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Autore: bluemary    10/02/2008    6 recensioni
Ed in quel momento la verità squarciò i suoi pensieri come mai prima d’allora, ogni singolo piano le venne rivelato, ogni speranza, ogni desiderio, ogni sogno custodito gelosamente nel suo animo si frantumò in mille schegge affilate che le ferirono il cuore ed il petto, lasciandola senza respiro. Perché lei, in quel lungo istante trascorso a scrutare le tenebre senza fine insite negli occhi del suo antagonista, seppe ogni cosa.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Temo non saranno in molti a concludere la lettura, visto la lunghezza di questa one-shot, ma ringrazio preventivamente chi passerà di qua ed anche chi lascerà un commento. Buona lettura!




Il guardiano della Dea

Si fissarono.
Occhi azzurri in un rosso esiliato dal mondo dei viventi, il volto da fanciulla pura ed innocente, ancora contratto per la sofferenza, specchiato nell’oscurità di chi aveva votato la propria esistenza alla distruzione.
La tenebra che li avvolgeva risucchiava ogni rumore, il suo strascico era un drappo di soffocante e vischioso silenzio, in cui perfino il respiro spezzato e singhiozzante della ragazza risultava quasi impercettibile.
All’improvviso la figura più grande e minacciosa si mosse, rompendo quel momento di tensione.
- Sai che ti ho detto il vero. – disse, allungando una mano in direzione del volto della sua interlocutrice.
Lei scosse ostinatamente la testa, tuttavia il tocco quasi delicato sulla sua guancia, di quella stessa mano che aveva rotto l’arma su cui aveva fatto tanto affidamento, la fece tremare all’idea di sentirne nuovamente lo spietato potere sulla propria pelle. Schiacciata dal dolore, la sua fede vacillò, permettendole di chiedersi se davvero il suo nemico avesse ragione, costringendola a risentire le sue parole senza rifiutarle prima ancora di comprenderne il significato, fino a quando esse si marchiarono come suoni indelebili nella sua mente.
Ed in quel momento la verità squarciò i suoi pensieri come mai prima d’allora, ogni singolo piano le venne rivelato, ogni speranza, ogni desiderio, ogni sogno custodito gelosamente nel suo animo si frantumò in mille schegge affilate che le ferirono il cuore ed il petto, lasciandola senza respiro.
Perché lei, in quel lungo istante trascorso a scrutare le tenebre senza fine insite negli occhi del suo antagonista, seppe ogni cosa: presto sarebbe morta.
La missione che le era stata affidata comportava un finale impregnato di sangue, solo con il suo sacrificio la sua terra avrebbe potuto salvarsi.
Nel leggere lo sgomento nei suoi occhi chiari luccicanti di lacrime, la creatura dell’oscurità che le stava di fronte si lasciò andare ad un sorriso dietro il pesante elmo nero con cui si copriva il volto.
- Come vedi la tua fine è già stata decisa. – commentò, prima di tenderle una mano - Dimmi, allora, cosa scegli, fanciulla del destino?
La sua voce sibilante, quasi metallica, avvolse le tenebre come un sudario, insinuandosi centimetro dopo centimetro nella mente della giovane donna per ravvivarne i dubbi e le paure. Lei rimase in silenzio, il suo stesso respiro rapito dalle gelide dita della disperazione che le aveva invaso i polmoni a quell’ultima frase, in cui era riuscita a percepire una sfumatura di scherno.
Chiuse gli occhi, reprimendo forse una lacrima in cui brillava un ultimo rimpianto per ciò che stava abbandonando; poi spalancò le palpebre, mentre i suoi lineamenti si contraevano in un’espressione mai comparsa prima d’allora nel suo volto giovane.
Lentamente appoggiò le proprie dita sottili sul palmo guantato dell’imponente guerriero dell’oscurità, senza rifiutarne lo sguardo.
- Sono pronta. – mormorò, e tutto il suo corpo parve raddrizzarsi sotto l’effetto di un’improvvisa determinazione, mentre la sua voce, ora priva d’incertezze, si espandeva in quelle tenebre quasi palpabili – Fa’ di me ciò che vuoi.

- Zio Ras, mi racconti una storia?
L’uomo si costrinse ad assumere un’espressione d’inesorabile fermezza quando si volse a guardare la fonte di quella richiesta.
- È tardi, Ivy, non credi sia giunto il momento di dormire? – replicò, meno severo di quanto avrebbe desiderato risultare, per quanto sapesse già quale sarebbe stata l’ostinata risposta della bambina che aveva adottato come nipote.
- Hai promesso che mi avresti raccontato la storia della Dea!
- Sei ancora troppo piccola.
- Non è vero, hai detto tu che quando avrei avuto sette anni me l’avresti raccontata ed io li ho compiuti ieri! – ribatté lei.
L’uomo strinse le labbra, maledicendo mentalmente il giorno in cui si era lasciato strappare una simile promessa.
- Ormai è quasi notte, non preferiresti aspettare domani, quando avremo più tempo e ci sarà la luce del sole? – chiese, come ultimo tentativo di procrastinare l’inevitabile.
Lei scosse gravemente la testa ed incrociò le braccia al petto.
- L’hai promesso! – rispose, con la tipica espressione imbronciata con cui i bambini manifestano la propria delusione.
Un sorriso aleggiò sulle labbra dell’uomo.
- Testarda come al solito, vero? – commentò in tono esasperato, senza riuscire a nascondere l’affetto che trapelava dal suo volto.
Con un sospiro di resa si sedette sul letto, dove la nipote, già in pigiama e sotto le coperte, lo guardava con gli occhi luccicanti per l’aspettativa.
Per un istante la fioca luce della candela che illuminava a stento la piccola stanza si divertì a danzare sui suoi lineamenti, rivelandone ogni ruga sottile, dovuta più al dolore che all’età, ed un’impercettibile espressione di amarezza. Tutto nel suo volto faceva pensare ad un ragazzo cresciuto prima del tempo, i suoi stessi capelli neri, senza alcuna sfumatura di grigio, ed il fisico asciutto, muscoloso e scattante, tipico di chi è nel pieno delle forze, creavano un curioso contrasto con i malinconici occhi azzurri. Invece di essere cristallini, in essi si potevano scorgere delle ombre troppo cupe e profonde per appartenere solo ad una tristezza momentanea, la traccia simile ad una cicatrice che i ricordi più dolorosi avevano lasciato nel suo animo.
Li fece vagare per qualche secondo nella stanza, prima di schiarirsi la voce con un delicato colpo di tosse.
- Allora… tutto cominciò innumerevoli anni fa. – esordì, accorgendosi appena che la bambina di fronte a lui si era alzata a sedere, per meglio gustarsi il racconto e per non rischiare di addormentarsi involontariamente - Devi sapere che, in un villaggio nascosto alla maggior parte delle persone e perfettamente isolato, viveva l’antico ordine dei Druidi. Essi erano uomini e donne votati al rispetto della natura, cresciuti nella foresta ed abituati a considerare gli animali loro amici e compagni; proprio per questo loro culto della Terra, possedevano un potere antico quanto la Vita stessa, una magia primordiale di cui servivano per preservare il luogo in cui abitavano.
Dimostrando il proprio apprezzamento per un racconto riguardante fin dall’inizio degli elementi fantastici e sovrannaturali, la piccola Ivy aveva ascoltato ogni singola parola a bocca aperta, con il cuore che le batteva rapido nel petto per l’emozione di poter finalmente conoscere le avventure della Dea, di cui tanto aveva sentito parlare lo zio durante gli anni precedenti.
- È esistito davvero, quel villaggio? – gli chiese, con gli occhi che le brillavano ed una punta di ansia, quasi temesse di causare un’interruzione definitiva della storia con il suo intervento.
Lui le sorrise per rassicurarla, ma i suoi occhi assunsero uno sguardo remoto, privo di ogni emozione.
- Certo che no, si tratta solo di una leggenda. – fece una pausa, quindi riprese a raccontare con voce bassa ed evocativa - Un giorno tre dei Druidi più sapienti, nel tentativo di scoprire una nuova fonte di magia che esulasse dalla natura, scatenarono un potere inarrestabile: troppo desiderosi di ampliare le loro conoscenze, risvegliarono uno degli antichi demoni che erano stati sigillati durante l’antica Guerra degli Dei, Raznov il Distruttore. In un primo momento, questi tre uomini provarono a bandirlo nuovamente dal loro mondo, ma, una volta compresa l’inutilità della loro lotta e gli sconfinati poteri di cui disponeva, scelsero di piegarsi a lui e ne divennero gli oscuri vassalli. Mutati in ugual modo nello spirito e nel corpo, con gli occhi dello stesso colore del sangue e le sembianze di crudeli cavalieri asserviti all’oscurità, rinchiusi in armature di ferro nero intrise di magia oscura, i traditori si volsero contro il villaggio, sotto le direttive del loro nuovo padrone. Da quel momento vennero chiamati col nome di Rinnegati.
- Ma perché si sono comportati in questo modo? Non sapevano che il demone era malvagio? – lo interruppe la bambina, con la voce argentina carica di accuse.
- Sì, ma a loro non importava.
- Allora erano proprio stupidi!
Gli occhi penetranti dello zio per un istante si fecero imperscrutabili.
- Tu dici?
- Tutti i malvagi sono stupidi, se fossero intelligenti saprebbero che dovrebbero essere buoni. – affermò la bambina, come se avesse pronunciato una verità indiscutibile.
L’uomo represse a fatica un sorriso per la logica infantile di quel ragionamento.
- E se io fossi malvagio, Ivy? - le chiese, accarezzandole un ciuffo di capelli – Sarei stupido anch’io?
- Tu non sei malvagio. Sei lo zio migliore del mondo! – replicò lei con veemenza.
- E se invece lo fossi, se avessi fatto delle cose malvagie? Mi vorresti bene lo stesso?
La bambina rimase pensierosa per un attimo, poi un sorriso le illuminò il viso.
- Allora diventerei malvagia anch’io, così potremmo rimanere amici. – esclamò, con sicurezza. Un istante più tardi una ruga di preoccupazione le increspò la fronte, nascosta parzialmente dalla lunga chioma biondissima - Ma davvero sei malvagio, zio Ras?
Lui finse di alzarsi dal letto.
- Vuoi saperlo davvero o preferisci che io continui la storia? – le domandò, incurvando le labbra in un sorriso provocatorio.
Subito la bambina si aggrappò al suo braccio, stringendolo come se ne andasse della sua stessa vita.
- No, la storia, la storia! Dai, continua, prometto che non t’interrompo più!
Con gentilezza l’uomo la staccò da sé e la fece accomodare sotto le coperte, quindi si accinse a proseguire.
- La guerra fu lunga e sanguinosa: i Druidi erano in gran numero, tuttavia la magia del demone e dei tre Rinnegati raggiungeva vette di tale potenza da distruggere chiunque si parasse dinanzi al loro cammino. Nessuno li incontrò e sopravvisse e, nonostante l’eroismo di molti abitanti del villaggio, che avevano perso la vita nel tentativo di uccidere o almeno indebolire i loro nemici, Raznov era sempre riuscito a rimanere incolume, deridendo un potere effimero come quello degli umani; inoltre la sua sola presenza sembrava bastasse a rimarginare le ferite dei suoi tre servitori, rendendoli immortali. Alla fine parve chiaro che il coraggio ed il valore dei Druidi non sarebbero bastati per fermare l’avanzata di quelle quattro creature dell’oscurità. Ormai rassegnati ad una fine inevitabile, i pochi superstiti si radunarono attorno alla grande quercia che sorgeva al centro esatto del villaggio, pronti a morire difendendo ciò per cui avevano sempre vissuto, rendendo onore al loro compito di guardiani della foresta. Poi giunse Lei. – mormorò in un soffio, il volto animato da un’emozione indecifrabile.
La bambina si mosse, impaziente ma decisa a tener fede alla promessa di non interromperlo più, aspettando invano che l’uomo riprendesse a parlare.
- Lei chi? – chiese infine, dopo un intero minuto di silenzio.
- Eilhanyas, l’antica Dea protettrice dei Druidi, Colei che, all’alba dei tempi, li aveva dotati di tutti i loro poteri e delle loro conoscenze. Lottò al loro fianco, senza risparmiarsi, e nel giro di poche ore riuscì a confinare i traditori in una dimensione priva di tempo e forma; ma il demone che i Rinnegati avevano risvegliato era troppo potente perfino per Lei. Conscia di non poterlo sconfiggere in altro modo, si sacrificò per il suo popolo, annientando il suo corpo assieme a quello del suo nemico.
- Quindi adesso… la Dea è morta? – lo interruppe Ivy, con gli occhi lucidi di lacrime.
Lo zio le accarezzò dolcemente la testa.
- Non preoccuparti, piccola, è solo una leggenda.
- Ma la Dea era morta?
- Non esattamente. Il suo corpo era stato distrutto, tuttavia il suo spirito vagava ancora nei boschi. Troppo debole per prendere forma e proteggere nuovamente il suo popolo, Eilhanyas esisteva ancora, simile ad un’ombra priva di consistenza, in grado però di comunicare le sue volontà tramite i sogni. La prima notte dopo la battaglia con Raznov spiegò ai maghi più anziani che la magia oscura del demone l’aveva ferita più in profondità di quanto si aspettasse: per questo motivo non sarebbe riuscita a reincarnarsi per lungo tempo, ma, se il suo popolo lo desiderava, avrebbe potuto aiutarla fin da subito nel processo che avrebbe dato luogo alla sua rinascita.
Seguendo le sue istruzioni, i Druidi superstiti utilizzarono tutte le loro conoscenze per creare un corpo che avrebbe potuto ospitarla. Invece di utilizzare carne e sangue, lo generarono con la magia, legarono tra loro l’essenza della terra e degli alberi, del vento e del fuoco, dell’acqua e del fulmine, poi lo plasmarono fino a fargli ottenere le sembianze di una neonata umana, ma con i capelli dorati già folti che profumavano d’erba ed i lineamenti di una bellezza ed una perfezione ultraterreni.
Per un anno intero i migliori maghi del villaggio si prodigarono nella creazione di questo nuovo corpo; poi, una volta che esso fu pronto, si servirono dei loro incantesimi difensivi per sigillarlo in una culla scavata nel legno alla base della grande quercia, dove sarebbe rimasto fino al momento della rinascita della Dea.
I tre Rinnegati, tuttavia, dopo secoli di tentativi e sofferenza, riuscirono ad indebolire il sigillo che li imprigionava, in modo da tornare a camminare sulla Terra per un’intera notte. Non appena vennero a conoscenza dei piani di reincarnazione di Eilhanyas, si diressero subito verso il villaggio, con lo scopo di distruggerne il corpo ed evitare definitivamente il suo ritorno, cosicché, una volta che fossero riusciti a liberarsi definitivamente dalla prigionia, non avrebbero più trovato alcun ostacolo alla loro avanzata.
I Druidi, però, percepirono subito la loro presenza e, con un astuto stratagemma, li rinchiusero nuovamente nella dimensione a cui li aveva condannati la Dea prima ancora che raggiungessero il villaggio.
La bambina si mosse sul letto, a disagio. Nell’ascoltare l’ultima parte della storia la sua pelle già pallida era sbiancata ulteriormente.
- Quale sarebbe stato questo stratagemma? – chiese allo zio, che scosse la testa.
- Adesso non posso dirtelo, Ivy, non è ancora giunto il momento. – la sua espressione ferma ma affettuosa al tempo stesso le impedì di avanzare le proteste che già le bruciavano le labbra - Ma ti prometto che quando avrai l’età giusta te lo racconterò. Comunque, - riprese rapidamente l’uomo - in tal modo i Druidi più esperti ed anziani compresero che il corpo della Dea avrebbe potuto ritrovarsi nuovamente in pericolo e che i tre Rinnegati avrebbero potuto tornare prima della sua resurrezione, così scelsero alcuni giovani del villaggio per renderli i suoi invincibili difensori: racchiusero in essi i poteri degli elementi, li istruirono con tutte le conoscenze di cui erano i depositari, li addestrarono severamente nel corpo e nello spirito, fino a quando divennero dei combattenti privi di qualunque debolezza.
I Druidi anziani sapevano inoltre che, con l’assenza della Dea, la magia del loro popolo, già notevolmente diminuita rispetto a quella posseduta dai loro antenati, sarebbe scomparsa entro qualche generazione, così resero questi giovani immortali, legando la loro vita alla Terra con un rituale proibito: né la malattia, né le ferite, né il tempo li avrebbero sconfitti, essi sarebbero stati gli eterni guardiani della Dea, dei potenti guerrieri pronti a difendere il suo corpo con la loro stessa vita, se necessario, destinati a rinascere ed a morire senza mai approdare alle sponde dell’aldilà, fino a quando i tre Rinnegati non fossero stati sconfitti o Eilhanyas stessa non si fosse reincarnata.
Passarono gli anni e a poco a poco, come gli antichi Druidi avevano pronosticato, la magia del loro popolo si estinse; perfino i guardiani della Dea non la utilizzavano più, né erano consapevoli del compito a cui dovevano adempiere, perché i loro ricordi ed i loro poteri si sarebbero risvegliati solo al momento del bisogno.
Un giorno, infine, accadde l’inevitabile: i Rinnegati riuscirono ad abbattere definitivamente l’incantesimo che li confinava in quella dimensione e tornarono sulla Terra; nello stesso istante, tutti i guardiani tranne quello del Vento, l’uomo destinato a prendersi cura del corpo neonato sotto la grande quercia e l’unico che ancora mantenesse la consapevolezza della propria vita passata, si risvegliarono. All’improvviso ricordarono il loro compito, sentirono il potere degli antichi Druidi scorrere nelle loro vene e percepirono il richiamo della Dea che avrebbero dovuto proteggere a costo della vita.
L’uomo s’interruppe all’improvviso quando notò i lineamenti della bambina, contratti in una maschera addolorata.
- Cosa c’è, Ivy?
- Mi sembra una cosa triste. – mormorò lei, la gola chiusa da uno strano dolore di cui non riusciva a comprendere appieno la provenienza e la motivazione - Magari loro non volevano combattere. Magari volevano solo essere delle persone normali.
Lo zio le lanciò un’occhiata da cui trapelava l’acuto desiderio di confortarla, soffermandosi sul volto pallido e sugli occhi chiari sgranati per la sofferenza. Perfino alla flebile fiamma della candela i suoi capelli dorati rilucevano nel buio in cui era immersa gran parte della stanza.
- No, Ivy, loro conoscevano il dovere che li attendeva. Sapevano di non essere persone normali ed erano fieri del loro compito di proteggere la Dea.
- Davvero?
Un sorriso curiosamente malinconico si disegnò sullo stanco volto dell’uomo.
- Sì, davvero.

L’aveva sentito, quel sussurro, presto trasformato in una minacciosa consapevolezza, che avrebbe condannato l’intera sua esistenza. L’aveva sentito all’alba, quando ancora gli ultimi strascichi di sonno le annebbiavano la mente, riluttanti a svanire ed a lasciarla in balia di quella voce impellente dal timbro sconosciuto, in cui tuttavia le era sembrato di percepire l’eco di un passato nascosto in profondità nella sua coscienza.
Secondo dopo secondo, la presenza nella sua testa era divenuta sempre più pressante: le aveva mostrato immagini di un tempo lontano, quando la magia era ancora proprietà degli umani, l’aveva cullata con il suo dolce parlare di quegli anni perduti, mentre la chiamava con il primo nome che avesse mai ricevuto, all’epoca della guerra contro Raznov; infine le aveva mostrato la sua prima nascita e tutte le volte in cui era morta e tornata alla vita, grazie al potere di cui i Druidi le avevano fatto dono.
E lei, in un lampo improvviso di lacrime e disperazione, aveva ricordato ogni cosa.
Era scappata, correndo fuori dalla sua casa, oltre le querce che delimitavano il villaggio, lontano dalla sua famiglia e dai suoi conoscenti, come se la solitudine nella parte più fitta e scura della foresta potesse soffocare la voce che scavava dentro il suo animo; ma ormai i ricordi della vita precedente le avevano invaso i pensieri, la tormentavano, con un’urgenza impossibile da ignorare.
Continuò a fuggire, rifiutando quelle immagini, negando il compito che le era stato affidato secoli prima. Non avrebbe mai potuto combattere: il suo spirito, affine a quello degli antichi guaritori, ripudiava ogni forma di violenza, fosse anche nei confronti dei Rinnegati, ed il suo animo da fanciulla non riusciva ad accettare l’idea di rischiare la vita a soli diciassette anni, contro nemici di gran lunga più forti di lei.
Si fermò all’improvviso, respirando affannosamente sotto l’effetto combinato dei sussurri nella sua testa e della mancanza d’aria per la lunga corsa.
Sapeva di non poter sfuggire al suo destino, una consapevolezza da cui si sentiva dilaniare: aveva percepito chiaramente i tre Rinnegati liberarsi dall’incantesimo della Dea, ed altrettanto chiaramente sapeva che lei avrebbe dovuto affrontarli e ucciderli o morire nel tentativo.
- Non voglio! – urlò, tappandosi le orecchie con i palmi delle mani, come se quell’effimera protezione bastasse a fermare il dilagare della voce nella sua testa, ora cambiata in un urlo perentorio che le ordinava di compiere il suo dovere - Io non voglio rischiare la vita per una lotta che non mi appartiene!
Singhiozzò forte, spossata da quella presenza nei suoi pensieri, ormai troppo debole per combattere le parole che s’insinuavano nei meandri più nascosti del suo animo, incuranti dei suoi dubbi e della sua disperazione.
- Tutta sola, ragazzina?
Il suono profondo e sibilante di quelle poche parole la spinse a sollevare lo sguardo, il volto già contratto per il terrore.
Dinanzi a lei si stagliavano tre uomini avvolti da un’armatura cupa come le tenebre, con il volto coperto da pesanti elmi dello stesso colore, in cui si potevano solo intuire i buchi in corrispondenza degli occhi; alti e robusti come i più forti guerrieri del suo villaggio, portavano una spada legata alla cintura, con l’elsa decorata da simboli sconosciuti ma grondanti un’inesorabile sensazione di minaccia, ed un’aura di soffocante malvagità li permeava come una nebbia più densa e palpabile del normale.
Li riconobbe prima ancora di metterli a fuoco, attraverso le lacrime che le stavano offuscando la vista.
I Rinnegati.
Scosse la testa, cominciando ad indietreggiare un centimetro alla volta, nonostante sapesse l’inutilità della fuga al cospetto di simili emissari di morte e distruzione. Nessuno dei tre parve intenzionato a seguirla, tuttavia l’uomo che aveva parlato portò distrattamente la mano destra ad accarezzare l’impugnatura dell’arma, in un gesto appena accennato di minaccia. Dietro l’elmo nero lo sentì sorridere, una consapevolezza che le attraversò la mente e la schiena in un brivido gelido come le dita della morte e le paralizzò le gambe.
- Tu sei una dei guardiani. – commentò il guerriero più lontano, l’unico dei tre a portare un mantello, anch’esso nero come l’armatura ed altrettanto privo di decorazioni.
- Ti… ti sbagli. Io non sono nessuno. – lo interruppe lei con voce strozzata, ma l’uomo parve non accorgersi nemmeno delle sue parole.
- In te scorre la magia del Fuoco, lo sento.
La ragazza li guardò avvicinarsi senza riuscire a muovere un muscolo, troppo terrorizzata dalla morte che vedeva rispecchiata sui loro elmi privi di espressione.
- No, lasciatemi stare!
Le sue parole tremanti e spaventate strapparono una fredda risata ai Rinnegati.
- Me ne occupo io. – disse il primo che aveva parlato.
Spinta dal panico da cui si sentiva soffocare, alla fine la giovane riuscì a voltarsi, gettandosi in una fuga disperata attraverso la foresta.
- Dove scappi? Non vuoi difendere il tuo credo, la tua Dea? – ghignò il guerriero, sprezzante.
Subito le comparve davanti al volto, le labbra atteggiate ad un sorriso insolente e la mano stretta all’impugnatura dell’affilata spada nera.
La guardiana singhiozzò, spaventata da una lotta che non le apparteneva, disgustata da un potere che non aveva mai desiderato, neppure durante la vita precedente, quando gli anziani Druidi l’avevano costretta a piegarsi dinanzi a loro ed a fondere la sua anima con l’essenza del Fuoco…
La disperazione s’insinuò in ogni sua cellula, risvegliando un desiderio di sopravvivere tanto intenso e rabbioso da offuscare la sua razionalità, un impulso dettato dal terrore, che la spinse ad abbracciare inconsciamente la voce nella sua testa, lasciandosi guidare da essa alla scoperta di un globo pulsante dentro di sé.
S’immerse in quel potere sconosciuto, lo chiamò con la voce resa roca dalla paura, se ne ammantò le braccia, ormai incurante della presenza dentro di lei sempre più trionfante ed euforica, e la magia esplose dalle sue mani in un’ondata di fuoco rosso ed inarrestabile.
Come animata da vita propria, essa avvolse il primo Rinnegato, che, colto di sorpresa, riuscì a malapena a coprirsi il volto con le braccia, prima di venire sommerso e percosso dal primordiale potere insito nelle fiamme, mentre la sua avversaria, divenuta una cosa sola con l’essenza dell’elemento che le era stato affidato, urlava con voce remota tutta la sua collera.
Un secondo più tardi, la ragazza tornò in sé e, con un gemito d’orrore, si rese conto di ciò che era successo. Senza accorgersi della sottile barriera con cui il suo nemico era riuscito a proteggersi, certa di averlo ferito gravemente, si volse, pronta alla fuga, ma lui le comparve nuovamente di fronte, illeso, con la spada alta già pronta a colpire.
Un balenio d’acciaio nero come la pece, e la guardiana, troppo spaventata per poter richiamare la magia a proteggerla, si sentì trafiggere all’addome.
- Deludente. – commentò il guerriero mentre rigirava la lama nel suo fianco, facendola urlare per il dolore straziante che stava sperimentando.
Seguì la sua caduta con l’arma, in modo da continuare a tormentarle le carni anche una volta che la vide rannicchiarsi a terra nel vano tentativo di contenere la sofferenza. Dopo qualche secondo di quella tortura, estrasse la spada con un gesto secco, incurante del suo ennesimo grido d’agonia, ormai espresso da una voce roca ed indebolita. Fissandola senza alcuna esitazione negli occhi velati dalla sofferenza, in cui la razionalità era stata sommersa quasi completamente dal folle dolore appena sperimentato ed a stento si poteva riconoscere un bagliore di coscienza, si preparò a darle il colpo di grazia.
Brandì l’elsa con entrambe le mani, mirando al suo collo scoperto, ma il compagno col mantello lo fermò all’improvviso.
- Non farlo. – ordinò, con la voce decisa di una persona abituata ad ottenere un’assoluta obbedienza ad ogni sua richiesta.
Subito il guerriero rinfoderò la spada, ma non si allontanò dalla sua vittima.
- Non è una ferita mortale. Se la lasciamo in queste condizioni potrebbe riprendersi.
L’uomo col mantello si fece avanti, fino a raggiungere la piccola figura rannicchiata a terra.
- Credo che ci possa servire più da viva che da morta. – commentò, chinandosi su di lei.
La toccò sul fianco squarciato, mormorando qualche parola incomprensibile, ed un fuoco nero, più scuro perfino della sua armatura, si propagò dalle sue dita fino ad entrare in contatto con la sua pelle sanguinante e sparire all’interno di essa.
La guardiana roteò gli occhi lucidi di lacrime verso di lui, il respiro spezzato dalla sofferenza ed i lineamenti giovanili del suo volto contratti per il terrore.
- Cosa… mi hai fatto? – chiese, sentendo con stupore che la ferita aveva smesso di sanguinare e perfino il dolore pareva diminuire di attimo in attimo.
La risata crudele che lui le rivolse la gelò fin nelle profondità più remote del suo animo.
- Ti ho dato l’opportunità di sperimentare il vero potere. – si rimise in piedi, dandole le spalle - Presto sarai una di noi.
La ragazza lo seguì con sguardo disperato, senza nemmeno la forza di muovere un muscolo.
Quando sentì quella magia sconosciuta entrare crudelmente dentro di lei, nutrendosi della sua carne e delle sue emozioni per poi reclamare per sé la sua mente, urlò come mai aveva fatto in vita sua.

- La prima ad essere sconfitta fu Arys del Fuoco. Era una fanciulla giovane ed inesperta, la sua magia non poté nulla contro i tre Rinnegati.
La bambina si strinse nelle coperte, sollevandole fin quasi all’altezza degli occhi spaventati.
- Quindi fu… uccisa? – chiese, con un filo di voce.
L’uomo annuì.
- Cadde combattendo valorosamente, senza piegarsi al potere dei nemici. Perfino quando uno di essi le propose di unirsi a loro e servirsi del potere dell’oscurità per rimanere in vita, preferì rifiutare, in favore di una morte ben più onorevole.

Arys stava pregando la Morte.
La bramava, con lo stesso disperato ardore con cui aveva combattuto la voce dentro di sé, rifiutando il compito che le voleva affidare per il timore di perdere la vita o per l’orrore di doversi servire del proprio potere per toglierla ad altri. Ed ora avrebbe accolto la Nera Signora con il più lieto dei sorrisi, conscia che essa rappresentava l’unica sua possibilità di salvarsi dal soffocante abbraccio delle tenebre.
All’improvviso, come se ci fosse sempre stata, una ragazza comparve a pochi passi da lei.
Sopraffatta dal dolore e dal disgusto per l’oscura magia che la violava, Arys non riuscì a delineare i contorni di quella figura sfocata, vide solo un corpo esile ed aggraziato, lunghi capelli chiari di un colore indefinito ed un volto candido come la neve più pura, attraversato da una bocca vermiglia.
- Aiu… tami – supplicò, ansimando per lo sforzo con cui era riuscita a pronunciare quell’unica parola.
Sentiva l’oscurità corromperla centimetro dopo centimetro, straziando il suo corpo umano come la spada non era riuscita a fare, ed anche la sua mente cominciava a cedere sotto il crudele attacco delle tenebre. Si stava perdendo nel dolore, annegava in un cupo mare da cui non sarebbe più riuscita ad emergere, ad ogni istante si rendeva conto di aver perso un frammento d’umanità, distrutto dal potere del Rinnegato, che non le sarebbe stato più restituito.
Con uno sforzo disperato riuscì a mantenere lo sguardo sulla ragazza sconosciuta.
- Ti prego... – sussurrò, riuscendo a stento a sollevare la mano nella sua direzione.
L’apparizione si mosse verso di lei, scostandosi con un cenno distratto i capelli dal volto, e per la prima volta, attraverso il delirio e la sofferenza che la tenebra causava al suo corpo straziato, Arys riuscì a scorgerne lo sguardo. Tremò, spaventata da quegli occhi ardenti, più rossi del fuoco di cui lei era la guardiana.
- Perché cerchi il mio aiuto? – chiese la sconosciuta.
A quella domanda, che risuonò in tutto il suo essere, la ragazza s’irrigidì, come colpita.
L’ennesima lacrima sfuggì alle sue ciglia quando percepì la donna violare la sua mente, ricostruire la sua fuga, la sua disperazione, il breve combattimento in cui aveva incontrato un destino peggiore della morte, e le sue labbra insanguinate si schiusero a fatica, mentre un bagliore di comprensione brillava nel suo sguardo.
- Eilhanyas…
- Dopo aver tradito la tua Dea, adesso ti appelli a Lei?- chiese ancora la sconosciuta dagli occhi di fuoco.
Arys singhiozzò, ma, con sua sorpresa, la donna le sorrise dolcemente.
- Non temere, io non ti lascerò soffrire. Non hai colpa per esserti ribellata ad un destino scelto da altri. – le mormorò, consolante quanto una madre.
I capelli lunghi fino alla schiena, che le nascondevano parzialmente il volto, si sollevarono come in preda ad un potere invisibile, aleggiando attorno alla sua figura simili ad un drappo scosso da un vento impetuoso.
- Non sono in grado di salvarti, ma se desideri posso darti la morte.
Arys chiuse gli occhi, quasi rinfrancata nonostante la sofferenza da cui ogni singola cellula del suo corpo era pervasa, ed annuì.
La donna le poggiò una mano sulla fronte, un’impercettibile carezza che le tolse ogni dolore, accompagnandola verso una pace in cui non avrebbe più sentito alcun sussurro.
- La tua morte non resterà impunita, Arys del Fuoco.

- E dopo cos’è successo?
L’uomo abbassò la sguardo sulla nipote, senza accorgersi dei suoi occhi lucidi.
- Dopo si risvegliarono i guardiani dell’Acqua e della Terra.

Erano avvolti in un dolce abbraccio quando il sussurro, nitido ed inesorabile come un ordine pronunciato con voce appena più gentile del normale, li colse entrambi.
Si fissarono all’improvviso, riconoscendosi, amanti nel passato più remoto, ancora compagni in un presente quanto mai incerto.
La donna si alzò di scatto, senza accennare in alcun modo alla neonata consapevolezza che si agitava nel suo petto.
- Sono stanca, Lug, ci vediamo domani.
- A domani, Seilen. – la salutò il compagno, con un bacio a fior di labbra, negli occhi di un castano tanto chiaro da sembrare dorati un cupo bagliore di determinazione.
S’incamminò verso la sua casa e, una volta entrato, trovò ad aspettarlo il fratello di due anni più giovane; senza alcun preambolo gli raccontò rapidamente ogni cosa: il proprio risveglio, la consapevolezza di essere un guardiano, la missione che gli era stata affidata secoli prima, durante una vita di cui solo ora aveva riacquistato i ricordi.
Il giovane lo ascoltò in silenzio, ma una ruga preoccupata s’incise sempre più profondamente sulla sua fronte.
- E adesso cosa farai? – chiese, forse intuendo le sue intenzioni.
- Andrò ad affrontare i Rinnegati. Li fermerò, non posso permettere che Seilen rischi la vita. Perdonami, Kiel. – mormorò Lug, lasciando che la magia appena risvegliata dentro di lui s’insinuasse nel fratello come una carezza, facendolo cadere in un sonno profondo.
Senza alcuna esitazione, si diresse poi verso il luogo in cui poteva percepire l’oscuro potere dei suoi nemici, ma, con sua grande sorpresa, scoprì che Seilen l’aveva anticipato: la sua figura sottile, ammantata dei poteri dell’Acqua, si stagliava nella pianura deserta, sola contro i tre Rinnegati.
- Non dovresti essere qui. – la rimproverò, ponendosi dinanzi a lei per difenderla dai violenti attacchi dei suoi avversari.
La donna ricambiò il suo sguardo senza incertezze.
- Nemmeno tu. Ma io non ti chiederò di farti da parte, quindi non chiedermelo, Lug. Sai bene che qualunque sarà il nostro destino lo condivideremo.
Stizzito e preoccupato al tempo stesso, il guardiano contrasse il volto come per ribattere, ma poi annuì e lasciò che la compagna prendesse posto al suo fianco.
- Allora facciamo in modo di condividere un destino privo di rimpianti.

- Insieme erano vissuti fino a quel momento, ed insieme affrontarono la battaglia più pericolosa della loro vita.

La vicinanza reciproca era fonte di potere e determinazione, mille volte uno dei due guardiani fu in procinto di cedere, sopraffatto dalle tenebre, e di arrendersi alla spietata magia dei Rinnegati, ma la presenza della persona amata al suo fianco gli donava nuova forza.
Terra ed Acqua combatterono insieme, proteggendosi e sostenendosi a vicenda, ma il potere dei loro nemici era troppo dilagante per sperare di vincerli senza subire perdite.
Approfittando di un suo attimo di debolezza, un Rinnegato riuscì a trafiggere la guardiana con la spada ammantata di magia oscura, e Lug urlò d’orrore nel vedere la compagna ferita mortalmente. Con un triste sorriso di commiato, Seilen strinse a sé il suo nemico, mentre cadeva in un oblio dal quale non si sarebbe mai più risvegliata, e liberò in quell’ultimo istante di coscienza tutto il potere che le era rimasto. L’acqua colpì il Rinnegato con tale violenza da perforargli la carne, lo percosse senza pietà, raggiungendogli il petto, l’addome ed infine il volto.
Prima ancora che i loro corpi toccassero terra, la guardiana ed il guerriero esalarono entrambi l’ultimo respiro.
Quasi folle per la sofferenza, Lug attaccò i due nemici ancora vivi, incurante della propria incolumità.
Immerse le mani nel suolo friabile della pianura e, con un urlo in cui condensava lo straziante dolore che gli dilaniava l’animo, rilasciò tutto il suo potere. La terra rispose al suo richiamo, si frantumò, divenne un’arma implacabile, un denso fiume di fango e roccia che seguiva i gesti con cui l’uomo, adesso nuovamente eretto, la guidava, fino ad imprigionare dentro di sé i due Rinnegati.
Ormai sfinito per il dolore e la fatica e privo di potere, Lug attinse direttamente alla sua forza vitale per impartire il suo ultimo ordine, e la terra che ricopriva i suoi nemici si contrasse, nel tentativo di stritolarli. Quando il guardiano non riuscì più a tenere le braccia sollevate e le sentì ricadere lungo i suoi fianchi, mentre anche il suolo si ricompattava per riprendere il suo aspetto originario, liberando i due guerrieri che ne avevano subito l’attacco, solo uno di essi respirava ancora.
Il Rinnegato col mantello, l’unico sopravvissuto, si diresse verso di lui con la spada sguainata.
- A cos’è servito il tuo sacrificio, stolto umano? Io sono ancora vivo, hai fallito!
Ma il guardiano non l’ascoltava più, i suoi occhi dorati erano rivolti verso il corpo della fanciulla steso esanime a qualche metro da lui, illuminato dai primi bagliori dell’alba, e la sua bocca ormai immobile era tesa in un dolce sorriso.

- Caddero entrambi, ma portarono due dei Rinnegati con sé e lasciarono la loro vita mortale con un sorriso, consci di aver affrontato assieme anche la morte.

Erano passati solo alcuni minuti dalla conclusione del violento scontro tra i due giovani ed i Rinnegati, quando una fanciulla comparve all’orizzonte.
Il suo sguardo privo di qualunque emozione passò dalla guardiana dell’Acqua a quello della Terra, l’una stesa al suolo, l’altro ancora in piedi, pietrificato dalla sua stessa magia. Uniti nella vita, uniti nella morte.
Prima di andarsene, si accostò al giovane uomo e, rivelando un malinconico sorriso, ne sfiorò il capo con le dita affusolate.
- Voi non avrete bisogno di vendetta.

Accorgendosi delle lacrime che scorrevano sulle guance della nipote, il narratore s’interruppe di colpo.
- È meglio se la smetto qui.
- No, voglio sapere come finisce! – all’improvviso gli occhi della bambina vennero offuscati da un’ombra, lei stessa guidata da un bisogno troppo profondo per poterlo comprendere appieno - Ti prego!
Un’espressione sorpresa attraversò il volto stanco dell’uomo e per un istante parve non rivolgersi alla giovane nipote di appena sette anni, mentre le rispondeva.
- Come desideri. – le lanciò uno sguardo attento, prima di ricominciare la storia – Un Rinnegato era sopravvissuto, ma c’erano ancora due guerrieri, pronti a difendere il corpo della Dea. Il guardiano del Vento non ebbe bisogno di essere risvegliato, sapeva già tutto dalla sua nascita, essendo il più forte tra i suoi simili e l’unico di essi a conoscere la tecnica per trasferire lo spirito di Eilhanyas nel corpo che gli antichi Druidi le avevano preparato. Con lui c’era il suo allievo, l’ultimo difensore della Dea; anni prima, il guerriero più potente aveva riconosciuto in un ragazzo del suo villaggio il guardiano del Fulmine, così l’aveva chiamato a sé e gli aveva insegnato ogni cosa: la storia dei Rinnegati, l’utilizzo della magia e la tecnica della reincarnazione.
- Come si chiamava il guardiano del Vento? – lo interruppe la bambina, adesso con il volto sgombro dalle lacrime e lo sguardo carico d’interesse ed eccitazione.
L’uomo esitò per un istante, lasciando che un’espressione simile alla malinconia trapelasse dai suoi lineamenti.
- Si chiamava Zephyras.

- Sta arrivando. – affermò calmo il guardiano del Vento, senza che nessuna emozione incrinasse il suo sguardo imperturbabile, mentre lanciava un’occhiata alle sue spalle, dove si trovava la culla in cui giaceva il corpo della Dea.
Il suo allievo, che negli anni trascorsi sotto i suoi insegnamenti aveva cominciato a considerarlo come una sorta d’invincibile fratello maggiore, rimase in silenzio, ma gli rivolse uno sguardo preoccupato, a cui lui rispose mettendogli una mano sulla spalla.
- Tu stai indietro. Se mi succedesse qualcosa, tu potrai comunque portare a compimento il rito della reincarnazione. – un sorriso rassicurante gli illuminò il volto severo, quando vide il giovane scuotere la testa con rabbia all’idea della sua morte - Non temere, non morirò senza aver portato con me il mio avversario.
- Ti prego, lascia che ti aiuti.
- No, Ler, tu devi sopravvivere ad ogni costo, non posso rischiare che partecipi ad una battaglia al di sopra delle tue possibilità. – la voce dell’uomo si velò d’autorità, mentre si chinava per fissare negli occhi il suo interlocutore - Adesso nasconditi. Uscirai allo scoperto solo quando te lo dirò io o solo nel caso in cui venissi sconfitto. Sono stato chiaro?
Di malavoglia il ragazzo ubbidì e si era appena occultato nel fitto sottobosco quando il Rinnegato comparve di fronte al guardiano del Vento.
Il guerriero delle tenebre lo studiò in silenzio per qualche secondo, prima di spostare la sua attenzione sulla culla alle sue spalle.
- Sembra che tu sia il mio ultimo ostacolo.
Zephyras sollevò la sua spada, un’arma lunga quanto il suo braccio che si diceva fosse stata forgiata con le nuvole dalla stessa Eilhanyas, tagliente più del vento in tempesta ed abbastanza leggera da permettergli di maneggiarla senza alcuno sforzo con entrambe le mani.
- Non ti permetterò di distruggere il corpo della mia Dea.
Una risata metallica esplose violenta dall’elmo nero privo di espressione.
- Distruggerlo? Perché mai dovrei fare una cosa del genere? Quel corpo che voi stolti avete creato sarò il mezzo per la rinascita del mio signore.
Zephyras lo studiò con i lineamenti atteggiati alla sua solita espressione di calma, ma gli occhi azzurri erano gelidi.
- Cosa intendi dire?
- Quel corpo senza vita non è legato in alcun modo alla Dea, voi l’avete creato, non Lei, pertanto è pronto ad ospitare qualunque spirito. Perfino quello di un mortale come te, se chi compisse il rito di reincarnazione lo desiderasse. O perfino colui che ha reso necessario il suo sacrificio.
- Non te lo permetterò. – replicò il guardiano, prima di gettarsi improvvisamente contro di lui.
Con un sorriso, il suo avversario strinse con entrambe le mani l’impugnatura e lo attese immobile.
Le spade si scontrarono con un fragore simile ad un tuono cupo, che si propagò per parecchi metri, sfrigolarono quando la magia oscura di cui la lama del Rinnegato era permeata venne in contatto con l’arma sorretta dal potere del Vento, mentre i due uomini facevano appello a tutta la loro forza per prevalere sul nemico.

- Fu un duello incredibilmente violento, che durò per ore. Magie e lame si scontravano senza sosta, ma nessuno dei due contendenti riusciva a prevalere sull’altro, fino a quando il Rinnegato riuscì a disarmare il suo avversario.

Dopo una stoccata particolarmente violenta, il guerriero delle tenebre riuscì a far volare via la spada del guardiano, ma quest’ultimo, invece di provare a riprenderla, allungò le braccia davanti al volto ed invocò uno scudo magico per proteggersi dagli attacchi.
Subito il Rinnegato lo mise alla prova con un fendente in cui aveva riversato gran parte della sua forza e del suo potere.
- Stupido ragazzino! – esclamò, trionfante, mentre la sua lama, con un po’ di difficoltà, squarciava la barriera del suo avversario e si conficcava in profondità nel suo palmo aperto, lacerando carne e tendini, puntando pericolosamente al suo volto.
Non si accorse che il guardiano del Vento, nonostante la profonda ferita, si era concentrato sulla propria spada, che giaceva poco distante, e con la magia cercava di spostarla alle sue spalle.
Il Rinnegato piegò le labbra in un ghigno malvagio, pronto ad infliggere l’affondo mortale, ma, nello stesso istante, l’arma guidata dal potere di Zephyras lo trafisse alla schiena, raggiungendogli il cuore.
L’attimo dopo, il guerriero delle tenebre cadde a terra, morto.

- Zephyras riuscì a colpirlo al cuore, ma la spada del Rinnegato lo raggiunse alla mano, squarciandogli il palmo. – mentre parlava, l’uomo richiuse inconsciamente le dita fino a formare un pugno, sentendo i polpastrelli accarezzare la sottile linea incisa sulla sua pelle qualche centimetro sopra il polso.
La bambina trattenne il fiato, in spasmodica attesa del seguito.
- E, dopo, Lei apparve. Sconfitti i tre Rinnegati, la Dea era giunta a reclamare il suo corpo. – concluse l’uomo, imprimendo alla sua voce un’intonazione volutamente impersonale.
- Ma allora questa storia finisce bene! Quindi la Dea riuscì a reincarnarsi?
- Sì, Ivy, la Dea si reincarnò nel corpo che le era stato destinato.
Con un sorriso di soddisfazione, la bambina appoggiò la testa al cuscino, sotto lo sguardo serio dello zio.
- E vissero tutti felici e contenti. – mormorò lui, in un soffio appena percettibile.

- Tu non sei la nostra Dea.

L’uomo chiuse gli occhi.

- Tutti dovranno pagare.

Uno spasmo gli attraversò il volto, invecchiando quei lineamenti che rispecchiarono all’improvviso chi aveva sperimentato troppo dolore nella sua vita per non portarne le tracce.

- Vendicami…

La bambina dormiva serenamente, ma lui parve non accorgersene nemmeno, quando si alzò dal letto e, con lo sguardo perso in un passato di cui era l’unico a mantenere i ricordi, si soffermò a studiare i capelli chiarissimi della nipote.
- Ho mentito, Ivy. – mormorò, pronunciando queste poche parole con una fatica quasi palpabile - I tre Rinnegati erano stati distrutti, ma c’era ancora qualcuno appartenente a quei tempi antichi, che desiderava lasciare la sua impronta sanguinosa sulla storia dei Druidi.

La donna apparsa dopo la morte del Rinnegato si diresse con passo lento ma privo di esitazioni verso la culla, mentre il ragazzo, ancora nascosto, la guardava incuriosito.
All’improvviso il guardiano del Vento fece un passo indietro, in modo da nascondere alla sua vista la base della grande quercia, dove giaceva il corpo della neonata.
- Tu non sei la nostra Dea. – affermò, sollevando la spada per puntarla contro il suo petto.
Incurante delle sue parole, la donna continuò ad avanzare verso di lui, scivolando sull’erba come un’ombra priva di consistenza, con gli occhi curiosamente nascosti dai lunghi capelli rossi ed un’aura di potere dello stesso colore attorno a tutta la sua figura; la sicurezza con cui il guardiano aveva parlato, tuttavia, non vacillò di fronte a queste apparenze sovrannaturali.
- Tu non sei Eilhanyas. – disse, allargando le gambe in modo da trovare la posizione più adatta e stabile per cominciare il combattimento.
Le labbra piene della sconosciuta si tesero in un sorriso carico d’ironia, e quella gelida piega della bocca rese il suo volto più pericoloso di quanto l’avrebbe rivelato un’espressione minacciosa.
- No, non lo sono. – replicò, rivelando una voce remota e carezzevole che sorprese entrambi i guardiani - Ma rappresento la persona più vicina alla vostra Dea. Adesso lasciami raggiungere il suo corpo. Hai già fatto abbastanza per Lei, ora tocca a me.
Per un attimo il guardiano più giovane fu sicuro che Zephyras si sarebbe spostato per lasciarla avanzare, invece lo vide serrare ancor più strettamente la sua mano attorno all’impugnatura della spada e tornare a levarla contro di lei.
- No! Solo la Dea può darmi degli ordini, ed una persona che possiede una magia tanto oscura non può parlare in sua vece. Avvicinati ancora e proverai sulla tua pelle il filo della mia lama.
Per nulla intimorita dalle sue minacce, la donna gli sorrise.
- Non sei facile da ingannare, guardiano del Vento. Ma, se mi contrasti, incontrerai la morte.
- Chi sei? I Rinnegati erano solo tre e non c’era nessuna donna tra loro. Perché li segui?
- Perché desidero riportare in vita il loro signore.
- Chi sei? – le chiese nuovamente il guardiano, questa volta più guardingo.
- Io sono colei che ha ascoltato le grida delle vittime del tuo popolo, colei che porterà loro la vendetta.
- Vendetta contro chi?
- Contro i discendenti degli esseri più spregevoli che hanno mai camminato su questa Terra. Gli antichi Druidi.
Uno scintillio irato comparve nei gelidi occhi del guardiano.
- Tu sei pazza, gli antichi Druidi erano i più nobili tra gli esseri umani ed hanno sempre difeso il nostro villaggio, anche a costo della vita.
- Non della loro, Zephyras! – esclamò la donna con rabbia - Pur di salvarsi, quei vigliacchi hanno sacrificato giovani che non avrebbero potuto difendersi, persino voi guardiani siete stati costretti ad asservire la vostra esistenza alla loro volontà.
Le sue parole colpirono l’uomo come un pugno in pieno viso.
- Cosa stai dicendo? – sibilò, e la sua voce ed il volto dimostravano un insolito turbamento.
- Pensa ad Arys, la guardiana del Fuoco, una giovane non ancora donna, morta senza nemmeno capire il perché. O a Lug e Seilen, due innamorati che passarono quasi più tempo a combattere che a giacere abbracciati sussurrandosi promesse d’amore; a te stesso, un guerriero a cui è stata tolta l’infanzia, ad ogni sua vita. Tutti voi siete stati unicamente delle pedine nelle mani di vecchi troppo egoisti per condannarsi al vostro stesso destino.
Zephyras ascoltò tutto in silenzio, lottando per non cedere all’ira.
- Queste sono solo delle vili menzogne, tutti sanno che i Druidi hanno impedito ai Rinnegati d’impossessarsi del corpo della Dea, la prima volta che si liberarono dal sigillo. – disse, nuovamente padrone di se stesso, atteggiando il volto ad un’espressione che esprimeva tutto il suo disprezzo per l’avversaria.
- Davvero? – chiese lei con voce suadente – E tu sei a conoscenza di cosa successe all’epoca?
Con il volto contratto dalla rabbia, il guardiano rimase in silenzio ad attendere che la sua nemica continuasse a parlare.
- I vecchi Druidi che tanto stimi avrebbero dovuto scendere in campo per combatterli, utilizzare la loro magia per difendere la Dea che tanto adoravano, ma l’idea di morire li terrorizzava troppo. E sai allora cosa fecero, quegli uomini troppo codardi per rischiare la vita? Non lo sai, vero, guardiano?! – sibilò, la voce suadente ormai ridotta ad un sussurro roco e sprezzante – Scelsero una fanciulla giovane ed ingenua, le fecero credere di essere la prescelta, che con la spada della Dea avrebbe potuto sconfiggere i Rinnegati e salvare il villaggio. Scelsero chi si fidava ciecamente di loro, chi si fidava della Dea, chi avrebbe potuto essere facilmente manipolabile, e la mandarono a morire. – fece una pausa, lasciando che una lacrima rossa come il sangue le attraversasse il viso - Scelsero me.

- I Druidi le avevano mentito. L’avevano convinta che sarebbe riuscita a fermare i tre Rinnegati, che lei fosse stata prescelta dalla Dea. Quando giunse nel luogo in cui essi si erano liberati, venne trascinata nella loro dimensione, e di lei il villaggio non seppe più nulla.

Era stata torturata senza nemmeno comprenderne il motivo, sconvolta dalla perdita dell’arma con cui avrebbe dovuto sconfiggere i suoi nemici.
Si trasse in piedi a fatica, tremando per le incessanti fitte di dolore che le attraversavano il corpo martoriato, ormai incapace di trattenere le lacrime.
- Perché? – chiese in un singulto.
Non aveva mormorato altro, come una monotematica cantilena che aveva scandito il ritmo delle torture, senza mai ottenere risposta.
- Cosa ti stai chiedendo, ragazzina? – chiese il Rinnegato col mantello, richiamando la magia con cui l’aveva colpita incessantemente fino a quel momento, per il semplice gusto di sfogare la propria frustrazione.
Forse fu per la sorpresa di sentirlo parlare per la prima volta da quando era caduta nelle loro mani, che lei scelse di rispondergli con la voce pervasa dalla disperazione, o semplicemente sperava di prolungare il più possibile quel breve momento in cui era stata graziata dalla tortura.
- Mi avevano detto che quella spada sacra, impugnata dalla prescelta, avrebbe potuto sconfiggere i servitori delle tenebre. Perché non è successo?! – chiese, mentre una parte della sua mente registrava la follia di quella conversazione.
- La pericolosità di un’arma non deriva dal suo potere, ma dal potere di chi la utilizza.
- Ma io ero la prescelta, avrei dovuto uccidervi!
Una cupa risata di scherno accolse la sua replica.
- Ancora non l’hai capito? Non c’è nessuna prescelta, i Druidi desideravano solo una vittima che impersonasse la Dea, per ingannarci e spingerci a tornare nella nostra dimensione prima di poter distruggere il corpo che avevano creato. Così ti hanno mandata da noi, a morire.
- Stai mentendo, non mi avrebbero mai condannato a morte certa, sono io che ho sbagliato, sono io che ho tradito la loro fiducia venendo sconfitta! – urlò lei, tappandosi le orecchie, ma la voce del Rinnegato la raggiunse comunque, tagliente e sibilante al tempo stesso.
- È stata la tua Dea, a parlarti? O sono stati quei vecchi, troppo spaventati per dirti la verità, a raccontarti tutto? A loro non serviva una prescelta, ma solo un sacrificio.
- Che cosa vuoi dire?
- A loro non importava che tu vivessi o perissi, contava solo che il loro inganno andasse a buon fine.
- No, io non dovevo essere sconfitta, io avevo il potere di fermarvi. – ripeté la giovane, con la voce atona di chi non comprende le proprie parole.
- Sciocca ragazzina! Nessuno con i tuoi deboli poteri sarebbe stato in grado di ucciderci. Ed i Druidi che ti hanno mandato da noi ne erano consapevoli.
La fanciulla lo fissò con sguardo spento, ormai troppo esausta per combatterlo.
- E allora perché mi hanno mandato da voi?
- Perché dovevano fermarci in qualche modo. A te hanno fatto credere di essere la prescelta, a noi di trovarci di fronte la Dea appena reincarnata, così tu sei stata sacrificata per salvarli e noi abbiamo abbandonato la Terra senza che fossero costretti ad affrontarci. Come vedi siamo stati entrambi ingannati.
- Stai mentendo, stai mentendo! – singhiozzò la fanciulla, incapace di sostenere le sue parole.
- Non ti sei ancora chiesta perché non sei riuscita nemmeno a ferirci? Apri gli occhi, ragazzina, non esiste nessuna prescelta. Arrenditi e unisciti a noi, o continua a difendere la tua Dea attraverso il tuo sangue e le tue lacrime.
- Unirmi… a voi? – mormorò la fanciulla, come se non avesse capito la sua affermazione.
- Basterà una tua parola per fare cessare il dolore che ti tortura, una tua parola per la pace. Unisciti a noi, e potrai ottenere la vendetta nei confronti di chi ti ha sacrificato per salvarsi.
Un tremito scosse la ragazza, quando percepì la minaccia insita nella voce del suo nemico.
- Nessuno mi ha sacrificato. – rispose, nell’estremo tentativo di affermare la convinzione che l’aveva spinta a rischiare la vita, ma l’uomo tese una mano verso di lei e, in un gesto stranamente dolce, le accarezzò il volto.
- Sai che ti ho detto il vero.

- Tormentata dai ricordi e pervasa da una rabbia troppo intensa per appartenere ad una sola persona, la donna sconosciuta aveva infine rivelato le sue reali sembianze.

Con un gesto brusco, la donna si scostò i capelli dal volto, rivelando degli occhi rossi, di un colore violento che rispecchiava il sangue ed il fuoco, gli stessi occhi dei tre Rinnegati. La bellezza dei suoi tratti, amplificata dallo sguardo spietato di quei rubini brucianti di collera, l’assimilava ad una dea della vendetta, scesa tra i mortali per infliggere la sua inesorabile punizione, a cui nessuno sarebbe stato in grado di sfuggire.
Un tonfo la fece voltare verso il ragazzo che aveva appena lasciato cadere la propria arma, rivelando così la sua posizione, e si era alzato in piedi all’improvviso.
- Tu… com’è possibile? – le chiese, riconoscendo in quello splendido volto da dea della vendetta i lineamenti della fanciulla che aveva amato con tutto se stesso innumerevoli anni prima.

- Il giovane guardiano conosceva quella donna, l’aveva incontrata nella sua prima vita, durante gli anni precedenti alla creazione dei protettori della Dea; l’aveva amata, disperatamente, dolorosamente, con un’intensità che rasentava la pazzia. E quando i Druidi anziani avevano raccontato della sua morte per mano dei Rinnegati, senza rivelarne i particolari, come se fosse accaduta una disgrazia, una parte del suo cuore era scomparsa con lei e non era più tornata.

Per un istante i ferini occhi vermigli della donna lasciarono trapelare un barlume di riconoscimento; un guizzo d’umanità le addolcì i lineamenti, prima di scomparire, sopraffatto dall’ardente desiderio di vendetta.
- Anche tu condannato ad un destino tracciato da altri. – commentò, prima di volgersi verso Zephyras – Allora, cominciamo? O forse hai altre domande?
Incurante del tono provocatorio con cui gli aveva parlato, il guardiano la studiò attentamente, attraverso i suoi impassibili occhi azzurri.
- Se sei davvero la ragazza scomparsa all’epoca degli antichi Druidi, com’è possibile che i Rinnegati ti abbiano risparmiato?
- In un primo momento, credendomi Eilhanyas, mi trascinarono con loro nell’oblio, ma non mi uccisero. Al contrario, mi offrirono una scelta, la stessa scelta che i Druidi non mi avevano concesso. E così, dopo anni d’insegnamenti, sono diventata come loro.
Le mani dell’uomo si contrassero attorno all’elsa della sua spada, prima di sollevarla all’improvviso, pronto a scagliarsi contro di lei.
- Allora troverai anche la loro stessa fine.
Il guardiano del Fulmine, che aveva ascoltato in silenzio tutta la conversazione, rimase immobile, assistendo con orrore crescente allo scontro tra le due persone che amava di più in assoluto. Li guardò combattere per interi minuti senza riuscire ad intervenire, incapace anche solo di pensare correttamente, mentre le rivelazioni della donna gli infestavano la testa, annichilendo qualunque suo tentativo di recuperare la lucidità.
La battaglia proseguì in perfetta parità, ormai a pochi passi dalla grande quercia; poi, quando la sua avversaria venne distratta dal corpo della Dea, il guerriero trovò un varco nella sua guardia.
Rapido come il vento di cui possedeva l’essenza, affondò la spada nel suo petto, ma quasi subito qualcosa la fermò, impedendole di raggiungere il cuore. Sorpreso, Zephyras sollevò gli occhi dall’arma ed incontrò il volto del suo allievo, appena comparso al suo fianco. Il ragazzo aveva afferrato la lama, squarciandosi la mano fino a rivelare il bianco delle ossa, e, nonostante il dolore, la tratteneva con tutte le sue forze.
- Vattene, Rasler! – gli ordinò, utilizzando il suo nome completo.
- No! Non lascerò che tu la uccida!
Il volto severo del guardiano del Vento si specchiò negli occhi azzurri del suo allievo.
- È una nemica, ormai è parte delle tenebre.
Quella distrazione costò cara al guardiano: seppur colpita mortalmente dalla lama di Zephyras, la donna ne approfittò per liberare tutta la sua magia, sottoforma di un affilato pugnale color della notte, che lo raggiunse al petto.
Pallidissimo, il guerriero barcollò all’indietro, poi cadde a terra senza un gemito, morto.
Con un urlo di dolore, Rasler fece per gettarsi sul corpo dell’uomo che per lui era stato come un fratello, nella vana speranza di scoprirlo ancora vivo, ma un istante più tardi i suoi occhi vennero catturati dall’immagine della donna agonizzante al suolo, ed il pensiero di Zephyras scomparve dalla sua mente come se non ci fosse mai stato.
Immersa nel sangue che sgorgava copioso dalla ferita al petto, e con il velo della paura e della sofferenza adagiato sul suo volto, la guerriera delle tenebre non sembrava più la terribile creatura assetata di vendetta che aveva sfidato e ucciso il guardiano del Vento, ma solo una fragile fanciulla.
Subito il giovane la trasse a sé, abbracciando il corpo esile di quella che era tornata a rispecchiare la donna a cui aveva donato il suo cuore secoli prima.
- Ho pregato tanto… che venissi a salvarmi, Rasler. – mormorò lei, mentre appoggiava la guancia contro il petto del ragazzo – ma… dopo il declino della mia ultima speranza… sono rimasta immersa nelle tenebre.
- Perché? Perché ti sei arresa ad esse? – le chiese il guardiano, senza poter reprimere le lacrime, che scavarono la loro strada attraverso le sue guance e caddero poi ad inumidirle il volto.
- Come potevo lottare… e morire in nome di chi mi ha tradito… consegnandomi all’oscurità? Dovevano pagare… tutti.
- Per questo volevi riportare in vita Raznov?
- Non m’importa di lui… ma con il suo aiuto… mi sarei potuta vendicare. – il suo volto da fanciulla tornò una maschera spietata - I loro discendenti… tutto il villaggio deve scomparire. Non ti ho mentito. Io… tu… gli altri guardiani… siamo stati tutti vittime dei Druidi… nessuno di noi desiderava un simile destino…
Rasler la fissò dritta negli occhi, riconoscendo la verità.
Ricordò una fanciulla che studiava per diventare guaritrice e supplicava i Druidi di non renderla uno strumento di morte. Ricordò un uomo pregarli di sceglierlo al posto della donna amata ed ottenere come unico privilegio la possibilità di seguire il suo stesso destino. Ricordò il suo maestro, all’epoca un ragazzino impaurito, che gli anziani plagiarono fino a convincerlo di dover essere fiero di poter morire per la propria Dea; ed infine se stesso, ormai privo di ogni emozione dopo la scomparsa della ragazza a cui aveva donato il proprio cuore, l’unico che aveva accettato la propria sorte senza una parola.
Incapace di guardarla ancora in volto, l’adagiò a terra, rialzandosi lentamente.
- Non posso lasciarti vivere.
- Lo so. – mormorò la donna, incurvando le labbra in un accenno di malinconico sorriso, che presto si velò di malizia - Ma riuscirai… a guardarmi morire? Ad accelerare il mio incontro… con la Nera Signora? Ricorda com’eravamo.
- Sono un guardiano! – urlò lui, come per giustificarsi.
- Eri anche… l’uomo che mi amava.
Tacquero entrambi, sopraffatti dai ricordi di una vita in cui non esistevano né guardiani né oscurità e due ragazzi potevano amarsi dolcemente, senza pensare al futuro.
La donna si mosse, cercando di sopportare il dolore che le trafiggeva il petto ferito.
- Uccidimi… se vuoi… o resta… a guardarmi morire. – un accesso di tosse interruppe le sue parole, macchiandole di sangue le labbra - Ma… ti prego…vendicami.
Gli occhi rossi ardenti di determinazione non riuscirono a nascondere il timore che le stava corrodendo il cuore: la speranza che aver condannato la sua anima all’oscurità non fosse stata una scelta vana, che tutti avrebbero trovato giustizia, in qualche modo, e l’intero villaggio avrebbe scontato la sua colpa, anche se attraverso mani che non erano le sue.
- Vendicami.
Rasler brandì la spada sopra la sua testa, lasciando che il sangue proveniente dalla sua ferita gocciolasse sull’elsa e poi sul suo stesso corpo, straziato dall’amore che nonostante tutto continuava a provare per lei e dall’atavico impulso di obbedire ai suoi doveri di Guardiano.
Fissò in volto la fanciulla che amava, la compagna di tanti secoli prima, soffermandosi sui suoi occhi velati, in cui il bagliore vermiglio si stava spegnendo per sempre, assieme al suo respiro…
- Ven… dicaci…
- No, Vivyen. - la lama scese implacabile a pochi centimetri dal collo della donna, distruggendo il sigillo che conservava il corpo da neonata della Dea - Ci vendicheremo insieme.

L’uomo finì di parlare con gli occhi fissi sulla bambina ormai profondamente addormentata.
Senza svegliarla, le passò delicatamente la mano segnata dalla cicatrice sulla testa; la candela ormai spenta gli impediva di scorgere i dettagli del suo volto, ma sotto le sue dita la sentiva bruciare, quell’unica ciocca rossa che i capelli biondi nascondevano a tutti gli altri sguardi e ad ogni anno si faceva più intensa e lucente.
- Riposa serena, Vivyen. Presto avremo la nostra vendetta.

   
 
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