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Autore: Fefy_07    31/07/2013    7 recensioni
Samael è un angelo mandato sulla Terra per impedire a un assassino efferato di nascere.
Derek è un ventenne bollato da tutta Huron come pazzo, per un "incidente" successo quando aveva dieci anni.
Le loro strade si uniscono, ma il lieto fine esiste solo nelle favole e a volte non basta nemmeno un angelo del Signore per cambiare le cose.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Nick sul forum/EFP: Fefy_07
Squadra (dal II turno al VIII turno): Nera
Giudice responsabile: Ele
Turno: II
Pacchetto se presente: Marchese
Elementi del pacchetto: 
GENERE drammatico – romantico - dark; OGGETTI computer – agenda – guanti - blasone; TIPO DI COPPIA CHE DEVE ALMENO APPARIRE SE NON PROTAGONISTA slash; PECCATO avidità; CITAZIONE “Dai pensieri più profondi spesso si origina l’odio più mortale”
Titolo Storia: Come materia e antimateria
Fandom se presente: //
Pairing se presente: Slash
Rating: Arancione
Personaggi del fandom se presenti: //
Note se presenti: Questa storia ha partecipato al contest "La malinconia - Flash contest" indetto da Fanny_Rimes sul forum di EFP, a cui si è classificata 3° a parimerito su 21 storie e a cui ha vinto il "Premio originalità". Ha partecipato inoltre al contest "Scegli il tuo prompt!" di Fabi_Fabi sul forum di EFP, a cui ha ottenuto
 59.9/63 punti. La storia partecipa alla challenge "Sfida dei duecento prompt" indetta da msp17 sul forum di EFP. Prompt 157: Angelo.


 

Come materia e antimateria

L'antimateria ha vita breve, 
in quanto si annichilisce al primo contatto con la materia.

 
«Sai qual è la tua missione.»
Samael alzò lo sguardo verso Raffaele e annuì una volta, così come gli era stato insegnato. Aveva passato intere decadi studiando usi e costumi umani, in preparazione al momento in cui sarebbe sceso sulla Terra; era pronto. Un soldato di Dio doveva farsi trovare sempre pronto, l’Accademia non transigeva impreparazione di alcun genere.
«Samael, ci siamo solo io e te» lo richiamò gentilmente l’Arcangelo, accorgendosi della tensione che avvolgeva tutta la figura del suo pupillo. Raffaele stesso era nervoso, anche se non lo dava a vedere. Nonostante l’addestramento, la Terra poteva risultare dannosa per gli angeli. Samael non era stato mai in missione prima di allora e il suo incarico attuale non era affatto semplice.
Il giovane deglutì una volta, sospirando e perdendo il contegno da bravo soldatino che gli era così poco congeniale. Sorrise all’Arcangelo in segno d’intesa. In Accademia gli avevano insegnato la disciplina e il rispetto per i superiori, ma quando si ritrovava da solo col suo fratellone – il suo primo fratello, colui che lo aveva reso angelo donandogli le ali che adesso sfoggiava fieramente – ogni formalità veniva meno, su desiderio dello stesso Raffaele. L’Arcangelo non aveva mai voluto sentirsi superiore rispetto a Samael e i suoi pari si erano sempre domandati a cosa fosse dovuto quel particolare trattamento che gli riservava. Sapevano tutti in Paradiso che Samael era l’unico angelo generato da Raffaele, ma il modo in cui l’Arcangelo lo viziava poteva rivelarsi a lungo andare dannoso. Nessuno, tuttavia, aveva mai cercato di dissuaderlo ad assumere un atteggiamento più duro nei confronti dell’altro. Raffaele era testardo di natura e non avrebbe ascoltato comunque, Michele e Gabriele ne erano ben consapevoli.
«Così va meglio. Ripetimi i tuoi ordini» domandò l’Arcangelo.
Samael riscattò inconsapevolmente sull’attenti, recitando: «Il mio compito è identificare un demone pronto all’Iniziazione e fermarlo prima che diventi Degenere.» 
Raffaele annuì soddisfatto. «Vuoi ragguagliarmi sui significati di Iniziazione e Degenerazione?»
Samael si accigliò lievemente, prima di continuare: «L’Iniziazione è il primo omicidio di un demone; la Degenerazione è la condizione che si verifica dopo il secondo omicidio. Il demone può essere lucido e addirittura inoffensivo dopo l’Iniziazione, ma se Degenera diventa un assassino senza scrupoli né morale.»
«Ottimo,» Raffaele sorrise incoraggiante all’angelo più giovane, prima di concludere: «e perché lasciamo che i demoni vengano Iniziati?»
Samael strinse i pugni e abbassò leggermente gli occhi per non incontrare lo sguardo dell’Arcangelo, mentre diceva: «Perché il primo omicidio è un istinto naturale e incontrollabile. Nessun demone, raggiunta l’età d’Iniziazione, può impedire che avvenga; così come nessun angelo può fermarla. Il secondo omicidio invece è una scelta, su cui tanto il demone quanto gli angeli hanno controllo.»
Raffaele annuì, poi forzò l’altro ad alzare la testa, per riprendere il contatto visivo. «È importante che tu lo capisca bene, Samael. Non rischierò che tu faccia qualche sciocchezza per salvare la prima vittima umana di questo demone. So che hai sviluppato una particolare…» si interruppe, cercando il termine migliore «…connessione con gli esseri umani. Una certa empatia. Ma non sei uno di loro e non devi rischiare la tua vita. Lascia che il primo omicidio avvenga e pensa solo a prevenire il secondo.»
Samael sospirò frustrato, ma annuì. Era particolarmente affascinato dalla razza umana; per lui erano diventati come tanti fratelli più fragili che necessitavano di protezione. Desiderava salvarli dal dolore, ma gli era stato spiegato in Accademia che non sempre era possibile. Aveva anche rischiato la Rieducazione un paio di volte per questo, salvandosi solo grazie alla mediazione di Raffaele. Molti angeli non comprendevano l’attaccamento particolare che Samael aveva con la razza umana; lui stesso non riusciva a ricordare quando e come si era affezionato così alla sua sorte.
«È quasi ora di scendere sulla Terra, Samael.» La voce di Raffaele era ferma, ma i due ormai si conoscevano abbastanza bene e per il giovane fu facile cogliere la nota di ansia che la incrinava. L’Arcangelo era molto protettivo nei suoi confronti e Samael non poteva fare a meno di sentirsi un po’ speciale ogni volta che l’altro lo faceva notare.
«Ricorda di tenere a bada i tuoi poteri, nessuno deve sapere cosa sei davvero. Tieni le ali a posto, e stai attento quando ti teletrasporti…» Mentre camminavano verso la Zona di Smistamento, Raffaele non risparmiò tutte le raccomandazioni del caso, facendo sorridere Samael, che rispose con un divertito «Certo, mamma.»
I due raggiunsero un nutrito gruppo di giovani angeli, ciascuno accompagnato dal proprio mentore e pronto ad intraprendere la propria missione personale sulla Terra. Samael si accorse di non conoscerne nessuno, ma non era una novità per lui. In quanto pupillo di Raffaele, veniva trattato con i guanti da tutti i suoi simili e non aveva veri rapporti di amicizia. «Sei l’unico che viene spedito sulla Terra per una missione di quel tipo, tutti loro sono angeli custodi» gli sussurrò l’Arcangelo e Samael arricciò il naso, ma non commentò. Il pensiero di custodire un umano, passando le giornate a sorvegliarlo senza poter interagire con lui in alcun modo, gli aveva sempre dato fastidio. Era un angelo socievole e poco paziente, per questo in Accademia avevano preferito addestrarlo per un compito che potesse esaltare quelle sue caratteristiche.
Un Accompagnatore stava aiutando tutti i prossimi Custodi a localizzare i loro umani. Samael sarebbe stato l’ultimo a partire, insieme all’Accompagnatore stesso. Egli aveva il compito di dargli informazioni sul posto in cui sarebbe atterrato e sulla vita che avrebbe dovuto condurre, per poi tornare in Paradiso. Il giovane angelo era ancora intento ad osservare lo smistamento dei Custodi – chiudere gli occhi, concentrarsi guidati dalla voce dell’Accompagnatore, teletrasportarsi – quando un tocco deciso ma gentile sulla spalla lo costrinse a voltarsi. Raffaele lo guardava con occhi penetranti, specchio dell’orgoglio che sentiva in quel momento. Samael aveva sempre invidiato quegli occhi, di un blu così profondo da far invidia al colore del mare. I suoi erano castano scuro, in netto contrasto con il caschetto color miele che gli copriva la fronte. Li odiava quegli occhi, non si addicevano a un angelo. Molti fratelli che aveva avuto modo di osservare avevano occhi di particolari sfumature, ma tutti chiari.
«Tocca quasi a te, Samael. Sono orgoglioso del soldato che sei diventato. Servi con coraggio tuo Padre e torna vittorioso.» Il giovane sentì gli occhi velarsi di lacrime ma non distolse lo sguardo, e si limitò ad annuire al fratello, temendo di crollare se avesse provato a proferir parola. I contatti fisici tra angeli erano veramente limitati – eccetto per la Rieducazione –, dunque anche una semplice mano sulla spalla veniva considerato un gesto di profondo affetto. Samael si beò di quel tocco, che sapeva non avrebbe più potuto sentire per tanto tempo.
Si guardarono per qualche altro secondo, prima che l’Accompagnatore chiamasse il suo nome, strappandolo a quella silenziosa conversazione. Samael si fece coraggio e si avvicinò, tagliando fuori dalla sua testa Raffaele e concentrandosi solo sulle parole dell’angelo al suo fianco. Focalizzò la sua attenzione sulla zona dove avrebbe dovuto trovare il demone – Huron, South Dakota, USA – e sulla mano serrata stretta attorno al suo avambraccio. Per un secondo, si rese conto di quanto il tocco fosse diverso rispetto a quello di Raffaele, prima di teletrasportarsi e lasciare il Paradiso.
L’Arcangelo, dopo aver assistito alla scena, sparì in un fruscio d’ali, non prima di aver sussurrato a mezza voce «Buona fortuna, ragazzo mio.»

 Derek se ne stava sdraiato sul letto, col fedele portatile in grembo. Mancavano poche ore alla mezzanotte e sarebbe stato ufficialmente un ventenne, ma al ragazzo non importava molto. In un altro luogo e tempo, forse avrebbe organizzato un party, invitando tutti i suoi amici. Ma non a Huron, dove c’erano dodicimila abitanti scarsi che si conoscevano tutti e che, soprattutto, conoscevano lui. Non in una cittadina del South Dakota dove non c’era davvero un posto dove organizzare una festa – a essere sinceri non c’era mai davvero nemmeno qualcosa da fare. Non che il ragazzo ne risentisse: lui era quello strano; quello che sentiva le voci e a cui gli psichiatri non avevano mai saputo prescrivere qualcosa per aiutarlo; quello da evitare per non ritrovarsi in mezzo ai guai; quello che a dieci anni aveva smesso di farsi vedere in giro al di fuori dell’orario scolastico; quello malato. Derek aveva sentito più di una volta le signore mettere in guardia i propri figli, così come aveva notato gli sguardi preoccupati dei professori a scuola o dei suoi genitori in casa. Ormai ci si era perfino abituato; non lo trovava più sgradevole, semplicemente era quello che doveva sopportare per essere diverso.
Non sentirti diverso; sei speciale, il concetto è differente. Lo capirai molto presto. Un sussurro morbido cominciò a risuonargli nella mente e Derek sussultò istintivamente, senza essere però particolarmente sorpreso. Tutte le volte che si fermava a riflettere sulla sua condizione, la Voce cominciava a parlargli, cercando di farlo sentire meglio. Per il ragazzo era quasi confortante, visto che non gli era rimasto nessuno accanto che potesse farlo.
A dir la verità, non gli era mai dispiaciuto particolarmente convivere con la Voce. All’inizio era stato traumatico; ricordava ancora di essere corso in lacrime tra le braccia di sua madre, tremante e spaventato dal “sussurro cattivo”. Ripensandoci, il ragazzo ghignò. Quanto sarebbe stato più facile fingere che non fosse successo nulla? Quanto c’avrebbe guadagnato in serenità a vivere col suo piccolo segreto?
Per qualche anno le cose erano andate anche abbastanza bene. La Voce si presentava saltuariamente, sempre in momenti di solitudine o riflessione, tant’è che i medici si convinsero che fosse solo un’esternazione in terza persona dei suoi pensieri più intimi e che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi. Alla fine, Derek aveva anche smesso di avvertire i suoi genitori. Anche quando la Voce aveva cominciato a suggerirgli di fare delle cose, se l’era tenuto per sé. Fino a quando aveva compiuto dieci anni.
Derek sospirò, non particolarmente entusiasta di quel ricordo, e gettò un’occhiata stanca all’orologio sullo schermo. Mancavano solo cinque minuti. Cercò di concentrarsi sul testo che aveva davanti – un’opera antica abbastanza interessante, direttamente dal sito della biblioteca cittadina. I suoi genitori gli avevano comprato il laptop proprio per evitargli anche quelle ultime uscite che la scuola gli obbligava per le ricerche. Gli avevano detto che volevano salvarlo da uno stress inutile, ma Derek sapeva leggere bene tra le righe e aveva inteso che lo stress peggiore quando lasciava la casa era proprio per loro. Non se l’era sentita di turbarli con la sua sagacia, così aveva accettato il regalo senza commentare.
Un lieve bip echeggiò nella sua stanza, decretando l’inizio ufficiale del suo compleanno. Complimenti, hai vent’anni adesso. Derek sorrise ironico: i primi auguri se li era fatti da solo. Per l’ennesima volta tentò di riprendere la sua lettura, proprio mentre la sua porta si apriva cigolando e una testolina ricciuta faceva capolino all’interno della stanza. Derek sospirò, decidendosi a spegnere il computer e a riprendere il suo studio il giorno seguente, conscio di non avere possibilità di prestargli la dovuta attenzione per il momento. Voltandosi verso il nuovo arrivato con un’espressione a metà tra la noia e il rimprovero, Derek domandò: «Che ci fai in piedi a quest’ora?»
Il piccolo Sean, dal basso del suo metro e quaranta, rispose con un sonoro sbadiglio, strofinandosi  un occhio col pugno chiuso, l’altro braccio nascosto dietro la schiena. Alzò la testa in direzione del fratello maggiore e gli regalò un sorriso radioso, prima di esclamare: «È il tuo compleanno, Derek! Dovevo essere il primo a farti gli auguri! Tanti auguri!» Si lanciò sul fratello con un balzo che, se il ragazzo non fosse stato già semisdraiato sul letto, l’avrebbe sicuramente atterrato.
«Piano!» sibilò Derek, innervosendosi «Vuoi svegliarli!?» Il bimbo più piccolo rimase aggrappato alla vita dell’altro, senza scomporsi per il tono duro. Crescendoci insieme, Sean aveva imparato che suo fratello poteva essere un tipo difficile, ma questo non gli aveva impedito di voler bene a lui più che a chiunque altro nel suo piccolo mondo di undicenne.
Derek osservò per un attimo Sean, prima di ricambiare il suo abbraccio e farsi scappare involontariamente un sorriso. Il bambino era l’unico vero legame che gli era rimasto dopo l’incidente, nonostante avesse provato a tenerselo lontano, per evitare che i suoi problemi lo influenzassero. Ma Sean tornava sempre, anche se gli urlava addosso, se lo cacciava in malo modo dalla sua camera, se lo ignorava. Sean tornava, lo guardava con i suoi occhioni chiari – l’unica cosa che testimoniava la loro parentela – e gli sorrideva, praticamente costringendolo a ricambiare. Sean gli voleva bene e, anche se non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, anche Derek ci teneva al piccolo.
«Ti ho portato un regalo» sussurrò il bambino dopo un po’, staccandosi dal fratello e porgendogli una bustina arancione.
Derek rimase interdetto, scrutando il dono inaspettato con un misto di sorpresa e diffidenza. «Non avresti dovuto» lo riprese bonariamente, ma aprì comunque la busta, pescando una collana di caucciù con un ciondolo di metallo a forma circolare, contornato da strani simboli in una lingua che Derek riconobbe come ebraico. Il ragazzo rimase ad osservare la collana per qualche attimo, poi rialzò lo sguardo su Sean, che tratteneva il respiro e lo guardava teso.
Derek gli regalò un sorriso aperto e felice, a cui il bambino era poco abituato ma che sperava sempre di vedere. «È bellissimo, Sean. Ti ringrazio.» Pur non essendo da lui, il ragazzo lo strinse in un altro breve abbraccio, avvertendo tra le sue braccia la tensione lasciare il corpo del fratellino. «Che significa?» domandò poi Derek, staccandosi.
Sean si fece tutt’a un tratto timido, abbassò lo sguardo sul copriletto e arrossì, rispondendo esitante: «Beh, insomma…non so di preciso cosa vuol dire, ma è un amuleto portafortuna.» Rialzò la testa per incontrare gli occhi del fratello, prima di pronunciare solennemente «Ti proteggerà.»
Derek gli scompigliò i capelli già arruffati a quella risposta, avvertendo un calore inaspettato ma piacevole nel petto, poi gli sussurrò «Sarà meglio che torni a dormire adesso, se i nostri genitori ti trovano qui a quest’ora, non so cosa potrebbero fare.»
Il piccolo annuì e si avviò verso la porta, girandosi poco prima di uscire. «Ancora buon compleanno, fratellone e buona notte.» Con un sorriso dolce, Sean sparì nel corridoio.
Il ventenne rimase a fissare per un po’ il legno scuro, domandandosi quando e come avesse trovato quella connessione col fratellino. Si rigirò il regalo tra le mani, incerto se metterlo davvero o lasciarlo sepolto in un cassetto, sotto una serie di riviste passate da suo padre che non aveva mai veramente letto. Alla fine si legò il laccio al collo, sistemando il ciondolo sotto la maglia del pigiama. Non che ci credesse, ma un po’ di fortuna, almeno il giorno del suo compleanno, poteva fargli comodo.

Samael contemplò estasiato l’imponente edificio di mattoni e vetro davanti a lui. L’Accompagnatore era già tornato in Paradiso, dopo avergli mostrato l’appartamento affittato a suo nome e la scuola dove avrebbe dovuto cominciare le sue ricerche. «È l’unica scuola superiore pubblica, se ti servono informazioni non puoi che trovarle qui» gli era stato spiegato con un po’ di impazienza dall’angelo. «Ricordati che per la tua breve permanenza, sarai il giovane Samuel Ross. Cerca di non sbagliarti.»
Il primo giorno di scuola, in accordo con quanto imparato dall’angelo, poteva rivelarsi traumatico per gli esseri umani, tuttavia il suo caso era ben diverso. Avendo osservato la cittadina per diversi mesi, Samael sapeva già a chi rivolgersi e come per fare amicizia in fretta ed ottenere qualche informazione utile.
Per questo motivo, alla pausa pranzo, sedette a un tavolo piuttosto affollato, accanto alla pettegola della scuola, Jody Cox. Tra una forchettata di insalata e un sorso di tè, stava istruendo Samael – ribattezzato prontamente Sam per brevità – sui professori dai quali tenersi alla larga per tutta una serie di interessanti ragioni, a cui però l’angelo non poteva dare ascolto nell’immediato futuro. Stava diventando sempre più frustrato dalla mancanza di indizi utili che aveva ricavato dalle sue prime ore di lezione, quando la sua attenzione cadde su un particolare stonato col resto della sala mensa, così gremita e piena di vita. «Come mai quel tavolo è vuoto?» domandò il ragazzo, distogliendo l’attenzione di Jody dall’infuocato discorso sulla professoressa di matematica della sua classe.
«Oh, quello è il tavolo di Derek il pazzoide! Nessuno ci si siede mai eccetto lui, perciò rimane vuoto anche quando è assente» cinguettò la ragazza, con una smorfia sul volto.
«Derek chi?»
«Che sciocca, tu sei nuovo! Stammi a sentire,» Jody abbassò il tono e si guardò intorno circospetta, come sul punto di rivelargli un grande segreto «stai alla larga da Derek, è pericoloso. Ha smesso di farsi vedere in giro a dieci anni, dopo un incidente nel suo giardino… nessuno ha mai saputo cos’è successo quel giorno! Ma si sa che è matto, sente le voci. Non ha amici ed è già stato bocciato due volte, nessuno capisce perché non si sia ancora ritirato.»
Samael rimase con gli occhi fissi su quel tavolo vuoto, una strana sensazione di allerta a farsi strada nella sua mente. Poteva essere quel Derek il demone che cercava? Ma qualcosa non quadrava. Sapeva, tramite i racconti di Raffaele e gli insegnamenti in Accademia, che i demoni erano furbi, bravi ad adattarsi e difficilmente davano nell’occhio, specialmente all’avvicinarsi del giorno dell’Iniziazione. Eppure l’inquietudine che aveva sentito istantaneamente anche solo a nominare quel ragazzo doveva significare qualcosa.
Jody aveva ripreso a sciorinare le sue opinioni su argomenti senza senso, ma Samael non l’ascoltava più. «Dove abita questo Derek?» gli chiese tutt’a un tratto. Poteva rivelarsi una perdita di tempo, ma l’angelo aveva bisogno di cominciare ad escludere quel ragazzo dalla sua lista, prima di continuare a indagare sugli altri. Seccata per l’interruzione, Jody gli spiegò come raggiungere la casa di quel misterioso Derek. «Io non c’andrei se fossi in te, però. Derek non ama le persone che curiosano nella sua vita». Il suono della campanella coprì l’avvertimento sibillino, ma Samael lo udì comunque, anche se fece finta di niente.

Per l’occasione della sua cena di compleanno, Derek aveva messo una camicia azzurra e un jeans particolarmente eleganti. Non aveva esattamente intenzione di uscire, ma l’aria in casa sua si faceva irrespirabile in certi giorni. E poi di notte nessuno l’avrebbe guardato male o avrebbe cambiato strada vedendolo da lontano, quindi in fondo una passeggiata dopo cena poteva concedersela. Così, tanto per ricordarsi il colore del cielo.
I suoi genitori, come tutti gli anni, gli avevano rifilato dei regali di circostanza – una borsa per il portatile e un nuovo paio di guanti, visto che quelli che indossava in quel momento erano molto usurati. Il giovane aveva risposto con un secco «Grazie» e con un abbraccio forzato, prima di tornare al mutismo che di solito riservava loro. Durante tutta la cena, Sean aveva tentato invano di rasserenare l’atmosfera, ma anche quell’anno dovette rassegnarsi alla tensione che regnava sovrana tra suo fratello maggiore e i suoi genitori.
Subito dopo il dolce, Derek scappò in camera sua, deciso a riprendere un po’ d’ossigeno. Trasferì il portatile nella borsa nuova, cambiò i guanti e si diresse alla porta d’ingresso, senza perdersi l’occhiata che i suoi genitori si erano scambiati mentre l’apriva.
Finalmente in grado di scrollarsi di dosso la rigidità della serata, Derek si diresse verso il bosco dietro casa sua. Non era esattamente un buon posto da visitare di notte, ma il ragazzo aveva trovato una piccola radura nascosta in profondità, dove la luna illuminava tutto con una luce pallida e rilassante. Quel luogo lo aiutava a calmarsi ed era suo, perché nessun altro lo conosceva.
Almeno fino a quel momento. Derek aveva appena cominciato a tranquillizzarsi, che un fruscio di foglie dietro di lui lo fece voltare di scatto. La testa ricciuta del suo fratellino apparve un attimo dopo tra le foglie, gli occhi azzurro cielo fissi sulla luna sopra di lui. «Questo posto è magnifico, Derek!» esclamò, con un sorriso estasiato.
Il fratello maggiore però non si sentì sollevato nel vedere Sean, se possibile si sentì peggio, quasi violato. Con uno scatto raggiunse il piccolo, gli bloccò le spalle in una morsa dolorosa e lo scosse un po’, digrignando. «Mi hai seguito, Sean?! Perché?!»
Il bimbo cercò di liberarsi dalla stretta di Derek, un’espressione spaventata al posto dell’allegria di poco prima. «I-io non volevo lasciarti da solo. È ancora il tuo compleanno, ho pensato… sei scappato via e non sapevo…» balbettò Sean, gli occhi velati dalle lacrime per la reazione del fratello.
Derek lo contemplò per un attimo mentre il suo sguardo si addolciva. Stava per lasciare la presa, quando una sensazione di rabbia, improvvisa e travolgente, lo costrinse a piegarsi sulle ginocchia e a sorreggersi al fratellino per non cadere. La Voce riprese vita in quel momento per qualche strano motivo, minacciosa come mai prima di allora. Ti ha tolto anche questo, devi ucciderlo, è arrivato il momento di ucciderlo!
Il ragazzo urlò, liberando finalmente Sean per portarsi le mani alle tempie, lottando contro un istinto che non riuscì a riconoscere, qualcosa di oscuro che premeva per uscire e attaccare suo fratello. Il quale rimase lì immobile, terrore e preoccupazione sincera uno strano mix sul suo giovane volto.
«Sean, vattene!» gli gridò Derek, tentando di allontanarsi da lui, mentre in testa gli risuonava una nenia inquietante di uccidilo, uccidilo, uccidilo.
«D-Derek…» il bimbo si avvicinò di un passo, allungando la mano tremante per toccare la spalla dell’altro, ma si bloccò a mezz’aria quando lui si voltò con un suono inquietante, a metà tra un ringhio e un urlo, per fissarlo. E in quegli occhi Sean trovò tutti i motivi per dare ascolto all’ordine precedente. Occhi iniettati di sangue, piedi di odio e rabbia.
Derek fece appena in tempo a vedere il fratello scattare verso i cespugli da cui era venuto, che la vista gli si annebbiò e gli parve di cadere senza mai toccare il terreno, mentre un abbraccio scuro carico di promesse lo avvolgeva nella sua morsa.

Il giorno seguente l’atmosfera a Huron era fin troppo tranquilla, quasi innaturale. Tutti erano sconvolti dalla scomparsa prematura del piccolo Sean Hall, brutalmente assassinato la notte precedente. Il corpo del bambino era stato ritrovato martoriato e senza vita in prossimità del bosco che partiva dalla proprietà degli Hall e si estendeva per chilometri in diverse direzioni. Il sindaco aveva diramato un divieto tassativo di uscire di casa superate le venti, almeno fin quando il principale e unico sospettato per l’omicidio, il neo-ventenne Derek Hall, fosse stato trovato.
Samael sospirò, contemplando per un attimo casa Hall. La notte prima avrebbe potuto fare qualcosa, soccorrere il bambino e curarlo, ma non aveva mosso un dito e la cosa gli bruciava. L’immagine del piccolo corpicino barcollante e ricoperto di sangue che si faceva spazio nel buio, arrancando fino ad essere visibile per poi accasciarsi al suolo esausto, tornava a tormentarlo a intervalli regolari con dolorosa dovizia di dettagli. Derek Hall era senza dubbio il suo demone e doveva trovarlo in fretta, prima che Degenerasse.
Seppur limitandosi molto per tenere sotto controllo le ali, Samael aveva iniziato a utilizzare i suoi poteri su tutti gli esseri umani che potevano sembrargli anche solo vagamente utili alla sua ricerca. Per lo più leggeva le menti velocemente, cercando di identificare un pensiero o ricordo che potesse aiutarlo. Coi poliziotti o i genitori non aveva avuto molta fortuna, era solo riuscito a riempirsi di dolore e frustrazione.
Era stato più fortunato quando aveva incontrato la pettegolissima Jody. Pallida e struccata, poco aveva a che fare con l’oca propensa alla chiacchiera di sole ventiquattro ore prima, eppure l’atteggiamento schivo che aveva assunto tutto a un tratto nei suoi confronti spinse Samael a controllarle la mente. Appena entrato, gli fu chiaro che qualcosa non andava e non era semplice shock per la morte di un bambino così piccolo. Jody aveva un passato riguardante Derek Hall, un pensiero su dieci anni prima, quando l’allora ragazzino venne bollato come “malato”. Un segreto talmente spaventoso che non aveva mai condiviso con nessuno, e che adesso veniva proiettato nella mente dell’angelo come fosse un suo stesso ricordo.
«Grazie» sussurrò, lasciando la mente della ragazza e dirigendosi verso il vecchio Huron Park, dieci miglia più a sud rispetto a dove si trovava in quel momento.

Quando si era risvegliato, la prima cosa che Derek Hall aveva percepito era stato un formicolio alla base del collo, seguito da un brivido inconsapevole che l’aveva portato a guardarsi alle spalle. Lì, ad osservarlo soddisfatto, c’era un ometto più basso di lui di almeno mezzo metro, con un impeccabile smoking che avrebbe fatto impallidire i più eleganti ricconi d’America. Ciò che fece sbarrare gli occhi al ragazzo fu però la coda puntuta danzante che sembrava provenire direttamente dal dietro dei suoi pantaloni.
«Finalmente ci conosciamo, Drekavac» aveva esordito allegro, tendendo una mano al ragazzo dinanzi a lui. Quando notò cosa aveva catturato così prepotentemente la sua attenzione, si limitò a scrollare le spalle. «Non preoccuparti di questa, presto ne avrai una anche tu» gli aveva assicurato, con un sorriso indulgente sulle labbra.
Una volta riuscito a ricollegare i sensi al corpo, Derek sussurrò: «Tu sei…», fermandosi poi per un improvviso capogiro che lo ridusse in ginocchio.
«Sì, sono io» proseguì per lui lo strano personaggio «Puoi chiamarmi Astaroth, lo preferirei a “la Voce”. Fa tanto programma tv dalla dubbia capacità d’intrattenimento. Sono un Principe dell’Inferno; il tuo Creatore, con precisione. C’hai messo tanto ad Iniziarti, ma sei il primo che ci riesce, quindi sorvolerò sul fatto che ci sia voluto un piccolo aiuto da parte mia.»
«Inferno? Iniziarmi?» Derek riusciva a malapena a respirare senza vomitare, a causa di una nausea molto insistente.
«Sì, purtroppo quelli sono gli effetti collaterali. Passeranno tra poche ore, non temere. So che hai molte domande, ma dovremmo prima pianificare il secondo omicidio…»
A quella parola, qualcosa scattò dentro Derek, riportando la sua mente spossata a una questione più urgente. «Dov’è mio fratello?! L’hai ucciso?!» ringhiò, lottando con se stesso per rimettersi in piedi e avventarsi su quello psicopatico che gli parlava tranquillamente di uccidere persone come se parlasse del meteo.
«Buono,» placò lui, agitando una mano annoiata che bloccò i muscoli di Derek «sei troppo debole per fare lo spaccone, e poi io non ho fatto nulla. Ho solo scavato nella parte più profonda di te e ho riportato a galla vecchi rancori. Sai, tipo il fatto che il tuo dolce fratellino poteva uscire alla luce del sole? Aveva degli amici? Una vita
Astaroth avanzò di qualche passo, rimanendo solo a un metro dal ragazzo che in quel momento aveva cominciato ad ansimare, la testa persa in chissà quali ragionamenti. «È sorprendente quanto possa essere facile manipolare un animo pieno di collera per ricavarne l’odio giusto a compiere un gesto efferato come l’omicidio. Mi è bastato fare pressione nei punti giusti, ma il merito dell’uccisione è completamente tuo, Drekavac. Mi compiaccio di quanto brutale tu ti sia dimostrato.»
«Tu sei pazzo. E perché continui a chiamarmi in quel modo?» ansimò Derek, troppo spossato e intento a metabolizzare il fatto che il sangue su guanti e camicia non era il suo, ma quello di Sean.
«È il tuo vero nome, quello da demone. Ti è stato dato alla tua nascita, prima dell’espulsione verso il mondo umano. All’Inferno eri particolarmente atteso, ora capisco il motivo. Potrai fare grandi cose una volta Degenere.»
Ascoltato quell’ultimo pezzo, la rabbia ebbe la meglio sul ragazzo, che ringhiò: «Smettila di dire stronzate!» L’unica reazione che ottenne fu però un verso stizzito da parte dell’ometto, che si avvicinò ancora e si portò alle sue spalle, poggiandogli una mano tra le scapole. «Mi limiterò a marchiarti, per ora. Tornerò quando lo riterrò opportuno, sappi solo che dovrai fare attenzione da adesso in poi. Un angelo verrà presto messo sulle tue tracce per ucciderti, vedi di evitarlo. Non lascerò che il mio primo esperimento riuscito venga sprecato inutilmente.»
Con quelle parole sibilline, un dolore inspiegabile e intensissimo aveva attaccato Derek, facendolo urlare e dimenarsi, ancora vittima della stessa forza misteriosa che lo teneva ancorato al terreno quando avrebbe voluto correre da quel tipo e farlo a brandelli con le sue stesse mani. Una volta cessato, l’ometto era scomparso prima che potesse girarsi ad affrontarlo.
Inconsciamente, il ragazzo si era trascinato fino al vecchio Huron Park, il luogo dell’ “incidente”. Si era rifugiato esattamente dove si trovava dieci anni prima, e aveva cercato di scrollarsi quel brutto incubo di dosso. Chiuderò gli occhi, mi addormenterò e domani scoprirò che non è successo nulla e che è appena iniziato il mio compleanno si ripeté come un mantra, nonostante tutte le volte che gli occhi cedessero, immagini e suoni inquietanti gli riempivano la mente. Raggomitolato su se stesso, Derek Hall non seppe mai come fece a resistere fino alla mattina successiva mentre il ricordo di come lui aveva ucciso il suo fratellino gli danzava dietro le palpebre.
Alle prime luci dell’alba, il ragazzo si decise a tirare fuori dalla borsa il suo computer e a verificare che le chiacchiere della sera prima fossero effettivamente solo discorsi insensati di un pazzoide. Le sue ricerche non avevano dato però i risultati sperati, avevano invece rafforzato quel pensiero angosciante che forse l’uomo della sera prima non stava farneticando. E il fatto che la Voce non si fosse ripresentata a lenire il suo senso di colpa per ciò che era successo a Sean diceva tutto.
La paura stava pian piano prendendo il sopravvento, perciò il ragazzo era pronto a esplodere quando una mano si posò esitante sulla sua spalla e una voce sussurrò: «Derek Hall?»
Si voltò di scatto, deciso ad affrontare il suo destino qualunque esso fosse, ma si ritrovò invece davanti la faccia di un completo sconosciuto che lo osservava con un misto di curiosità e preoccupazione. A giudicare dai vestiti, non era uno dei poliziotti che gli avevano messo alle calcagna, quindi per il momento era salvo.
Dopo aver squadrato per diversi secondi il nuovo arrivato, Derek si decise a rispondere: «Chi vuole saperlo?»
«Samuel Ross. Non eri a scuola ieri mattina.»
«Io non sono mai a scuola» ribatté piccato Derek, prima di aggiungere: «E ad ogni modo a te cosa interessa? E come mi hai trovato?»
Samael sorrise lievemente davanti ai modi burberi del ragazzo, non sarebbe sembrato neanche cattivo se non fosse stato per il sangue che gli macchiava la camicia in quel momento. «Fortuna» mormorò in risposta, scrollando le spalle.
«Forza allora: va’ ad annunciare a tutti dov’è il pazzo che ha ucciso suo fratello e facciamola finita. Mi scoccia dovermi preoccupare di essere ricercato. Tu avrai i tuoi cinque minuti di celebrità e io quello che mi merito. È un vantaggio per tutti.» Il tono del ragazzo tradiva la stanchezza e il rimorso, e fu preso un attimo in contropiede quando l’altro annuì pensieroso ma senza accennare a fare un passo.
«Non credo che lo farò» disse, dopo un po’. «Ma hai ragione, non penso che tu possa vivere per molto in questo parco. Vieni a stare da me.» Gli allungò una mano, aspettando pazientemente che l’espressione shockata dell’altro diventasse una di comprensione.
«Ho capito, sei pazzo anche tu. Ti ho appena detto che ho ucciso una persona! Come puoi star lì e dirmi di venire a casa tua?!»
«Ti serve un posto dove ripulirti e del cibo. Poi potrò portarti alla centrale, se è questo che vuoi» rispose impassibile Samael, facendo aggrottare ancora di più la fronte a Derek, così poco abituato a una persona che anche solo gli parlasse, figurarsi a offrirgli qualcosa.
Per diversi minuti i ragazzi rimasero in silenzio a contemplarsi a vicenda, fin quando lo stomaco di Derek non brontolò sonoramente e il ragazzo borbottò: «Può essere una buona idea mangiare.»
Samael gli sorrise apertamente e tese di nuovo la mano, che stavolta il ragazzo afferrò di buon grado, lasciandosi guidare verso un luogo ignoto da uno sconosciuto. Il quale, senza una particolare ragione, gli ispirava molta più fiducia di quanta ne avesse provata per un essere umano da tanto tempo.

Dalla cucina del suo appartamento, Samael ascoltava i passi inquieti del suo ospite, che non sembrava trovare pace con se stesso. L’angelo sapeva benissimo che era andato contro le regole di non interagire con alcun umano più di quanto strettamente necessario, ma aveva appurato che il ragazzo in questione non era il demone che cercava, quindi che c’era di male?
I demoni non provano emozioni, mentre lui prova evidentemente del rimorso continuava a ripetersi, quasi a convincersi. Le ferite che aveva riportato il piccolo Sean Hall erano bestiali, ma poteva essere una reazione esagerata del ragazzo nel suo soggiorno preda dell’adrenalina. Non dovevano per forza essere gli artigli con cui i demoni squarciavano le loro vittime nella loro vera forma.
Samael scosse la testa, finendo di condire il panino davanti a lui. Non era molto sostanzioso, ma le sue abilità culinarie non erano esattamente in cima alla lista delle cose da imparare in Accademia, quindi conosceva solo lo stretto necessario per sopravvivere. Si diresse silenziosamente nell’altra camera e trovò il ragazzo seduto su uno dei due divanetti, la testa tra le mani e l’espressione affranta. A Samael si strinse il cuore. Quell’essere distrutto seduto lì era solo un essere umano, incapace di controllarsi e bisognoso d’aiuto, non un mostro.
«Non è molto, ma può bastarti» esordì, poggiando sul tavolino il sandwich appena fatto. Derek alzò a malapena lo sguardo, sussurrando un ringraziamento senza però fare una mossa per raggiungere la sua cena. Samael rimase fermo sul posto, indeciso per qualche secondo, prima di sedersi accanto a lui e posargli una mano sulla spalla. Dannazione alle regole, se quel ragazzo aveva bisogno di conforto, Samael gliel’avrebbe dato.
«Perché?» domandò Derek, spostando lo sguardo brillante per le lacrime trattenute sul volto dell’angelo. Non aggiunse altro, ma Samael sapeva a cosa si riferiva. Perché l’aiutava? Perché non era disgustato da lui?
«Perché lo fanno già tutti gli altri» gli rispose, e sembrò  bastare a placare il ragazzo almeno per quel momento.
«Non smettere» gli disse, prima di addentare il panino con un mormorio compiaciuto.
Samael mantenne la mano lì dov’era, desideroso di assecondare le richieste di Derek. Per qualche ragione, si sentiva particolarmente connesso a quell’umano e gli piaceva sentirlo sotto le dita, potergli trasmettere l’accettazione che tanto bramava.
A un certo punto, senza nemmeno sapere come, la sua mano scivolò sul bicipite e verso l’incavo del gomito, in una carezza leggera e affettuosa, sotto la quale il ragazzo si rilassò lievemente, facendosi scappare un sospiro soddisfatto. Samael continuò a coccolarlo fino a quando non ebbe mandato giù l’ultimo pezzo della sua cena, poi lo condusse in camera da letto. Stranamente, Derek era diventato docile tutto a un tratto e non fece obiezioni quando l’angelo gli passò una maglietta grigia per liberarsi della camicia ormai rovinata.
Nel momento stesso in cui il ragazzo rimase a torso nudo, però, Samael sentì un calore sospetto irradiarsi dalla punta dei talloni fino a quella dei capelli perché il ragazzo era bello, aveva un corpo tonico e muscoloso che gli fece domandare istantaneamente come sarebbe stato da accarezzare.
Percependo i suoi occhi su di lui, Derek ghignò e si avvicinò di qualche passo, entrando nello spazio personale di Samael. «Ti piace quel che vedi, Sam?» domandò con un tono denso di sottintesi, e l’unico pensiero che l’angelo riuscì a formulare fu quando diavolo abbiamo iniziato coi soprannomi?!, la bocca improvvisamente secca e incapace di elaborare una frase di senso compiuto.
«Toccami come prima…» sussurrò ancora Derek, raggiungendo la mano di Samael e portandosela al centro del petto, lasciando percepire all’altro il suo battito cardiaco accelerato. L’angelo obbedì, impaziente di soddisfare quella particolare richiesta, e lasciò scivolare la mano lungo la pelle liscia, tracciando pettorali e addominali, beandosi della morbidezza così poco tipica di un ragazzo ventenne.
Derek aveva chiuso gli occhi, respirando più profondamente e lasciando condurre la cosa all’altro, poi d’un tratto lo fermò e ringhiò: «Toglila anche tu, voglio sentirti.»
E Samael non se lo fece ripetere, disperato di trovare un po’ di sollievo al caldo insopportabile che lo stava lentamente avvolgendo. Tuttavia quando anche la sua maglia fu a terra, qualcosa andò storto. Gli occhi di Derek si spalancarono, improvvisamente impauriti e forse…speranzosi? Si fissarono sul fianco di Samael, il quale disse prontamente: «Che c’è di strano? È un tatuaggio!» con un sorrisetto divertito sulle labbra che però non raggiunse gli occhi perché, per qualche ragione, sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Derek in qualche modo sapeva che quel simbolo non era un semplice disegno in inchiostro inciso sulla pelle, ma qualcosa di più: il blasone che caratterizzava tutti gli appartenenti a una certa famiglia angelica e che era unico per lui perché nessun altro era stato generato da Raffaele.
Derek cadde sulle ginocchia, subito remissivo, e lo guardò con occhi imploranti: «Uccidimi, angelo. Ti prego.» Samael quasi si sentì male a quelle parole, capiva il senso di colpa ma arrivare a una soluzione così estrema gli pareva un po’ melodrammatico.
«Che vai blaterando? Alzati, dai» tentò di scherzarci su, ma la sua voce risuonò debole perfino alle proprie orecchie.
«Non fingere, so chi sei. Quello è il sigillo di Raffaele. Sei un angelo e devi uccidermi.» Samael seppe dalla convinzione che leggeva negli occhi dell’altro che era inutile insistere, quindi cedette. «D’accordo, sono quello che pensi, ma non posso ucciderti, sei un umano innocente e…»
«Innocente?!» sbottò Derek, alzandosi in piedi e avvicinandosi pericolosamente a Samael, con intenzioni ben diverse da quelle che l’avevano mosso prima. «Ho ucciso il mio fratellino. Lui era innocente. Tu sei venuto qui per me, quindi adesso fai quello che devi fare!» L’ultima parte della frase uscì con appena un lampo di frustrazione dietro le parole, e Samael sostenne lo sguardo in segno di sfida.
«No.»
«Ma perché?!»
«Perché non sono venuto per te, Derek» spiegò l’angelo paziente.
«Sì, invece!» urlò l’altro e si voltò prima che l’angelo potesse controbattere. Fu il suo turno di spalancare gli occhi, stupito davanti al segno inequivocabile del fatto che colui che aveva bollato certamente come umano fosse in realtà il demone che cercava. Il blasone che decretava l’appartenenza alla discendenza di Astaroth capeggiava fresco tra le scapole di Derek, deridendolo quasi per la sua stupidità.
«E adesso uccidimi» concluse seccato il ragazzo, rigirandosi per incontrare il suo sguardo. Samael lo studiò per qualche minuto, fissandolo dritto negli occhi alla ricerca di chissà cosa.
A quanto pareva, quella cosa l’aveva trovata, perché fece un passo indietro e ribadì, con più forza: «No»
Derek sospirò frustrato e gli afferrò i bicipiti, ma non lo spinse o altro, si limitò a guardarlo e poi, forse senza nemmeno rendersene conto, le sue labbra si incontrarono con quelle dell’angelo, prepotenti e affamate. Samael ci mise un attimo a realizzare cosa stava succedendo e subito ricambiò con uguale intensità e ferocia, spingendo la lingua nella bocca dell’altro, assaporandolo, esplorando la bocca in ogni sua parte. Tutto tacque per qualche interminabile istante, finché i due si staccarono per riprendere fiato, perdendosi ciascuno negli occhi dell’altro. Un momento dopo, Samael era sparito e Derek si ritrovò solo nella camera da letto.

L’angelo Samael non fu davvero sorpreso quando si ritrovò faccia a faccia con un Raffaele decisamente arrabbiato, al centro di un cerchio formato dai componenti della Corte Celeste. Abbassò la testa in segno di sottomissione, ma ciò non servì ad ammorbidire il suo Creatore, la cui rabbia era quasi un essere tangibile che lo investiva a ondate.
«Cos’è appena successo sulla Terra, angelo Samael?» domandò, con il tono più freddo che il ragazzo avesse mai sentito rivolgergli.
«Ho disubbidito agli ordini, signore. Non ho ucciso subito il demone quando l’ho riconosciuto» mormorò, cercando di non scendere troppo nei dettagli per il suo bene.
«È vero, soldato. Per questo motivo, la Corte ti ha giudicato meritevole di una punizione. Starai in Rieducazione per le prossime sei ore.»
Samael alzò di scatto la testa, ferito da quelle parole. Come aveva potuto Raffaele tradirlo in quel modo? La punizione poteva essere amministrata solo con l’approvazione di tutti i membri della Corte e davvero lui aveva acconsentito alla Rieducazione? Concentrò nel suo sguardo quanta più rabbia poté, mentre sussurrava: «Sissignore»
L’Arcangelo sospirò, chiaramente infastidito dall’atteggiamento, poi disse: «Alla scadenza, la tua missione è rettificata. Il demone con cui hai legato è in realtà un ibrido. Metà demone e metà umano. Visto che hai almeno impedito la Degenerazione, può essere salvato e privato della sua parte demoniaca, diventando totalmente un essere umano. Devono passare centoventi giorni dal primo assassinio senza che vanga compiuto il secondo e poi potremo intervenire.» Lo sguardo di Samael si accese di una speranza illuminante e decise che sarebbe valsa la pena affrontare la Rieducazione se avesse significato salvare Derek.
Aggrappandosi a quel pensiero, venne condotto via per scontare la sua punizione.

Derek aveva misurato a passi nervosi tutto l’appartamento di Samael, quando finalmente l’angelo riapparve. Al demone mancò un attimo il respiro quando si rese conto dello stato in cui il ragazzo era tornato: un occhio pesto; diversi tagli sul volto e sulle braccia e, a giudicare dal modo in cui l’angelo zoppicò verso di lui, anche una gamba seriamente danneggiata, seppure non rotta.
«Che ti hanno fatto?!» ringhiò con odio, raggiungendo Samael e aiutandolo a stendersi sul letto. L’angelo non proferì parola, chiuse solo gli occhi e si lasciò andare al tocco delle mani gentili di Derek, che si stavano adoperando a spogliarlo per controllare le condizioni di tutto il suo corpo.
In quel momento l’avvertimento di Raffaele riguardo al contatto fisico gli risuonò nella mente e l’angelo si allontanò di scatto, sussurrando: «Non possiamo.»
Derek si sentì ferito da quel rifiuto, ma in quel momento la cosa importante era far stare Samael meglio così si limitò a dirgli: «Voglio solo controllarti, non farò altro.» Senza rinunciare a un po’ di resistenza, l’angelo si lasciò infine convincere a farsi lavare le ferite. «Guariranno presto» rassicurò Derek, cercando di confortarlo al meglio, nonostante la quantità di sangue secco sul torso dell’altro fosse particolarmente consistente.
Alla fine, soddisfatto, coprì Samael col lenzuolo e si avviò fuori dalla camera con l’intenzione di lasciarlo riposare. Una mano sul suo polso lo fermò, costringendolo a voltarsi per incontrare lo sguardo dell’angelo, che gli disse di sedersi e ascoltarlo.
Fu un lungo sproloquio su cose di cui Derek aveva a malapena letto su internet e ci volle un po’ perché il ragazzo riuscisse a comprendere a pieno quello che l’altro gli stava dicendo: non era un mostro completo e per lui c’era una speranza. Solo quel pensiero lo riempì di una gioia talmente repentina da fargli quasi male e ripeté quello che aveva capito, per non lasciare spazio a fraintendimenti.
«Quindi potresti…rendermi normale?»
L’angelo annuì sorridendo e gli lasciò una carezza leggera sulla guancia, asciugando una lacrima che nemmeno Derek si era accorto di aver versato. Poi si fece serio tutto a un tratto, ricominciando a parlare: «Dobbiamo evitare il contatto fisico. Potrebbe esserci fatale, se perdo il controllo dei miei poteri. Solo centoventi giorni, Derek. Puoi resistere?»
Il ragazzo quasi scoppiò a ridere di cuore e, nonostante la voglia di assaporare di nuovo il sapore ricco e avvolgente dell’angelo fosse forte, ribatté con un occhiolino: «Non impazzirò, fidati! Piuttosto, quella cos’è?»
Samael batté gli occhi un paio di volte e seguì lo sguardo del compagno su un’agendina rilegata in cuoio che teneva stretta sotto il braccio da quando era tornato. «È una Cronostoria, la nostra. Ogni giorno segnerò l’avvenimento più importante della giornata, così quando avrai il tuo nuovo inizio come essere umano integro, avremo una documentazione che potrà aiutare noi angeli nelle varie fasi di un eventuale secondo salvataggio. Sei il primo ibrido che riesce ad arrivare all’Iniziazione, Derek.»
Con quelle parole, Samael aprì il libricino e scribacchiò con la penna incorporata una frase breve e concisa, che rappresentava il loro inizio insieme: Giorno 1 – Derek ha accettato di farsi aiutare.

Da quella prima frase, le cose diventarono ogni giorno sempre più difficili. Derek cominciò presto a sentirsi come in crisi d’astinenza, il bisogno di uccidere così pressante da tenerlo sveglio la notte e, se non fosse stato per Samael che non aveva bisogno di dormire, sarebbe probabilmente sgattaiolato nelle tenebre a Degenerare.
Un’altra cosa che il povero ragazzo non riusciva a sopportare era quella di essere segregato in casa. Samael lasciava molto raramente il suo fianco, ma questo non rendeva la prigionia migliore, semmai il contrario. Derek capì fin troppo in fretta quanto la sua volontà di stare lontano dal contatto fisico con l’angelo fosse in realtà debole e si ritrovava sempre più spesso a bramare il tocco come bramava l’acqua dopo una lunga corsa. Samael, dal canto suo, si limitava a farsi consegnare la spesa a domicilio e a combattere Derek ogni volta che provava a provocarlo. La lotta si dimostrava strenua e spesso impari, ma la determinazione dell’angelo riusciva sempre a prevalere. Non che lui non fosse affetto da questa separazione forzata, semplicemente gli era stato spiegato che il pericolo peggiore se si fosse permesso di perdere il controllo delle sue emozioni era proprio per il demone. Dopo tutto quello che stavano passando entrambi, non aveva intenzione di correre il rischio per una cosa così stupida.
Le cose diventarono ancora più ingestibili quando Derek provò dell’alcol forte. All’inizio non successe nulla di particolare, il ragazzo si era sentito più leggero ed era riuscito a gestire meglio la rabbia e il desiderio di uccidere, quindi Samael aveva finito col convincersi che poteva essere una cosa positiva. A lungo andare, invece, Derek cominciò ad essere sempre più instabile durante le sue ubriacature e deciso come non mai a far cedere Samael e a possederlo. Quindi l’angelo fu costretto ad essere sottoposto ad ulteriore pressione e scegliere il mal minore.
Con quella stressante routine, erano passati centotredici giorni. Con l’avvicinarsi della meta, Derek cominciò a bere praticamente ogni attimo, rimanendo in uno stato costante di ubriacatura e spingendo Samael al limite.
Il centodiciottesimo giorno, entrando in cucina, Samael si scontrò con un famelico Derek e capì subito che quella volta avrebbe ceduto, che Derek non si sarebbe fermato e che ormai erano alla fine ma era terminata sia la sua pazienza che la sua voglia di combattere. Adesso aveva solo bisogno di lasciarsi andare.
Si sedette al bancone, scribacchiò due frasi sulla sua agenda e alzò lo sguardo verso il demone. Nei suoi occhi lesse tanto dolore, più di quello che un qualsiasi uomo potesse sopportare e tutto ciò che volle fu di confortarlo, prenderlo tra le braccia e farlo sentire amato, come meritava.
«Samael…perché non mi vuoi?» Un sussurro, bastò un solo sussurro per spezzarlo. Perché la tristezza dietro quelle poche parole era tale da lasciare l’angelo ammutolito e boccheggiante, preda di un senso di colpa profondo per aver ferito quella povera anima fragile davanti a lui.
In un lampo raggiunse il suo fianco, gli prese il volto tra le mani e lo baciò, profondamente e senza remore, beandosi del sapore speziato che gli riempì la bocca, assaporandolo come la prima volta o forse un po’ meglio, perché non c’erano angeli arrabbiati pronti a punirlo per il peccato di amare un demone.
Stavolta c’erano le mani di Derek sulle sue guance, c’era il suo respiro affannato e il suo spingerlo con foga verso la camera da letto. Senza sapere come, Samael si ritrovò nudo e ansimante, sovrastato da un glorioso Derek, nudo a sua volta eccetto per i guanti che, come ogni volta da quando si erano conosciuti, gli tenevano nascoste le mani.
E il bisogno di vederle, di sentirle su di sé si fece così pressante da portarlo a supplicare, in un mormorio roco. «Voglio vederle, Derek. Lasciami vedere le tue mani, lasciamele accarezzare, baciare, toccare…ti prego»
Samael udì il brusco respiro e il corpo sopra di lui irrigidirsi, ma non si fermò e continuò a implorare, accarezzando intanto ogni centimetro di pelle che le sue mani riuscivano a raggiungere. E alla fine Derek sospirò rassegnato e si tolse i guanti lentamente, studiando l’espressione dell’altro. Alzò i palmi di fronte a lui e lasciò che Samael li esaminasse, preparandosi al rifiuto e al disgusto, perché non c’era ragione al mondo per cui l’angelo avesse dovuto sentire altro.
Samael studiò attentamente le mani davanti a lui, accigliato. Erano gonfie e a chiazze rosa intenso, la pelle viva mai rimarginata, cicatrici e nocche praticamente inesistenti. L’angelo sapeva cosa aveva ridotto in quel modo le mani del suo amante, l’aveva visto nei ricordi di una Jody Cox di appena dieci anni, che aveva notato un suo amichetto accendere un fuoco, metterci le mani dentro e ridere davanti alla pelle che si bruciava piano. Aveva urlato con tutto il fiato, aveva detto a tutti che il bimbo era pazzo e l’aveva fatto bollare come potenzialmente pericoloso. Da allora Derek Hall aveva vissuto in simbiosi coi suoi guanti, l’unica distanza reale tra quell’incidente e il resto del mondo, l’unica cosa che gli impediva di rendersi conto degli effetti che la Voce aveva su di lui.
Samael seppe cosa fare prima ancora di pensarci razionalmente: si portò entrambe le mani alle labbra e le baciò con trasporto, leccandole per lavare via il dolore di un’infanzia rubata da un lato oscuro che si stava appena formando, quello del demone Drekavac.
Derek lo guardò stupito e si sentì amato, per la prima volta dopo tanto tempo sentì di contare qualcosa.
Da quel momento in poi, fu tutto un andare in discesa. Mani che si congiungevano, respiri affannati, carezze rudi e voraci, bocche in esplorazione l’una del corpo dell’altro, sensazioni così sconosciute eppure così giuste.
Quando Derek gli passò un lubrificante pescato da chissà dove, Samael non fece domande. Sapeva che il ragazzo aveva bisogno di appartenere a qualcuno, di sentirsi amato, e come poteva l’angelo negargli una cosa del genere?
Mentre lo preparava con le dita, beandosi dei suoi gemiti e anche delle sue imprecazioni, le ali si presentarono spontaneamente, grandi e luminose. Samael seppe di star perdendo il controllo perché non aveva desiderato di tirarle fuori, era solo successo, ma in quel momento non poté fermarsi.
La prima spinta fu dolorosa, quasi insostenibile per Derek. Poi divenne un’ondata di piacere mai nemmeno immaginata; ogni spinta più profonda della precedente e centrata verso un punto particolare dentro di lui, qualcosa che spediva scariche di sensazioni lungo tutto il corpo e ormai mancava poco, qualche altro momento e avrebbe ceduto.
Samael lottò per mantenere l’autocontrollo fino alla vera fine, ma Derek in preda all’orgasmo gli afferrò le sensibilissime ali e tirò leggermente, e fu la goccia che fece traboccare il vaso. Un vortice di calore lo travolse e per un momento tutto ciò che successe fu un lampo di luce intensa, talmente fastidiosa da bruciare gli occhi – o forse un corpo. E poi Derek svenne e tutto si spense.

Raffaele raggiunse le macerie dell’edificio che era stato l’appartamento del suo pupillo quarantotto ore dopo il fatto. Per allora, l’ibrido chiamato Derek era diventato un demone completo, Degenerando appena poche ore dopo il disastro che aveva portato alla morte di Samael. L’angelo era esploso per la forza dei suoi stessi poteri e si era trasportato a una distanza di sicurezza necessaria a non portare con sé il suo compagno.
L’Arcangelo non aveva proferito parola né visto nessuno quando la notizia era arrivata. Il dolore era stato così forte che Raffaele aveva pianto e l’ultima volta che era successo il motivo era stato il Diluvio Universale che aveva spazzato via senza distinzione uomini, animali e angeli.
Era venuto fuori che la vera ragione per cui l’ibrido aveva accettato di farsi “curare” era stato per distruggere Samael e diventare il pupillo di Astaroth. I due avevano congegnato il piano fin nei più futili dettagli la notte in cui l’angelo era stato richiamato per la Rieducazione. Raffaele non riusciva a capacitarsi di come il Principe Infernale avesse sostituito il desiderio di libertà del giovane Derek con quello di potere dello spietato Drekavac. Fatto stava che l’essere era stato ribattezzato; Astaroth l’aveva fatto Degenerare e adesso i due erano tornati all’Inferno, non prima di aver festeggiato con una ricca strage che aveva coinvolto sette persone innocenti.
Raffaele strinse i pugni al pensiero dell’ingiustizia in cui il suo povero ragazzo si era ritrovato invischiato per colpa del suo buon cuore. Camminando tra le macerie, si imbatté finalmente in ciò che cercava: un libriccino rilegato in pelle che portava la Cronostoria di centodiciassette giorni col demone.
Saltando all’ultima pagina, nuove lacrime brillarono negli occhi dell’Arcangelo, che con voce stizzita e rotta sussurrò: «Così stupido, Sam, così dannatamente stupido e desideroso d’amore.»
E a chi importava se Raffaele non avrebbe mai più avuto un suo ragazzo, non avrebbe più donato un paio d’ali a un’altra anima, non avrebbe più amato come aveva amato quel suo fratello legato a lui in un modo speciale?
A chi importava se Raffaele era rimasto solo con un foglio strappato da un’agenda bruciacchiata?

Giorno 118: Non ce l’ho fatta, sto cedendo, ma va bene così, perché io lo amo e non importa se è sbagliato. Mi dispiace per tutto, Raffaele.


Angolino dell'autrice :)

Sono emozionatissima, perché questa è la mia prima Originale seria e loro sono i primi personaggi di cui narro tutta la storia. Samael e Drekavac sono nomi presi dalle "Lista degli angeli" e "Lista dei demoni" di Wikipedia. Anche Astaroth è il vero nome di uno dei Principi dell'Inferno e Huron è una cittadina realmente esistente. Per quanto riguarda il resto, è tutto frutto della mia fantasia, niente si ispira a mitologia o leggende. Spero che la storia di Samael e Derek vi abbia intigrato e magari anche lasciati un po' sorpresi per lo sviluppo. Ci sono molte scene ancora "inedite" che non ho inserito per non allungare terribilmente il brodo con cose inutili ai fini della trama. I vostri pareri sono graditissimi, positivi e negativi! Un bacione, spero di tornare presto su questi lidi! :* La storia è stata scritta per il secondo turno del contest a turni "La sfida dei grandi autori", indetto sul forum di EFP dalla triade di fa92.


Concorrente: Fefy_07 
Squadra: Nera 
Giudici Responsabili: Eleonora 
Titolo storia: Come materia e antimateria 
Pacchetto utilizzato: Marchese 
Grammatica e Sintassi: 15/15 
Stile e lessico: 10/10 
Originalità: 10/10 
Uso del pacchetto: 10/10 
caratterizzazione Personaggi: 13/15 
Giudizio Personale: 5/5 
Tot: 63/65 
Valutazione 
Bella storia di Urban Fantasy. Pacchetto usato in modo originale e creativo, stile adeguato alla struttura. Ci piace molto, una fine inaspettata che prende totalmente la citazione del pacchetto da te scelto. Ottimo lavoro Fefy, solo da rivedere maggiormente i caratteri dei personaggi in storia così lunga devono avere un’introspezione migliore tutti loro. 
  
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