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Autore: Dhialya    01/08/2013    0 recensioni
Punti di vista. Sguardi alla vita.
Passati, presenti, futuri.
Capitolo l - Da piccolina non immaginava nemmeno com'era veramente il mondo reale, quello dei grandi; le difficoltà che avrebbe dovuto affrontare verso gli altri e - nemmeno se l'era immaginato, ma così era stato - soprattutto se stessa.
La vita aveva avuto sapori diversi in base a come l'aveva guardata. Probabilmente sempre al contrario.

Capitolo lll: -E' tutto a posto. Torna a giocare in cortile, va bene? Ti chiamo io per la cena.-
La bambina osserva la donna ed il sorriso che le rivolge ancora qualche attimo, pensierosa, poi si convince ed annuisce, voltandole le spalle.
Torna all'aperto e continua a giocare con la palla, da sola.
Ha in mente la faccia della mamma, ma lei le ha detto che va tutto bene e la mamma non dice mai le bugie. La sgrida qualche volta, ma non è una bugiarda.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Punto di vista futuro.



Andava tutto bene.

La sveglia era suonata quando avrebbe dovuto farlo, il clima era fresco – adorava il fresco, il freddo, il ghiaccio, e tutto ciò che si dissociava dal caldo e dallo svestirsi.
Si era vestita e preparata e aveva chiuso la borsa a tracolla con i libri, senza particolari intoppi. La colazione no, non la faceva mai, anche se da sempre la sgridavano perché dicevano che era importante per cominciare la giornata.
Aveva sempre quel peso allo stomaco che la fame la faceva passare.

Era pronta per uscire ed andare a prendere l'autobus.
Però, la lametta nel cassetto che le arrivò agli occhi quando prese il pettine per sistemarsi ancora – per l'ennesima volta – i capelli, catturò la sua attenzione.
Non aveva tempo.
Poi avrebbe sporcato gli abiti che si era appena messa per andare in università.
Che poi, a seguire le lezioni, ci voleva andare?
Forse non era quella la domanda.
Forse la riposta stava nel quesito, ma lei, a continuare gli studi, aveva da sempre voluto farlo?

Continuava ad osservare l'oggetto, il quale scavava un bivio di sensazioni che si espandeva dentro di se, confondendola.
Sapeva che farsi male non era giusto, che ne era dipendente, che era da malati.
Che nessuno avrebbe dovuto mai, per nessun motivo, saperlo.
Non l'avrebbero capita.
Ma non poteva farne a meno, non poteva lasciar li perché, in quel modo, riusciva a scaricare tutto ciò che a voce non riusciva a fare, tutto ciò che la faceva stare male, che era per lei insopportabile.
Gli errori.
Le colpe.
Le parole sbagliate.
I fallimenti.
La rabbia.
Era diventata, quella lametta, come qualcuno con cui sfogarsi in modo silenzioso e che non poteva, in nessun modo, dirti qualcosa.
C'era lei, solo lei.
C'erano le lame e c'erano le incisioni lasciate sulla pelle.
C'era il sangue che uscendo era come se l'alleggerisse un po'.
Momentaneamente.






“Ehi, oggi non c'eri in università, come mai? Stasera gli altri volevano uscire, rispondi se vuoi venire.”

“Un malessere passeggero. Ci sono, dimmi ora e dove.”

“Solito posto, solita ora. Sicura di non volerti riposare?”

“Sto bene. A dopo.”



Il cellulare.
Era stato quel maledetto aggeggio ad averla svegliata, squillando e vibrando alla recezione del messaggio, nel bel mezzo del pomeriggio.
Perché non l'aveva spento? Ah già, perché da spento la sveglia non suonava.
Che fregatura.


Alla fine non era più uscita per andare a seguire le lezioni, ma si era rifugiata in camera, nel letto.
Si era sottratta al giorno prima che fosse troppo tardi, era rientrata a letto conscia di star escludendo, in quel modo, tutto il mondo che altrimenti l'avrebbe circondata come sempre, se fosse uscita. La luce, la gente, le parole, i mezzi, il rumore...
Tante cose, troppe cose.

Si alzò e decise di farsi una doccia, per rilassarsi ed uscire dallo stato do torpore in cui era caduta, ed iniziare così a decidere cosa mettersi per la sera e tirarsi avanti con i tempi.
L'acqua.
Ecco si, l'acqua era un'altra cosa che faceva scivolare via di poco i problemi.
Le goccioline cadevano sulla pelle e cadevano verso il basso, ed era come se nel loro percorso potessero trascinarsi dietro ogni più piccolo pensiero, ogni dolore, ogni fastidio.
Purificazione.

E si sentiva un po' più leggera e lucida, e forse un po' meno in colpa per quello che si faceva, dopo la doccia, e sicura di se stessa e determinata, come l'acqua avesse lavato via tutto ciò che di più sbagliato e stonato trovava mentre scivolava leggera a terra segnando la pelle di disegni invisibili.

Guardò l'ora e sorrise mesta, senza entusiasmo, circondando un polso con la mano e passando il pollice su segni, a sfiorare le cicatrici.
Le avevano chiesto cosa si fosse fatta, una volta, e da quel momento aveva cambiato zona: d'estate non andavano bene le braccia, rimanevano troppo scoperte.
 Zone più coperte anche durante la bella stagione invece erano meno sospettabili.

E andava tutto bene, perché lei riusciva a far stare in equilibrio tutta quella massa informe che era la sua vita e l'accumulo di pensieri che scoppiava nella testa premendo per uscire.


Si dilettò in casa, in attesa dell'ora per iniziare a prepararsi: pulì il bagno, si fece un the caldo, lesse un po' e ascoltò la musica senza prestarci però troppa attenzione.
All'ora in cui sarebbero passati a prenderla, come sempre, era pronta e stava chiudendo la porta di casa.
Sul volto un sorriso.

Tutto andava bene.


E sapeva che sarebbero andati in un locale, il solito locare: avrebbe bevuto qualcosa, chiacchierato e scherzato, ridendo in compagnia e ascoltando gli altri parlare.
Poi magari sarebbero andati a ballare – e lei sarebbe stata in disparte sui divanetti perché no, ballare non la entusiasmava, però le faceva piacere andare in discoteca con gli amici – e sarebbero stati a parlare da qualche parte fino a notte fonda, perché era sabato e ci si divertiva.
E si sarebbe dimenticata delle cicatrici che si era fatta e della testa che scoppiava senza esplodere davvero e in modo definitivo.
Si sarebbe divertita sentendosi leggera per un po' e assieme ai suoi amici.

Completamente sola in mezzo a un gruppo di persone.

Ma andava tutto bene.


Quando sarebbe rientrata si sarebbe tolta i tacchi con un sospiro di sollievo e avrebbe posato malamente la borsa sul tavolino nell'ingresso, e avrebbe sciolto i capelli che aveva raccolto – perché si li raccoglieva a coda, perché le avevano detto che le dava un aria più matura e avrebbe potuto far vedere gli orecchini che aveva –.
Si sarebbe sistemata per andare a letto e si sarebbe probabilmente addormentata quasi subito ripensando alla serata e al significato che aveva avuto per lei.
E intanto avrebbe ripassato mentalmente cosa avrebbe dovuto fare il giorno dopo, soprattutto riguardo gli studi e gli esami che avrebbe dovuto presto dare.


Stava andando tutto bene.

E non avrebbe fatto caso alla lametta lasciata sul mobiletto, per quell'arco di tempo.
E sperava che prima o poi l'arco di tempo si sarebbe allungato sempre di più.


Raggiunse la macchina e aprì la portiera del passeggero.
-Ciao!-

Sarebbe andato tutto bene.








































































Fine della raccolta, una fine volutamente così, né in bene né in male assoluti.
L'autolesionismo non mi è nuovo come argomento, questo per dire che non lo descrivo con leggerezza, ma volutamente come un fenomeno che riquadra e fa parte della vita della protagonista. Tale protagonista, spera di avere e trovare un giorno quel "motivo" per farne a meno.
Io spero vi sia piaciuta, questa e le altre storie. Vi ringrazio per la lettura e di essere arrivati fino a qui. Ringrazio per le recensioni, i preferiti e grazie per aver letto queste parole.
I nuovi pareri sono sempre ben accetti.
Love you all.
Dhi. <3

   
 
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