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Autore: LucyFire    01/08/2013    3 recensioni
E ricordo, ricordo tutto.
E le mie ginocchia ricominciano a tremare, a tremare forte come in quel sogno, che sogno in verità non era stato.
E quel pallino nero sul muro bianco, pian piano cambia colore.
Diventa di un rosso stupendo, uno stupendo rosso scarlatto.
Genere: Mistero, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SCARLATTO

 

 

 

Sento la mia guancia fredda. Una mano me la sta accarezzando, non trasmettendomi però alcuna sorta di calore; si può dire anche che proprio quel finto contatto mi stia gelando fisicamente e moralmente ancora di più di come stavo prima. Le mie ginocchia non vogliono saperne di muoversi senza tremare, i miei occhi fissano quel rosso confuso del tappeto e la mia ragione si è fermata a pochi secondi prima.

Tutti gli attimi degli ultimi tempi mi passano davanti come un film, senza interruzione. La scuola, l'invito a casa sua per studiare, il messaggio, la sua espressione, il suo viso, le sue parole, ancora la sua espressione.

Cado in ginocchio per terra, mentre mi porto una mano davanti al volto, senza fissarne veramente i particolari, ma fermandomi agli aspetti più evidenti. Il rosso che sta andandosi a incrostare sotto le unghie, il coltello da cucina stretto fra le mie mani.

 

Chi sono?

 

Forse l'ho dimenticato. Forse la mia vita precedente l'ho solo sognata e adesso non sono più nessuno. Forse adesso non sono più. Io, quella che credevo di essere o quello che volevo diventare. Non me lo ricordo.

La mia esistenza mi sembra solo un pallino nero in un enorme muro bianco: invisibile. Qualcuno me lo può dire? Mi può aiutare a capire? Mi guardo intorno e vedo solo un'altra persona con me, ma noto che è comodamente distesa per terra appoggiata a un cuscino e ha gli gli occhi chiusi, quindi capisco che sta dormendo. Per non svegliarla mi muovo silenziosamente e mi alzo in piedi, sempre fissandomi la mano destra.

 

Dove sono?

 

Alzo di poco la testa, cercando di trovare indizi che mi possano aiutare a capirlo. Un letto con le lenzuola sfatte sta davanti a me, con affianco una scrivania in disordine con un computer, piena di libri e cd musicali. La tipica stanza di un adolescente?

Probabile. Forse è di quella persona che mi sta affianco. Forse è un mio amico e... io non mi ricordo più come si chiami. In fondo però non mi ricordo nemmeno come mi chiamo io.

Appena si risveglierà gli chiederò tutto, domandandogli se può scendere nei particolari della mia vita.

 

Mi siedo nuovamente di fianco a lui, prendendogli la mano, che fino a pochi attimi prima era appoggiata sulla mia guancia, fra la mia.

E' così bello. Ha un'espressione così tenera che farebbe commuovere chiunque. Il labbro inferiore leggermente all'infuori, proteso quasi come per dare un bacio, quelle ciglia lunghe quasi femminee, quei capelli biondicci lucenti che sembrano riflettere un carattere solare.

Sembra così delicato. Potrei quasi ucciderlo se solo lo volessi. Sembra indifeso, lì sdraiato incurante del mondo e di chiunque possa esserci vicino a lui, anche se fosse un malintenzionato.

Mentre lo fisso attentamente, sento un tintinnio. Mi giro e noto che il coltello che avevo fra le miei mani è caduto per terra, provocando quel rumore, mentre inconsapevolmente avevo aperto la mano per toccargli una guancia.

Poco importa. Lo lascio lì per terra, nel semibuio della stanza, e ritorno a fissare il mio amico, poggiandogli finalmente la mano sul viso, per sentirne la morbidezza della pelle. Faccio un sorriso quando mi accorgo che è proprio come l'avevo immaginata: tenera ma allo stesso tempo ghiacciata.

Solo allora noto un piccolo particolare che fino a poco prima mi era sfuggito. Facendo scendere la mano sul suo collo, sul suo petto, mi accorgo che pian piano di riempie sempre più di colore. Un colore rossastro, molto bello. Forse scarlatto è l'aggettivo più appropriato.

Che bello. Lo fisso, toccando con più intensità la sua carne che si ritrae sotto la mia mano. Il mio sguardo si sposta inconsapevolmente sul coltello lasciato al mio fianco, quasi a volermi invitare a fare due più due.

Stacco improvvisamente la mano dal suo petto. Subito qualcosa di caldo inizia a gocciolare senza provocare rumore.

Spalanco leggermente gli occhi, mentre i ricordi mi invadono la mente. Un'uscita, un bacio, delle parole dolci, un fidanzamento, un anno, un tradimento, una foto. Il tradimento.

Scatto all'indietro, terrorizzata, sbattendo la testa contro un mobiletto. Forse è quel dolore alla testa che mi fa riprendere, mi fa alzare e mi fa aprire la porta di quella stanza in cui avevo dimenticato me stessa e la mia piccola storia.

Tutto diventa bianco, nero, rosso. Di quel stupendo rosso scarlatto.

 

 

 

Una sveglia. Una sveglia? Allungo la mano per spegnerla, uccidendo nel frattempo un libro che cade per terra e i miei occhiali da vista.

Mi soffoco per altri due secondi nel calore del mio cuscino, non volendo alzarmi. Il braccio lo riporto sotto le coperte, per proteggerlo dal freddo invernale, e grugnisco soddisfatta. Un urlo mi fa sobbalzare nel mio piccolo rifugio.

«Carlotta scendi! Non ne posso più di svegliarti tutte le mattine.» Nessuna anormalità; mia sorella che dolcemente, come tutte le mattine in fondo, mi ordina di alzarmi dal letto.

Contrariata mi tolgo le coperte di dosso, facendomi precipitare nel freddo della stanza.

 

Nel freddo, nel gelo. Il gelo di una mano.

 

Cos'era? Ma che importa. Mi metto le ciabatte ai piedi e con li occhi socchiusi e passo malfermo mi avvicino alla porta e scendo le scale. Finita in cucina mi ritrovo il mio incubo giornaliero alle prese con la caffettiera, incazzata come suo solito.

Si gira e, con tutta la tenerezza di questo mondo, grugnisce disgustata.

«Anche ieri ti sei addormentata con il trucco addosso. Devi smetterla, non hai più tre anni.» Mi siedo svogliatamente, appoggiando i gomiti sul tavolo e sbadigliando.

«Come se a quell'età mi truccassi poi.»

«Non prendermi in giro. Ricordati chi manda avanti questa casa.»

«Si si, lo so.» Sbadiglio un'altra volta. Il discorso era stato fatto migliaia di volte ormai, lo sapevo praticamente a memoria. Ci sediamo una davanti all'altra, mentre lei mi studia ancora con occhio critico, fino a che non fa ancora l'ennesima faccia orripilata. Mi prende la mia mano destra con forza, piazzandosela davanti al viso.

«Devi smetterla di metterti lo smalto solo su una mano. Fa davvero schifo vederla quando decidi di toglierlo, ti si incrosta tutto sotto le unghie.»

«E tu devi smetterla di dirmi sempre ordini.» Le rispondo allora. Non la sopporto quando fa così.

«Si si, come no.»

Beviamo insieme il caffè come se niente fosse, mangiamo una fetta a testa di torta al cioccolato e poi riprende a parlare, deglutendo rumorosamente.

«Io vado, vedi di non distruggere casa.» Prende la sua borsa e le chiavi della macchina, provocando un forte tintinnio, per poi aprire e chiudere la porta di casa sbattendola rumorosamente.

«Se continua così la distruggerà lei, non io.» Mormoro.

Non passano neanche due secondi, che il campanello suona. Mi affaccio alla porta annoiata, pensando che sia mia sorella dimenticatasi di qualcosa. Noto con sollievo che è la mia amica Sara invece che mi urla che siamo in ritardo per scuola.

Il conforto subito allora diventa terrore. In ritardo per scuola? Cavoli, sono ancora in pigiama.

Corro di sopra nelle mia stanza, aprendo l'armadio e facendo sbattere le ante. Che diavolo metto? Jeans? Si perfetto, come pantaloni vanno bene. Maglia, una maglia decente... Blu? No, non mi piace. Rossa? Si, perfetto.

Un brivido mi attraversa la schiena mentre mi cambio.

 

Rosso, un meraviglioso rosso scarlatto.

 

Mi lavo i denti, mi pettino i capelli strappandomene forse alcuni dalla foga, mi infilo giubbotto, scarpe, guanti e prendo lo zaino. Mi fiondo fuori di casa, chiudo la porta e salto in macchina di Sara.

«Ogni giorno è sempre la stessa storia. Se non fosse per me arriveresti sempre in ritardo.»

«E' anche per questo che ti adoro. E non dirmi parole che mia sorella me ne dice più che a sufficienza.» Mi appoggio con la testa contro il finestrino e chiudo gli occhi mentre lei ridacchia felice, per gustarmi quegli ultimi minuti di tranquillità.

 

 

 

Suona la campanella, segno che la scuola è finita. Metto a posto le ultime cose e mi alzo dalla mia sedia. Esco dalla classe in mezzo alla mandria dei miei compagni di classe e mi guardo intorno per cercare Michele; noto dispiaciuta che oggi non c'è ad aspettarmi come suo solito. Pazienza, più tardi lo chiamerò io, avrà avuto una verifica all'ultima ora.

«Ehi bella! Posso chiederti una cosa?» Sara mi poggia una mano sulla spalla. La osservo, cercando di capire cosa ci sia dietro alla sua espressione triste.

«Certo, dimmi.» Si morde le labbra indecisa e poi mi prende per mano.

«Dai, andiamo fuori. Meglio che nessun altro ci senta.» La segue riluttante. Appena siamo in strada, saliamo in macchina sua e solo allora mi lascia la mano.

«Ieri ho ricevuto il tuo messaggio nel quale mi hai scritto di... di Michele.» Sembra che non voglia affrontare il discorso, ma lo fa lo stesso.

Ah già. Me n'ero dimenticata. Il dolore mi prende forte il petto, che mi sembra che si sia fermato improvvisamente.

«Sto bene, sto bene. In fondo siamo giovani e la nostra storia era troppo bella per essere vera.»

«Non preoccuparti, sul serio, sto bene.» Lei mi guarda storta, come se non mi credesse. La cosa ironica è che nemmeno io mi crederei.

«Sicura? Perché so quanto ti piaceva e... un tradimento è brutto da superare, specialmente alla nostra età.» Inaspettatamente faccio una risata gelida, falsamente divertita.

«Lo so bene, ma non che sia l'unico ragazzo sulla terra.» Mi porto una ciocca di capelli dietro l'orecchio, per fingere un'espressione tranquilla e distaccata.

«Sai, a volte vorrei averla io la tua cinismo, ma alcune volte fai davvero paura.» Ridendo prende le chiavi e mi tira addosso la sua borsa, perché “chi è al volante non deve avere fastidi mentre guida”. Si certo, lei e le sue manie di stronzismo.

«Mi faccio anche io paura da sola.» Sussurro, mentre guardo fuori dal finestrino. Mette in moto la macchina e ripartiamo per andare a casa.

 

 

 

La mia amica ferma la macchina davanti a casa mia.

«Ho capito come la pensi, ma sappi che per qualsiasi cosa io ci sono. Mi puoi chiamare quando vuoi, ok?» Sara mi guarda ancora preoccupata. I miei commenti di prima non l'avevano convinta, e ti pareva.

«Si ho compreso, immagazzinato e ricevuto. Contenta?» Le riesco a strappare un sorriso e rispondo allo stesso modo.

Sto per alzarmi e scendere, quando un'idea grandiosa mi viene in mente e mi giro.

«In effetti possiamo fare qualcosa adesso.» Lei mie guarda dubbiosa.

«Cosa?»

«Michele è un grande stronzo, una testa di cazzo enorme. Non riuscirò più a sopportare la sua vista a scuola perché se lo vedo ancora lo uccido. Anzi, se vedo lei la uccido e poi sputtano lui. Si, devo vendicarmi in qualche modo. Assolutamente. E tu mi devi aiutare.» le punto un dito addosso e lei si ritrae impaurita.

«No cara, io non ti aiuto a fare niente di tutto questo. Sono una pacifista, te l'ho detto un casino di volte! Io non...» La interrompo a mezza frase.

«Silenzio! Ormai ho deciso! Oggi andiamo a casa sua e gli urliamo addosso quanto fa schifo eccetera, poi pensiamo qualcosa davanti a un pubblico.»

«Ti ho detto che io non...» Cerca ancora di salvarsi dal mio piano geniale, ma la interrompo nuovamente.

«Bene, mi fa piacere vedere la tua collaborazione. Metti in marcia. Destinazione: casa dello stronzo ninfomane.» Mi risiedo soddisfatta, incurante della sua espressione scocciata.

«Diamine, sei così fredda e e cinica che potresti arrivare anche ad ucciderlo veramente.» Ascoltai quello che doveva essere un borbottio sorridendo soddisfatta.

«Probabile. Ho fatto anche un sogno oggi in cui lo facevo.» Risi alla sue espressione corrucciata che si trasformò ben presto in un sorriso.

«Si, come no.» Finalmente mette in moto la macchina e dopo mezzo minuto riprende a parlare.

«M'è venuta un'idea anche a me sai? Destinazione cambiata!»

«Che? No no, portami da lui, lo voglio fissare negli occhi e dire quanto fa schifo.» Amica infedele. Le faccio dei gestacci e lei mi risponde con una linguaccia.

«Guido io e quindi decido io dove andare.»

«Ma...» Sono sconvolta. Ma chi me l'ha fatto avere una migliore amica come lei?

«Niente ma, non si discute. E comunque non credi di averlo preso per il culo abbastanza ieri, quando te l'ha detto? Non ci credo nemmeno se lo giuri che non l'hai insultato per ore.»

«I-ieri?» Tiene gli occhi puntati sulla strada, mentre i miei sono puntati sul suo viso. Un campanellino inizia a suonarmi nella testa, cercando di farmi comprendere qualcosa.

«Si ieri, quando sei andata a casa sua.» Si volta per due secondi verso di me, per poi rigirarsi.

«Ieri io non... non gli ho detto parole.»

«Ah ok. Amen, oggi comunque non ti porto da lui.»

Un minuto di silenzio fra di noi, ma non nella mia testa. I ricordi, i sogni si sovrappongono, si dividono, si scambiano di posto. Ricordi? Sogno?

Poi capisco. Voglio dirglielo, voglio dirle qualsiasi cosa, ma lei ha già ripreso a parlare.

«Fe... ferma la m-acchina.» Ma lei continua a parlare.

«Porca troia ferma questa macchina!» Non si ferma. Mi guarda, comincia a ridere e inizia a canticchiare divertita.

«No bella, adesso ti porto a casa mia e ti faccio sbollire le idee.»

«Sara. Ti prego, ferma questa macchina.» La mia improvvisa gentilezza la colpisce zittendola e finalmente mi osserva. Mi osserva veramente, e finalmente fa come le ho chiesto.

«Co-cos'è successo?» Mi porto le mani davanti al viso, nel tentativo di trovare il più piccolo particolare che mi possa rassicurare e far capire che la mia intelligenza confonde i ricordi con i sogni.

«No, non può essere... non... può.» Sussurro ancora.

«Cosa... cosa non può essere? Mi stai facendo preoccupare, rispondi.» La guardo scandalizzata, mentre le mie mani riprendono a tremare.

«Cos'è successo Carlotta?» Scandisce ogni sillaba, prendendomi per le spalle cercando una qualche risposta da parte mia. Inutile, sono come creta fra le sue mani.

«Mi... che... le.» Non ce la faccio a parlare, le parole mi si incastrano in gola e non vengono fuori.

«Cosa centra Michele? Cosa ti ha fatto ancora?» La sua espressione se possibile si fa ancora più preoccupata.

«No... no. Gli ho fatto io.... io ho... ho fat-fatto... oddio.» Mi metto le mani nei capelli. Non vedo più lei, non vedo più me stessa, non vedo più nemmeno lui.

 

E ricordo, ricordo tutto.

E le mie ginocchia ricominciano a tremare, a tremare forte come in quel sogno, che sogno in verità non era stato.

E quel pallino nero sul muro bianco, pian piano cambia colore.

Diventa di un rosso stupendo, uno stupendo rosso scarlatto.

 

 

 

 

 

 

 

Ehilà:)

Questa è la prima volta che scrivo qualcosa di questo genere, quindi spero di aver iniziato bene. Se vi è piaciuta questa shot in qualsiasi modo, se ho fatto errori, se avete miglioramenti da suggerirmi, recensite.

Alla prossima storia,

 

Anna

  
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