Film > Now You See Me / I maghi del crimine
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Autore: CathLan    02/08/2013    8 recensioni
Jack e Daniel, sono ormai parte dell'Occhio e devono affrontare i risvolti di questa loro "relazione". [Seguito delle One shot "Now you see me" e "See you again"]
-«Per piacere, l’altro giorno vi ho beccati. Ho fatto finta di niente, ma l’ho visto Jack mezzo infilato nell’armadio» disse la rossa, ghignando. «Quindi da quanto?» riprovò, più decisa.
«Non stiamo insieme» ci tenne a precisare Daniel. «Non c’è niente di serio, tra noi. Tra me e Jack, niente di serio».
Henley gli lanciò un’occhiataccia.
«Da circa due mesi ormai».
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Can you see me? '
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Finally I can see you crystal clear - terza parte
Fandom: Now you see me
Pairing: Jack/Daniel (JackDaniels)
Rating: Arancione
Genere: Introspettivo, sentimentale
Avvertimenti: slash, lemon
Note: Hola a tutti! Ed ecco la terza e ultima parte (: Cioè, dovevano essere quattro parti, ma mi venivano corte e quindi le ho unite! Le prime, comunque, le trovate qui e qui.
Ringrazio chi mi ha seguita e chi mi ha lasciato una recensione ;ww;
Un bacio a FINNtastic e buona lettura!
DISCLAIMER: io queste cose me le invento e loro, naturalmente, non sono miei. Questa giungla mi distrugge.



 

Quella mattina al suo risveglio trovò Merritt alle prese coi fornelli. Era quasi sul punto di fargli i complimenti perché ehi, Merritt non si svegliava mai prima di Henley per preparare la colazione, quando un profumo screziato di carne e pomodoro, e non di caffè e toast, gli arrivò sotto al naso.
Lanciò rapidamente un’occhiata all’orologio del salotto e sospirò affranto. Era l’una meno un quarto, dannazione. La sveglia non aveva suonato, di nuovo. Doveva decidersi a cambiarla. Solo che con tutto quello che avevano da preparare non riusciva a trovare nemmeno mezz’oretta da dedicare all’acquisto di una nuova sveglia. Che strazio.
«Jack, vieni qui!» il mentalista chiamò il più giovane del gruppo. Quello lasciò perdere la Play Station e girò attorno al ripiano in marmo della cucina per fermarsi al suo fianco.  Si chinò verso il fuoco e annusò il fumo caldo che fuoriusciva dalla pentola. A Daniel, sempre attento ad ogni dettaglio, non scappò il cipiglio rapido e confuso che Merritt rivolse al fondo schiena del ragazzo, fasciato da quelli che sembravano essere proprio i suoi pantaloni della tuta. Quelli che non trovava da circa tre giorni.  
«Quelli sono miei?» chiese di slancio, rendendosi conto troppo tardi di ciò che aveva appena detto.
Jack alzò il mento e piegò gli angoli delle labbra, notandolo sul quadro della porta. «Sì» ammise, senza imbarazzo.
«Odio quando mi scompare la roba» ribatté lui, trattenendosi a stento dal ricambiare il sorriso. Non che gli dispiacesse che fosse il ragazzo ad indossarli, eh. Però gli dava fastidio comunque.
Jack sospirò e scelse bellamente di ignorarlo. Magari ne avrebbero parlato più tardi, in privato.
«Cosa stai preparando?» domandò poi, voltandosi a guardare con gli occhi cioccolato il quarant’enne maniaco depravato.
Quest’ultimo in risposta affondò un dito nel ragù. Ne raccattò un po’ e accostò il polpastrello alla sua bocca già aperta. «Oggi mangerai la più buona pasta all’italiana che tu abbia mai assaggiato» dichiarò, lasciando che Jack lappasse lascivamente.
Il cuore di Daniel, che per tutto il tempo non aveva fatto altro che fissare allucinato la scena, prese a battere un tantino troppo forte. Un po’ come la vena sulla tempia che pareva voler scoppiare da un momento all’altro.
Si avvicinò a passo rapido alla strana coppia con la scusa di avere una gran sete e grugnì sottovoce quando Jack fece dei calorosi complimenti al più grande. Oh, diamine, anche lui era capace di cucinare uno stupido piatto di pastasciutta!
«Allora sono bravo, eh?» fece Merritt, pronto a gustare il suo spettacolare incredibile sugo -così l’aveva definito Jack- nello stesso modo da filmino porno da quattro soldi che aveva usato col minore.
Daniel, che aveva ormai finito di bere la sua acqua ghiacciata, gli afferrò il polso e lo direzionò verso di sé, intrappolando tra i denti la falange incriminata. Guardò storto da sotto il ciuffo riccio il mantalista e liberò un gutturale mugolio d’assenso, prima di lasciarlo andare con uno strattone. Stronzo.
Merritt storse il naso e gli diede una pacca sulla spalla. Non si sa bene se per allontanarlo o per giocare. «Non fare il geloso, non v’è ragione d’esserlo» sibilò, assottigliando gli occhi.
«E di cosa dovrei essere geloso?» saltò subito sulla difensiva Daniel. «Dei tuoi modi stupidi di abbindolare i poppanti o del tuo dubbio senso della decenza?»
Il mentalista se ne tirò fuori con un «coglione» sputato tra i denti e tornò tranquillamente -come se niente fosse- a mescolare lentamente il ragù.
Jack invece sbuffò affranto e lasciò perdere la partita a The last of us, preferendo chiudersi in camera sua. Non pranzò nemmeno, perdendosi la miglior pasta al ragù che Daniel avesse mai mangiato prima d’allora.


A spezzare il religioso silenzio nel quale si era rifugiato Daniel fu Henley, che si accomodò accanto a lui sul divano. «Sei proprio un’idiota quando ti ci metti» gli disse, prima di aprire un giornale e sfogliarlo lentamente. «Da quant’è che.. beh, insomma, fate» la ragazza si interruppe, imbarazzata. Richiuse la rivista e la poggiò sul tavolino in vetro. «Fate quello che fate?» finì, tutto in una volta senza respirare.
Daniel la fissò allucinato. «Cos- ma chi? Io e Jack? Non facciamo niente di niente» mentì spudoratamente.
«Per piacere, l’altro giorno vi ho beccati. Ho fatto finta di niente, ma l’ho visto Jack mezzo infilato nell’armadio» disse la rossa, ghignando. «Quindi da quanto?» riprovò, più decisa.
«Non stiamo insieme» ci tenne a precisare Daniel. «Non c’è niente di serio, tra noi. Tra me e Jack, niente di serio».
Henley gli lanciò un’occhiataccia.
«Da circa due mesi ormai».
«Quindi sei gay? Perché sai, ora comprendo molte cose».
Danny si strozzò con la saliva, tossicchiò e si diede due pugni sul torace per calmarsi. «Quali cose scusa?»
«Tante cose» tagliò corto lei.
«Non sono gay» chiarì il riccio.
Lei annuì, ma sembrò farlo tanto per dargli il contentino. «Quindi voi vi state divertendo e basta?»
«Ovvio».
«Ti sei reso conto che per Jack non è solo questione di sesso?»
Daniel sospirò, si passò le mani fra i ricci e li spettinò un po’. «Non sono un’idiota».
«E quindi?»
«E quindi cosa?»
Henley roteò gli occhi. «Cosa pensi di fare!»
«Nulla».
«Come nulla?» trillò spazientita lei.
Daniel si strinse nelle spalle. «Ascolta, non lo so okay? A me non va di prendermi cura di un ragazzino, non voglio avere una storia seria o cose di questo genere. Per me non hanno senso e nemmeno mi interessano. E poi probabilmente finito questo lavoro ci divideremo anche, Merritt ha chiesto all’Occhio di essere trasferito a Londra ed io.. beh, la convivenza non è nel mio stile» concluse, coi polmoni vuoti e un fischio fastidioso nelle orecchie.
«In effetti anche io stavo pensando di andarmene, San Diego non mi dispiace» soffiò, accasciandosi sullo schienale del divano in pelle. «Jack pensi voglia restare qui?»
«Non gliel’ho mai chiesto, non parliamo molto».
«Avete un rapporto strano» convenne la rossa.
Danny alzò un sopracciglio. «Non è un rapporto, facciamo sesso».
«Quindi non sei gay?»
«Ho già detto di no» rispose, esausto. I suoi coinquilini erano sfiancanti.
Henley ridacchiò e, sorprendendolo, si sporse a baciarlo. Un contatto breve, schiocco di labbra e niente di più. Daniel non provò nulla, pensò semmai a quando era Jack a rubargli un bacio. A come gli si piegava lo stomaco e quanto lo stuzzicasse il suo sapore. Se ne stupì e gli montò una specie di calore nel petto che catalogò come rabbia.
Una porta sbatté, come spinta da una corrente d’aria, facendoli sobbalzare entrambi. Si guardarono confusi e ad un tratto Henley si illuminò, scrollando il capo. «Stava origliando, ci scommetto» dichiarò, realmente dispiaciuta.
«Non siamo fidanzati, non c’è niente di male» spiegò Danny più a se stesso che a lei, anche se il senso di colpa non accennava ad andarsene. Si alzò in piedi e si chiuse in camera.


Nel guardare le spalle di Jack alzarsi ed abbassarsi rapidamente non poté fare a meno che pensare allo sbaglio enorme che aveva fatto nel non chiarire con lui ciò che era accaduto soltanto tre sere prima.
Si era complicato tutto, e non solo la loro.. relazione?, non sapeva nemmeno lui come dovesse chiamarla, ma anche il piano era andato male e naturalmente non ne avevano uno di scorta. Così ora Jack si ritrovava a dover fare da esca.
«Jack» lo chiamò, solo per il gusto di vederlo voltarsi un’ultima volta.
Il ragazzo si girò e non sorrise, non fece proprio niente. Rimase impassibile, con le sopracciglia leggermente aggrottate e le labbra aperte su respiri troppo corti e scoordinati. «Va’ Daniel» gli gridò, tornando poi a fissare un punto di fronte a sé. Il punto nel quale spuntò un poliziotto armato.
A Daniel scappò un battito, Henley gli strinse la mano e lo trascinò lontano. Mentre correva, un piede di fronte all’altro, non riuscì a non preoccuparsi e a dannarsi. Stava lasciando un vent’enne ricercato nelle mani di un poliziotto russo armato. E la sensazione che gli attanagliava le viscere non era normale, non era stato così ansioso nemmeno quella volta con lo scambio di auto, davvero. Faceva fatica anche a prendere aria e a non inciampare ogni due passi.
Voltato l’angolo il suono di uno sparo gli rimbombò nelle orecchie, scoppiandogli nella scatola cranica in un boato. Quello sarebbe stato il la per un’emicrania da manuale.
Si fermò di botto, Henley rimbalzò per il contraccolpo e lo guardò dispiaciuta.
«Non possiamo fermarci, dobbiamo attenerci al piano» sussurrò, strattonandolo.  
I piedi di Daniel però erano ancorati al cemento gelido. Freddo e rude tanto quanto lo era il suo cuore alla sola idea che Jack potesse essere ferito, accasciato su un marciapiede, da solo mentre loro scappavano, come sempre. Alla fine quello che rischiava era sempre lui, il truffatore numero uno.
L’ultima volta che si erano parlati faccia a faccia avevano litigato, Jack gli aveva urlato addosso di smetterla di dire bugie, di mentire ad entrambi, perché non era proprio vero che non provava niente. Perché lo sentiva, quando facevano l’amore -così aveva detto- che anche lui provava qualcosa. E Daniel aveva gridato più forte ancora, sbattendo una mano al muro, dichiarando di volersene andare da quel posto. Che lui era un’anima libera e le gabbie non gli si adattavano. Che erano tutte stronzate ed era stanco delle sue cose da ragazzino.
Sopra ai ricordi si sovrapposero delle grida in una lingua che non conosceva, poi un altro sparo. Il cellulare vibrò nei jeans; Henley lo tirava ancora, disperata.
Si ridestò dallo stato di puro terrore in cui era caduto solo quando gli venne in mente che il luogo di incontro con Jack era dall’altra parte della città e che solo andandoci avrebbe potuto sapere se era ancora vivo o meno. Speranzoso e sconvolto al tempo stesso riprese a correre a perdifiato.
Sorpassarono insieme un giardino abbandonato, un caseggiato malandato e si infilarono in un vicolo dei sobborghi malfamati di San Pietroburgo. Forse non era stata una buona idea scegliere la Russia come ultima tappa di quella serie di spettacoli che li aveva fatti tornare alla ribalta.
Si piegò sulle ginocchia, afferrò un po’ d’aria e ricominciò a marciare, più lentamente. Henley al suo seguito sembrava avere molta più resistenza di lui ed era assurdo.
Venti minuti dopo arrivarono sul luogo d’incontro. Merritt li attendeva seduto per terra, con la maschera mezza calata sul volto e le braccia avvolte attorno ad un corpo inginocchiato. C’era del sangue e Daniel si ritrovò a pregare in silenzio, a bocca asciutta.
«Come sta?» chiese, ad alta voce. Da lontano. Non riusciva nemmeno ad avanzare.
Henley, che aveva raggiunto subito il mentalista, si chinò su Jack e aiutò Merritt a raddrizzarlo. Il ragazzo sembrava cosciente, ma instabile. Daniel non riusciva a capire dove fosse ferito, se riuscisse o meno a stare in piedi, ma aveva paura ad avvicinarsi. 
«La spalla, è ferito alla spalla. E deve avere una o due costole incrinate, credo, cazzo non sono un medico» gracchiò Merritt, facendo trapelare nella voce tutta la paura di cui disponeva.
Solo in quel momento Danny poté notare, al chiarore di luna, la manica destra del maglione di Jack completamente zuppa di sangue. «E’ grave?»
«No» biascicò Jack, piegando di lato la testa per poterlo guardare. Distese le labbra, per rassicurarlo. «Sto bene Danny».
I polmoni di Daniel si aprirono, tornando a rubare ossigeno. Inspirò a fondo ed espirò, con gli occhi lucidi e le mani tremanti. «Okay, bene».


Sorrise, nel notare Jack in difficoltà. Era tenero, gli faceva venire voglia di abbracciarlo. Una cosa piuttosto strana, ma aveva smesso di farsi troppi problemi quando aveva seriamente rischiato di perderlo.
«Ti serve una mano?» domandò a bassa voce, entrando nella camera del ragazzo senza chiedere permesso.
Jack sospirò e lasciò la presa sulla cerniera. «Sì, grazie» assentì.
Daniel si accomodò accanto a lui sul materasso e gli chiuse la zip, sistemandogli la felpa in modo che il braccio bloccato dal tutore vi rimanesse sotto, coperto. «Come ti senti?»
«Sto bene» tagliò corto Jack. Riprese in mano il suo joystick, deciso ad ignorarlo.
La pazienza di Danny aveva un limite, e non era nemmeno poi tanto elevato, ma non poteva mettersi a fare un’altra delle sue sfuriate ad un ragazzo che aveva quasi perso l’uso di un braccio per salvargli il culo. Un ragazzo.. diamine, Jack era il ragazzo. Quello che per due mesi si era portato a letto, con il quale, qualche volta, si era pure svegliato.
«Mi dispiace» smozzicò, fissando un punto imprecisato del muro. C’era una macchiolina scura, anche se non capiva di cosa. «Dico, mi dispiace per averti gridato contro, non avrei dovuto».
«Anche io l’ho fatto» tagliò corto Jack.
«Sei sicuro di stare bene?» domandò, cercando nell’espressione concentrata del ragazzo un qualche dettaglio, qualcosa che potesse fargli afferrare il concetto che non comprendeva.
Jack annuì, si leccò un labbro come faceva ogni volta che era nervoso e schiacciò il tasto di pausa del gioco. «Perché sei qui?» chiese, voltandosi dalla sua parte. Ricambiò il suo cipiglio con le iridi cioccolato opache, forse era stanchezza per il sonno arretrato.
In quel periodo si svegliava presto e andava a letto tardi, non che lo spiasse, ma se ne erano accorti anche Henley e Merritt.
«Perché non posso?» ribatté, sulla difensiva.
Jack fece spallucce, poi storse il naso per il dolore. «Fa’ come vuoi».
«Non volevo disturbarti» sbottò, alzandosi in piedi. Andò verso la porta e la superò di un passo, prima di essere richiamato dalla voce di Jack. Si voltò indietro e sospirò. «Si può sapere che cos’hai?»
«Ho sentito che te ne vai» disse il minore, torturandosi nervosamente le labbra. «Quando? Insomma, Merritt ci lascia domani e Henley settimana prossima. Tu?»
Daniel si appoggiò con la spalla allo stipite. «Stavo riflettendo, non ho ancora deciso niente».
«Il posto?»
Danny scrollò il capo. «Niente».
«Henley ha detto che ti ha proposto di seguirla» la voce gli si incrinò sulla parte finale. I suoi occhi scuri si spostarono sulle sue ginocchia, per rimediare si schiarì la gola. «San Diego è bella, ci sono stato».
«Non ci andrò, non ci ho nemmeno pensato a dirla tutta» confessò Danny. «Tu cosa farai?»
Jack sospirò di sollievo senza nemmeno rendersene conto. Poi sorrise amaro, passandosi la mano sinistra tra i capelli sempre più lunghi. «Nulla, probabilmente rimarrò qui».
«Resterai nell’Occhio?»
«Sì, perché tu no?»
«Ovvio che resterò».
Jack ridacchiò. «Magari ci rivedremo qualche volta, per qualche spet-»
In un batter di ciglia Daniel gli era di fronte, si chinò su di lui e lo baciò, ingoiando la fine di quella frase assurda. Era ovvio che si sarebbero rincontrati. Anzi, perché lasciarsi?
Gli accarezzò la guancia, seguendo la lingua della mandibola fino a finire sulla nuca. Lo agguantò e se lo spinse ancora più addosso, facendolo mugolare. Gli morse le labbra, succhiò tutto il suo sapore e lo lasciò solo dopo un lungo istante, col fiato corto. «Perché non vieni con me?» sfiatò, fissandolo assorto.
Avrebbe dovuto smettere di stupirsi della bellezza di Jack, eppure non ne era in grado. Lo sorprendeva ogni volta.
«Dove?»
«Ovunque».
Jack ridusse gli occhi scuri a due fessure. «Te l’avevo detto che ti importava di me, alla fine».
«A quanto pare ho un cuore anche io» scherzò Danny, passando le nocche sullo zigomo accentuato del viso perfetto del ragazzo. «Allora verrai?»
«Sì, certo» affermò l’altro, sorridendo a trentasei denti.
«Bene» annuì Daniel. Si risistemò sul letto e si lasciò cadere giù, sdraiandosi supino. «Devo comprare una sveglia nuova» biascicò, sbadigliando.
Jack rise, si piegò e aprì il comodino, traendone un pacchetto verde. «In realtà ci avevo già pensato io tempo fa, ma poi abbiamo litigato e, insomma, non c’è stata più occasione..» farfugliò, passandogli il regalo che, al centodieci percento, conteneva una sveglia nuova.
Daniel lo afferrò e lo mise da parte, agguantando invece l’avambraccio di Jack per portarselo addosso. «Facciamo che domani mattina mi svegli tu, okay?»
Il ragazzo gli scoccò un bacio sulla tempia e distese le labbra di sbieco. «Okay, Snorlax!»
«Snor- che?»
«Lascia perdere, sei troppo vecchio!»
Danny gli schiaffò un cuscino in faccia. «Non ti permettere!»
«Non ti permettere! Sono un uomo di una certa età io» gli fece il verso Jack, scoppiando a ridere subito dopo.
«Oh, ‘fanculo ragazzino».
«Snorlax».
«Nerd».

«Ma devi sempre averla tu l'ultima parola?»
«Sì».
«Okay».
«Okay».

Fine!
  
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