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Autore: Una Certa Ragazza    01/08/2013    1 recensioni
Si possono fare tante cose, per noia: commettere errori trascurabili come tirare sassi dai cavalcavia, oppure iscriversi ad un corso di pilates, o ancora trovarsi un hobby che preferibilmente coinvolga un ambiente tranquillo in cui farsi nuovi amici.
Per noia, Rossana inizia una rivoluzione.
Proponendosi di diventare paladina degli umili e degli indifesi - ovvero, senza allargarsi troppo, di coloro che non hanno vestiti firmati e non sono proprio degli adoni - Rossana sfrutta un'arma che internet le ha gentilmente concesso: Spotted.
Nella rete, Rossana si entusiasma, si perde, si ingarbuglia. E rischia di non accorgersi che - forse - qualcuno la sta cercando nella vita reale...
Genere: Commedia, Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Universitario
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Ciao a tutti!^^ Finalmente sono riuscita a tornare... Trovare il tempo per scrivere ultimamente è stato un parto, fra gli esami e le vacanze, ma adesso ci sono (almeno per un po')!
Visto che è l'una e mezza, e io domani mattina devo studiare - perché studio d'estate, sì - sarò breve e mi limiterò a mollarvi il capitolo, che purtroppo devo ammettere non essere un granché, sollevando solo un paio di questioni:

1- A tutti coloro a cui piace il fantasy, sto pubblicando su EFP un altro romanzo che potete trovare qui: "Il mondo attraverso lo specchio". Essendo già terminato non interferirà con la scrittura di "L'amore ai tempi di Spotted".
2- Per quello che avete visto finora, secondo voi "L'amore ai tempi di Spotted" andrebbe spostato nella sezione Generali? Non riesco a liberarmi di questa sensazione, ma neppure a decidermi, ditemi voi cosa ne pensate...

Beh, grazie a tutti e scusate per il vergognoso ritardo. Domani correggerò gli errori di battitura di questo capitolo perché adesso sono troppo stanca XD A presto!






 

 

CAPITOLO 7

Il crimine

 

"Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante."

 

"Inferno – canto V", Dante Alighieri

 

Essendo arrivata tardi dalla biblioteca, Rossana si ritrovò a trangugiare alla svelta un po' di insalata di riso e uno yogurt e a gettarsi addosso una maglietta e dei pantaloni qualsiasi, perché entro mezz'ora doveva incontrarsi con i suoi amici.

Emma non era in casa perché era andata a mangiare una pizza con le amiche della facoltà, e a dirla tutta a Rossana era già passata la voglia di uscire. Innanzitutto perché il senso di inutilità che aveva provato quando le quattro dell'Apocalisse se n'erano andate le aveva lasciato dentro dei rimasugli di pensieri spiacevoli, e poi perché non le andava di uscire senza Emma quando c'era Giacomo.

Rossana era a suo modo una persona saggia, e riteneva che una situiazione del genere fosse completamente innecessaria, ma non poteva dare buca a tutti, non di nuovo: in quei pochi giorni in cui i pezzi avevano iniziato a tornare al loro posto si era resa conto di quanto spesso lo avesse fatto negli ultimi tempi, come un'azienda che fa il bilancio annuale e si rende conto di essere in rosso.

Era grata ai suoi amici per non averle fatto pressioni, ma adesso che aveva preso coscienza del suo comportamento non si poteva più rimandare: doveva uscire.

E dunque, uscì. Si infilò con malagrazia una giacca di pelle, non si portò neppure la borsa: aveva afferrato le chiavi di casa e una manciata di spiccioli, e tanto bastava.

La città era nascosta nel buio come se volesse farle uno scherzo, ma Rossana non era preoccupata dalle mancanze dell'amministrazione pubblica circa l'illuminazione: la sua era una zona. Piena di smog, di persone insopportabili e di schifezze varie, come l'enorme e fuori luogo sexy shop all'angolo, ma pericolosa quanto un isolato di Voghera all'ora di pranzo: a quell'ora i bambini giocavano ancora nella piazza in cui sbucava la sua via, e Rossana era pronta a scommettere che la proporzione mamme-malintenzionati fosse di 10000 a 1.

Mentre si incamminava verso il luogo dell'appuntamento, Rossana pensava ancora alle ragazze della biblioteca.

Non riusciva a smettere di rimuginarci su, eppure rivangare il siparietto che si era venuto a creare con loro la metteva fastidiosamente a disagio. La discussione, perché si mescolava con scene vissute tanti anni prima che – sì, l'aveva deciso quel pomeriggio – non aveva voglia di ricordare; il momento in cui se n'erano andate, invece, perché l'aveva fatta rimanere lì in piedi, in mezzo alla sala, un po' sgomenta, come un gesto abbandonato a mezz'aria.

Anche lì, anche lì... C'era una caratteristica di quel momento che le ricordava un lembo d'infanzia, un qualche piccolo ed insignificante avvenimento che doveva aver scordato, ad un certo punto.

C'era anche il ragazzo con le cuffie, poi.

Ma non aveva niente da pensare su di lui, lo percepiva solo come un'unica, anonima sensazione di vertigine. Dopo un po' svanì, e Rossana cominciò a fregarsene.

"Sta a vedere che anche lui..." fu l'ultimo pensiero che si concesse al riguardo "Magari l'ho incontrato tanti anni fa..."

C'era qualcosa di nauseante, nel moto dei ricordi.

Scacciò quelle considerazioni con uno scatto involontario e brusco della testa, e per il resto del tragitto si dilettò a ragionare sul problema della cittadinanza in Italia, argomento decisamente più importante nonché più produttivo.

 

Il luogo dove durante l'intero anno si era data appuntamento con i suoi amici era uno slargo nel bel mezzo della zona pedonale della città.

Appena giunta, Rossana si lasciò cadere su una panchina e si guardò intorno. Quella sera era arrivata prima di tutti, non che questo fosse una novità.

Tirò su i piedi perché lo spiazzo era lastricato di sampietrini e Rossana sentiva nelle prossime ore avrebbe calpestato abbastanza linee anche così.

«Ehi, Sana!» una voce la chiamò da lontano e lei si girò di scatto.

Giacomo. E te pareva.

Rossana prese tempo, e non lo salutò che quando lui diede segno di volersi sedere accanto a lei «Oh, ciao Giacomo. Come va?»

«Bene» disse lui, sistemandosi troppo, troppo vicino a lei «a parte che oggi il mio vicino ha deciso che in casa sua c'erano troppe poche cose appese alle pareti.»

Tutte le volte in cui Giacomo era nei paraggi Rossana non poteva fare a meno di sentirsi in presenza di uno spirito affine, e non è che non l'avesse notato altre volte. Sarà stato il modo in cui la guardava.

Siamo noi due, Rossana. Tu e io.

«È andato avanti a trapanare per tutto il pomeriggio?» chiese, sentendo la sua voce vibrare. Risuonava di risata trattenuta, anche se non c'era niente di cui ridere; ad ogni parola che lei avrebbe detto a Giacomo, per tutta la sera, sarebbe stato così.

Lui, con beata incoscienza, annuì «Senza tregua.»

«Se ti può consolare, oggi in biblioteca ho incontrato l'evoluzione fastidiosa delle bimbeminkia.» perché continuava a parlare? Diamine, perché?

«Era solo una? Non girava in branco?» chiese scherzosamente Giacomo.

«Ci mancherebbe, erano quattro.» Rossana ci pensò un po' su, e tra la scena di quel pomeriggio e Giacomo e poi la scena di quel pomeriggio e poi ancora Giacomo le venne fuori un mormorato: «Ma avrebbero potuto benissimo essere una sola, per la differenza che fa.»

«Erano vestite tutte come dei camaleonti in un negozio di smarties, vero?»

Rossana rise suo malgrado «Sì, mi sembra una definizione piuttosto azzeccata.»

«Stasera sei loquace, Rossana. Sono contento.» disse a sorpresa Giacomo, mentre lei si alzava in piedi e sgranchiva un po' le gambe «Non è che sei sempre così ed io per tutto l'anno ti ho preso in un brutto momento?»

Rossana lo guardò di sottecchi. Era lei che aveva preso un abbaglio oppure nella sua voce c'era una punta di malizia? Ricordò il sorriso ironico che Giacomo aveva fatto quando si erano incontrati sull'autobus la settimana prima, e questo la mise stranamente all'erta.

Le venne in mente che se fosse stata un gatto a quel punto di sicuro avrebbe rizzato il pelo e sarebbe scappata via, ma era una persona, e non poteva certo mettersi a correre per la strada piantando Giacomo lì senza un'apparente ragione.

«No davvero.» rispose allora «È solo stato un periodo particolare.» guardò con un accenno di disperazione l'imbocco della strada, sperando di veder comparire Andrea o Simona o Ippolito o chiunque altro, ma invano «E comunque non ho mai parlato molto.»

«Capisco. Allora ne approfitterò adesso che sei di buon umore.» replicò Giacomo, alzandosi dalla panchina e raggiungendola.

Rossana lo guardò e senza averlo premeditato osservò che aveva dei gomiti sexy.

"Gomiti sexy, che razza di cosa da pensare" si disse, sempre più arrabbiata con sé stessa e con sempre più voglia di andarsene da lì.

Fortunatamente sentì dei passi eccheggiare per la via, e sì voltò con uno scatto prima che Andrea potesse dire: «Ciao Sana! Come va, Giacomo?»

Poco ci mancò che Rossana non si facesse sfuggire un sospiro di sollievo «Andrea!»

Confuso dall'insolito slancio con cui l'amica l'aveva salutato, Andrea inclinò un po' la testa di lato come per osservarla da un'altra angolazione.

«Ehi, ehi! Ci siamo visti solo oggi, sai?» le rispose ridendo.

«Allora, come andiamo?» Giacomò salutò Andrea con un incrocio tra una stretta di mano e una pacca «Mi hanno detto che ti sei trovato la ragazza...»

«Beh, adesso...» fece Andrea con modestia «Direi che qui siamo ancora in alto mare. A proposito... Sana?»

Rossana sapeva benissimo a cosa si riferiva con quell'interrogativo. Non avevano più parlato della ragazza di Spotted, ma questo non significava che Rossana fosse rimasta con le mani in mano.

«Forse ho delle novità.» disse con un lieve sorriso. Dopotutto finalmente si cambiava argomento, e Giacomo poteva anche andare a farsi benedire, se gli aggradava.

«Davvero?!» esclamò Andrea. Rossana lo guardò con affetto. Andrea davvero non riusciva a tenersi nulla dentro, ogni sua emozione veniva gridata al vento, e in questo era molto simile ad Emma, con la differenza che sua sorella sembrava uscita da "Come d'incanto", Andrea da un quadro di Turner.

«Ho detto forse.» lo redarguì bonariamente lei.

«Avanti, dimmi!» la incalzò lui con decisione. Ah, sì, ogni tanto era anche un po' prepotente... Quante volte poteva averglielo già detto.

«Potrei, e sottolineo potrei, essere riuscita a trovare la tua misteriosa spasimante.» fece un'impercettibile pausa. «Si chiama Hannah e fa Giurisprudenza. Forse.»

 

La serata aveva fatto il suo corso in maniera tutto sommato normale, se si eccettuava il fatto che Andrea – felice come una Pasqua per le notizie di Rossana – si era ritenuto in dovere di ubriacarsi. Non l'aveva mai fatto prima, ma Rossana era dell'opinione che una sbornia, almeno una volta nella vita, fosse salutare. Per cui lasciò correre, e fu solo quando Ippolito e Rosa si offrirono di portarlo a casa a braccia che realizzò che se lo avessero fatto lei sarebbe rimasta sola con Giacomo.

Beh, merda.

«Possiamo andare tutti assieme da Andrea.» fece notare.

Lo sguardo ironico di Giacomo, sull'autobus...

«Niente affatto, porca Eva.» inveì Rosa, che comunque si stava limitando perché di solito bestemmiava come un portuale, con tante scuse per i portuali «Domani abbiamo l'università, cazzo! Lo dico per te, eh? Torna a casa con Giacomo e vai a letto.»

Ippolito biascicò qualcosa che somigliava ad un assenso e insieme a Rosa agguantò un braccio di Andrea e se lo fece passare attorno alle spalle.

«Ciao, eh?»

«Ci vediamo!»

«E porco cane, Ippolito, tiralo più su!»

Ecco fatto. Soli.

Per fortuna con tutto quel girovagare erano arrivati nelle vicinanze di casa sua, il che significava che non avrebbe dovuto passare troppo tempo con il ragazzo di sua sorella. Era ormai certa di non esserselo inventata, lui...

«Ehi, Sana» disse lui placido, quasi dolce «Hai mai letto "Le Braci"?»

«Il libro in cui un'amicizia secolare si rompe a causa di una donna?» molto alla spicciolata ma questa era la trama, no? E comunque non voleva dire una parola di più al riguardo, perché il sottointeso, che fosse frutto della sua fantasia o meno, non le piaceva per niente.

«Se la vuoi vedere così. Io trovo che sia un libro che parla della passione e dei rapporti umani.»

«O del loro squallore.»

Erano praticamente arrivati, avevano già imboccato la sua strada. Era quasi in salvo...

E così, senza preavviso, Giacomo le posò una mano sul braccio. Non fece nulla per trattenerla, ma bastò che lui avvicinasse il suo viso a quello di Rossana perché lei si ritraesse e rimanesse con le spalle al muro.

Il muro in questione era quello di un caseggiato che precedeva il suo, e anche se Rossana se ne accorse in quel momento quel dettaglio estemporaneo aveva davvero poca importanza.

Lui si chinò ancora verso di lei, sussurrandole in un orecchio: «"Si può, e soprattutto si deve restare fedeli alla passione che ci possiede, anche se questo significa distruggere la propria felicità e quella degli altri?"»

Perché me lo chiedi? Sai che è così.

Questa – o qualcosa di molto simile – era la risposta che dava il libro. Ma Rossana si guardò bene dall'imitarlo.

«Te la sei imparata apposta, vero?» disse invece con freddezza, sporgendo il mento in avanti.

«Ci sono cose peggiori.» sussurrò lui, guardandola negli occhi. Poi, con lentezza, il suo volto iniziò a farsi sempre più vicino.

Per un attimo quella cosa che le adolescenti banalpoetiche chiamavano cuore – ma che stando alla scienza cuore non poteva essere – fece una cosa che con Rossana non aveva mai fatto: anticipò di un passo la sua ragione.

Rossana reclinò leggermente la testa di lato, e lei davvero non si era resa conto di averlo fatto, il suo sguardo era intrappolato sulle ciglia di Giacomo, chiare, quasi bionde; lei si era sporta un po' in avanti. Meno di lui, che proseguiva nel suo viaggio verso il suo viso e aveva chiuso gli occhi.

E la notte, la notte languiva, fremeva, e sapeva di tutti i profumi del mondo...

All'improvviso il volto di Giacomo la disgustò, anzi le diede la nausea. In Rossana saettò il pensiero di Emma, e delle cose chiare, e dei bucati delle stelle del mare... Di sé stessa di fronte a sé stessa, di fronte ad uno specchio. Tutta l'attrazione che provava per Giacomo svanì in un secondo.

«No.» disse lei quieta e decisa, come se non fosse successo assolutamente nulla per cui scomporsi, anche se il cuore le andava a mille e il sangue le andava alla testa. Si rese conto che era più per l'indignazione e la paura che per l'emozione di sentire Giacomo così vicino, e questo se possibile rafforzò ancora di più la sua decisione.

«Davvero, Rossana?» disse lui aprendo gli occhi, con la voce un po' annabbiata, all'abbandono. Rieccolo, il sorriso ironico.

«Oh, sì. Davvero.»

«Le braci... Sono proprio come te. Proprio come i tuoi capelli.» mormorò lui, senza accennare ad allontanarsi.

Rossana fece un sorrisetto «Sono tinti, Giacomo, pensavo te ne fossi accorto.» sgusciò lungo il muro, verso il suo appartamento che era anche l'appartamento di Emma, lontano da Giacomo.

«Rossana...» fece lui, ma non sembrava avere un'idea precisa su cosa aggiungere.

«Buonanotte, poeta.» fece lei con ironia, prima di infilarsi nel portone.

Una volta dentro non si fermò finché non raggiunse l'ascensore, e a quel punto provò un irrefrenabile desiderio di sedersi in terra.

C'era mancato davvero poco... L'aspetto positivo era che non si sarebbe mai più trovata di nuovo in una situazione del genere, poco ma sicuro. Il ragazzo di sua sorella, roba da matti.

Ah, e il ragazzo in questione era anche un maledetto bastardo, detto per inciso. Dirlo ad Emma o tacere?

Esitò. Probabilmente la cosa meno traumatica per Emma sarebbe stato cercare di aprirle gli occhi giorno per giorno, senza scioccanti rivelazioni o momenti di dramma collettivo. Sentì una stretta allo stomaco al pensiero di quanto Emma sarebbe rimasta ferita da questa storia se ne fosse venuta a conoscenza. Ma non sarebbe successo.

Il trucco era avere tutto sotto controllo, e lei ormai conosceva i suoi polli.

Si rese conto che il pensiero di Emma non le aveva soltanto impedito di compiere un gesto orribile nei suoi confronti, ma l'aveva anche salvata dal diventare una scoria umana.

"Sei proprio una santa, Emma" pensò, nella luce sfarfallante dell'elevatore "Una di quelle icone che le persone prendono ad esempio o a monito."

Rossana era atea, ma qui non c'entrava nessun dio. Ammirava le persone buone come Emma, perché si comportavano così pur essendo soltanto umane.

Soltanto umane, e lei era umana e sporca. Era anche senza significato, in quel momento, e non c'era da chi andare, o a chi chiedere. Non consiglio o aiuto, soltanto chiedere sapendo che si poteva avere...

E Rossana, seduta sul pavimento di un ascensore ormai arrivato al piano, si ritrovò a chiamare sua madre.

«Pronto?» fece una voce assonnata dall'altra parte della linea. Rossana si rese conto in quel momento che era davvero tardi, ma oramai era fatta.

«Ciao mamma.»

«Sana? Stai bene?»

Rossana fu un po' presa alla sprovvista da quella frase concitata, perché non aveva pensato che sua madre si sarebbe potuta spaventare nel sentirsi chiamare a quell'ora «Ma... Sì, insomma, che domanda è?»

«Mhm, non so» il sarcasmo di Laura De Poggi era leggenda, e Rossana sapeva che in quello non sarebbe mai riuscita ad eguagliare le altezze della madre «è già tanto se mi chiami una volta al giorno. Forse. Ogni tanto. E adesso è... Ah, l'una di notte. È lecito preoccuparsi?»

«Ho avuto un'improvvisa botta di nostalgia di casa» disse Rossana, con tutta la sincerità che può avere una persona che non sa davvero perché abbia deciso di chiamare casa nel cuore della notte «e senza pensarci ho fatto il tuo numero. Scusami se ti ho svegliata.»

Ci fu una breve pausa dall'altra parte. Forse di sorpresa, visto che quella non era esattamente una frase da Rossana «Puoi tornare quando vuoi» fu infine la replica «anche questo weekend.»

Il tono di sua madre era quasi una carezza, le sembrava di vedere la sua mano asciutta e fresca raggiungerla da lontano e posarsi sulla sua fronte sollevandole i capelli, come per sentirle la febbre.

«Allora... Torno.»

Sua madre fece un mormorio di assenso «E sei sicura che non c'è nient'altro di cui mi vuoi parlare?»

Straordinaria, sua madre: non le chiedeva mai perché, se o cosa c'era che non andava, le chiedeva solo se per caso non avesse voglia di parlarne.

Ma in quel momento non c'era niente da dire, nulla che voleva che lei sapesse. Non era del tutto conscia di quale fosse il problema neppure lei, a parte la faccenda di Giacomo ed Emma. E di certo non era cosa che avrebbe detto ad alta voce.

«No, è tutto a posto.» rispose dunque.

«Buonanotte, allora.» sua madre le mandò un bacio «Sarai sempre la mia piccola stellina, anche se non torni mai da me.» disse scherzosa.

Rossana sbruffò una risata «Buonanotte, mamma.»

Entrò in casa barcollando, non si mise neppure il pigiama.

Crollò sul letto e guardò la sagoma della sorella addormentata.

"Ti voglio bene, Emma" pensò, e quasi lo disse "ti chiederei scusa, ma non ho neppure niente di cui chiederti perdono perché comunque vada faccio sempre le cose a metà. Non sono neppure capace di compiere un crimine come si deve."

L'ultima, distratta immagine che visitò la mente di Rossana prima che si addormentasse furono un paio di leggins gialli e viola. Ma la fantasia militare non era fatta per confondersi con l'ambiente? Avrebbero dovuto essere di un colore più... più...

   
 
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