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Autore: Roxanne Potter    03/08/2013    11 recensioni
Oliver e le sue canzoni, Oliver e i suoi demoni, Oliver e una penna nella sua mano tremante.
È il tuo momento preferito della giornata, quando sul mondo calano quelle ombre che per te sono così dolci, accoglienti, il rifugio sicuro per la tua mente che durante il giorno trabocca di parole, parole fervide, parole che ti rimangono bloccate sulla punta della lingua, parole che non sanno come uscire fuori.
Ma ora è buio, è iniziata quella benedizione o forse quella maledizione che ti permette di scrivere.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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'Giorno. Se volete potete saltare queste note e andare direttamente alla storia, ma la capirete meglio se leggete.
Allora, questo è il mio esordio nel fandom dei Bring Me The Horizon, era un bel po' che volevo scrivere qualcosa ma fino a ieri notte non ho avuto ispirazione. La shot è ispirata ad alcuni dei problemi che ha avuto Oliver. Bullismo, obesità, autolesionismo. (Problemi da cui fortunatamente è riuscito ad uscire.)
Naturalmente l'immagine che do di lui nella storia è del tutto di fantasia: non posso sapere in che modo ha affrontato i suoi problemi, in quali periodi della sua vita, i suoi comportamenti da ragazzino. Non posso sapere se i testi delle sue canzoni sono ispirati a questi problemi, è solo la mia versione non a scopo di lucro. Spero di non aver trattato queste tematiche in modo stupido e indelicato.
Ho voluto immaginare che scrivere canzoni fosse per Oliver come un toccasana, il suo modo per sfogarsi, e che abbia continuato a farlo perché anche dopo aver superato quei problemi ci sono momenti in cui non può fare a meno di ricordare quello che ha passato. E quindi ha bisogno di scrivere.
Spero che la storia vi piaccia, a presto.;D

*


Anche stasera la penna è tornata ad essere la tua migliore amica.
Sei seduto sul letto come al solito, tra le mani fogli un po' stropicciati. Davanti a te, una parete bianca, una finestra spalancata sul giardino che circonda la tua casa. Lì fuori ormai si è fatto buio, il cielo è una bellissima tela d'inchiostro e la tua camera è illuminata solo dalla soffusa luce dorata di una piccola lampada.
È il tuo momento preferito della giornata, quando sul mondo calano quelle ombre che per te sono così dolci, accoglienti, il rifugio sicuro per la tua mente che durante il giorno trabocca di parole, parole fervide, parole che ti rimangono bloccate sulla punta della lingua, parole che non sanno come uscire fuori.
Ma ora è buio, è iniziata quella benedizione o forse quella maledizione che ti permette di scrivere.
Scrivere, scrivere fino a consumarti la mano, scrivere fino a sentire le dita doloranti. Ricordare e tremare e combattere contro le lacrime. Imprimere la tua anima su un qualsiasi foglio bianco.
Anche stasera la tua mano trema mentre impugna la penna. La punta si poggia sulla carta immacolata e inizia a tracciare lentamente le parole.
“Go out alive but with scars I can't forget. This kid back in school, subded and shy, an orphan and a brother unseen by most eyes.”
I tuoi occhi non vedono più la finestra affacciata sul giardino. Vedono solo volti, volti di ragazzini appena adolescenti. Le loro labbra sono piegate in una smorfia, i loro sguardi derisori e sprezzanti ti perforano l'anima, le loro risate prive di qualsiasi genuinità ti seguono ovunque, le loro mani ti afferrano per i polsi, ti strattonano, ti spingono.
“Sei grasso da far schifo, Oliver.”
“Come diavolo ti vesti? Sei ridicolo.”
“Non hai tutte le rotelle a posto, credo che dovremo aggiustartele noi.”
Le loro voci ti sembrano così dannatamente vive e presenti. Ti sembra di essere di nuovo quel ragazzino timido che si ritirava nel banco in fondo all'aula, desiderando solo di sprofondare ed essere invisibile, pregando che i suoi compagni non lo vedessero, non lo notassero, non iniziassero a parlare di lui.
Anni passati così, con le loro risate aspre nelle orecchie, i vestiti troppo stretti intorno al corpo grassoccio, le lacrime trattenute dietro gli occhi. Finché per la prima volta in vita tua non hai provato a scrivere una canzone.
Sei rimasto lì, a fissare le parole impresse sulla carta con un senso di rivelazione che ti apriva il cuore. Perché quelle parole erano un grido nel silenzio, parlavano di te meglio di quanto avresti potuto fare tu stesso. Forse una penna poteva parlare meglio di te, per te. Forse un giorno quelle parole sarebbero state accompagnate dalla musica; perché la musica era l'unica cosa che ti dava la forza di tenere insieme gli allora fragili pezzi della tua vita.
Hai scritto, scritto finché la mano non ti pulsava di dolore. E continui a scrivere ancora oggi. Perché i demoni di una vita si possono sconfiggere e dimenticare, ma non spariscono mai veramente del tutto. Mai.
“You say that you can save me, don't hope to ever find me. Pray for the dead. Pray for the dead.”
Ti guardavi nervosamente intorno, osservavi le persone intorno a te che ridevano e parlavano e vivevano. Speravi che un giorno qualcuno potesse distaccarsi da quella folla tutta uguale per avvicinarsi a te, prendere la tua mano e salvarti; ma forse quel qualcuno non ci sarebbe riuscito.
Non mentre il tuo mondo interiore ti risucchiava sempre di più e tu ti nascondevi, ti nascondevi e innalzavi tra te e il mondo un muro di ghiaccio dietro il quale nessuno avrebbe potuto trovarti.
“Heaven and hell live in all of us.”
Un inferno dietro il tuo sorriso forzato, dietro il tuo silenzio da angelo.
“I've said it once, I've said it twice, I've said it thousand fucking times that I'm ok, that I'm fine, that it's all just in my mind.”
Sto bene, dicevi a tutti. Sto bene, è tutto nella mia mente, dicevi a te stesso davanti all'immagine che ti rimandava lo specchio, davanti a tutta quella carne che doveva solo sparire, sparire, sparire. Ma il tuo corpo era così disgustosamente reale. Reale come il sangue fresco che ti scorreva sul polso, la pressione della lametta contro l'avambraccio.
Every second, every minute, every hour, every day... IT NEVER ENDS.”
Ti aggiustavi meticolosamente gli orli delle maniche intorno ai polsi. Cercavi di ignorare i ragazzi che ti additavano e ridevano. (“Maglione in estate, Sykes? Sei schizzato.”) Andavi avanti.
E ogni secondo era una battuta sferzante dei tuoi compagni di classe, ogni minuto era un ingombro come quel corpo che avresti voluto far sparire, ogni ora era un nuovo rivolo di sangue, ogni giorno era un dolore infinito. Che non terminava mai, mai, mai.
“Everything I touch turns to stone so wrap your arms around me and leave me on my own.”
Tutti sembravano abbandonarti e lasciarti da solo. Ma non la penna, la tua migliore amica. L'unica che ti permetteva di vomitare tutto quel dolore mentre nella tua stanza suonava un disco dei Pink Floyd o di qualche gruppo metal e tu sedevi alla scrivania e continuavi a scrivere.
“No one wants to hear you, no one wants to see you, so desperate and pathetic.”
Scrivi anche ora che sulle tue braccia non c'è traccia di un graffio da anni, ora che puoi guardarti allo specchio con un sorriso e non temere il disprezzo da parte di nessuno.
Scrivi perché ricordi. Perché quando cala la notte, la notte che ti culla e ti ispira, ci sono quei momenti in cui ti ritorna tutto in mente, senza un motivo preciso. E non puoi fare nulla per scacciarlo, così afferri un foglio, scrivi e la penna torna ad essere la tua migliore amica. Perché i demoni non spariscono mai veramente.
I tuoi testi sono sempre più personali, più oscuri. Gli altri ragazzi non li capiscono, non fino in fondo. Credono che tu voglia semplicemente un cambio di stile, mentre la verità è che ti sembra più spesso di affondare nei ricordi e hai bisogno di sfogarti.
“I'm scared to get close and I hate being alone...”
Eri solo. Eri spaventato. Ora non più, ora stai bene, ma le memorie ti martellano il cervello e tu vorresti solo tremare e piangere e urlare al mondo cosa hai provato veramente.
“I long for that feeling to not feel at all. The higher I get, the lower I sink, I can't drown my demons, they know how to swim.”
La tua mano trema, traccia incerta le parole. I ricordi si mescolano nella tua mente insieme a una tristezza e una rabbia che non ti appartengono più, ma che in questo momento provi come se fossero più vive che mai.
E sai che il passato non si può mai veramente dimenticare, che la notte è la tua benedizione e la tua maledizione, che i lupi saranno sempre alla tua porta ad aspettare la tua caduta.
Ma non cadrai. Non questa volta.
Perché ci sono sprazzi di paradiso in ogni giorno della tua vita, in ogni cosa che fai, nella tua voce, nella tua musica, nei sorrisi dei tuoi amici, nell'amore che provi.
Ed è questo che ora scrivi, come introduzione di una canzone che forse chiamerai “Hospital for souls”, e trovi finalmente il modo di affogare i tuoi demoni.
Scrivendo della speranza. Perché stasera la penna è la tua migliore amica. E neanche il più forte dei demoni può vincere in eterno.
   
 
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