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Autore: Ginny2301    07/08/2013    2 recensioni
Piccola One-Shot all'inizio molto Angst e poi Fluff e con finale comico :)
Lui aveva detto “fantastico!” mentre tutti gli altri avevano detto “vaffanculo”.
Lui era quello che aveva ucciso un tassista il primo giorno che si erano incontrati per potergli salvare la vita.
Lui era quello che aveva dato un pugno al capo della polizia che l'aveva offeso.
Lui era quello che si era fatto ammanettare con lui e l'aveva aiutato a scappare.
Genere: Angst, Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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From nightmare to dream and back






Sherlock era stato lento.


Aveva appena risolto un caso con John e si erano trovati costretti a inseguire l'omicida per le strade di Londra. Niente fuori dall'ordinario della loro vita insieme, dopotutto. Avevano corso a perdifiato, rischiando di farsi mettere sotto dalle macchine e sbattendo contro praticamente ogni passante che incontravano. Quando avevano svoltato in una stradina laterale, Sherlock l'aveva sentito ridacchiare. Lo aveva guardato sottecchi mentre il viso di John si era illuminato di un sorriso pieno di un'emozione che Sherlock aveva fatto fatica a identificare. Felicità, sì, ma forse... Anzi, decisamente c'era qualcosa di più profondo. Aveva sorriso di rimando con una sensazione di calore che piano piano si propagava dal petto fino alla punta dei capelli. In quel momento, il primo di una lunga serie, John Watson aveva eclissato la sua concentrazione sul caso. Era stato come se il tempo fosse rallentato. I loro respiri affannati, i loro sguardi che si erano indissolubilmente incatenati, John che aveva allungato una mano e Sherlock che senza pensarci un attimo l'aveva afferrata.

Sherlock non aveva pensato.

Normalmente la cosa l'avrebbe seccato, ma il calore della mano di John aveva surclassato anche quel pensiero. Il criminale aveva svoltato ancora e Sherlock e John si erano fermati dietro l'angolo con le orecchie rizzate. Si erano sentite delle grida.

«Ha preso degli ostaggi» aveva detto Sherlock e John aveva annuito gravemente.

«Avverti Lestrade, io vado a dare un'occhiata.»

«Vedi di limitarti a quello finché non arrivo» aveva borbottato John tirando fuori il suo cellulare, lasciando la mano del compagno. Sherlock aveva alzato gli occhi al cielo «John sono perfettamente capace di-»

«Sì, lo so di cosa sei capace, per questo ti dico: vedi di aspettarmi prima di fare l'esibizionista» l'aveva interrotto portandosi il cellulare all'orecchio. Sherlock aveva sospirato e poi si era affacciato all'angolo per esaminare la zona. Era un vicolo cieco: ce l'avevano in pugno. L'uomo, terrorizzato, aveva preso come ostaggio una prostituta e adesso le puntava la pistola alla testa con la mano che tremava violentemente, probabilmente a causa dell'astinenza dalle droghe.

«Andiamo?» aveva chiesto John una volta rimesso il telefono in tasca.

«Lestrade arriverà tra poco, ci conviene tenerlo d'occhio da qui, è più sicuro.»

«Sherlock quell'uomo è in astinenza. Non ragiona. Dobbiamo fargli lasciare andare l'ostaggio o potrebbe ucciderlo prima dell'arrivo di Lestrade.»

Si erano scambiati un'occhiata severa, poi Sherlock aveva ceduto «Bene. Andiamo.»

«Lascia parlare me.»

Aveva acconsentito con un cenno e si erano avviati insieme. Il criminale aveva messo la prostituta davanti a sé usandola come scudo e la stava minacciando puntandole costantemente la pistola alla testa. Quando però aveva visto Sherlock e John, l'aveva spostata verso di loro. Era un tipico venticinquenne trasandato, accaldato per la corsa che tremava sia per la paura che per l'astinenza dalle droghe. Gli occhi grandi e acquosi erano terrorizzati.

«Non avvicinatevi o le sparo!»

Sherlock aveva ribattuto «Non credo che lo farai. Stai tenendo la pistola puntata verso di noi e non di lei, il che indica una certa riluttanza, per di più da come tieni quell'arma è evidente che tu non hai la più pallida idea di come utilizzarla.»

John l'aveva fulminato con lo sguardo mimando con le labbra "tempismo, Sherlock!". Poi aveva preso in mano la situazione. «Qual'è il tuo nome, ragazzo?» aveva chiesto cercando di addolcire il tono.

«Brian Keen» aveva risposto lui, riportando la pistola sulla ragazza. Questa cominciò a piangere.

«Okay, Brian. Cerchiamo di... Fare un bel respiro e calmarci. Sappiamo che hai ucciso in preda all'astinenza dalle droghe e normalmente non avresti fatto quello che hai fatto.»

«Come lo sai?!» aveva strillato Brian. John aveva sorriso calorosamente e si era voltato verso Sherlock.

«A parte il fatto che la tua voce è suonata piuttosto disperata nella tua ultima esclamazione, è facile dedurre che hai passato parecchie notti insonni dalle occhiaie marcate, per quale altro motivo non saresti riuscito a dormire la notte se non per i sensi di colpa? È ovvio.»

Nonostante la delicatezza del momento, John non aveva potuto nascondere il solito sguardo d'ammirazione che gli rivolgeva ogni volta che assisteva ad una delle sue brillanti deduzioni. Era durato solo una frazione di secondo, ma Sherlock aveva sentito chiaramente la sensazione di calore al petto di prima.

«Visto?» John era tornato a rivolgersi verso Brian, che adesso sembrava ancora più terrorizzato dalle doti deduttive di Sherlock.

«Brian, lascia andare la ragazza. Non ti faremo del male. Sei tu quello armato qui, punta l'arma verso di me se ti farà sentire meglio, ma lei non c'entra niente. Non vorrai fare ancora lo stesso errore?»

Quell'ultima frase aveva risvegliato qualcosa nel ragazzo. Era impallidito visibilmente e aveva sussurrato un "no" impercettibile. Aveva lasciato brutalmente la prostituta che era caduta a terra, ancora scossa dai singhiozzi. Questa aveva alzato gli occhi e aveva incontrato quelli freddi di Sherlock che le stavano urlando di andarsene. Così aveva ubbidito, scappando goffamente sui tacchi.

«Bravo Brian. Hai fatto la cosa giusta» John si era avvicinato di qualche passo, tenendo le mani alzate e continuando a sorridere. «Vedi? Non sei un criminale. Hai solo problemi di droga. Puoi uscirne, sai.»

Il ragazzo aveva indietreggiato, la pistola gli tremava tra le mani come se fosse troppo pesante da tenere. «E tu che ne sai, eh?»

«Sono un dottore, lo so bene. Adesso calmati e fai un bel respiro.» Si era avvicinato ancora e stavolta Sherlock aveva dato un colpo di tosse in segno di ammonimento. Si stava spingendo troppo oltre.

«Brian tra poco la polizia sarà qui. Cosa pensi che ti faranno se ti vedono la pistola puntata verso di me? Ti crederanno un criminale. E tu non vuoi questo, vero, Brian?»

Il ragazzo aveva scosso il capo, stavolta senza indietreggiare. Ormai c'erano due o tre passi tra John e Brian. John aveva allungato la mano verso la pistola.

«Dalla a me, ragazzo.»

Brian aveva piano piano abbassato l'arma facendo saettare lo sguardo da quella a John. Ancora era incerto sul da fare. Lestrade era arrivato in quel momento insieme a tutta la sua squadra. Sherlock li aveva guardati come a dire "era anche l'ora che arrivaste". Brian aveva cominciato a iperventilare impugnando nuovamente la pisola con tutte e due le mani. John aveva ritirato la mano ma aveva continuato a parlare.

«Brian. Non fare sciocchezze. Dammi la pist-»

«STA' LONTANO DA ME!»

Brian aveva urlato e aveva premuto il grilletto.


E ora Sherlock se ne stava a guardare, mentre tutto intorno a lui si muoveva a rallentatore. Lestrade stava urlando qualcosa di indistinto, Sally Donovan fu la più veloce e mise le manette al ragazzo in pochi secondi.

Ma tutto questo lo percepì vagamente. La sua attenzione era fissa sul corpo dell'ex-soldato che cadeva lentamente e toccava il suolo come fa un vaso di vetro quando si infrange sul pavimento. Quasi era capace di vedere i frammenti di John che si sparpagliavano sull'asfalto londinese. Non riusciva a muovere un muscolo. Aveva paura ad avvicinarsi, a sentire il cuore che non batteva più. Una mano si appoggiò sulla sua spalla, ma la ignorò. Captò frammenti di una frase, il che gli bastò.


Fortunato.

Preso di striscio.

Svenuto per botta alla testa.


Sentì il sollievo inebriargli i sensi e subito un'altra emozione rischiava di sopraffarlo. Era bruciante, era calda e fredda, gli faceva battere il cuore all'impazzata, si guardava le mani e le vedeva vuote, come se mancasse qualcosa. Non poteva farsi vedere così. Si alzò scrollandosi di dosso chiunque gli avesse parlato e si voltò per avventurarsi nei meandri di Londra di notte, da solo.


John si svegliò un paio d'ore dopo, sul suo letto, con un mal di testa martellante. Su una sedia ai piedi del letto trovò Mycroft e il suo compagno di vita: l'ombrello. Si guardò ancora intorno, ma del Consulting Detective non c'era traccia. Inarcò un sopracciglio, preoccupato.

«Sta bene» lo rassicurò il maggiore degli Holmes. John sospirò di sollievo.

«Dov'è?»

Mycroft si mosse a disagio sulla sedia «Sospetto che l'esperienza emotiva a cui è stato sottoposto mio fratello sia stata un po' troppo da sopportare per lui-»

«Non lo sai» John lo guardò aggrottando le sopracciglia.

«No» ammise con un sospiro. L'ex-soldato chiuse gli occhi, buttando la testa sul cuscino e pentendosene subito dopo per il capogiro che seguì.

«Giuro che prima o poi lo ammazzo. Deve smetterla di sparire così.»

«Non essere duro con lui, John. Lo conosco abbastanza da dire che stanotte si è preso un gran bello spavento. Non ci è abituato, la situazione gli è sfuggita di mano. Ha solo bisogno di un po' di tempo per riorganizzare i pensieri.»

John concordò in silenzio.

«Dovresti riposare. Hai preso una brutta botta in testa. Rimarrò finché non torna mio fratello.»

«Questo sì che è confortante.»

Mycroft gli lanciò un'occhiataccia, ma non disse niente. John chiuse gli occhi.


A svegliarlo fu il rumore di una porta che si chiudeva. Stavolta, c'era la figura alta e riccioluta di Sherlock ai piedi del letto. Era in penombra e John non potè vederlo bene, ma vide con chiarezza le occhiaie violacee che gli circondavano gli occhi. Diede un'occhiata all'orologio: le quattro del mattino.

«Dove sei stato? Stai bene?» chiese John, con la voce impastata dal sonno, tirandosi su coi gomiti. Sentì una fitta al fianco destro: vi portò una mano e sentì una fasciatura. Poi ricordò. Sherlock ignorò le sue domande e si avvicinò. Spostò la sua mano dal fianco ed esaminò la fasciatura.

«Sherlock?» John riprovò. «Tutto okay?»

«Una meraviglia» rispose lui, freddamente. John scosse la testa.

«Non capisco perchè tu stia reagendo così. Non è mica la prima volta che rischio la vita.»

«Sì, ma stavolta sei vivo solo per un colpo di fortuna» sputò il detective allontanandosi di botto. Respirava affannosamente.

«È di questo che si tratta allora? La situazione ti è sfuggita di mano e capisco tu sia arrabbiato, ma-»

«Non è questo! La prossima volta potresti non essere tanto fortunato» disse fissandolo negli occhi.

«Mi hai avvertito. "Potrebbe essere pericoloso". Ricordi?»

Sherlock sospirò portandosi una mano tra i ricci neri e voltandosi verso la finestra. «Le cose sono cambiate da allora.»

«Cosa è cambiato?»

«Io.»

John rimase in silenzio, attonito. Sherlock proseguì «Prima non avrei mai lasciato che le mie emozioni prendessero il sopravvento come è successo. Stavolta non sono riuscito a controllarle» ammise continuando a dargli le spalle. «Quindi è per il bene di entrambi se tu-»

«No» lo interruppe fermamente John, mettendosi a sedere.

Sherlock si voltò «Non sai neanche quello che-»

«Sì che lo so. Io non vado da nessuna parte e tu nemmeno, non senza di me.»

«Io non posso permettermi di perd-»

«Non succederà.»

Sherlock sospirò «John ascolta-»

«No, tu ascolta! Si tratta sempre di te qui, vero? Tu devi assicurarti che io non venga ucciso, tu devi saltare da un edificio per salvarmi, tu ti senti troppo emotivo per i tuoi gusti. Ma guarda un po', esisto anche io e anche io ho delle emozioni e giuro che se provi ad allontanarmi ancora ti tiro un pugno e stavolta non risparmierò i tuoi maledetti zigomi.»

Sherlock abbassò lo sguardo. John notò che gli angoli della bocca si erano incurvati all'insù. Automaticamente si addolcì. Diede un colpetto con la mano sul materasso, invitando il detective a sedersi. Sorprendentemente, Sherlock obbedì.

«Cosa c'è che non va'?»

«Mi sento... Strano.»

«Del tipo?»

«Come se... Avessi bisogno di qualcosa, ma...» si guardò le mani tremanti «non so cosa. Mi sento vuoto.»

«Credo di sapere di cosa hai bisogno.»

Sherlock inarcò un sopracciglio «Illuminami.»

John non rispose e gli circondò il collo con le braccia. Stette ben attento a non incrociare il suo sguardo.

«Che stai facendo?»

«Si chiama "abbraccio", Sherlock.»

«E perchè mi stai abbracciando?»

«Perchè ne hai bisogno.» Gli tirò una leggera pacca sulla nuca «E smettila di essere così rigido, non ti sto puntando un coltello alla schiena.»

Sherlock rise poggiando la testa sulla sua spalla chiudendo gli occhi. Si rilassò respirando l'odore caldo e familiare di John. Improvvisamente si sentì stanco, ma la sensazione di vuoto era sparita.

«Come lo sapevi?»

«Cosa?»

«Che era di questo che avevo bisogno.»

«Ti conosco.»

«Non so se dovrei aver paura o no.»

John rise e Sherlock si lasciò contagiare. L'ex-soldato sciolse l'abbraccio con delicatezza, prendendo per le spalle il detective e allontanandolo da sé. Teneva a malapena gli occhi aperti.

«Vuoi... Che ti faccia spazio?»

Sherlock annuì trattenendo un sbadiglio. John si spostò di lato e il moro si sdraiò, calciando via le scarpe. Non appena John lo imitò, Sherlock, con uno scatto felino, si piazzò con la testa sul suo petto e il braccio intorno alla vita. John gli passò una mano tra i ricci neri con un sorriso e chiuse nuovamente gli occhi.


La mattina dopo il primo a svegliarsi fu Sherlock. In un primo momento ebbe un attimo di panico non riconoscendo il soffitto della sua camera né lo strano cuscino su cui stava poggiando la testa, poi si tranquillizzò mentre i ricordi della sera prima gli tornavano alla mente.

Diede un'occhiata all'ora e sgranò gli occhi. Erano le due di pomeriggio. Era la prima volta in vita sua che dormiva così tanto. Scosse la testa, incredulo.
John.

C'era sotto il suo zampino. Si voltò ad osservarlo: il suo volto era rilassato, il respiro profondo e regolare. Era rilassato e in pace. Posò una mano sulla sua guancia, accarezzandola lievemente, poi percorse i lineamenti del volto con le dita, memorizzando ogni millimetro che sfiorava.


Per qualche attimo, tornò indietro con la memoria. Ricordò quando era piccolo, e gli altri bambini stavano lontani perchè lo giudicavano strano. Ricordò quanto faceva male, e ricordò come imparò a ignorare quel dolore. Era inutile continuare a stare in quello stato. Aveva imparato a ignorare i sentimenti, di qualsiasi tipo, tuttavia li aveva studiati attentamente: voleva capire come funzionavano, come le persone agivano in preda ad essi. Erano una cosa buona o una cosa cattiva? Certo, a volte lo facevano stare male, ma altre volte si era sentito bene. Ma le prime erano molte di più delle seconde. Così l'unico che si sforzava di guardargli le spalle era suo fratello.

Tutto questo fino a John.

Lui aveva detto “fantastico!” mentre tutti gli altri avevano detto “vaffanculo”.

Lui era quello che aveva ucciso un tassista il primo giorno che si erano incontrati per potergli salvare la vita.

Lui era quello che aveva dato un pugno al capo della polizia che l'aveva offeso.

Lui era quello che si era fatto ammanettare con lui e l'aveva aiutato a scappare.

Lui era l'unico che aveva continuato sempre e comunque a credere in Sherlock Holmes, anche dopo la caduta. Anche dopo che aveva scoperto che era ancora vivo.

Lui era quello che sopportava i suoi esperimenti, che non faceva storie se trovava degli occhi nel frigorifero.
Lui era quello che lo metteva in riga, che gli diceva se era il momento o no di mettersi in mostra, che lo rimproverava se era troppo rude.
Lui era il primo e l'unico che lo aveva accettato veramente per quello che era.

Il primo che aveva deciso di stare al suo fianco.

Il primo che aveva riso con lui quando si era presentato solo con un lenzuolo addosso a Buckingham Palace e aveva rubato un portacenere per impressionarlo.

Il primo che aveva detto “è tutto okay” quando gli aveva detto di essere sposato col suo lavoro.

Il primo che aveva giocato a Cluedo con lui e che lo sopportava quando sparava al muro per la mancanza di un caso.

Il primo e l'unico che lo faceva ridere, ridere davvero, di gioia e di felicità, non quella risata falsa e di cortesia che rifilava a tutti, Mycroft compreso.

L'unico con cui Sherlock Holmes poteva essere se stesso, sentirsi accettato e amato per quello che era, tutto quello che era. Difetti compresi.

Aveva sempre dato John per scontato, ma ora si stava rendendo conto che no, John era tutto meno che quello, considerando com'era Sherlock.

E gli fu grato. Ringraziò mentalmente John per quello che era: fuori di testa abbastanza da decidere di stare accanto a lui.

E Sherlock Holmes sorrise.

E Sherlock Holmes pianse.

Faceva tutte due le cose senza neanche rendersene conto.


John aprì gli occhi in quel momento e lo trovò in quello stato. Subito si allarmò, ma Sherlock lo rassicurò con una risatina nervosa, posando nuovamente la testa sul suo petto e stringendolo forte. John ricambiò la stretta, confuso.

«Mi dici cosa c'è?»

«Non c'è niente che non va'.»

«Perchè stai piangendo?»

«Non sono triste.»

John si irrigidì. Lo guardò alzando un sopracciglio «Allora perchè piangi?»

«Sono felice, credo.»

«Credi?»

«Non ho mai pianto di felicità, posso solo assumere che sia così.»

«Okay, ma perchè-»

«Ho capito il motivo per cui sei qui.»

John ebbe un attimo di panico «Ah.»

Sherlock alzò la testa e sorrise. Aveva un luccichio abbagliante negli occhi.

«Anche io, John.»

Strabuzzò gli occhi «Anche tu cosa?»

Ma il detective rise e John sospirò frustrato.

«Sei insopportabile quando fai il sibillino.»

«Nah, non lo pensi veramente.»

«Come ti pare» John sospirò e fece per alzarsi, ma Sherlock glielo impedì. «Be'? Che c'è adesso?!»

«John, anche io.»

Sherlock quasi vide la lampadina accendersi nel cervello del dottore.

«Oh. Indendi-»

«Sì.»

John stava andando in iperventilazione. Sembrava quasi spaventato. Sherlock continuò a sorridere.

«Mi stai facendo paura.»

«Non era esattamente la reazione che mi aspettavo.»

«Questo non sei tu, Sherlock. Tu non dici queste cose.»

«Ed è questo il punto. Non sono più quello sposato col lavoro. Non capisci?»

«No, credo di no.»

«Oh, per l'amor del cielo» Sherlock roteò gli occhi, poi prese il volto di John tra le mani e premette le labbra sulle sue. Si staccò poco dopo, per osservare la reazione di John. Sembrava che gli avessero dato una botta in testa.

«Non so fare più di così, quindi dovrai venirmi inc-»

John si riprese tutto di un colpo cercando ancora le labbra del detective, portando le mani in mezzo a quei ricci ribelli e stringendoli forte tra le dita mentre baciava Sherlock più intensamente.


Sherlock Holmes lo stava baciando.

Lui stava baciando Sherlock Holmes.

Oh. Dio. Santo.

Stava sognando. Era impossibile che stesse accadendo davvero, doveva per forza stare sognando.

Un bel sogno, però.

Molto... realistico. Le labbra che si muovevano contro le sue erano persino più soffici di quanto si fosse mai immaginato, come anche i suoi capelli. Ma la sensazione di felicità che esplose come un fuoco d'artificio nel suo petto non avrebbe mai potuto prevederla.


«John? Sherlock? Dove-oh, cazzo»

Si accorsero della voce di Lestrade troppo tardi. John cercò di staccarsi, ma Sherlock era entrato in modalità polpo e non ne voleva sapere di staccarsi. Lanciò a Lestrade un'occhiata di scuse.

«Uhm, scusate, non volevo interrompervi, volevo solo vedere come stava John... credo, sì, credo sia meglio che io vada.»

Ma Greg sorrideva. Entro cinque minuti tutta Scotland Yard avrebbe saputo di loro, ma non sembrava che la cosa disturbasse né Sherlock né John.

«Sì» concordò il detective.

«Sherlock!» lo rimproverò il biondo.

«Che c'è? Sto dicendo la verità!»

Lestrade ridacchiò «Lascia stare, John, sto andando.»

Si voltò verso la porta, ma esitò. Tornò indietro con un sorrisetto che a John non piacque per niente, poi tirò fuori il cellulare e scattò una foto.

«Scusate, ma non mi crederanno mai senza questa.»

«Quella prova solo che abbiamo dormito insieme, non che abbiamo fatto-»

«Ci siamo solo baciati!» protestò John.

«Appunto» concordò Sherlock «Non è che tu mi abbia trovato a gambe aperte con John-»

«Ha afferrato il concetto, Sherlock.»

«Perchè fai così?» fece una piccola pausa, poi firmò la loro condanna a morte. «Oh, ho capito. Preferisci stare sotto? Non l'avrei mai detto.»

John non osò guardare la faccia di Greg.


Ed ecco come il suo sogno diventò un incubo.

O quasi.

  
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