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Autore: _SamanthadettaSam_    02/08/2013    7 recensioni
Dal testo:
"- Davvero pensi di poterti nascondere, di scappare da questo inferno chiamato Dark Lake? ahahahahah -
La vecchia si alzò dalla sedia, incrociando i suoi occhi spenti in quelli glaciali del ragazzo.
- Potresti farlo sai? Scappare da qui, e rifarti una vita. Ma a Lei basterà annusare l'aria, e in meno di un minuto, sarà già sulle tue tracce. E senza che tu te ne renda conto, ti troverai il suo fiato sul collo, e i suoi denti nella tua carne. -"
Un'antica creatura si è risvegliata,
Una città maledetta,
Sei ragazzi speciali,
Il destino dei propri cari è nelle loro mani.
"Non si può scappare dalla Creatura.
Non si può scappare da Dark Lake."
Genere: Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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BUON DIVERTIMENTO! :)

Dark Lake era la tipica e pacifica cittadina dove tutti si conoscevano e sembrava più una grande famiglia felice che una comunità. Il nome poteva incutere paura, ma esso era dato dal grande lago dove la città si affacciava. Era chiamato così per il semplice fatto che gli indiani, i quali un tempo vivevano lì, credevano fosse la dimora di una terribile creatura degli inferi. Oltre quella stupida leggenda, la città era solare e adorabile con le sue piccole casette. Essa era divisa in due zone:
Il centro con tutti i negozi, i luoghi pubblici e le case costruite una accanto all’altra, come se si stessero abbracciando.
Poi c’era la zona residenziale dove si trovavano le ville di ricchi milionari che d’estate si godevano il clima tranquillo del posto, staccando dallo smog delle metropoli e i sei castelli. In realtà non erano dei castelli, ma la gente li chiamava così per la loro grandezza e il lusso al loro interno. Un tempo, furono costruite da sei nobili famiglie, le stesse che fondarono Dark Lake. Al loro interno, tra meravigliosi dipinti e ambienti lussuosi, vivono ancora i discendenti di queste famiglie. Hanno perso il loro titolo nobiliare, ma la gente del posto li rispetta come se niente fosse cambiato.

Duncan era nato nell’ospedale di Dark Lake la mezzanotte tra il 22 e il 23 luglio. Era il figlio del titolare della banca, un certo Benjamin Brown, un uomo ligio al dovere e al lavoro. Aveva ricci capelli neri sempre ordinati e severi occhi neri, nascosti da un paio di occhiali da lettura.
Di sua madre non si sapeva molto, solo che era stata abbandonata nella foresta quando era ancora una neonata. L’unica cosa che aveva con se era un biglietto con su scritto un nome, il suo.

Evelyne.

Nome molto insolito che però la vecchia donna che la prese con sé decise di darle. Ella era molto alta (sfiorava i due metri), aveva lunghi capelli biondi e grandi occhi acqua marina di cui la sclera era quasi assente, eccezion fatta per una sottile striscia bianca attorno alla pupilla.
Il piccolo Duncan aveva lo stesso colore d’occhi della madre, ma i tratti erano quelli del padre. Egli era un bambino molto dispettoso, amante degli scherzi soprattutto verso suo padre.

Gwen era nata la mezzanotte tra il 22 e il 23 settembre. Suo padre, Joshua Roy, era morto prima che lei nascesse. Non sapeva molto di lui, anche perché tutte le sue foto erano state nascoste dalla madre. Ella si chiamava Madison Fisher. Era una dei tanti discendenti dei fondatori, l’unica della sua famiglia. Aveva lunghi capelli neri e occhi dello stesso colore. La piccola assomigliava molto alla madre, anche se dentro di lei ardeva la determinazione e il carattere del padre.

Queste due anime, insieme ad altre quattro, scopriranno il segreto che giace nelle viscere del lago.
E niente sarà più come prima.

Duncan e Gwen, 8 anni

Doveva correre se voleva arrivare in orario.
Ancora pochi metri e le spettrali cime degli alberi sarebbero comparse ai suoi occhi. Le sue gambe correvano senza sentire la fatica, guidandolo verso un sentiero nascosto che s’inoltrava nella foresta. Il bambino percorse quel sentiero con tranquillità, ignorando le demoniache mani legnose che sembrava volessero prenderlo. Dopo aver superato un grosso masso e aver aggirato un ramo particolarmente basso, il moro si ritrovò a salire una piccola collinetta. Lì, un albero di mele guardava le cime dei suoi simili dall’alto, come un dio greco. Ai suoi piedi, una bambina della stessa età di Duncan, lo attendeva con una forbice in una mano e uno specchio nell’altra.
- Devi farmi un favore. – Disse la bambina, senza neanche salutare l’amico e porgendogli in malo modo le forbici.
Egli capì subito le sue intenzioni.
Si frequentavano da appena un anno, ma da come leggevano l’uno i pensieri dell’altra, sembravano amici di vecchia data.
La mora si sedette ai piedi del melo, facendo posto dietro di lei a Duncan. Il bambino prese una ciocca nera della bambina e cominciò il suo lavoro. L’unico rumore che si sentiva erano le lame delle forbici che tagliavano mano a mano sempre più capelli. Passarono vari minuti, dopo che anche l’ultima ciocca superflua cadde sul prato assieme alle sue gemelle.
Il moro prese lo specchio e mostrò all’amica il suo lavoro.
Della lunga cascata di capelli che prima circondava e nascondeva quasi completamente il viso bianco di Gwen non rimaneva più niente. Al suo posto ora c’era un taglio corto e che lasciava completamente scoperto il suo viso. Ella si guardò per un po’, girando la testa da destra a sinistra, per osservare meglio quella nuova lei. Si girò e sorrise al bambino.
- Saresti bravo come parrucchiere. – Sussurrò, in una chiara presa in giro.
Il bambino la guardò anch’egli, rispondendo al suo attacco:
- E tu hai un futuro come spaventapasseri con quelle occhiaie. –
I due risero di gusto, prima di stendersi sul prato.
- Perché li hai voluti tagliare? – La domanda ingenua di Duncan arrivò improvvisamente, così come il vento dal lago.
- Assomigliavo troppo a mia madre, dovevo fare qualcosa. Dovresti farlo anche tu sai? –
- In che senso? – Domandò il bambino.
- Assomigli troppo a tuo padre. Sembrate due sosia! – Esclamò ella.
Il bambino prese lo specchio da terra e cominciò a osservare il suo gemello riflesso su quella superficie liscia. Fece una smorfia di disgusto nel costatare quello che aveva detto l’amica.
Se non fosse stato per il colore degli occhi, sarebbe stato la versione bambina di suo padre. Si guardò per un altro po’ allo specchio, finché una folle idea attraversò il suo cervello.
- Secondo te come starei con i capelli verdi? –
- Da schifo. – Furono le lapidarie parole di Gwen.
Il silenzio regnò sovrano, finché un’altra pazza idea attraversò, questa volta, il cervello della mora.
- E se ti facessi i capelli alla moicana? –
- Spiegati. –
Lei si sedette a gambe incrociate e invitò il bambino ad imitarla.
- I moicani sono una tribù d’indiani del Nord America, caratterizzati da un particolare taglio di capelli. Ti dico solo che tuo padre avrebbe un infarto vedendoti conciato come loro. – Spiegò Gwen mentre i suoi occhi si illuminavano.
- Si ma io non rinuncio ai capelli verdi! - Esclamò deciso lui, come a chiudere l’argomento.
- Va bene, facciamo così: se tu ti tingi i capelli di verde, devi per forza tagliarteli come i moicani. Promesso? – Disse lei, sputando sul palmo della sua mano destra e porgendola a Duncan. Il bambino sputò anch’egli sulla sua mano e strinse quella dell’amica in una forte stretta.
- Promesso. – Disse, con la luna e le poche stelle del cielo a fare da testimoni.

Duncan e Gwen, 16 anni

Il vento soffiava furioso, la chioma del melo si muoveva secondo il volere di Eolo. La pioggia aumentò, fino a diventare un potente acquazzone.
Gwen si nascose nel giubbino, alla ricerca di calore. La sua mano destra, quella che reggeva l’ombrello nero, era congelata. Ma lei avrebbe aspettato anche tutta la notte.
La sua mente viaggiò agli avvenimenti di quei giorni, all’incidente. Il pullman della scuola era sbandato ed era precipitato giù per il Burrone dei lamenti, un grosso buco nel terreno dove si sentivano come dei lamenti ogni volta che lo attraversava il vento. Era stato l’incidente più sconvolgente di tutti. La maggior parte dei bambini, di età compresa tra i sei e sette anni, feriti e traumatizzati a vita. Il conducente del veicolo scomparso nel nulla. Cinque feriti gravi, due morti.
Suo fratello e la maestra che li aveva accompagnati.

Evelyne.

Il rumore di uno scontro e una bestemmia urlata senza vergogna alcuna, le fecero capire che era arrivato.
Si asciugò veloce una lacrima e si girò, appena in tempo per incrociare gli occhi con quelli acquamarina di Duncan. Il ragazzo era bagnato fradicio e lo dimostrava la sua cresta verde collassata su se stessa. Il ragazzo aveva il fiatone e si tastava una parte della fronte, dove probabilmente aveva sbattuto contro il ramo basso alla fine del sentiero.
- Stavi piangendo? – Le chiese.
- Mi era entrata una cosa nell’occhio… - Si giustificò lei. Il punk si avvicinò furtivo e l’abbracciò lentamente, come a non farla spaventare per quell’improvvisa dimostrazione d’affetto.
- Mi dispiace per tuo fratello. – Mormorò, affondando il viso tra i suoi capelli.
- Mi dispiace per tua madre. – Biascicò lei, nascondendo il viso sul petto dell’amico, per non fargli vedere i suoi occhi pronti per piangere un’altra volta.
Quando entrambi si furono calmati, si sciolsero dall’abbraccio e Gwen gli offrì un posto vicino a lei, sotto l’ombrello.
Guardarono per un’infinità di tempo le cime spoglie degli alberi sotto di loro finché, come un fulmine a ciel sereno, Duncan disse:
- Ho deciso di andarmene. –
La ragazza lo guardò attentamente, nella speranza di trovare un sorriso che significasse che quello che aveva sentito era solo uno dei suoi tanti scherzi.

Niente.

Osservò i tratti del suo viso, il suo piercing all’sopraciglio e l’improbabile pizzetto che si era fatto crescere. Osservò il taglio alla moicana e la cresta verde, simbolo della promessa che si erano fatti da bambini, e infine osservò i suoi occhi acquamarina, persi a guardare il vuoto.
- Perché? – Chiese solamente.
- Non ho niente che mi tenga ancora intrappolato qui. – Ed era vero. Duncan odiava quella città e la vita che aveva quasi quanto lei.
Entrambi non sopportavano i loro rispettivi genitori. Odiavano la vita che erano costretti a fare lì, si sentivano con le mani legate, non potevano fare niente. Evelyne e David erano le uniche due persone che erano riuscite a crearsi un posto speciale nei loro cuori e a tenerli a Dark Lake. Ma ora che erano morti, l’unica cosa da fare era andarsene.
La ragazza appoggiò la mano libera sulla sua spalla, in un tacito consenso a quella sua volontà. Egli le sorrise, poco prima che un’ennesima idea si accendesse nel suo cervello.
- Perché non vieni con me? Anche tu non hai più niente di importante qui… -
- Non posso. – Duncan alzò il sopracciglio, non capendo ma Gwen arrivò subito in suo aiuto.
- Trent. –

Trent, il suo ragazzo.

Forse l’unico essere umano di sesso maschile, eccezion fatta per lui e David, che era stato capace di ritagliarsi un posto nel cuore della ragazza.
Duncan la guardò intensamente. I capelli corti, cui Gwen aveva provveduto a tingere alcune ciocche verde petrolio. Gli occhi, due pozzi d’ossidiana che s’illuminavano ogni volta che la sentiva parlare del suo gruppo preferito e la sua pelle bianca che risaltava incredibilmente con il suo modo di vestirsi da dark.
Le mostrò un sorriso sghembo, il suo marchio.
Lei lo imitò per poi sputare sul palmo della sua mano sinistra e porgendogliela.
- Promettimi che ti farai sentire. –
Egli sputò sul palmo della sua mano e strinse quella dell’amica in una forte stretta.
- Promesso. – Disse.

La luna e le poche stelle del cielo gli furono da testimoni.

Angolo dell'Autrice:

Eccomi ritornata! Questa volta con una nuova fantastica storia! Anche se non si vede dalla lunghezza, questo è un prologo.
La canzone che accompagnerà questa storia è Wide Awake di Katy Perry, qui trovate la traduzione (il ritornello in corsivo):

Sono sveglia
Sono sveglia
Sono sveglia
Sì, ero al buio
Stavo cadendo giù
Con il cuore aperto
Sono sveglia
Come ho fatto a leggere le stelle così male
Sono sveglia
Ed ora è chiaro
Che tutto ciò che vedi
Non sempre è ciò che sembra
Sono sveglia
Sì, ho sognato per così tanto tempo
Vorrei aver saputo allora
Quello che so adesso
Non mi sarei immersa
Non mi sarei inchinata
La gravità fa male
L'hai resa così facile
Fino a quando mi sono svegliata
Sul cemento

Sono caduta dal settimo cielo
Sto precipitando dall'alto
Mi sto lasciando andare stasera
Si, sto cadendo dal settimo cielo

Sono sveglia
Non perdo il sonno
Ho raccolto ogni pezzo
E sono atterrata in piedi
Sono sveglia
Non ho bisogno di niente per completare me stessa
Sono sveglia
Si, sono nata di nuovo
Fuori dalla fossa dei leoni
Non devo far finta
Ed è troppo tardi
La storia è finita adesso, è la fine
Vorrei aver saputo allora
Quello che so adesso
Non mi sarei immersa
Non mi sarei inchinata
La gravità fa male
L'hai resa così facile
Fino a quando mi sono svegliata
Sul cemento

Sono caduta dal settimo cielo
Sto precipitando dall'alto
Mi sto lasciando andare stasera
Si sto cadendo dal settimo cielo

Rombo di tuono
Castelli in rovina
Sto cercando di resistere
Dio sa che ho provato
A vedere il lato positivo
Ma non sono più cieca...
Sono sveglia
Sono sveglia

Sono caduta dal settimo cielo
Sto precipitando dall'alto
Mi sto lasciando andare stasera
Si, sto cadendo dal settimo cielo

Sono sveglia
Sono sveglia
Sono sveglia
Sono sveglia
Sono sveglia

Vi consiglio di leggerla ogni volta prima di leggere un capitolo di Dark Lake.
Sarò anche assillante, ma questa canzone ha dentro di sè proprio il significato nascosto di questa long.
Lasciate tante recensioncine piccine piccò!
Un bacione:^.^:
Sammy
   
 
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