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Autore: RitaWhitlock99    02/08/2013    3 recensioni
«E la tua canzone zio quando è nata?» Stavolta fu Alice a rispondere:«Be', Nessie, mi sa che questa è una storia lunga: addirittura bisognerebbe svelare l'origine del nome "Jazz".» Jasper si infastidì, punto sul vivo: «Alice, non ti sembra di esagerare? Quella storia è...» FF incentrata sulla coppia Alice e Jasper: il loro primo incontro, tra rimorsi, segreti, pazzie e una montagna di blues, jazz e passione. passando per un'iniziativa insolita a casa Cullen!
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Altro personaggio, Clan Cullen, Jasper Hale | Coppie: Alice/Jasper
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Jazzies’

 

My life closed twice before its close--
It yet remains to see
If Immortality unveil
A third event to me

So huge, so hopeless to conceive
As these that twice befell.
Parting is all we know of heaven,
And all we need of hell.

 









Pov Bella- Capitolo 1
 
Quando Forks cominciò ad imbiancarsi, uscendo dalla coltre di nubi grigie che la soffocavano (seppur a nostro beneficio) per tutto l’anno, Natale era ormai alle porte. La neve era scesa dal cielo compatto ed uniforme per una settimana di seguito, incessante quasi fosse pioggia di novembre ma tagliente come coltelli sui visi arrossati degli umani. Il tempo non era qualcosa che condizionava la vita apatica e, a volte, quasi vuota degli abitanti di una piovosissima cittadina di provincia: eppure, ora che la neve si  era manifestata in tutta la sua potenza, la gente passeggiava sonnacchiosa, i negozi chiudevano prima e i pescatori del luogo, tra cui mio padre, rinunciavano al “brivido” di prendere un pesce mezzo intontito dalla fredda corrente del fiume. Era così che si presentava Forks: chiusa e priva di novità. Nonostante tutto, però, non mi ero mai sentita così felice da un sacco di tempo. Si, okay: le feste, il cenone, i regali cose normalissime nella vita di chiunque ma io non avevo affatto voglia di rimpinzarmi di tacchino (anzi.. Un solo pezzo mi avrebbe fatto vomitare fino ad allagare la casa). Ero felice perché eravamo riusciti a rimanere una famiglia: i Volturi erano stati sconfitti  e si poteva dire (finalmente!) che tutto era perfetto nella mia vita di vampira Cullen. Era giusto, infatti, che ci godessimo una meritata vittoria per un bel po’ di tempo: avremmo festeggiato il primo anniversario della nostra fortuna facendo le cose “alla Alice” con tutte le conseguenze che un simile azzardo comportava. Comunque, per una volta, nessuno si lamentò di fare un minimo di sei ore al giorno di shopping con il mostric… cioè… con la mia adorata cognata o di sbattersi la testa contro il muro per la disperazione, nel tentativo di rivoluzionare l’arredamento: be’, del resto, nessuno avrebbe mai sofferto il mal di schiena (quando si dice essere ottimisti..). A divertirsi particolarmente in quella situazione era Renesmee che, ignara dei pericoli che correva, passava giorni interi a fare la cavia di sua zia.  In quanto ad Edward stava ripassando a quattro mani con Rosalie le solite canzoncine di Natale. I due non facevano altro che litigare perché non riuscivano, nelle reciproche sofisticatezze musicali (Dio quanto rompevano a volte..,), a mettersi d’accordo: addirittura Ed si era preso in testa l’intera pedaliera del pianoforte, il tutto con somma soddisfazione di Rose che, giustamente, glielo aveva suonato sulla zucca e i piagnucolii di quel martirizzato di mio marito, consolato quella notte stessa dalla sottoscritta. Si, si: è risaputo che in casa Cullen la libertà è sacra ma… Emmett dove lo mettiamo? L’unico che non stava facendo assolutamente niente qualcosa in realtà per passare il tempo ce l’aveva: le sue mille e una battutine deficienti, sconce e vecchie quanto il mondo.  «Ah ah ah, Bella! Scommetto che Edward è così pignolo quando lo fate che gli devi presentare domanda scritta, carta d’identità, codice fiscale e i punti fedeltà della benzina!»  Mi disse il giorno dopo. Poverino.. Dopo qualche ora le sue urla spaccarono le vetrine del salone: «CHI- HA- DA-TO FUO-CO AL-LA MIA MAC-CHI-NA?!» Forse gliel’avrei ricomprata.. Della Giochi Preziosi. A parte le scaramucce familiari, il vero guaio, per me, era scrivere i biglietti d’auguri: la testa mi pulsava da morire quando dovevo farlo, perché non sapevo imbastire nemmeno in quattro ore una frase carina, invece delle solite “Auguri” o “Buon Natale”. Esme e Carlisle erano quelli che lavoravano di più: chi a lucidare la casa chi in ospedale alle prese con i doppi turni e con gente debosciata che, incapace di aspettare fino al 31, si faceva scoppiare i palloni di Maradona tra le mani. Insomma, facevamo tutti del nostro meglio, tranne Jasper. Infatti, sembrava che Jazz scomparisse letteralmente dalla circolazione quando non era occupato nella sua mansione di portapacchi e buste di Alice. Come al solito, inoltre, nessuno sembrava curarsene tra cui, a sorpresa, neanche lei. Una volta, quando la curiosità mi stava rodendo troppo il cervello per fare domande al diretto interessato , la presi in disparte nello sgabuzzino e le estorsi, o meglio, cercai di estorcerle alcune informazioni. Ma lei si fece ancora più ermetica. E sospettosa: «Oddio Bella! Non preoccuparti per Jazz: sta molto più che bene.» A quel punto replicai sarcastica: «Oh, si: adesso che so questo mi sento molto meglio. Posso lasciarlo tra le tue mani in tutta sicurezza.. Alice! Non fare la facilona: e se sta attraversando una delle sue fasi depressive acute?! » Alice rise, divertita e stizzita allo stesso momento: «Bella, sono anni che ci conosciamo ma non hai ancora capito tre cose: 1) Le mie mani sono più che sicure; 2)se Jasper è in crisi depressiva acuta e sta progettando l’Apocalisse basta controllare i giornali; 3) mai disturbarmi mentre mi dedico alla meravigliosa arte di addobbare l’albero di Natale.» Detto questo mi mise una ramazza in mano e scomparve: «Preparati per la Befana che è meglio!»  Ero furibonda: perché con Alice non si poteva parlare? La mia apprensione per mio fratello non era qualcosa di compulsivo ma per lo più… Di curiosità smodata per quel ragazzo così chiuso e taciturno ma che aveva un cuore forte e sensibile allo stesso tempo come pochi. La mia osservazione del suo comportamento era continuata e, due sere fa, lo avevo visto rientrare nella casa deserta (erano andati tutti a caccia mentre la sottoscritta era appostata su un albero) con fare guardingo. Nella certezza che non vi fosse stato nessuno, era scivolato di soppiatto nel soggiorno, si era seduto sul seggiolino del pianoforte nuovo di zecca e aveva cominciato a suonare accordi spezzati, come quando i musicisti ripassano i propri brani senza svelarne l’essenza. La cosa mi aveva lasciata stupefatta: Jasper suonava?! La mia perplessità era cresciuta il giorno dopo quando Alice aveva annunciato una specie di competizione tra i musicisti Cullen, la vigilia di Natale. Edward mi spiegò che era un appuntamento annuale, una trovata di Alice (ma va’) che mi ero sempre persa per motivi più o meno gravi ma “ogni volta” aggiunse con un sorriso smagliante “ho vinto io, grazie ai pieni voti della giuria”. Successivamente scoprii che per partecipare bisognava suonare due pezzi: uno già “noto” e l’altro di “composizione propria”. Io non ci pensai nemmeno ad entrare nella gara: Edward mi aveva insegnato i primi rudimenti e non brillavo di certo per tecnica e determinazione.
Be’, insomma, tra regali, incombenze, sedute interminabili di shopping, gli scherzi idioti di Renesmee e Alice che mi facevano saltare i nervi, la riparazione definitiva del pianoforte, arrivò la vigilia di Natale. La mattinata passò tranquilla e noiosa soprattutto perché avevo portato Renesmee da Charlie e quindi la casa era una tomba (N.B. Autrice: E ce credo! Siete tutti vampiri! XD). Alice e Jasper erano spariti dalla circolazione e ciò non insospettiva soltanto me (Alice sarebbe dovuta essere stata in bagno già dalle sei) ma anche Edward. Il “poveretto” era così nervoso che non riusciva a farsi il nodo alla cravatta. Alle mie parole che si avrebbe dovuto calmarsi, rispose in un borbottio sommesso: «Il tipico casino… Me la pagherà! Ho perso la cantante! Ma non si rende conto di quanto sia stronza? Uhm… Forse è normale essere così patriottici ma… Cacchio! » Feci orecchie da mercante e lo lasciai alle sue elucubrazioni. Alice faceva la misteriosa, eh?! Ce l’avrebbe pagata cara…
 
Pov Jasper
 
Gli alberi, per la maggior parte abeti rossi, si stagliavano intorno alla radura, alti e minacciosi, per nulla mitigati dall’effetto sognate della neve di quei giorni, lasciando solo quello spazio vuoto , coperto di erba ghiacciata. Quel luogo era la personificazione della solitudine, qualcosa che, in un certo senso, gli avevo dato io in anni e anni di presenze: ogni volta che andavo lì,  era per istinto, quando ero in vena di odiare il mondo. Semplicemente correvo, correvo, correvo e poi mi arrestavo sempre nello stesso punto imprecisato della foresta. Lo ritrovavo solo quando desideravo il soprannaturale, quello degli spiriti benefici della natura: perdevo in quel momento ogni stoicismo, ogni voglia di parlare di uomini o di pensieri e roba che mi ricordava Nietzsche. Il “superuomo” mi aveva sempre disgustato: gli umani, in certe teorie, rivelano la propria sete di potere in maniera così violenta da far star male di stomaco anche un dannato che, per fortuna, si è laureato a Syracuse per uscire dal guscio del male, l’immortalità. Nella radura restavo seduto e basta. Ascoltavo le emozioni primordiali degli animali e il gorgogliare del fiume per reprimere le mie: a volte, si ha bisogno di istinti selvaggi per estinguere i propri, brutali, violenti e ciechi. Alice mi definiva “un’emozione concreta” e quando mai non aveva ragione! Stavolta, però, mi aveva violentato, nel senso più metaforico del termine. Per discutere di quella stramaledetta gara mi aveva trascinato a forza nel mio “gabinetto di meditazione” (completamente diverso da uno massonico) facendomi sentire a disagio, nel luogo tangibile di pensieri vietati. «Alice? Non c’era un altro misero angolino di foresta dove parlare?» Lei mi rise in faccia: «Oddio Jazz! Mi sembri un adolescente innamorato che nasconde il diario sotto il cuscino. Credi che io non sappia che vieni qui quando, invece, dovresti provare ad affrontare i tuoi limiti di petto? » A quel punto ci rimasi male: «Ma che diamine… Mi insegui? Tra poco mi pedinerai anche in bagno e… io.. d-d-dovrò… Ecco..» Feci un gesto eloquente. Lei alzò gli occhi al cielo, come per invocare la pazienza: «Jasper sei un vampiro e non vai in bagno. Poi io non ho bisogno di seguirti: ho il mio impianto di sicurezza  a circuito chiuso» Che scemo… Come dimenticarsi del suo “impianto”? «Be’, signorina, meglio lasciar correre. Allora.. Per quale motivo mi ha portato qui? Per quale conciliabolo oscuro e contorto?» Stette subito al gioco: «Maggiore Whitlock, le assicuro, giurando sul mio onore di donna, che le mie intenzioni sono in buona fede. Volevo chiederle, esimio maestro, se mi concede l’onore di provare i nostri pezzi.»  
«Ma come facciamo senza un pianoforte, signorina?»
«Jazz tu porti il tempo e io canto»
«E io?»
«Come sarebbe?»
«Cioè.. Io non canto?»
«Non si preoccupi maggiore mi segua e basta. Nell’eternità»
«Non ero io che portavo il tempo delle ore, dei secoli e dell’amore?»
«Se non cominci..»
Le sorrisi, facendo un inchino educato: «Uno. Due. Tre. Quattro..» A quel punto la radura perse ciò che era con me, perché era con noi. Insieme.




Eccoci arrivati alla fine del primo Capitolo della prima FF che pubblico su efp! Vi è piaciuto? Recensite in tanti: criticoni, "positivisti" e neutrali sono tutti accettati! Purchè... Abbiate un pizzico di pietà per me e per questo piccolo sclero! ^^

Rita Whitlock <3

  
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