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Autore: Northern Isa    01/08/2013    3 recensioni
«Chiunque conosce il prode uccisore di Hundingr» ribatté Sigrun, per niente intimorita dall’atteggiamento apertamente ostile di Helgi.
Il guerriero dal canto suo raddrizzò di nuovo la schiena e gonfiò il petto. Le parole della donna l’avevano tranquillizzato: era diventato famoso da quando aveva sconfitto il re dell’Hundland, doveva solo farci l’abitudine.
Sigrun gli sorrise, si separò dallo steccato e si avvicinò a lui.
«Non tutti sanno però che dietro l’Hundingsbani si cela Helgi, figlio di Hjörvarð» disse con un sussurro.
L’uomo arretrò istintivamente, nervoso.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Helgi Hjörvarðsson inspirò a fondo e strinse le dita intorno al parapetto di legno del drakkar. L’aria frizzante gli penetrò nelle narici, portandogli il profumo di acqua salata e foreste di pino. Helgi schiuse le palpebre: non si era ingannato, la terraferma si stava avvicinando. Era una lingua bigia sfumata in più punti di bruno e di bianco che scivolava dolcemente verso ovest, infilandosi sotto la superficie argentata del mare primaverile.
Di lì a poco avrebbero attraccato e finalmente lui avrebbe potuto calcare una superficie che non rollava. Non che non amasse la navigazione, il mare faceva parte della sua vita come il sangue apparteneva alle sue vene. C’era qualcosa che si muoveva sotto la pelle spessa di Helgi, una sensazione pruriginosa che grattava come se avesse degli artigli affilati e che, indispettita perché non poteva fuoriuscire, si annidava nelle sue viscere, attorcigliandole. L’uomo aveva solo bisogno di sfogarla, e nel limitato spazio legnoso di quell’imbarcazione non ci riusciva.
Helgi era sempre stato irrequieto, almeno questo era ciò che suo padre Hjörvarð diceva di lui. Ma quella considerazione non era risuonata mai come un rimprovero nel tono di voce genitore, anzi pareva che il vecchio guerriero fosse piuttosto fiero del figlio che gli dei gli avevano donato. Helgi era cresciuto sorreggendosi all’approvazione dei genitori, di re Sigmund, sovrano dei Volsunghi, e dei nobili e, grazie alla benevolenza di Odino, era riuscito a ripagare tutte le attese che il regno aveva riposto in lui.
Anni di allenamento non erano serviti solo a gonfiare i suoi muscoli e a rendere più pronti i suoi riflessi. Helgi sapeva che la sua forza era superiore a quella di tanti altri, ma ciò che lo rendeva davvero diverso dagli uomini che aveva affrontato fino a quel momento era la capacità di controllarla. Non solo tendini robusti ed energia da vendere, dunque, ma la capacità di trasformarsi in un’autentica macchina da guerra. Una macchina che non aveva ancora conosciuto la sconfitta.
Uno scossone percorse il drakkar e Helgi riuscì a mantenere la posizione perché stringeva ancora tra le dita il parapetto della nave.
«Ci siamo, Hundingsbani» disse un uomo dai lunghi capelli biondi, aggrovigliati come stoppa, rivolgendosi a lui con deferenza.
Era così che lo chiamavano adesso: "uccisore di Hundingr".
Da quando era solo un ragazzo, Helgi si era esercitato nell’uso delle armi per porre fine all’annosa faida che opponeva il suo re Sigmund al sovrano dell’Hundland, Hundingr. Quanti eroi erano morti su entrambi i fronti in tutti quegli anni di conflitto? Quando i guerrieri inviati da re Sigmund non tornavano a casa, lui non se ne era mai dispiaciuto. Sapeva di cosa sarebbe stato capace, e sapeva di poterlo dimostrare al mondo solo se il conflitto si fosse protratto abbastanza a lungo. Si era preparato con impegno e, quando si era sentito pronto, era andato nell’Hundland. Aveva affrontato gli eserciti del re nemico e li aveva sconfitti facilmente. La sua forza era stata persino maggiore di ciò che aveva previsto, rifletté Helgi mentre calcava con decisione la passerella che portava l’equipaggio a terra.
Sentiva ancora il peso della spada nella mano anche se non l’impugnava più, aveva la corazza ancora macchiata del sangue del re, ma non si era curato di ripulirla. Avvertiva addosso ancora l’adrenalina della battaglia, come se non fosse stata sufficiente a scaricare tutta la forza che aveva in corpo. Helgi si domandò se avrebbe mai potuto trovare pace.
Il guerriero si strinse la pelle di lupo intorno alle spalle, guardandosi introno. I suoi piedi calpestavano un acciottolato che, smosso dalle onde, sfrigolava come grasso di montone sulla pietra piatta che si posizionava sopra i carboni. Quella spiaggia fredda e aspra si allungava davanti a lui fino a sconfinare in una distesa di terra brulla, punteggiata all’orizzonte dalle cime degli alberi di un bosco.
Il porto nel quale erano appena arrivati era costruito quasi completamente in legno. Alcuni uomini dalle barbe lunghe come i capelli, vestiti di pelli di animali e tessuti grezzi, avevano iniziato a scaricare il contenuto del drakkar.
Helgi portò le mani ai fianchi e inspirò nuovamente. In quel punto la brezza portava alle sue narici odore di pesce e cavalli oltre a quello del mare e della foresta.
«Così tu sei il prode Hundingsbani» constatò una voce alla sua destra.
Quando Helgi si voltò, scoprì che era stata una donna a parlare Questa aveva una cascata di capelli biondi che le scendevano sulle spalle larghe, le cui ciocche frontali erano state acconciate in due trecce sottili. Sul viso ovale spiccavano due occhi cerulei e un sorriso di denti regolari. La veste di lana che indossava scendeva fino ai piedi, stretta sotto il seno da una cintura di cuoio intrecciato che ne evidenziava le forme. Il mantello bruno che le copriva le spalle con degli inserti di pelliccia era stretto con due fibbie che si incrociavano sul suo petto.
Helgi ruotò il suo corpo verso di lei fino ad averla di fronte e le si avvicinò. La donna poggiava mollemente le braccia su uno steccato di legno e lo guardava divertita.
«Chi sei?» domandò il figlio di Hjörvarð con sospetto.
La donna scrollò la folta massa di capelli, che rilucettero sotto i raggi solari mandando bagliori arcani tutt’intorno.
«Il mio nome è Sigrun, figlia di Hogni. Non mi stupisco che tu non mi conosca».
«Tu però conosci me» constatò Helgi, riducendo gli occhi a due fessure.
Quella donna era dotata di una straordinaria bellezza, persino eccessiva per una mortale. Helgi sapeva che dietro alle lusinghe più seducenti si celavano i rischi più insidiosi. Istintivamente, il guerriero si portò la mano alla cintura. Quando si accorse di non avervi legato la spada, si pentì di averla lasciata sul drakkar insieme alla sua ascia.
«Chiunque conosce il prode uccisore di Hundingr» ribatté Sigrun, per niente intimorita dall’atteggiamento apertamente ostile di Helgi.
Il guerriero dal canto suo raddrizzò di nuovo la schiena e gonfiò il petto. Le parole della donna l’avevano tranquillizzato: era diventato famoso da quando aveva sconfitto il re dell’Hundland, doveva solo farci l’abitudine.
Sigrun gli sorrise, si separò dallo steccato e si avvicinò a lui.
«Non tutti sanno però che dietro l’Hundingsbani si cela Helgi, figlio di Hjörvarð» disse con un sussurro.
L’uomo arretrò istintivamente, nervoso.
«Come fai a saperlo?» domandò, caustico.
«So molte cose di te, Helgi» gli rispose Sigrun, conciliante. «Conosco i tuoi padri e il tuo re. So che, il giorno della tua nascita, tua madre Borghild ricevette la visita Huginn e Muninn, i corvi del Padre degli dei. Un fausto presagio, da parte di Odino.» Helgi taceva, sorpreso e turbato. Aveva imparato la riservatezza dalla sua famiglia, come faceva quella donna a conoscere tante cose? Sigrun continuò, apparentemente inconsapevole dello sbalordimento del guerriero: «So che sei nato per la guerra e che ne hai appena vinta una. Hai voluto evitare l’uso delle spie, preferendo il combattimento in campo aperto. Ti sei sbucciato le nocche perché non riuscivi a liberare la spada dal costato di una guardia del re, e l’hai tramortita a suon di pugni. Hai ricevuto una ferita al polpaccio destro piuttosto seria e una meno profonda sotto la scapola sinistra. La tua corazza è macchiata dal sangue di  Hundingr in persona».
Helgi boccheggiò alcuni istanti, attonito, incapace di raccordare i suoi pensieri. Nelle sue esercitazioni aveva sviluppato i sensi in modo maggiore rispetto agli altri uomini, e adesso sentiva nell’aria un odore molto simile quello della minaccia.
Sigrun rise ancora una volta e, prima che lui potesse ritrarsi ancora, posò una mano sull’avambraccio dell’uomo.
«Non devi avere paura di me».
«Io non ho paura!» rispose Helgi, oltraggiato. Aveva sterminato eserciti e ucciso un re, tremare davanti a una donna non era un’azione contemplata da un guerriero come lui. Ciò nonostante, la conoscenza di Sigrun aveva un che di inquietante.
«Sono al corrente di tutti questi dettagli perché ti conosco. So perfettamente cosa è accaduto sul campo di battaglia perché ero lì con te».
Helgi dovette sbattere le palpebre un paio di volte prima di capire. Fissò nuovamente il naso dritto e le guance levigate della donna e il suo cuore mancò un colpo. Effettivamente aveva la sensazione di aver già visto quei lineamenti perfetti, ma non ricordava dove. C’era un’unica spiegazione, che arrivò al cervello di Helgi prima che Sigrun gli confermasse di essere una valchiria.
«Tu… mi hai protetto durante i combattimenti» disse Helgi, fissandola intensamente. La vergine odinica annuì, rivolgendogli un sorriso enigmatico.
«È così» confermò.
Diverse dozzine di pensieri e ricordi si affollarono nel cranio del guerriero a quella rivelazione. Ripercorse rapidamente il conflitto contro Hundingr e i suoi uomini alla ricerca di altre evanescenti visioni del volto candido della valchiria. Si chiese se fosse ancora vivo grazie a lei e se avesse sconfitto il re nemico in virtù dell’aiuto degli dei. Aveva passato anni a prepararsi a quel momento, e finalmente aveva agguantato il successo e la vittoria. Solo non sapeva cosa fosse dovuto alla sua forza e cosa alla benevolenza degli dei.
Quasi senza accorgersene, Helgi strinse i pugni e serrò le mascelle. Chinò la testa, riprese a osservare il sangue di Hundingr, rappreso sulla sua corazza, e un moto di frustrazione lo percorse.
Doveva chiedere spiegazioni a Sigrun, lei avrebbe potuto dargli le risposte che cercava. Ma quando sollevò nuovamente lo sguardo, la valchiria era sparita.
Quando Helgi si ricongiunse al suo equipaggio, la sera stava già calando. Si accamparono al limitare della foresta, abbastanza lontani dalla spiaggia da non sentire il puzzo del pesce, ma non troppo da non vedere la distesa scura del mare. Quella sera mangiarono bene, da veri vincitori: agnello, frutta secca, lutefisk e formaggi, il tutto annaffiato da una discreta quantità di birra.
Al termine del pasto, il resto dell’equipaggio rimase a cantare e a bere davanti ai fuochi scoppiettanti e invitanti, ma Helgi non aveva voglia di stare in compagnia. Respinse risolutamente le proteste di chi voleva continuare a festeggiare il prode Hundingsbani e si ritirò in disparte. Avvolto nella pelle di montone, infilò le mani dietro la testa e rimase per qualche tempo a fissare il cielo. Chissà se gli dei lo stavano guardando in quel momento. Chissà se Hundingr era nel Valhalla. Chissà se bastava mettere nuovamente alla prova la sua forza per risultare ancora vittorioso.
Sensazioni contrastanti si avvicendavano nel suo petto ogni volta che, seguendo il ritmo dei respiri, questo si sollevava e si riabbassava. Helgi chiuse gli occhi, sperando di allontanare le incertezze che lo stavano divorando, ma li riaprì quasi subito. Era stata tutta colpa di Sigrun; se non l’avesse mai incontrata, non sarebbe stato costretto ad ascoltare le sue rivelazioni e sarebbe rimasto nella tranquilla consapevolezza del suo valore. Invece lei, così maledettamente bella, aveva insinuato il dubbio nella sua mente. Helgi protese le mani nel vuoto, come a voler scacciare l’immagine della valchiria.
Solo diverso tempo dopo il guerriero riuscì a chiudere gli occhi e scivolare in quell’ovattato stato di semi-incoscienza che precede il sonno. I rumori degli uomini intorno ai fuochi giungevano attutiti, a malapena percepibili. Lo stesso baluginio delle stelle attraverso lo sfondo nero delle palpebre serrate non riusciva a raggiungerlo. Fu proprio in quel momento che lo vide. Riconobbe nel bagliore che spesso percepiva prima di assopirsi il rilucere della pelle candida di lei. Rivide attraverso gli occhi della mente i capelli aurei, gli occhi chiari e il sorriso beffardo. La sollecitudine con cui si protendeva verso di lui e gli confessava di essergli sempre stato accanto.
Helgi si diede dello stupido per aver desiderato di non aver mai conosciuto Sigrun. Solo in quel momento si rese conto di quanto la silente presenza della valchiria fosse stata costante nella sua vita. Il pensiero di non sentirne più il contatto lo angosciava molto più delle considerazioni sulla genuinità della sua forza, e questo lo turbò. Era cresciuto e si era formato per diventare una macchina da guerra, invece si riscopriva preda di quella creatura dalla bellezza tanto selvaggia. Di una cosa era sicuro: non poteva farci niente, lo era sempre stato.
il figlio di Hjörvarð si strinse ancora nella pelle di montone, focalizzando nella sua mente i lineamenti della valchiria. L’ultimo pensiero prima di addormentarsi fu rivolto a lei. Doveva stare attento, o si sarebbe innamorato di Sigrun, e lui non poteva permetterselo. Ma forse era già successo.




NdA: Una leggenda nordica narra di Helgi, noto soprattutto per la sua precocità guerresca, che rappresenta il prototipo dell'eroe tragico, che si ricopre di gloria, ma che è vittima di un inesorabile destino. Questa OS si riferisce ai fatti che precedono l'episodio più noto del mito, quando l'amore per Sigrun causerà l'odio tra famiglie rivali, che porterà alla fine dell'eroe.
   
 
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