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Autore: JustInLove_    04/08/2013    2 recensioni
". Lui si chiamava Harry, ma tutti lo chiamavano Mick perchè andava pazzo per i Rolling Stones e Mick Jagger, il loro leader, era il suo idolo. Lui era più grande di me, andava in terza ed io neanche lo conoscevo. "
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Anche il banco di scuola su cui scrivi ha una sua storia, sai?" gli domandò la donna. "Era il 1994, se non ricordo male, ed io ero alla fine della prima superiore, nella stessa scuola che frequenti tu ora. Ero una ragazzina spensierata, vivace, forse anche troppo, la classica pecora nera della situazione. In quel periodo non ne volevo sapere di niente e di nessuno, tranne che di Mick. Lui si chiamava Harry, ma lo chiamavano così perchè andava pazzo per i Rolling Stones e Mick Jagger, il loro leader, era il suo idolo. Lui era più grande di me, andava in terza ed io neanche lo conoscevo. Mi sentivo veramente sciocca: questa cotta mi imbarazzava così tanto che non ne avevo parlato con nessuno. Passo l'estate e pensavo di essermi dimenticata di lui, ma all'inizio del nuovo anno scolastico successe una cosa che non mi sarei mai aspettata: entrai in classe il primo giorno di scuola e mi fiondai senza neppure pensarci al banco vicino alla finestra, in ultima fila. Mi sedetti, lo guardai e rimasi come pietrificata. Decine di domande mi pervasero la testa in quel momento: chissà cos'ha combinato seduto qui? Quanti appunti ha preso? Quanti scarabocchi ha disegnato? Quante ore ha passato annoiandosi? Quante ridendo?", il ragazzo la interruppe: "cosa? non capisco! cosa vogliono dire tutte queste domande? Di chi stai parlando? Cos'aveva di così speciale quel banco?". La donna sorrise. Era così presa nel raccontare quei fatti che le sembrava di viverli di nuovo. "Quello...quello era il banco di Mick" sussurrò, cercando di nascondere con le mani il rossore delle sue gote, proprio come una quindicenne innamorata. "Lo capii da un'incisione nell'angolino in basso a destra, una M in script capovolta, che era come una firma con cui si faceva riconoscere. Guardando quella scritta, toccando quel banco, mi sembrava che l'estate non fosse passata, di essere ancora la ragazzina di prima con una cotta per il ragazzo di terza. Così, da quel giorno, passavo le giornate di scuola ad immaginare tutte le cose che avrebbe potuto aver scritto su quel banco. Senza pensarci cominciai, giorno dopo giorno, a scarabocchiare su esso, finchè non diventò un'abitudine. Iniziai a trascriverci tutti i miei pensieri, tutto ciò che mi passava per la testa: era diventato una sorta di diario per me, su cui mi sfogavo e quotidianamente cancellavo alla fine dell'ultima ora. 
Un giorno, mentre ero assorta nei miei pensieri, mi cadde una penna sotto il banco; mi chinai per raccoglierla e notai che nella parte inferiore di esso, vi era un bigliettino attaccato ad una gomma da masticare consumata. Incuriosita, lo staccai, e lessi ciò che c'era scritto all'esterno: "per Mick". L'idea di aprirlo e leggerlo non mi passo neanche per la testa. In quel momento avevo fra le mani qualcosa che avrebbe dovuto avere Harry e non pensavo ad altro; più lo guardavo e più il cuore mi batteva forte nel petto. In quel preciso istante capii che non potevo più passare le mie giornate a fantasticare su di lui e che avrei dovuto dare una svolta a tutto questo: il giorno seguente sarei andata da lui, gli avrei dato il biglietto e mi sarei presentata. Testarda com'ero, quando decidevo di fare una cosa, la facevo, senza pensare alle conseguenze e senza darne conto a nessuno. Quella notte non chiusi occhio.
La mattina seguente arrivai a scuola pronta per affrontarlo e lui era li, davanti la porta della sua classe, circondato dai suoi compagni. Era il più bel ragazzo che avessi mai visto: ricci scuri, occhi verdi, spalle larghe, gambe che potevano far invidia ad una ragazza e sorriso perfetto. Timorosamente mi avvicinai, lui si girò nella mia direzione e mi sorrise. In quell'attimo mi parve che il mondo si fermasse, mi sembrò di conoscere Mick da secoli, come se in qualche vita passata ci fossimo già incontrati. I suoi occhi mi misero una tranquillità, una pace dentro che non avevo mai provato con nessun'altra persona prima d'allora. Il resto della gente, in quel momento, non contava. Gli consegnai il bigliettino trovato sotto il banco, lui lo aprì, lo lesse e scoppiò a ridere. Non mi disse cosa c'era scritto, e io non glielo chiesi, perchè in quel momento non importava. Ci trovammo subito a nostro agio e cominciammo a parlare come due vecchi amici, e questi "due vecchi amici" dopo qualche mese diventarono qualcosa di più, un qualcosa di più che avevo sognato per più di un anno, un qualcosa di più che dopo tre anni portò con sè un pancione, con il quale diedi gli esami di stato in quinta superiore. Molte persone mi squadrarono dal capo ai piedi in quei giorni, quasi con disprezzo, ma non me ne importava. Scelsi un posto qualsiasi su cui sedermi e per uno strano caso, il banco era lo stesso che 4 anni prima era appartenuto a Mick e l'anno successivo a me; lo stesso che riempii di cuori, a cui raccontai i miei sentimenti più profondi tramite una matita. Era quasi un segno del destino, e in quell'istante sentii che tutto sarebbe andato per il verso giusto". " e fu così che il mese successivo nacqui io!" - esclamò sorridendo Andrea - "Perchè mi hai raccontato questa storia, mamma?" Lei rispose: "Oggi ho partecipato alla tua assemblea di classe e ho visto qual'era il tuo posto!". Andrea la guardò perplesso. Il giorno dopo, arrivato in aula, corse verso il proprio banco, lo osservò e notò una piccola M capovolta sull'angolo in basso a destra. Tutto gli fu più chiaro: ero lo stesso banco che, 17 anni prima, aveva fatto incontrare i suoi genitori. Andrea si sedette al suo posto con un sorriso stampato in faccia, lo stesso di Mick, sperando che quel banco avrebbe portato fortuna anche a lui.
  
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