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Autore: giulina    31/07/2013    1 recensioni
Leo tirò in aria l'ennesimo biscotto e lo fece finire direttamente nella bocca aperta, sorridendo alla ragazza che continuava a girare lo zucchero nel suo tè ormai freddo. Non resistette più e gli sorrise apertamente. Con quel ragazzo era tutto un mostrare sorrisi storti e denti bianchi, un ridere fino a sentire male allo stomaco.
- Mi piace. -
- Il mio riuscire a centrare la bocca con il biscotto? Lo sai che riesco a mangiarmi anche l'unghia del pollice mentre sono al telefono? -
Agata rise di nuovo e Leo le si avvicinò, toccandole delicatamente con l'indice la fossetta appena accennata sulla guancia sinistra.
- Mi sono innamorato. -
- Di me? -
- Macchè, parlavo di quella fossetta lì. Sì, proprio quella lì. Non è che la puoi regalare? -
Agata continuò a sorridere mentre Leo le percorreva con il dito la pelle del viso e la guardava con quegli occhi dalle ciglia lunghissime, che le facevano sentire la necessità di abbassare lo sguardo. Non meritava che qualcuno la guardasse con quegli occhi.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Note dell'autrice: 


è da marzo che non aggiorno e non potete capire quanto mi dispiaccia non avervi più dato notizie di me e della storia. Purtroppo sono stata impegnata con la faticosissima e impegnativa maturità per cui non mi passava nemmeno per la testa l'idea di mettermi al pc per scrivere qualcosa che non fossero appunti di letteratura, scienze, filosofia o la tesina. Poi negli ultimi giorni sono venuta anche a sapere di un plagio a danno di una mia OS, "L'odore delle ciliegie" e del prologo di questa storia, di Via del Campo, adattato come semplice OS che "l'autrice" aveva modificato tagliando pezzi e dialoghi a caso. 

Dopo questo brutto fatto però, sono riuscita finalmente a completare questo capitolo che avevo iniziato a maggio ma di cui avevo scritto solo poche righe. Non potete immaginare quanto mi sia mancato raccontare le vicende e le vite di Agata e Leo. Spero vi siano mancati anche a voi.

Un abbraccio,

Giulia.


Se volete contattarmi questo è il link del mio gruppo facebook: https://www.facebook.com/groups/262965880410553/






E intanto lei gioca all'amore 
scherzando con gli occhi ed il cuore 
di chi forse la odierà.


-La canzone di Barbara, Fabrizio De Andrè-







Flashback


Leo presentò ufficialmente Agata come sua fidanzata a sua nonna il 20 febbraio 2007.

Per quell'occasione, il nipote aveva comprato all'anziana un maglioncino di cashmere rosa al nuovo centro commerciale fuori città e lui si era addirittura messo una camicia azzurra, anche se ai suoi piedi figuravano sempre le immancabili infradito verde mela. Nonna Paola aveva legato i capelli in una lunga treccia e si era passata sulle labbra raggrinzite dal tempo un rossetto rosso che non usava dalla comunione di Leo, avvenuta nel 1996. Aveva cucinato lasagne al ragù, carbonara e linguine allo scoglio; pollo arrosto con patatine fritte, insalata russa e sogliola con rosmarino e limone accompagna da delle carote tagliate alla julienne.

Agata arrivò a casa della donna che erano le otto passate con una bottiglia di limoncello in una mano e un pacchetto di cantuccini al cioccolato nell'altra.

- Non sapevo cosa portare. - Si era giustificata con il ragazzo, arrossendo leggermente quando Leo le aveva tolto l'eskimo pesante dalle spalle rivelando un semplice vestito nero, lungo fino ai piedi, che lo aveva fatto impazzire.

- Avrei apprezzato un po' di più della cannabis di qualche tuo amico drogatello, ma anche i cantuccini vanno bene.

- Idiota.

- Guarda che pure nonna si è fatta le canne quando era giovane!

- Non è vero.

- No, infatti. Però si è fumata qualche foglia di salvia alle superiori. Questo è vero, lo giuro!

- Mi piace di già.

- E a me piaci tu. E mi piacerai ancora di più se mi dici che sotto questo delizioso vestitino non indossi biancheria intima!

Agata scappò in cucina rossa in viso per la rabbia, con le mani che tremavano e un sorriso sulle labbra che non riusciva a contenere. Quando nonna Paola l'aveva vista sulla soglia della porta, ferma e rigida e così carina, per poco non aveva fatto cadere sul pavimento la teglia contenente il pesce cotto per correre ad abbracciarla.

- Tesoro, non sai quanto sono felice che tu sia qui! Tesoro, non lo puoi proprio immaginare. Quando il mio Leo mi ha detto che vi eravate fidanzati ero fuori di me dalla gioia, tesoro! Lui è così un tesoro, non è vero tesoro?

- Noi… cioè non stiamo proprio insie... -

- Sei così carina! Adoro i tuoi capelli, tesoro, lo sai? Anch'io quando ero giovane li avevo così lunghi e scuri... il nonno di Leo li amava da impazzire! E a Leo fai impazzire tu, tesoro. Siete una coppia bellissima!

Leo era entrato in quel momento nella stanza e aveva acceso la radio sopra il televisore, mentre osservava sua nonna apparecchiare velocemente la tavola e Agata tagliare il pane con un lungo coltello mentre ascoltava in silenzio le chiacchiere distratte della donna. Seduti tutti e tre al tavolo di legno, con le linguine allo scoglio calde nei loro piatti di ceramica del servizio buono che nonna Paola usava per le occasioni speciali, Leo non poteva fare a meno di guardare la ragazza di fronte a sé. Era la ragazza più bella che avesse mai visto. E quelle fossette sulle guance arrossate erano un qualcosa di stupendo.

- Ti piace la pasta, tesoro? L'ho preparata velocemente ed ho paura che sia un po' sciocca.

- È buonissima, signora.

- Ma com'è che ti chiami, tesoro? Il mio Leo me l'ha detto ma me lo sono scordata in due secondi! Non sono brava con i nomi. Proprio no.

- Agata, signora.

- Bello, bellissimo nome. Orientale, quasi! Leo a te piace il suo nome?

- Un sacco.

- E poi? Cosa ti piace di lei, tesoro?

- Un po' tutto, nonnina.

- Lo sai Anna...

- Agata.

- Lo sai, Amanda, quando Leo mi ha raccontato come è avvenuto il vostro primo bacio mi sono quasi messa a piangere. Mi sono commossa, tesoro. Mi piacciono un sacco le storie d'amore, soprattutto quando nascono sotto i miei occhi.

Agata non aveva risposto e in imbarazzo aveva buttato giù tutto d'un sorso un bicchiere di vino bianco mentre il ragazzo rideva apertamente. A fine cena, la ragazza aveva sparecchiato la tavola mentre nonna Paola era scappata in salotto, piazzandosi davanti al televisore acceso per riguardarsi le repliche della quinta stagione di Don Matteo che davano ogni giovedì.

Verso mezzanotte, Leo l'aveva portata in camera sua e si erano distesi entrambi sul suo letto troppo stretto. Il ragazzo infatti teneva un piede sul pavimento per non rischiare di cadere rovinosamente a terra. Stavano in silenzio, ascoltando l'uno il respiro dell'altra e il vociare lontano della televisione ancora accesa in salotto, che nonna Paola non guardava ormai più perché profondamente addormentata sul divano. Sulle sue labbra socchiuse c'erano probabilmente ancora delle tracce di rossetto. Ad un certo punto, Agata aveva fatto strisciare la sua mano sul copriletto di cotone verde e aveva stretto la mano di Leo al suo fianco, continuando a puntare lo sguardo sul soffitto bianco sopra di loro. Il biondo aveva sorriso mostrando tutti i denti presenti nella sua bocca e aveva intrecciato le sue dita con quelle di quella mano piccola e fredda, dal colorito chiarissimo tanto che si potevano notare due vene viola sulla superficie del dorso.

- Agata?

- Dimmi.

- Stiamo per fare l'amore?

La ragazza si era alzata di scatto a sedere sul materasso e l'aveva guardato scandalizzata e con la bocca leggermente spalancata.

- Cos..? No!

- Oddio, menomale! Non ho indossato le mutande pulite.

- Fai schifo.

Aveva tentato di alzarsi dal letto, ma non ce l'aveva fatta, bloccata dal corpo di Leo che si era letteralmente buttato su di lei e l'aveva iniziata a baciare senza lasciarle possibilità di scappare dalle sue labbra e dalla sua lingua che nascondeva ancora il sapore del mascarpone del dolce preparato da nonna Paola. L'aveva baciata per cinque o cinquanta minuti e poi si era alzato in piedi con un saltello, avvicinandosi al piccolo scaffale vicino alla scrivania.

- Ora ci guardiamo una cassetta di “Esplorando il corpo umano”. Sai, mi concilia il sonno quel cartone.

- Posso andarmene a casa?

- No, certo che no! Ora tu resti qui, ti metti comoda mentre io vado a prendere i cantuccini e il Limoncello, e poi ci guardiamo la puntata sul... sì, sul cervello!

- Quello che tu non hai più?

- Cerchiamolo insieme, ti va?





Erano le undici passate quando quei nove, strambi abitanti di Via del Campo raggiunsero il grandissimo parco in cui avevano deciso di svolgere il loro picnic domenicale d'aprile. Si trovava esattamente sopra una piccola collinetta che aveva ai suoi piedi tutta la città. Intorno c'erano vigneti, uliveti e un lunghissimo viale contornato ai due lati da altissimi pini che creavano immensi spazi d'ombra nei prati circostanti, dove le persone amavano rilassarsi e prendersi una pausa dalla città frenetica, dalla vita. Manik e Davide avevano piazzato i loro teli da mare coordinati nel punto più alto della collina, dove affermavano sarebbe stato possibile assistere ad un magnifico tramonto.

Bogdana e i suoi figli -che erano già caduti due volte nell'erba e si erano sbucciati mani e ginocchia- si misero accanto a loro, sopra il loro piumone da letto matrimoniale di un blu acceso. Aldo si era subito messo all'opera e aveva piazzato il piccolo barbecue lontano da tutti, all'ombra di un albero da frutto nato per caso in mezzo al grande prato. Aveva tirato fuori salsicce e bistecche e il suo grembiule bianco e rosso che aveva utilizzato nel '72 quando aveva lavorato per un anno alla macelleria “Fanucchi&figli”.

Leo era sceso dall'auto per primo e da quando aveva messo piede sul prato non aveva smesso di correre e saltellare, come se avesse delle molle sotto le infradito. Rideva a più non posso, con il cestino contenente le bibite e l'apparecchiatura per mangiare tra le mani, e aveva già spaventato due o tre bambini che giocavano a palla non molto lontano da lui.

- È bellissimo qui! Mi sento così libero!

- Esserti fatto canna prima di partire?

- No, Bogdana. Sono solo felice di essere a contatto con la natura!

- Ho capito, ti sei fumato salvia di giardino condominiale.

Agata si guardava intorno e sorrideva. Non era mai stata su quella collina e le dispiaceva non averla scoperta prima. Leo aveva ragione: in quel punto, con la città sotto di loro e degli spazi verdi, aperti e quasi senza fine intorno, ci si poteva sentire veramente liberi. C'era anche un leggero venticello che scompigliava i capelli, asciugava il leggero velo di sudore sul collo e trasportava l'odore della carne cotta da Aldo per tutto il prato, che faceva brontolare lo stomaco.

Pranzarono alle dodici e quarantacinque precise, sdraiati sul grande piumone di Bogdana, che si era già riempito di briciole di pane e una macchina di olio compariva sul bordo decorato.

- Chi ha fatto le patate arrosto?

- Io!

- Sono ottime, Costanza. Davvero ottime.

- Grazie, Davide, sei sempre così gentile e caro e il tuo arrosto è ottimo.

- Costà, ma ci stai a provare con Davide?

- Stai zitto, Aldo!

- Ottimi anche i peperoni ripieni, Bogdana.

- Oh Agata quelli non li avere fatti io! Figurati se io cucinare questa mattina. Avevo pedicure e manicure da mia amica molto bella, quella lesbica con piercing.

- Ah, ho capito! Quella che sta alla cassa dieci alla Conad.

- Esatto, proprio lei!

- Cazzo, ma questa salsiccia è fenomenale!

- Leo...

- Grazie, picciotto, mi ci sono impegnato nel cuocerle alla perfezione.

Mangiarono la cassata che Leo aveva comprato alla pasticceria della ragazza francese in Via del Campo mentre canticchiavano “I migliori anni della nostra vita” e Rabah piangeva nascosta nel grembo della madre perché il fratello le aveva tagliato delle ciocche dei capelli con le forbici trinciapollo di Aldo. Mentre tutti si riposavano all'ombra, giocavano a ramino perdendo miseramente o ascoltavano buona musica, Leo e Agata se ne stavano sdraiati vicini lontano da tutti, mano nella mano come in quella lontana sera in cui fu presentata come fidanzata a nonna Paola. Guardavano il cielo di un azzurro chiarissimo sopra di loro con gli occhi socchiusi per il fastidio della luce troppo forte e con la sensazione dell'erba che pizzicava sulle gambe e le braccia scoperte, non avendo nessun telo sotto di loro.

Quella era una delle giornate che la ragazza amava definire: “grazie al cielo ho incontrato Leo”. Si sentiva piena, felice, rilassata e con una voglia matta di sorridere. La paura, l'angoscia che aveva provato le settimane passate lontane da lui erano completamente sparite come soffiate via dal vento che li solleticava la pelle e faceva incrociare i loro capelli così diversi. Forse l'aveva soffiate via Leo con il suo alito caldo che sapeva di menta fresca e liquirizia.

Aveva fatto una delle sue solite magie.

- Voglio comprarmi una barca a vela.

- Ma tu odi il mare.

- Già, ma in questo momento mi sembrava più giusto dire che mi voglio comprare una barca a vela che un monopattino per percorrere il viale alberato a una velocità esorbitante quando torneremo su questa collina.

- Il monopattino è carino.

- Sul serio?

- Sì, ne avevo uno quando avevo dodici anni. Poi me lo ruppe un mio cugino.

- Non ti sei vendicata?

- Certo, gli ho rotto il polso l'anno dopo.

Leo l'abbracciò stretta, stretta e le baciò la testa con tutta la forza che possedeva. Ad Agata riaffiorò in testa, all'improvviso, un ricordo di tanti anni prima, evocato forse dalle parole che aveva detto poco prima al ragazzo. Si ricordava che l'ultimo picnic a cui aveva partecipato risaliva a quello organizzato dalla sua famiglia in vacanza sul lago di Como, un lontano agosto afoso di tanti anni prima. Era l'estate del 1999, lei aveva da poco compiuto dodici anni e possedeva un Labrador di nome Arnold che sarebbe morto avvelenato due anni dopo. Quel giorno indossava un paio di sandali bianchi con il laccetto che si legava alla caviglia e una gonnella di jeans che le arrivava sotto il ginocchio. Gliela aveva regalata sua zia, quella gonnella. La zia presente quella mattina, che aveva preparato la zuppa inglese troppo salata e che accarezzava troppo spesso i capelli di Agata. I suoi capelli erano di un naturale castano scuro, lunghi fino a metà schiena che a quindici anni se le sarebbe tinti di blu. Agata di quella mattina ricordava soltanto come era ridicolmente vestita e la zuppa inglese salata di sua zia. Nella sua memoria però, c'era anche l'immagine sfuocata di lei che immergeva i piedi nell'acqua fredda del lago e si chiedeva quanto fosse profondo. C'era sua madre che le urlava con la sua voce dal tono sempre alto che le salsicce erano pronte, mentre lei avanzava di qualche passo nell'acqua che aveva raggiunto i polpacci.

Per un solo attimo, Agata si era chiesta che cosa sarebbe successo se si fosse buttata. Vestita, con ancora i sandali ai piedi e gli occhi spalancati. Forse sua madre le avrebbe tirato un schiaffo e rimproverato davanti a tutti i loro parenti; oppure suo zio le avrebbe detto che ormai era una signorina e questi colpi di testa non erano adatti ad una ragazzina della sua età e l'avrebbe guardata con quello sguardo che spesso le aveva fatto ribrezzo: forse, se si fosse buttata, non sarebbe più risalita in superficie.

Riemerse dai suoi ricordi quando si sentì chiamare da Leo che si era messo a sedere sull'erba, leggermente distante da lei. Agata assunse la sua stessa posizione, aprendo di nuovo gli occhi che bruciavano appena.

- Lo sai cosa mi sto immaginando in questo momento?

- Ti prego, non dirmi che nella tua mente ci sono io nuda.

- No, sciocca. Sono serio.

- Illuminami sui tuoi pensieri profondi, allora.

- Mi sto immaginando me e te come se fossimo degli attori di un film in bianco e nero. Di una pellicola talmente sciupata da bloccarsi di tanto in tanto e sfuocata ai lati. Immagino una musica strappalacrime di sottofondo mentre stiamo osservando questo tramonto, che io vedo anche male perché sono un po' miope e un ciuffo di capelli mi copre mezza visuale. Il regista che ci sta riprendendo in questo momento metterebbe a fuoco i tuoi occhi perché sono talmente belli che è giusto catturane ogni sfumatura. Subito dopo punterebbe la telecamera sul mio sorriso perché, effettivamente, ho un sorriso meraviglioso. Poi magari ci riprenderebbe da dietro, lasciandoci diventare solo due figure scure senza contorni su questo sfondo rosso. Io e te, vicini senza toccarci, sopra questo prato umido che ci sta bagnando i vestiti e il vento fresco d'aprile che ti scompiglia i capelli. La canzone strappalacrime c'è sempre, sia chiaro. Ora forse c'è l'acuto della cantante, cioè mi sembra perfetto per questo momento. Proprio ora che ti ho preso la mano e ho intrecciato le dita con le tue.

- E ora il regista cosa metterebbe a fuoco?

- Le tue lacrime, perché sei bella anche mentre piangi.






E il vento la sera la invita 
a sfogliare la sua margherita 
per ogni amore che se ne va,lei lo sa 
un'altro petalo fiorirà




   
 
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