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Autore: FrancyF    02/08/2013    3 recensioni
E se Cory non fosse morto quel fatidico 13 luglio 2013?
E se in quella data accadesse qualcosa che cambierà per sempre la sua vita?
Se si creasse con Lea la tanto desiderata famiglia?
{Monchele family}
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cory Monteith, Lea Michele
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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ATTENZIONE: QUESTA ONE-SHOT HA UN SEGUITO "MONCHELE LOVE IS US" CHE E' UNA FF LONG DI 18 CAPITOLI.
Monchele love is us

Lea aveva ignorato i sintomi per giorni.
Anzi l’idea all’inizio non l’aveva neanche sfiorata. Aveva attribuito le prime ondate di nausea a una qualche forma di influenza stagionale. Girava in quel periodo. Chris stesso le aveva telefonato il giorno prima scusandosi con lei per aver mancato al loro consueto appuntamento dello shopping perché, purtroppo, era bloccato a letto con trentotto di febbre e nausea e vertigini persistenti.
Ecco era colpa di Chris. Lea, quando Cory partiva per qualche viaggio, si sentiva terribilmente sola e così Chris passava sempre le giornate con lei. E l’aveva influenzata.
Quella prima ipotesi l’aveva convinta per un’intera settimana.
Però lo strano malessere non si era attenuato, anzi, il contrario. Quel giorno la ragazza aveva portato i genitori in uno dei suoi ristoranti orientali preferiti e ancora prima di finire il suo agnello era corsa in bagno a vomitare.
Proprio come avevano sottolineato i suoi genitori questo non era da lei.
La mattina del tredici luglio si alzò tutta intorpidita.
Aveva dormito male.
Sbuffando andò in cucina a prepararsi una tazza di cereali, mentre ascoltava l’ultimo messaggio che Cory aveva lasciato in segreteria.
-Sono arrivato in aeroporto. Non vedo l’ora di rivederti amore. Ti amo-.
Sorrise.
Anche lei non vedeva l’ora di rivederlo.
Mandò giù svogliatamente qualche cucchiaiata di cereali, ma si ritrovò di nuovo in bagno a vomitare.
Fantastico. Il suo ragazzo sarebbe tornato domani mattina e lei lo accoglieva così…
Prese la cornetta del telefono, ma la rimise giù.
Avrebbe aspettato ancora.
Dopotutto forse era davvero solo influenza. Un’influenza senza febbre che durava da quasi tre settimane.
Si diede mentalmente della stupida.
Aspettò l’ora di pranzo, ma non mangiò nulla.
Un dubbio continuava ad attanagliarle lo stomaco.
Prese l’i-phone e scorse i numeri in rubrica.
Doveva confidarsi con qualcuno o rischiava di scoppiare.
Dianna sicuramente era la persona giusta. Lei l’avrebbe di sicuro rincuorata.
Fece il numero e aspettò con ansia, ogni secondo che passava i battiti del suo cuore acceleravano.
-Ciao Lee!- la voce squillante dell’amica la rincuorò un pochettino.
-Ciao tesoro…-
Non sapeva cosa dire.
- Lea ci sei?-
Indugiò -…si. E’ solo che...-
Dianna aveva avvertito che c’era qualcosa che non andava.
-Lea è successo qualcosa?-
-Non ne sono certa-
-Che intendi scusa?-
-Senti ti dispiace fare un salto da me? Sarebbe troppo lungo spiegarti ogni cosa al telefono…-
Dianna non la fece neanche finire –tranquilla. Prendo la metro e sarò lì da te fra un quarto d’ora-.
 
-Che è successo?- Dianna era rossa in volto e aveva il fiato corto.
Lea la fece entrare.
Si sedettero in soggiorno.
A quel punto Lea non c’è la fece più a nascondere i suoi dubbi e scoppiò in un pianto liberatore.
-Ho un ritardo di tre settimane-
Dio l’aveva detto.
L’amica la guardò seria in volto.
-Ok be, insomma può anche essere un disturbo ormonale. Hai fatto il test?-
Lea scosse la testa, mentre si asciugava le lacrime.
Non sapeva neanche perché stava piangendo per un dubbio così stupido.
Dianna le prese la mano.
-Tranquilla. Andrà tutto bene. Insomma se ti andrà bene non succederà niente e se ti andrà male vuol dire solo che tu e Cory diverrete genitori, non è una cosa così tragica no?-
Dianna aveva ragione. Come sempre.
Non c’era quasi nulla di cui preoccuparsi. Non bisogna fasciarsi la testa prima di rompersela.
Bisogna solo scoprire se c’era qualcosa.
 
Mezz’ora dopo Lea e Dianna erano tornate dalla farmacia con una borsa stracolma di test di gravidanza.
-E anche questo è positivo…-
Lea prese il sesto test dalle mani dell’amica e lo scrutò bene.
-Si sicura che sia proprio un più perché l’altro sembrava un meno venuto strano…-
Si guardarono per un secondo e poi scoppiarono entrambe a ridere.
Solo allora Lea si accorse di quanto era ridicola.
Dianna l’abbracciò.
-Be credo che le congratulazioni in questo caso siano d’obbligo-
-Grazie- Lea era immensamente sollevata, quasi felice.
-Ti sei fatta delle paranoie inutili-
-Hai ragione- ammise la ragazza – è solo che non lo stavamo proprio cercando. Cioè il piano era questo: fra due settimane il matrimonio e poi ci avremmo provato subito, dopo il matrimonio però-
-Però sei felice?-
-Si. Insomma un bambino è sempre un bambino. Sono felice, spero solo che lo sia anche Cory…-
-Vuoi scherzare?- Dianna si avviò verso la porta–tesoro guardami per favore. Ascolta. Cory ti ama alla follia e amerà alla follia anche vostro figlio. Lo sai come è fatto! Tu devi solo startene tranquilla-
Lea l’abbracciò. Non sapeva come ringraziarla.
-Ci vediamo-
-Oh aspetta- Dianna si fermò sulla soglia– chiamami quando lo dici a Cory voglio proprio vedere quanto ne sarà felice-.
 
Era incinta.
Si portò istintivamente una mano al ventre.
Lei e Cory avrebbero avuto un bambino. E lei avrebbe dovuto dirglielo l’indomani.
Cavoli proprio un bel cambiamento! Accogliere il proprio futuro marito, di ritorno da un viaggio,dicendoli –Sai amore indovina un po’ cosa ho scoperto mentre eri via? Sono incinta!-.
Un bambino era una cosa grossa. Grossa e impegnativa. Non era mica come accogliere Cory a casa dicendogli che avrebbero comprato un pesciolino rosso…
Stranamente, nonostante l’eccitazione per il ritorno di Cory, Lea dormì bene quella notte.
-Ehi buongiorno- Cory era seduto al bordo del letto e le accarezzava i capelli.
Lea si destò.
Quanto aveva dormito?
Poi fissò Cory.
Dio le era mancato così tanto!
Lo baciò dolcemente, poi vide che aveva in mano un vassoio con una ricca colazione.
-Oh non dovevi farlo!-
Lui la baciò di nuovo, posandole il vassoio in grembo.
Lea si sentiva meglio, la nausea era diminuita o forse era solo la presenza di Cory a rassicurarla.
Lui le rubò un pun-cake e se lo ficcò in bocca.
La ragazza trasse un profondo respiro: non voleva spettare un altro secondo di più, doveva dirglielo senza troppi giri di parole.
-Sono incinta- disse.
Cory per poco non si strozzava.
Tossì rumorosamente.
-Non scherzare?- disse con gli occhi lucidi, un po’ per l’essersi quasi strozzato un po’ per l’emozione.
Lea annuì sollevata, vedendo il volto di Cory allargarsi in uno dei suoi sorrisi più belli.
L’abbracciò.
E stettero così per pochi minuti. Le erano mancati gli abbracci di Cory, caldi come i suoi sorrisi e la sua risata.
-Allora sei contento?- lei lo baciò, a lungo.
-Che scherzi?- Cory si alzò in piedi. Era elettrizzato, non riusciva a stare fermo e gesticolava muovendosi avanti e indietro –Dio Lea mi hai reso l’uomo più felice dell’universo!-.
Per poco non si metteva a piangere.
-Dobbiamo comprare una casa più grande- disse tutto d’un tratto, come se il suo sguardo fosse proiettato verso il futuro –con un giardino enorme. Perfetto per un’altalena e la piscina. Credo che mi prenderò una pausa, si forse smetterò di lavorare e per non disturbarti non inviterò neanche più i ragazzi della band in casa per fare le prove…-
La risata di Lea lo riportò alla realtà.
-Adesso non esagerare tesoro. Credo che potremmo iniziare con il dirlo ai nostri genitori e a Shaun-.
 
La data prevista per il parto era il 3 marzo.
Lea aspettò lo scadere del termine con grande impazienza. Malgrado Cory e i suoi genitori facessero di tutto per mantenere alto il suo umore, la ragazza si sentiva esausta: era ingrassata, aveva una pancia così grossa che non riusciva più a vedersi la punta dei piedi e le sue caviglie erano così gonfie che aveva passato la settimana precedente al termine ferma sul divano a farsi servire da suo marito.
Cory aveva sopportato con la pazienza di un santo ogni sbalzo d’umore di Lea,ma ogni giorno spuntava dal calendario i giorni che mancavano al parto, che era visto come una liberazione dal clima di constante attesa nervosa che si percepiva nella loro nuova casa.
Come promesso avevano comprato una casa più grande: una vecchia casa coloniale bianca alla periferia di Los Angeles, lontana dal caos cittadino, con un grande giardino sul retro in cui avevano fatto installare una piscina murata.
Avevano finito da poco di risistemarla e, senza i lavori di ristrutturazione e di arredamento che li tenesse impegnati, l’eccitazione per la nascita del piccolo aveva raggiunto livelli snervanti in entrambe le loro famiglie.
Forse l’unica persona più eccitata di loro era Chris che, malgrado Lea e Cory non avevano voluto sapere il sesso del nascituro, aveva comprato un intero guardaroba per neonati che aveva stipato nella nursery in attesa del lieto evento.
Ma il 3 marzo arrivò e passò senza che succedesse niente e così anche il giorno seguente e l’altro ancora. Dopo il quarto giorno d’attesa Cory aveva già capito che il suo futuro figlio era un ritardatario cronico, proprio come sua madre.
Il 10 marzo, finalmente, Lea ebbe le prime contrazioni. Cory la portò di corsa al L.A. Mercy General Hospital, avvertendo nel tragitto quanta più gente poteva.
Ann, Edith e Marc arrivarono prima di loro.
Mentre Lea diventava sempre più sofferente e Cory entrava sempre di più nel panico, la sala d’attesa incominciò a riempirsi.
Shaun arrivò dopo due ore, reggendo in mano una videocamera, ma in sala parto tremava così tanto che Cory dubitò che il video, una volta montato, risultasse decente.
Doveva essere un bel giorno per nascere perché tutti i dottori del reparto erano occupati e, dopo l’ennesimo urlo da parte di Lea, Cory fu costretto a pagare con un bigliettone da cento dollari un’infermeria affinché le facesse l’epidurale.
Shaun trovò la cosa molto comica, ma Cory, per una volta in vita sua, non aveva voglia si scherzare. Quando arrivò finalmente il momento di spingere Lea li stringeva la mano così forte che il ragazzo dubitava di essere ancora in grado di suonare la batteria.
Dopo otto ore ci travaglio, parecchie urla e qualche lacrime, al calare della sera venne alla luce un esserino di tre chili e duecento grammi. Urlante e perfettamente sano.
Quando glie lo appoggiarono in grembo Lea si sciolse in lacrime.
 Un’infermiera prese subito il piccolo per portarlo nella nursery per gli esami d’accertamento, mentre i genitori dei ragazzi e Shaun uscivano a dare la bella notizia a tutti quanti.
Cory, sotto ordine di Lea, andò nella nursery ad osservare attentamente ogni movimento di suo figlio. Non voleva lasciarlo da solo nemmeno per un minuto.
Dopo quella che gli parve un’eternità il piccolo fu sistemato in un’apposita culla e fu riportato nella stanza di Lea.
Prima di entrare finalmente Cory prese in braccio suo figlio e si concesse un minuto per osservarlo meglio.
Alla fine sua madre aveva avuto ragione: era maschio.
Era dannatamente perfetto. Perfetto e minuscolo, così piccolo che lo poteva sollevare con una mano. Aveva un ciuffo di pochi capelli castani e questo l’aveva senz’altro preso da suo zio Shaun. Gli occhi erano quelli di Lea. Il naso però l’aveva preso da lui.
Non appena Lea li vedi riprese a piangere. Cory si sedette al bordo del letto e la baciò.
-Sapevo che c’è l’avremmo fatta amore-
-Scusa avremmo?- Lea le rivolse uno sguardo divertito.
-Va bene ammetto che la maggior parte del lavoro l’hai fatto tu-
Diamine non riusciva a smettere di guardare suo figlio: osservava ogni minimo dettaglio.
-Cory?-
-Si?-
-Puoi darmi mio figlio? E’ da otto ore che aspetto di tenerlo in braccio-.
Cory glielo porse a malincuore
-Basta che poi fra diedi minuti me lo ridai..-
Lea rise, suo marito sembrava un bambino a cui aveva appena tolto il suo giocattolo preferito. 
Prese delicatamente il piccolo fra le braccia.
-E’ identico a te!- disse, mentre porgeva il mignolo al bimbo che lo strinse forte.
-Tu dici?- Cory la guardò divertito–gli occhi però sono i tuoi-.
-Ha bisogno di un nome, prima di presentarlo a tutti- la ragazza baciò la testa al piccolo –pensavo di metterli un nome che iniziasse con la stessa lettera del cognome-.
Cory annuì, quella era stata, in nove mesi, l’unica decisione riguardante il nome del bambino che gli aveva messi tutti e due d’accordo.
-Non vuoi chiamarlo come tuo padre allora?-
Lea scosse la testa–Marc? No. Stavo pensando a Marv-
-Marv che scherzi? Vuoi per caso che gli altri bambini lo picchino?-
-Allora Mason-
-Mason…-
Mason Monteith suonava bene.
-Mi piace Mason- acconsentì Cory –però voglio che come secondo nome abbia Happy. E’ un bell’augurio-.
Lea non protestò – tu hai tre nomi. Vuoi che lo chiamiamo come te?-
Cory fece spallucce –come vuoi tu amore-.
Lea sorrise, mentre accarezzava i capelli castani di Mason.
-Ti piace il tuo nome piccolo? Mason Happy Cory Monteith-.
-Credo che chiamarlo Mason sarà più che sufficiente- ironizzò Cory, mentre sottraeva di nuovo Mason a sua moglie, con la scusa di farlo vedere agli altri.
 
Mason aveva compiuto una settimana di vita quando le visite di amici  e parenti cessarono definitivamente.
Finalmente Lea e Cory potevano godersi in santa pace la loro famiglia.
Col passare dei giorni i mille dubbi di Lea su Cory e sulla paternità svanirono. Come aveva predetto Dianna, Cory era un padre nato.
Durante le prime due notti, quando Mason piangeva, era Cory ad alzarsi per andare a calmarlo o per dargli il biberon. Sempre. Anzi era lui stesso a pretenderlo, lasciando a Lea il tempo per riposarsi dopo il parto.
Lei e Cory iniziarono ben presto una nuova routine: lui si alzava fino alle sei di mattina, poi preparava la colazione e tornava a dormire, quindi era Lea a occuparsi di Mason fino al risveglio di Cory.
Di solito si alzava per l’ora di pranzo così mangiavano tutti assieme oppure uscivano in un ristorante assieme a Chris o a qualche altro amico.
La stampa per loro non era un problema: il loro matrimonio un anno prima era andato in onda su Fox in mondo visione, sarebbe stato sciocco preoccuparsi di tutelare eccessivamente la privacy di Mason. All’uscita dall’ospedale avevano concesso ai paparazzi qualche foto e avevano firmato autografi ai fans. Volevano condividere la loro gioia. Furono sempre prudenti però. “People” spingeva per un servizio fotografico della famiglia, ma Cory e Lea avevano stabilito che non avrebbero rilasciato foto ufficiali (escluse magari qualche foto occasionale su twitter) fino a quando Mason non avrebbe compiuto almeno tre mesi. Inoltre, anche quando erano tutti e tre fuori Cory si assicurava sempre che i fotografi non circondassero eccessivamente ne Lea ne Mason, ma che si tenessero a debita distante. Finora, grazie forse anche alla sua imponente stazza, era riuscito nel suo intento.
 
Dopo due settimane Cory capì che la nascita di Mason era stata una benedizione per lui. L’aveva tenuto lontano dai guai.
Quando teneva in braccio suo figlio si sentiva finalmente in pace con se stesso.
Appoggiato allo stipite della porta della nursery osservava incantato Lea, seduta sulla poltrona accanto alla culla intenta ad allattare Mason.
Il piccolo aveva smesso di poppare e Lea lo teneva stretto a se’, vicino al volto, sussurandoli parole dolci. Mason aveva gli occhietti aperti e osservava tutto, mentre con le manine cercava di afferrare i capelli della madre emettendo dei gorgogli soddisfatti.
Lea alzò lo sguardo.
-Ma che fai amore piangi?-
Solo in quel momento Cory si accorse che lacrime silenziose stavano scivolando lungo il suo volto.
Ma  non rispose e si limitò a sorriderli. Dio, l’aveva cercati così tanto.
Si avvicinò a loro e baciò prima sua moglie e poi loro figlio.
-Va tutto bene amore. Te l’ho detto che sarebbe andato tutto bene-
Lea li accarezzò i capelli.
Cory la baciò di nuovo.
-Mi avete salvato la vita. Grazie-.

Dopo notti insonni a piangere Cory, a immaginarmi il suo futuro con Lea, il loro matrimonio, il loro tanto desiderato figlio... questo è il risultato. Spero che vi piaccia. Ci ho messo tutto il mio amore per Monchele. <3
#StaystrongLea
FrancyF
   
 
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