entrambi erano una parte dell’Ingannatore, dell’Astuto, del Mutaforma ma non erano lui in tutta la sua complessità.
Loki poteva essere agli antipodi rispetto agli altri dèi asgardiani, ma fin’ora nemmeno la sua discendenza paterna da Jountheim lo escludeva dalla stirpe di Odino.
Come tutti gli dèi aveva seguito il ciclo, su una strada costruitasi da sé, certo, ma lo aveva pur sempre fatto: e siccome era stato lui ad incominciare, doveva finire lui.
La versione più anziana estrasse lentamente una mano dal mantello e voltandola con eleganza verso il palmo, indicò Ikol, che schiudeva leggermente le ali sopra un elmo identico a quello del dio.
-È ora: ingoia la bugia.
Poi aggiunse, gli occhi verdi che guizzavano da sotto le palpebre spiegazzate:- Mi dispiace Loki.
La reincarnazione più giovane tese le braccia per prendere la gazza; probabilmente se le avvesse piegate si sarebbero spezzate ai gomiti tanto era teso. Però, aprì le mani, circondò l’uccello, lasciando le sue zampe penzolare attraverso le dita.
-Ne sono certo- pensò: ormai non si curava più di aprire la bocca, simulare una conversazione con una persona normale. Le ultime frasi del suo io più anziano gli avevano trasmesso una determinazione che gli era ben conscia, che gli scorreva lunga la spina dorsale, per poi raggiungere tutto il corpo e fargli portare Ikol in grembo.
Ora toccava la parte più difficile e stava al più giovane compierla perché il cambiamento di cui tanto aveva parlato durante quell’anno, tra le macerie di Dark Asgardia, le disavventura con Leah, gli dèi di Manchester e Surtur, non era una delle tante parole buttate lì a caso per impressionare ed ingannare la gente.
Loki in quell’anno aveva fatto più di quanto avesse fatto prima: aveva ingannato sé stesso. Ma l’Ingannatore poteva fare ancora di più ed entrambe le sue versioni percepivano quella consapevolezza avvolgerli come spire di un fumo denso, inebriante.
Fu l’io più giovane a dare voce questi pensieri :- Non abbastanza però... Perché sai, stavo, bé, pensando... L’hai sentito vero?
Il più anziano mosse impercettibilmente il capo.
-Lo sai che ho vinto io.
- No. Cambierò.
Furono parole dure quelle del Loki passato ma avevano la stessa convinzione di un bambino che , durante un litigio con la madre, persiste nel sostenere di avere ragione, malgrado sappia che nulla tranne la sua cocciutaggine può affermarla.
Il Loki bambino teneva in braccio Ikol, lo cullava come se fosse suo figlio ed in fin dei conti quell’uccello era  frutto di quella coscienza di cui lui stesso fa parte.
-Non ce la farai, non te lo consentiranno- il giovane lisciò le piume della gazza con un movimento ipnotico – Io ci ho provato, ho giocato ed ho vinto. Io ho vinto e tu hai perso: non dimenticarlo mai.
Il più anziano abbassò la testa: erano pensieri spiacevoli ma almeno confermavano che il ragazzo sapeva cosa fare e che questa opera si sarebbe srotolata come un faffinato tappeto tunisino, senza fare una grinza.
Non restava che aspettare che calasse il sipario.
La reincarnazione più giovane di Loki l’Ingannatore, Loki l’astuto avvicina la bocca ad Ikol, la gazza che per quasi un anno ha contenuto lo spirito del dio passato.
La bocca resta a pochi millimetri dalle piume, su quel punto che congiunge la testa col corpo dove sono più fitte e morbide; è dischiusa, a metà tra spalancarsi in un morso e tra chiudersi in un singulto.
Poi sentì un brivido corrergli lungo la schiena e quel fumo che lo circondava era così denso da schiacciarlo, da impedirgli un qualsiasi movimento tranne uno solo, un solo piccolo scatto della mascella.
Fece l’unica cosa che gli era concessa fare. Affondò i denti dentro Ikol e si sorprese di trovare così tanta resistenza con la carne; del resto non stava semplicemente mangiando un hamburger al Diner o una coscia di cinghiale arrostito secondo la ricetta di Volstagg, bensì la più grande delle sue bugie e senza farlo apposta il modo di dire midgardiano “mandare giù un boccone amaro” calzava alla peferzione in quella situazione.
Fu quasi sul punto di ridere per quella macabra ironia ma s’impose di concentrarsi sul suo ultimo atto di quella tragedia che era diventata la sua esistenza. Tirò con i denti più forte, strinse con così tanta forza le dita sulla gazza da probabilmente spezzargli le ossa fino a quando i tendini si ruppero e un pezzo di Ikol rimase tra i denti del giovane Loki.
Il ragazzo sputacchiò a causa della piume che gli impastavano la bocca. La scena in altre occasione sarebbe stata comica, a portata di mano per lo scherno degli Asgardiani; ora le bocche si sarebbero aperte per poi seccarsi a contatto con l’aria.
La reincarnazione più giovane masticò il boccone con lentezza: i molari lacerarono, triturarono la carne riducendola in pezzi sempre più piccoli che riuscirono a scendere nel canale digerente, superando quel nodo che stringeva ancora la gola al ragazzo.
Avrebbe voluto mettersi a piangere, almeno per scacciare il nervosismo che lo pervadeva ma un giorno di tanto tempo fa – quando era appena nato- il suo io più vecchio gli aveva chiesto attraverso il becco di un uccello se Loki piangesse e lui aveva risposto senza indugi: “Solo per poco”.
Così accostò ancora la bocca alla gazza e lasciò che il suo sangue gli macchiasse la punta delle labbra terree. Dagli occhi dello spirito del defunto Loki, vide quella macchia allargarsi sul suo viso, schizzando gli zigomi, il naso, incollando le piume alle guancie, scivolando lungo il mento per poi insinuarsi sotto il bordo della cappa.
La visuale si faceva sempre più sfocata, ormai era difficile distinguere il ragazzo tra le ombre della coscienza del dio più temuto di Asgard, era solo una macchia verde dai contorni meglio definiti; invece si vedeva benissimo quel fiore rosso sbocciare, sembrava un papavero con quei punti neri che ricordavano i pistilli e ,mentre sbocciava, ondeggiava su e giù come sospinto da una brezza primaverile.
E più il papavero cresceva, più il giovane Loki vedeva sfocato attraverso gli occhi del sè stesso passato.
Una voce, anzi no, un concetto , una semplice idea affiorò nel suo cervello e qui si fermò: non importava più, quella forma stava per essere abbandonata.
Gli dèi asgardiani non hanno bisogno di mangiare come forma di sostentamento per le loro funzioni vitali e di crescita; il loro primo nutrimento sono la fede degli uomini e le storie che questi creano su di loro. Tutto ciò che mangiano nei grandi banchetti nei palazzi di Asgard o che arrostiscono sulle braci nella neve, è puramente simbolico: le mele di Idunn, la dea della giovinezza, non sono l’esempio più evidente.
E questo pasto che rappresentava l’ultimo atto del viaggio nel mistero, non sarà assimilato dal corpo di quel ragazzo come proteine, grassi o altre cose indispensabili per i mortali bensì come ricordi: come i grani di un rosario, ad ogni boccone essi vengono presi ed accatastati nella mente e alla fine di questa preghiera, ogni tessera del puzzle combacia perfettamente a formare un’immagine che solo prima si poteva intuire.
Il giovane Loki aveva le guancie bagnate da lacrime, incrostrate di sangue e penne ma  non tentennava più nell’addentare il prossimo boccone, perché il suo vecchio sé stesso posava le mani con lui su Ikol, chinava la testa e strappa la carne. Era con lui quando cercò l’attaccatura delle ali, quando le fa fece un brusco giro fino a che non ricadde molle attorno alla carcassa in fin di vita dell’uccello.
Quella gazza era stata una compagna e prima ancora un messaggiero e in origine, come tutti gli uccelli della sua specie, una mangiatrice di carogne. Ora il suo corpo maciullato giaceva a terra, in una pozza di sangue ed interiora cosparse sull’ormai rado piumaggio nero con sprazzi di bianco e il vero Mr. Gazza svettava trionfante su di esso.
-Ho vinto io.

                                                                                                       ****                                                                                                   

Mr. Gazza aprì gli occhi e vide la forma indistinta della testa di un suo simile: era mollo in una pozza di sangue e i suoi occhietti scuri che riflettevano volute di luce puntellate da piume nere.
Il suo sguardo si avvicinò alla propria figura e soffermandosi sulla blusa che indossava, notò che luccicava anch’essa, come se fosse stata bagnata. Toccò il tessuto con due ditta poi le portò all’altezza degli occhi per esaminarle. Le leccò e subito un sapore metallico gli riempì la bocca.
Il gusto e tatto erano apposto, la vista sembrava appannarsi di quando in quando ma non sembravano esserci problemi.
Piegò una gamba e poi l’altra, per poi dovere subito appoggiarsi sulle ginocchia a causa di un capogiro. Aspettò con calma, paziente: attorno a lui piume volteggiavano nell’aria e contrariamente a quello che succedeva in tutti i nove reami, esse salivano, pigramente- spostandosi di qualche centimetro di larghezza e di ancor meno in altezza- ma salivano. Erano scure, ma essendo sporche di sangue come la blusa di Mr Gazza, catturavano la luce delle fiamme iridescenti che si agitavano in profondità ed appena si inclinavano rilucevano come pugnali affilati al chiaro di luna.
Mr Gazza inclinò la testa all’indietro: quelle piume gli ricordarono una vecchia storia di tanto, tanto tempo fa, quando una lama guizzò dalle maniche della  propria veste e catturò la luce della luna che filtrava nella camera di Sif, l’inarrestabile, Sif dai bei capelli biondi.
Allora si rese conto che la sua mente attingeva ora ad una fonte più ampia, piena di tutti gli eventi che facevano di lui quello che era stato e sarebbe sempre stato, persino quelli che quel suo odierno corpo acerbo non aveva mai vissuto.
Per un attimo si chiese come avrebbe affrontato questa situazione: una volta era già stato donna e adattarsi a quella forma gli aveva richiesto fatica, ma tutto sommato non era stato complesso.
Invece quel corpo era tutt’altra storia: era lui stesso parte di quegli spiacevoli ricordi che aveva appena recuperato.
Scosse la testa: ora come allora il cambiamento di forma era stato necessario, l’unica via di fuga.
I suoi  passi incerti lo avevano portato davanti ad un piedistallo sul quale era posto un elmo dorato, con due lunghe corna ricurve. Più si avvicinava più vedeva la sua testa distruggere l’immagine che si rifletteva sulla superficie liscia della base: le fiamme che si attorcigliavano come serpenti e nel bello di scattare sulla preda, scoppiavano in braci cangianti.
Si sovrappose un’altra immagine, l’immagine di un braciere che illuminava l’oscurità, mostrando rocce, degli occhi rossi che lo fissavano con astio e del tessuto verde, che tra le pieghe lasciava intravedere delle gambe.
Mr Gazza strabuzzò gli occhi: si ricordava anche quello.
Lo sentiva distante, anche se cronologicamente era molto più recente di altri eventi, tuttavia  lo ricordava, come una di quelle immagini su pellicola che usavano i Midgardiani per ricordare il proprio passato: immagini lontane, ma pur sempre parte del proprio mondo.
Ormai era a pochi centimetri dall’elmo e il metallo deformava appena il suo volto, consentendogli di apprezzare l’aspetto della sua nuova forma. Passò le mani sulla fronte distesa, sul naso pronunciato, sugli occhi segnati dalle occhiaie, sugli zigomi: si vedeva così giovane, eppure avere un aspetto orribile.
Quando toccò la bocca, alcune piume gli rimasero tra le mani; la scoprì e vedendola così imbrattata di sangue e spalancata in un singulto, si ricordò di un giorno che avrebbe preferito dimenticare.
Cercò di scacciare quel ricordo, ma fu inevitabile chiedersi se avesse saputo di cosa gli aspettava, quando era stato per la prima volta bambino, avrebbe continuato a credere di potere cambiare.
Si allontanò appena dall’elmo, lasciando che tutto il suo volto si rispecchiasse sull’oro.
Quel corpo era la sua unica alternativa, era ciò che ogni giorno gli avrebbe ricordato che bisognava cambiare. Poi la sua mente gli avrebbe suggerito la vera verità, quella che quel branco di idioti degli Asgardiani non riuscivano a percepire minimamente, quella dalla quale fuggivano ogni volta che lui gliela indicava: non potevano cambiare, pensare di spezzare il ciclo solo per provare l’ebrezza della libertà. Il libero arbitro era una cosa da uomini e loro erano dèi.
Lo disprezzavano per i suoi inganni, ma ogni volta che cocciuti credevano di fare qualcosa di rivoluzionario, si illudevano. Le loro strade proseguivano, per poi tornare al punto d’inizio e loro nemmeno se ne accorgevano.
Spesso una parte di sé era stanca di quel ruolo scomodo, voleva poter vivere - nel bene o nel male - una vita da Asgardiano, senza quella consapevolezza che gli vorticava nella mente, giorno e notte, giorno e notte.
Alzò la testa verso l’alto ed urlò a pieni polmoni il suo odio per se stesso, per ciò che aveva fatto e verso gli altri.
-Maledetti tutti. Maledetti tutti…
Avvicinò le dita all’elmo e lo prese. Lui era il Maledetto, era questo il suo ruolo.
Le mani erano immobili e sotto lo strato di sangue e il tessuto dei guanti sentivano il metallo gelido.
Sapeva quale era il suo ruolo e sapeva anche che sarebbe stato fondamentale dell’inizio di una nuova storia. Ma per fare sì che gli spettatori credano di stare guardando qualcosa di nuovo, doveva tessere l’ultimo inganno, l’inganno per tutta la realtà.
E sapeva anche che quando il sipario sarebbe calato, non ci sarebbero stati applausi per lui.
Mr Gazza staccò le dita, dall’elmo e riportò le braccia lungo i fianchi: non era ancora il momento.
Un nuovo ciclo era appena iniziato e ogni suo passo, mentre si allontana dal piedistallo, lo faceva girare, girare freneticamente.
E quando si sarebbe fermato lo avrebbe riportato lì, a quelle lunghe corna che incorniciavano la sua figura che si faceva sempre più piccola, più si allontanava.

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Se seguite Journey Into Marketing - l'altra serie di cavolate che spaccio come FF per il feudo di EFP- vi starete chiedendo: oh, Dio, Obliviosa Black ha battuo la testa ed è diventata una persona seria e riflessiva?
Mmm, nì. No, perché il quarto capitolo di Journey Into Marketing sta crescendo  - anche se lentamente. Si, perché ho trovato il coraggio, il tempo e la costanza di abbandonare le mie seghe mentali su quanto sia triste la mia vita in estate, con tutti al mare o al Comic-On di San Diego, ora che il Trono di Spade è finito e ho deciso di farmene altrettante sull'enigmatica fine di Journey Into Mystery.
Come ho già detto è stato fondamentale l'aiuto di Mendori, che ha aggiunto nuove idee agli spunti cui stavo già lavorando.
Assieme a ciò, la fanfiction che avete appena letto è stata condita con un'aria di epicità da saghe epiche e gustosi riferiemnti al passato di Loki tratti da Le fatiche di Loki di Roberto Aguirre-Sacasa e Sebastian Fiumara (se siete fan del Dio più temuto di Asgarda, bé, leggetelo perchè è ben illustrato e scritto divinamente), tutti dettagli che mi sembravano approcciarsi bene alla conclusione creata da Gillen.
Se apprezatte la mia scelta, un ultimo consiglio: leggete la parte su Mr. Gazza ascoltando The Circle dei Blackmore's Night. O Wagner. O qualcosa di abbastanza epico da farvi desiderare di programmare il prossimo Ragnarok.

Obliviosa - smetterla di lasciare messaggi così lunghi- Black.


 

  
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