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Autore: andromedashepard    06/08/2013    4 recensioni
“Speravo dormissi, almeno tu”, disse Thane quando lei ebbe aperto il portellone. Le sembrò esausto. Coprì con due brevi falcate la distanza che li separava, uno sguardo che lei non seppe interpretare. “Dammi un buon motivo per andarmene”, aggiunse, appoggiando la fronte contro la sua. Lei trattenne il respiro, mentre le sue dita si intrecciavano ai suoi capelli. Se c’era davvero un buon motivo, lei non lo conosceva.
#Mass Effect 2 #Shrios
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Thane Krios
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Andromeda Shepard '
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"And I'm shaken then I'm still
 
When your eyes meet mine
 I lose simple skills
 
Like to tell you all I want is now”

 (Snow Patrol, "Set down your glass")


 [x

 

 

Quella notte non avevano parlato di Kolyat o del passato; si erano stranamente trovati a discutere di libri e di filosofia. “Ho letto molto i vostri filosofi”, aveva detto Thane, “riflettono il pensiero di una specie interessante. Siete curiosi, pieni di domande, e scappate sempre da voi stessi. Perché?”
Quell’interrogativo l’aveva messa in difficoltà, perché riusciva a rispecchiarcisi in pieno. “D’altra parte”, aveva aggiunto lui, “siete molto più simili a noi rispetto alle altre specie della Galassia. Abbiamo un’aspettativa di vita media piuttosto simile, caratteristiche fisiche simili… e questo mi ha facilitato il compito di comprendere alcuni concetti”.
Shepard non aveva mai ponderato su quell’aspetto, anche perché, francamente, non aveva mai avuto modo di dedicare del tempo a certi argomenti. Le sue uniche letture di spessore risalivano ai tempi prima dell’addestramento, quand’era ancora una ragazzina piena di speranze e sogni, quando andava alla ricerca di qualcosa in cui credere e cambiava costantemente modo di vedere la vita a seconda che leggesse questo o quell’altro autore.
“Posso farti una domanda?”, gli chiese improvvisamente, approfittando di un breve momento di silenzio. “Sono qui per questo”, aveva risposto lui, accennando un sorriso.
“Hai detto di aver letto molto, di essere entrato in contatto con tante correnti di pensiero diverse, ma stasera ti ho visto pregare. Perché?”
“Se pensi che la filosofia serva a smettere di credere in qualunque cosa ti sbagli, Shepard”, rispose, distendendo un braccio lungo lo schienale del divano, “Per come la vedo io, essa ti fornisce solo gli strumenti giusti per analizzare il mondo, ma fondamentale poi è il punto di vista di un individuo e il suo passato, ciò che lo circonda”.
Shepard mormorò un “mmm”, mentre si accarezzava il mento pensierosa, portandosi la coperta fin sopra le labbra.
“In cosa credi tu?”, le domandò lui, attirandosi il suo sguardo perplesso.
“Diavolo… non lo so. E forse è peggio, non è così?”
“Penso che forzarsi a trovare delle risposte, anche quando non ce ne sono, è sempre infruttifero. Le troverai solo quando avrai le giuste domande”.
“E quand’è che avrò le giuste domande?”
“Quando saprai di cosa hai davvero bisogno”.
E di cosa ho bisogno, io?
Shepard si strinse nelle spalle, cercando i suoi occhi. Lui citò una frase di Schopenhauer e iniziò a spiegarle il suo punto di vista su quell’argomento, ma per quanto l’affascinassero le sue parole, la mente continuava a portarla verso un’altra direzione. I suoi occhi scivolarono sulle sue labbra, distrattamente, percorrendone i contorni, come rapita. Le sue orecchie si fecero cullare dalla sua voce, captandone le tonalità ma non il significato. Quando lui smise di parlare, lei si riebbe, rendendosi conto che Thane aveva finito la frase con un punto di domanda al quale nei non sapeva assolutamente cosa rispondere. Annuì, tentando di mascherare l’assoluta mancanza di attenzione, ma lui aveva capito e sorrise, rassegnato.
“Forse è ora di andare a dormire”, disse semplicemente mentre si alzava dal divano, con un sorriso che non accennava a scomparire dal suo volto.
“Avessi almeno la forza di raggiungere l’ascensore”, scherzò lei, con gli occhi che le si chiudevano a fessura. “Credo proprio che per stanotte, questo sarà il mio letto”, concluse accarezzando il divano con una mano.
“Buonanotte, Comandante”.
“Buonanotte, Krios”.
 
 
 
L’indomani mattina, prima di ripartire, Shepard decise di invitare Garrus al poligono di tiro. Gli aveva mandato un breve messaggio e lui aveva risposto senza farsi attendere, facendole tirare un sospiro di sollievo. S’incontrarono fuori dalla Normandy e presero un taxi. Il silenzio fu il loro terzo incomodo finchè entrambi non si trovarono con un fucile in mano e due sagome di cartone davanti. Solo allora le parole iniziarono a fluire spontaneamente.
“Io… Shepard, io vorrei solo sapere il motivo della tua esitazione”, si sfogò finalmente Garrus, dopo aver centrato la fronte della sagoma umana.
Shepard caricò un colpo in canna, prendendo la mira con l’occhio destro. “So che probabilmente non è la risposta che vuoi sentire”, disse, premendo il grilletto, “ma io sono quel tipo di persona che si fa scrupoli di fronte ad un uomo disarmato, fosse anche il peggiore bastardo della Galassia”. Il proiettile bucò la sagoma dove ci sarebbe stato un cuore.
“Lui ci ha traditi tutti, ha tradito i suoi amici, li ha fatti ammazzare e per poco non sono morto anche io. Questo non ti bastava per convincerti?”, domandò lui, aumentando la distanza delle sagome di dieci metri.
“A mente lucida, sì, ma in quella situazione… non so, è qualcosa che non so descrivere. Qualcosa dentro di me mi ha fatto provare pietà. Sapevo che avrei visto quell’uomo morire davanti a me, se solo mi fossi spostata, e ho avuto… paura”, confessò, rivolgendogli uno sguardo dietro gli occhiali protettivi.
Garrus imbracciò il Mantis, inserendo un’altra clip termica e si preparò a sparare. “Avrei voluto che ti mettessi nei miei panni e nei panni dei miei amici morti, anziché nei suoi”, disse, facendo partire il colpo in direzione dell’ipotetico setto nasale.
“Ho sbagliato, va bene? Ho sbagliato e me ne pento, ma non posso cambiare quello che sono”, rispose Shepard, trapassando la sagoma dove ci sarebbe stata una gola.
“Che avresti fatto se al posto di Sidonis ci fosse stato uno schiavista Batarian?”, Garrus aumentò ancora la distanza dei bersagli.
Le mani di Shepard si fecero più salde intorno all’arma, i denti stretti. “Questo è ingiusto, Garrus. E lo sai”, sparò centrando la sagoma in mezzo agli occhi. “Dio… non pensavo saresti arrivato a tanto”, gemette, poggiando il fucile e togliendosi le cuffie isolanti. Si allontanò e si prese la testa fra le mani, dandogli le spalle.
Garrus abbassò il fucile e lo poggiò davanti a se, voltandosi a fronteggiarla con uno sguardo dispiaciuto. Shepard aveva fatto così tanto per lui, incoraggiandolo a diventare una persona migliore, riponendo in lui una fiducia quasi cieca, chiedendogli di seguirla come se sapesse esattamente che era l’unica cosa di cui aveva bisogno… E lui la pugnalava così, adesso, accecato dalla delusione di trovarla in disaccordo, di non sentirsi capito.
“Non è la tua esitazione che mi ha fatto male, Shepard. E’ il senso di colpa che è nato da quell’esitazione. E’ il potere che hai su di me, di farmi pentire delle mie stesse scelte quando tu non le condividi”.
L’amicizia, eccola lì, di fronte ad un paio di sagome di cartone bucherellate. E colpiva come un pugno nello stomaco e una carezza delicata. Shepard non seppe cosa rispondere, pietrificata da una simile confessione, ma conscia del fatto che anche per lei fosse lo stesso.
“Se non mi sentissi così anch’io, Vakarian, pensi che staremmo qui a discuterne?”, gli domandò dopo un lungo silenzio, sciogliendosi in un sorriso.
“Lo so, so che ci tieni quanto me. Non voglio perdere la tua amicizia per questa storia, Sidonis mi ha tolto già troppo”.
Shepard gli si avvicinò, guardandolo in modo rassicurante. “Allora lasciamocelo alle spalle, una volta per tutte. E’ andata”.
“E’ andata, sì…”
 
 
La settimane successive furono un percorrere incessante di parsec lungo tutta la Galassia, alla ricerca di risorse utili per la missione finale, compresi nuovi membri dell’equipaggio. Erano tornati su Illium e Shepard aveva convinto una Justicar ad unirsi alla sua missione, non senza sporcarsi un po’ le mani per questo. Aveva incontrato Liara che le aveva chiesto aiuto per una faccenda importante, ma avevano dovuto rimandare a tempi più tranquilli. Era stata su una prigione di massima sicurezza controllata dai Sole Blu per reclutare una potente biotica, ma una volta lì avevano tentato di rapirla e anche quella volta aveva dovuto sporcarsi le mani, e parecchio. Aveva reclutato un mercenario, ex fondatore del Branco Sanguinario, e la ladra più abile dell’intera Galassia… Adesso la sala mensa a pranzo era un vociferare allegro e rumoroso e Shepard aveva imparato ad apprezzare anche la presenza dei nuovi arrivati che si mescolavano ai vecchi.
Erano stati giorni faticosi, in cui le poche ore libere a disposizione le aveva passate a revisionare rapporti, dormire e, saltuariamente, concedersi chiacchierate con l’equipaggio. Tutto quel lavoro era stato una mano santa. Shepard aveva dimenticato l’episodio di Sidonis e Garrus era tornato a pranzare insieme a loro e a prenderla scherzosamente in giro quando lei ne combinava una delle sue, ugualmente Tali si era finalmente tranquillizzata e aveva smesso di ammutolirsi quando si trovava in mezzo a loro. Sembravano essere tornati esattamente come ai vecchi tempi e questo era il motivo per cui adesso Shepard riusciva a dormire la notte, se non fosse per un pensiero che la veniva regolarmente a trovare un attimo prima di chiudere gli occhi… Thane. Non lo vedeva mai in giro per la nave, non lo vedeva mai chiacchierare con nessuno e l’unica volta che gli era capitato di portarselo in missione era stato silenzioso e concentrato come sempre. Più volte aveva provato l’impulso di andare a trovarlo al Supporto Vitale, ma dopo l’ultima volta provava imbarazzo. Non riusciva a togliersi dalle mente i momenti in cui si era persa ad osservare il suo volto, mentre il suo istinto le suggeriva cose che la ragione si ostinava a rifiutare. Chissà che idea doveva essersi fatto di lei, dopo i segnali contraddittori che lei gli aveva inviato, prima trattandolo come l’ultimo dei mercenari, poi ringraziandolo di averle fatto aprire gli occhi. Si era tenuta persino lontano da Extranet, seppellendo con imbarazzo quella strana curiosità che aveva provato nei suoi confronti, continuando a ripetere a se stessa di essere una stupida, quando si trovava a cogliere quell’inconfondibile bagliore nei suoi occhi in sala briefing, prima di una missione. Alla fine faceva finta di niente anche quando si ritrovava a guardarsi allo specchio piena di domande: di cosa ho bisogno, io?
 
 
Erano passati dieci giorni prima che EDI suggerisse a Shepard di fare una sosta per scaricare l’energia oscura accumulata in seguito ai salti iperluce. Si fermarono nei pressi di una stazione sperduta da qualche parte nei Sistemi Terminus, giusto il tempo di fare rifornimento e un po’ di sana manutenzione; sarebbero ripartiti proprio l’indomani.
Shepard si trovava nella propria cabina quando il Drive Core cessò di ronzare e tutto piombò nel silenzio dopo una breve vibrazione, segno che i motori erano stati spenti. Odiava quella sensazione, sembrava che tutto si fermasse all’improvviso e le cose acquistassero un significato diverso. Chiese ad EDI di comunicare all’equipaggio che tutti coloro che non erano di turno sarebbero stati sospesi dalle proprie mansioni per la serata, poi andò a fare una breve doccia.
Dopo essersi rivestita ricevette una strana chiamata da parte di Joker sul factotum. “Comandante, ti aspettiamo in sala mensa”, aveva detto, accompagnato da alcune risate sommesse di sottofondo.
Che diavolo sta succedendo?
Legò i capelli in una coda e prese subito l’ascensore, assumendo una postura severa ancora prima di scoprire chi e cosa avessero architettato. Quando svoltò l’angolo, l’espressione dura del suo volto si sciolse e lei si lasciò andare ad una risata rassegnata alla vista di tutto il suo equipaggio radunato dietro al tavolo degli ufficiali, spumante in mano e uno strano pasticcio pieno di candeline a fissarla minacciosamente. “Buon compleanno Comandante!”, esclamarono in coro, inzuppandola di frizzante dalla testa ai piedi. Lei si prese il volto tra le mani, restando a corto di parole, mentre arrossiva e cercava di sopravvivere all’imbarazzo derivante dalla stupida canzoncina che seguì all’applauso. Poi lo sguardo le cadde automaticamente su Grunt e non riuscì a non piegarsi in due dal ridere, nel vederlo intonare una simile melodia con il suo vocione da Krogan. Non poteva crederci.
Si avvicinò a Joker mentre gli altri iniziavano a versarsi da bere e gli abbassò la falda del cappello sugli occhi, come al solito. “Sei tu il responsabile di questa follia?”
“Se non ci pensavo io, chi l’avrebbe fatto? Dubito che tu abbia il tempo di ricordarti il giorno del tuo compleanno, Comandante”, rispose quello, sistemandosi il cappellino.
“Di questo devo dartene atto”.
“Perché, avevi dubbi?”, intervenne Garrus affiancandoli, rivolgendosi al pilota.
“Un momento… non dirmi che hai persino corrotto EDI per convincermi a sostare!”, Shepard strabuzzò gli occhi, protendendosi verso Joker.
“Anche se fosse, ormai è troppo tardi… e poi la Normandy aveva davvero bisogno di una lucidata”.
“Dannazione Joker, se non fosse che hai le ossa di cristallo adesso te la staresti vedendo con me alla vecchia maniera”.
Kasumi si materializzò improvvisamente davanti a loro, mentre sorseggiava un bicchiere di spumante con aria divertita. “Goditi la festa, Comandante… il compleanno è una cosa che si fa solo una volta l’anno”, sorrise porgendole un pacco rettangolare.
“E questo che sarebbe?”, domando Shepard, ancora più sconvolta.
“Qualcosa che vale intorno ai dieci crediti al millilitro”, sorrise lei prima di scomparire nuovamente.
Shepard sospirò scuotendo il capo e si convinse a prendere anche lei un bicchiere di spumante, appoggiando il regalo di Kasumi sul tavolo. Tali e Kelly la raggiunsero e fecero un brindisi, avvicinate poi da Miranda che sembrava aver momentaneamente perso la sua solita aria di superiorità. Un’ora dopo la situazione era solo peggiorata, almeno otto bottiglie di spumante giacevano vuote in giro per la sala e altrettante erano in procinto di essere consumate. Alcuni giocavano a poker, altri chiacchieravano in un angolo. Persino Jack aveva preso parte ai festeggiamenti, “saranno secoli che non mi faccio una birra”, si era giustificata, attaccandosi alla prima bottiglia disponibile. Mordin dispensava consigli di origine sessuale a chiunque e Tali era praticamente fuggita in seguito a chissà quale tipo di avvertimento. Samara veniva importunata da uno Zaeed piuttosto ubriaco che tentava di raccontarle le imprese eroiche dei suoi giorni migliori e Jacob sorrideva imbarazzato di fronte alle misteriose proposte di Kasumi.
Ad un tratto Shepard si trovò da sola, col regalo della ladra giapponese in mano. Era una bellissima bottiglia blu, decorata finemente, che riportava una scritta in un dialetto per lei incomprensibile. La aprì e inspirò; doveva essere qualcosa di alcolico, ma squisito stando all’odore. Si fermò ad osservare il resto dell’equipaggio e si accorse improvvisamente cos’era che fino a quel momento si era dannata a cercare, senza trovarlo. Incoraggiata dai cinque bicchieri di spumante che aveva bevuto, afferrò un altro bicchiere e si dileguò.
 
 

“It's been minutes, it's been days
It's been all I will remember
I have been lost in your hair
And the cold side of the pillow”
 
(Crack the Shutters – Snow Patrol)

 
 
“Shepard”, Thane si alzò dalla sua branda e le venne incontro, con un’aria stranita.
“Thane”, rispose lei avanzando mentre sorrideva appena, “perché non sei di là con tutti gli altri?”, domandò. Si avvicinarono entrambi alla scrivania e lei poggiò la bottiglia e i due bicchieri sulla superficie metallica.
“Avrei voluto”, sospirò sommessamente, “ma… sono abituato a stare contro una parete, a sorvegliare gli accessi. Sono stato solo per dieci anni e stare con tutta quella gente…”, disse prendendo posto sulla sedia mentre Shepard faceva lo stesso su quella di fronte, “mi serve tempo, ecco…”
Shepard versò il contenuto della bottiglia nei bicchieri e ne spinse uno verso di lui. Thane, anticipando il suo gesto di una frazione di secondo, allungò la mano e si trovò a sfiorare con la punta delle dita quelle di lei. Si guardarono per un breve istante negli occhi, quasi come se una scossa elettrica si fosse irradiata dal quel contatto, poi entrambi si concentrarono sul contenuto del bicchiere, mandandolo giù tutto d’un fiato. Si guardarono di nuovo e risero insieme, tossendo. “Forse avremmo dovuto semplicemente sorseggiarlo”, commentò Shepard battendosi il petto. “Dio, se è forte questa roba…”
Thane sorrise, ricomponendosi, e appoggiò i gomiti sul tavolo. “Allora… cosa si festeggia?”, domandò.
“Oh… niente d’importante. Joker si è ricordato del mio compleanno…”, rispose lei gesticolando imbarazzata. “Credo volessero solo un attimo di pausa, ultimamente abbiamo lavorato sodo”.
“Se avessi saputo sarei venuto di sicuro. Mi dispiace”, si giustificò lui, mortificato.
“No, figurati… è solo che se ti tieni in disparte tutto l’equipaggio perde qualcosa. Non sono così male, quelli là fuori. Credo ti troveresti bene a chiacchierare con Samara”.
“Mi trovo bene a chiacchierare anche con te, Shepard”.
Merda…
Shepard si grattò il capo abbassando lo sguardo, mentre non riusciva a frenare il sorriso che nasceva sulle sue labbra. “Non mi hai più raccontato di Kolyat. Come sta?”, chiese, cambiando discorso.
“Ci sentiamo regolarmente da quel giorno. Brevi messaggi, il più delle volte mi risponde a monosillabi, ma Bailey gli ha trovato un’occupazione presso il C-Sec e sembra entusiasta. Lo devo a te, Shepard. Se non fosse stato per il tuo aiuto, adesso si troverebbe in una cella”.
Lei sorrise e riempì un’altra volta i bicchieri, lentamente. Si rese conto che le mani le tremavano leggermente e la vista era sfocata, poi realizzò che non toccava un vero alcolico da anni e tutti quei bicchieri di spumante stavano iniziando a fare effetto. Thane prese il bicchiere e lo sollevò, facendolo scontrare lievemente con quello di lei. “Buon compleanno”, disse, mentre i bicchieri tintinnavano.
“Grazie”, rispose lei appoggiando le labbra al vetro.
“Quanti anni hai?”
Shepard sorrise. Non gli sembrava il tipo da fare domande inopportune, ma non essendo un Umano, probabilmente quella era per lui una domanda come le altre. Lei si portò una mano al collo ed estrasse la sua dogtag, poi si sporse verso di lui, mostrandogliela. Thane si avvicinò, curioso. Non guardò subito la medaglietta, invece guardò i suoi occhi, e lei fece lo stesso. Poi, imbarazzata, sollevò maggiormente la dogtag e lui fu costretto ad prenderla fra le sue mani abbassando lo sguardo mentre le loro dita si sfioravano nuovamente. “Per avere sulle spalle il destino di un’intera specie, sei giovane”, disse.
Lei fece spallucce sorridendo e ripose nuovamente la medaglietta sotto la maglia. “Lo prendo come un complimento”.
“Lo è”.
Maledizione.
Shepard indugiò sul bicchiere più a lungo possibile, mentre i suoi occhi si stringevano in un sorriso. Quel contatto. Shepard l’aveva sentito, freddo, sotto la sua pelle e avrebbe voluto rifarlo. Sentiva un nodo alla gola ogni volta che incontrava i suoi occhi, scorgendo quel bagliore nelle sue pupille di ossidiana. Deglutì, tentando di trovare qualcos’altro da dire, ma lui la precedette.
“Voi umani… sembrate così fragili.”
Lei si sentì come se avesse appena letto nella sua mente. “Cosa?”
“La vostra pelle…”
 

La mia presa è salda, lui non oppone resistenza, pelle morbida sotto le mie dita, devo agire in fretta, prima che soffra. Un movimento preciso dei polsi e il suo collo si spezza sotto le mie mani. Mi allontano, il cadavere si accascia sul pavimento.

 

Shepard restò a fissarlo con le labbra dischiuse e gli occhi spalancati, mentre un brivido correva lungo la sua spina dorsale.
“Scusami. Non so davvero come…”, provò a dire Thane, visibilmente a disagio.
“No, non preoccuparti. Memoria perfetta”, disse lei, tentando di rassicurarlo con un sorriso. “Come fai a conviverci? Non è doloroso?”, domandò poi, tentando di scrollarsi quella spiacevole sensazione che aveva provato nel sentirlo rivivere quel ricordo.
“A volte può esserlo, ma riesco sempre a ritrovare il contatto con la realtà. Posso ricordare qualunque cosa con estrema precisione… l’odore di erba appena tagliata, il calore di una mano stretta alla mia, il sapore della lingua di una donna nella mia bocca… Non preferiresti perderti in certi ricordi che passare certe notti a fissare muri di plastica e metallo?”
Shepard arrossì violentemente. A volte avrebbe davvero voluto che evitasse di essere così sincero.
“Thane…”, disse, massaggiandosi una tempia, “non ti imbarazza parlare di queste cose?”, domandò d’istinto.
“Scusami, tu sei la prima persona con cui parlo davvero dopo anni e io ultimamente ho passato tanto tempo a riflettere sulla mia vita…”
Lei si strinse nelle spalle, versando ancora di quella bevanda sconosciuta nei bicchieri. “Non scusarti. Piuttosto, noi Umani dovremmo evitare di sentirci a disagio di fronte a… beh, insomma…”
“Siamo fatti così, siamo diversi, perché cambiare la nostra natura?”, sorrise lui, mandando giù un altro sorso.
Mezz’ora dopo, quella bottiglia preziosa come il più raro dei minerali, giaceva vuota sulla scrivania, mentre Shepard e Thane ridevano di gusto come se non avessero mai fatto altro nella vita. Lei si sentiva la testa e i piedi leggeri, i movimenti erano sciolti e le parole fluivano libere, lui aveva dimenticato per un attimo i suoi problemi e si rendeva conto che non rideva così da una vita intera. La guardava, ascoltava la sua risata limpida, dolce, cristallina e aveva voglia di stringerla a sé e continuare a ridere con lei, per chissà quale assurdo motivo.

“E poi Grunt ha urlato IO SONO KROGAAAAAN!, scagliando quel bestione sopra la testa di Tali”, raccontò lei, piegandosi in due al pensiero di quel ricordo. “Dovevi vedere la faccia di Garrus quando gli è cascato praticamente addosso… Comandante! Io quello non ce lo voglio in squadra!, mi ha detto muovendo quelle sue mandibole tutto arrabbiato… E io sono scoppiata a ridergli in faccia, e così tutta la squadra dopo di me”. Shepard aveva le lacrime agli occhi e Thane rideva, deliziato da quel racconto. “Avrei voluto esserci”, disse sinceramente. Lei, d’istinto, allungò un braccio e lo poggiò sul suo. “Vedrai che ci omaggerà ancora con le sue gesta eroiche”, disse, prima di avvertire dei rumori sospetti dietro al portellone. S’interruppe immediatamente, schiarendosi la voce e si alzò per andare a controllare, lottando contro un senso dell’equilibrio fortemente alterato. Quando aprì si ritrovò Joker e Garrus, visibilmente brilli, che a stento si reggevano in piedi. Alla vista del Comandante, subito assunsero una postura composta e fecero il saluto militare, scoppiando a ridere subito dopo. “Imbecilli”, rise Shepard di rimando e si richiuse il portellone alle spalle, decisa ad ignorarli. Era esausta, aveva riso e parlato troppo, e tutto le sembrava girare intorno. Guardò Thane e provò il desiderio incontrollabile di avvicinarsi a lui e lasciarsi cadere nelle sue braccia. Non capiva cosa le stesse succedendo, ma non se ne preoccupava. Era tutto perfetto, in quel momento. Nella sua mente, neppure i Collettori erano una minaccia. Si avvicinò al pannello dei controlli e spense le luci, lasciando che l’unica fonte luminosa fossero le lucine d’emergenza che percorrevano tutta la sala di contenimento del Drive Core, poi si allungò sulla branda di Thane. Inspirò a fondo e per la prima volta sentì il suo odore, impresso nelle lenzuola. Fresco, leggermente fruttato, sapeva d’estate e d’inverno insieme. Sorrise nel buio, la mente vuota e pacifica. Thane si alzò dalla sedia e si sedette sulla branda, sollevando le sue gambe. Neanche lui fece domande, nessun commento. Le mani scivolarono sui suoi stivali, aprendone le fibbie ad una ad una, con deliberata lentezza. C’era silenzio, nessuno di loro osava parlare. Shepard lo lasciò fare, mentre una parte di sé continuava a chiedersi fin dove si sarebbe spinto. Lui le sfilò delicatamente gli stivali e li poggiò a terra senza fare il minimo rumore, poi si sdraiò dietro di lei con la leggerezza d’un felino. A lei mancò il respiro per un attimo, il suo pugno si strinse attorno a un lembo del lenzuolo, i suoi occhi verdi spalancati nel buio, i sensi intenti a captare ogni movimento dietro di lei. Lui le slegò il capelli con delicatezza e affondò il viso in quella matassa color rame, mentre una mano scivolava lungo i suoi fianchi e risaliva a sfiorarle le braccia.
L’ultima cosa che lei avrebbe ricordato, era il suo respiro sul collo e lui che la teneva stretta.

   
 
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