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Autore: Ryley    05/08/2013    1 recensioni
Inverno 2003
Una banda di ragazzi cammina per le strade distratte di Bristol. Tutti sono inconsapevoli.
Birre in mano, facce da folli e un segreto.
Quei cinque ragazzi inglesi non sono come tutti quegli inconsapevoli. Loro sanno.
Droghe, vita di strada, piacere.
Imparano cose nuove; vivere veloci, tutto è insignificante per loro.
Per i soldi, per il potere, per la fama, loro uccidono.
Le case sono allarmate da strani episodi, nessuno sa niente.
Loro sanno fin troppo bene però, loro sono i carnefici.
Vogliono divertirsi in modi differenti dai loro coetanei.
Ma tutto viene a galla prima o poi? Sono ancora tutti inconsapevoli.
Cambiano strada, i familiari preoccupati. Nessuno sa dove sono.
Ma le luci si abbassano, loro vogliono correre, festeggiare, invecchiare insieme.
Loro hanno il potere, l'Inghilterra allarmata, lo faranno ancora?
Morte per libertà. Sono stanchi di vivere nell'ombra
Che cosa hanno in comune la figlia di un biologo, un giocatore di poker, una cocainomane, uno studente modello ed un adulatore con un passato nascosto?
(Il nome di ogni capitolo è una canzone con il proprio artista - I hope you like it)
Genere: Avventura, Generale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 1:
Paint it black - Rolling Stones




«Spazzata via ogni traccia di cibo» ripeteva Harriet davanti al frigorifero semivuoto.
Era sempre così, i suoi fratelli non le lasciavano nulla. A soli dodici anni, due gemelli potevano svuotare un intero frigorifero e mezza dispensa.
Prese dal fondo del primo ripiano un barattolo di maionese rovesciato e privo di coperchio, filando in salotto per rimproverare i fratelli, inciampò in un pallone da calcio.
«Dove avete messo il coperchio piccoli mostri?» domandò con aria arrabbiata e allo stesso tempo scherzosa.
I due ragazzini non prestavano attenzione alla ragazza, bensì alla consolle dei videogame accesa da più di tre ore.
«Se l'è mangiato Mst. Rittle forse...»
Mst. Rittle era il gatto della famiglia, vecchio, brutto e senza un occhio. Lo fissava disgustata mentre buttava il barattolo nella spazzatura.
Era ormai ora di cena, la serratura della porta d'ingresso scattò, entrò un'uomo con un'agenda in mano.
«Sono a casa!» 
Esclamò il padre dei tre figli biondi come il sole. 
I due bambini spensero di colpo il videogioco correndo verso il padre. Poco dopo anche Harriet raggiunse l'uomo sul ciglio della porta, scocciata come al solito.
«Ciao principessa» disse il padre stampandole un bacio sulla guancia.
«Papà, questi due ingordi hanno svuotato il frigorifero, non c'è niente da mangiare»
Ci fu un attimo di pausa, l'uomo appoggiò il libro sul mobile in salotto.
«Ci arrangeremo, con il tonno in scatola magari»
«No. Sono stufa di mangiare tonno in scatola!»
Prese con cura il cappotto appeso all'attaccapanni, afferrò il berretto e mise il portafogli nella tasca del cappotto.
Il padre e i gemelli erano abituati a queste reazioni impulsive, appena dopo la morte della madre ad Harriet era stata diagnosticata una schizofrenia periodica, assumeva medicinali pesanti fino a pochi mesi prima, ammalandosi per anoressia. Il padre, biologo all'università, dedicava le sue giornate al lavoro, spesso dormiva fuori, conosceva donne; colleghe, sconosciute, molto più giovani di lui. I figli erano una benedizione trascurata, come macchie di caffè su una tovaglia già sporca.
«Dove stai andando?»
«Mangio fuori stasera»
Fu l'ultima cosa disse prima di dileguarsi per la via immensa. 
Bugiarda; Harriet non mangiava molto, e le solite scatolette la irritavano. Spesso lasciava i tre uomini per dedicarsi completamente a se stessa. Aveva l'aspetto di una ragazzina diciassettenne ma dentro giaceva una donna di quarantacinque anni. 
Era buio. Come l'inchiostro blu su una tela nera, si vedeva a stento il marciapiedi.
Non sapeva dove andare, probabilmente avrebbe passato la serata in un fast food, con i mano una bibita senza zuccheri, in fondo con le poche sterline che aveva in tasca poteva permettersi solo quello. E così fece.
Entrò nel locale deserto quel sabato sera, non dava importanza alle altre poche persone sedute ai tavoli, come le altre sei miliardi nel mondo, si mise in fila ed attendeva con ansia il suo turno.
«Buonasera» esclamò il cassiere al bancone con aria annoiata e stanca.
«Salve, una Cola per favore» 
«Bene. Una sterlina  »
Tirò fuori una piccola bustina in stoffa, contava le monete rimaste. Il ragazzo al banco ritirò gli spicci nel registratore con la stessa velocità con cui un serpente aggredisce la sua preda.
«Ecco la sua bibita»
Fece un cenno con  la testa per ringraziare e con la lattina in mano si guardava attorno.
C'era un ronzio silenzioso nell'aria, coppie parlavano affettuosamente... Harriet era sola.
«Avanti Nick, è il colpo grosso non possiamo perdercelo!» 
«Non so Jay, non sono sicuro»
Si sentiva bisbigliare dietro ad Harriet, due ragazzi di circa la sua età parlavano seduti ad un tavolo uno di fronte all'altro.
Harriet finì con origliare le loro discussioni.
«Avanti non farmi incazzare. La vedi quella donna tutta griffata alla mia destra? Inizieremo con lei»
«Ah! Ma come...»
«Tu lascia fare a me, l'hai portata la cosa?»
«Sì.»
La ragazza non capiva a fondo il loro discorso a causa del continuo e persistete ronzio. Però al volo captava le loro non  buone intenzioni.
Ci pensò per qualche secondo, voleva voltarsi per vedere in faccia i due individui.
Girandosi di colpo, si trovò davanti un ragazzo dalla carnagione chiara e i capelli scuri che sorseggiava una bibita, l'altro di fronte a lui girato di schiena era più pallido del compare, portava un berretto bordeaux.
Per pochi millesimi di secondo, il ragazzo moro la guardava insospettito. Fino a quando anche l'altro più pallido girandosi la vide.
 
Harriet imbarazzata riprese il cappotto e la lattina ancora piena e uscì svelta dal ristorante.
L'umiliazione pubblica era la sua rovina, spesso camminava insicura per non essere notata, anche se indossava abiti impegnativi,come quella sera. Un cappotto bianco e nero sopra ad una camicia in raso lunga fino alle cosce con un fiocco alla destra del colletto, con dei collant nero-trasparenti ed delle Francesine chiuse davanti di un color beige scuro, contornate da un berretto nero con davanti scritto "Bad Hair Day". Eccentrica, ma formale. Harriet Skawbojik.
La notte si era fatta ancora più scura e misteriosa, nessuno si sarebbe ricordato di lei.
Il padre addormentato in quei bicchieri di vino di troppo, i gemellini nei loro letti dopo la buona notte del genitore.
Era indipendente, sola nella notte più buia di ottobre.
Fuori ragazzi si scambiavano effusioni, bevendo birra e cantando ubriachi nel mondo.
Tutti volevano essere amati e accettati, tranne ad Harriet. A lei non importava.
Beveva in piccoli sorsi la sua Cola ghiacciata, camminava per una via sconosciuta di Bristol.
Freddo nell'aria, il berretto da skater sui folti capelli biondi lunghi fino a metà schiena. Era una come le altre su tutti gli aspetti; era alta e bionda, con gli occhi azzurro cielo, il naso alla francese contornato da piccole e numerose lentiggini.
Niente di più e niente di meno, una normale ragazza anglorussa. 
Sua madre lo era, riprese il suo cognome dopo la sua morte, aveva i suoi tratti identici, tranne il naso e le lentiggini. Quelle erano del signor Watson, suo padre.
Bristol era decorata da piccoli fari a led colorati che la dipingevano di ogni colore possibile, teneva il passo ferreo, voleva ritornare a casa. Troppi ubriachi per un mercoledì sera, non aveva paura.
Bussava continuamente alla porta di casa ma nessuna risposta, finestre, porte, garage completamente bloccati.
«Dai aprite!» urlava alla porta.
Era mezzanotte meno un quarto, così segnalava l'orologio da polso di Harriet illuminato da un lampione all'angolo della strada, fece un'altro giro.
Appena uscita dalla via principale imboccò una piccola scorciatoia, dai lungi palazzi pericolanti.
Si udivano sirene della polizia e schiamazzi di sottofondo.
«Avanti Jay buttala via! Andiamocene» 
Uno dei due ragazzi gettò via una borsetta tra i cespugli, correvano ininterrottamente.
«Ci stanno addosso...»
Urlava uno dei due.
Harriet camminava di spalle ignara della situazione, sorseggiava ancora la sua bibita ormai sgasata, qualcuno la spinse dal dietro.
«Eh ma che... ?!»
Una scia scura partiva dalla lattina frantumata sulla strada.
«Spostati! Avanti vattene...»
«Non mi muovo da qui, andatevene voi!»
La polizia era sempre più vicina. 
Il ragazzo col cappello afferrò Harriet per un braccio spingendola in un fermo tra due palazzi, nascosta, sul retro. Uno le teneva la mano sulla bocca per non farla urlare, attendendo l'arresa delle forze dell'ordine. 
Il cuore batteva all'impazzata, per la prima volta, Harriet aveva seriamente paura
La tenevano bloccata al muro, sudava freddo, mordeva la mano dello sconosciuto fino a farla sanguinare.
«Ah!»
Lasciò la presa con la mano insanguinata.
«Lasciatemi andare!»
«Zitta cazzo!»
Passarono a fianco dell'edificio, tutto andava bene per loro, la sirena lasciò la città. O così credevano
Aveva spinto il ragazzo sul cemento ghiacciato dalla brina di ottobre.
«Siete impazziti?» 
I due ragazzi si guardavano sorpresi, avevano avuto paura, certo che sì. Lo intuivano, Harriet era una tosta.
«Calma, mantieni la calma»  
Uno dei due teneva una mano sulla sua spalla, come per rassicurarla.
«Sono calma e comunque perché la polizia vi sta cercando?» 
Disse con un tono di preoccupazione, nonostante fossero sconosciuti per lei.
«Ehm...»
«Voi eravate al ristorante sulla tredicesima, seduti dietro di me!»
C'era voluto un po' riconoscerli, a causa del buio. 
Il ragazzo col cappellino la guardava sbigottito, fece cenno al altro. 
«Il tuo nome?»
«Prima ditemi i vostri»
Harriet aveva un tono acido e maligno ed ai due individui piaceva. Lei i nomi li conosceva, ma voleva sorprendersi delle false identità.
«Beh, come vuoi tu. Jay Turner. Nick Elgar.»
Tesero la mano all'unisono, i nomi combaciavano ed era sorpresa.
«Harriet Skawbojik» 
«Non avete risposto alla mia domanda. Perchè la polizia vi sta cercando?» 
Si accese una sigaretta, balzando davanti ad uno dei due, erano entrambi più alti di lei.
«Sai piccola, ci sono persone buone, e persone invece meno buone. Noi siamo la seconda categoria» 
Disse orgoglioso Jay, quello con i capelli più scuri.
«Mh, e invece siete dei figli di papà che per far eccitare le ragazzine incendiate le auto parcheggiate e rubate le borse alle signore solo per credervi i James Deen della situazione» 
«Tu non sai niente di noi» 
La faccia da inglese orgoglioso si dissolse in una piccola smorfietta dell'altro ragazzo. La ragazza appannava gli occhi dei due con il fumo della sua Chesterfield.
«A me basta questo» 
Disse dileguandosi. 
«Dove stai andando?» 
Girandosi rispose di dovere a Nick.
«Mi accompagnate?»
«Dove...» 
«Oh, un po' qui, un po' lì. Godiamoci la notte.» 
«Ci stiamo!» 
Le tranquille vie di Bristol erano urtate dalle risate dei tre ragazzi diciasettenni, la una, le due, le tre....
«Ok,ok ragazzi ora riportatemi a casa, su» 
Ripresero in silenzio la via Kennedy, fino all'entrata del cancelletto.
«Jay... Nick...» 
«Sì?» 
Ripetevano in coro.
«Non cercatemi più, siamo intesi?» 
Lasciò i due sul ciglio della strada, in casa nessuno la aspettava.
  
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