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Autore: 9Pepe4    07/08/2013    6 recensioni
«Io… ho fatto un sogno, Maestro».
Qui-Gon non batté ciglio. «Che genere di sogno?»
Lentamente, Obi-Wan si staccò dal parapetto, così da girarsi completamente verso l’uomo. «Penso che fosse… una visione».
«Vuoi parlarmene?»
Obi-Wan sbatté le palpebre. «Be’, c’era… un bambino. Che piangeva. Non si era spaventato o fatto male, stava solo… nascendo».
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anakin Skywalker/Darth Vader, Obi-Wan Kenobi, Qui-Gon Jinn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sogno

Il bambino era uno scintillio intenso, e piangeva.
All’altezza del petto, Obi-Wan Kenobi sentiva una strana trepidazione, una via di mezzo tra la gioia ed il timore.
Aggrottò la fronte, incerto, e si chiese se avrebbe dovuto fare qualcosa.
La Forza – nitida e vicina come non l’aveva mai sentita – lo accarezzò gentilmente, sussurrandogli la sua risposta. No.
Il ragazzino trasalì, sorpreso ed esitante, ma alla fine capì.
Quello che sentiva non era un pianto di dolore o di paura.
Era un pianto di vita.
Il primo pianto, quello che riempie d’aria i polmoni e annuncia un nuovo ingresso nel mondo.
Obi-Wan Kenobi si domandò perché un ingresso nel mondo dovesse essere così vibrante, e perché il bambino fosse così… abbacinante.
Come se la Forza trascendesse la carne.
Fu in quel momento, pressappoco, che la sentì parlare. La donna… no, la madre.
La ascoltò ridere e piangere insieme, e controllare sia il riso che il pianto per sussurrare amorevolmente qualche parola.
Il bambino si calmò, e Obi-Wan Kenobi mosse un passo verso di lui, rapito.
La voce della madre gli ricordava qualcosa.
Forse anche lui, nel giorno della sua nascita, era stato consolato da parole così soavi?
Non riusciva nemmeno a distinguerne il significato, ma il loro suono era dolce e leggero, quasi facesse parte…
Obi-Wan Kenobi si arrestò.
…di un sogno.
Un sogno?
Sogno?

Obi-Wan si svegliò di soprassalto, rizzandosi a sedere.
Aveva il respiro affannoso, e il cuore gli martellava all’impazzata tra le costole.
Le dita del ragazzino trovarono la fine della treccia che pendeva sulla sua spalla destra, la torsero… e la sua mano andò a premere contro la fronte accaldata.
Per lo meno, i suoi capelli erano così corti che il sudore si sarebbe asciugato subito… solo il codino che aveva dietro la nuca sembrava un po’ madido.
Deglutendo a vuoto, il ragazzino si guardò attorno.
Si trovava in una stanza semibuia, arredata unicamente da due letti e da una cassettiera finemente intagliata.
Ciò che lo tranquillizzò, però, non furono né le lenzuola né il profumo del legno, bensì la vista dell’uomo che dormiva nel giaciglio accanto al suo.
Sforzando i propri occhi, Obi-Wan ne osservò i lineamenti leonini, i capelli lisci e la corta barba, trovando conforto in quel volto che – persino nel sonno – comunicava forza e serenità.
Quando il suo cuore tornò a battere ad un ritmo ragionevole, il ragazzino chiuse gli occhi, lasciando che i ricordi di ciò che era successo negli ultimi giorni lo colmassero.
Ma certo.
Lui e il suo Maestro erano stati inviati in missione.
Un semplice negoziato, nulla di ché… se Obi-Wan non si fosse vergognato del suono infantile di una simile asserzione, l’avrebbe definito noioso.
Trasalì lievemente, e spinse di lato le coperte.
Noio… diplomatica o meno, la missione era stata completata con successo.
Con tanto successo che il Duca al quale avevano portato aiuto aveva insistito affinché si fermassero per la notte.
Obi-Wan sperava solo che la colazione dell’indomani sarebbe stata diversa dalla cena della sera precedente. Sulla mancanza di cottura poteva chiudere un occhio, ma… ecco… avrebbe preferito che il suo cibo non si muovesse.
Forse era stato quel pasto a causargli gli incubi.
Obi-Wan sbatté le palpebre. Non era sicuro che avrebbe definito sogno ciò che aveva visto, ma incubo? Era davvero la parola giusta?
No, la parola giusta era un’altra: visione. Anche se era stata diversa da qualsiasi visione lui avesse mai avuto.
Accigliandosi appena, il ragazzino scese dal letto.
Il pavimento di legno ebbe il pregio di non ghiacciargli i piedi nudi, ma in compenso – mentre il ragazzino camminava cautamente verso la portafinestra in fondo alla stanza – minacciò più volte di cigolare e scricchiolare.
Cercando di fare meno rumore possibile, Obi-Wan uscì in balcone.
Era un balconcino stretto, ma il luogo ideale per rinfrescarsi le idee.
Obi-Wan respirò a pieni polmoni l’aria pulita della notte, andando ad appoggiarsi al parapetto di legno intarsiato.
Frastornato dalle sensazioni che il sogno gli aveva lasciato, lasciò che i suoi occhi esplorassero l’oscurità.
Davanti a lui, si estendevano campi su campi coltivati.
A quel paesaggio così piatto, il ragazzino preferì senza indugio il velluto bluastro del cielo, punteggiato di stelle.
Una parte della sua testa – quella meno incline a pensare al sogno – si domandò che fine avessero fatto tutte le foreste.
Storse le labbra. “Domanda stupida” si disse. “Le avranno usate per costruire questo palazzo, dalla prima all’ultima… Forse qualcuno dovrebbe metterli al corrente dell’esistenza del duracciaio”.
La sua mente tornò al bambino, a quel batuffolo di luce. Gli era sembrato così bello, di una bellezza quasi straziante, ma allo stesso tempo…
Cercando di scrollarsi di dosso i rimasugli del sonno, frugò con lo sguardo tra i minuscoli diamanti sopra di lui, provando ad individuare la direzione di Coruscant.
«Qualcosa non va, Obi-Wan?»
Il ragazzino sussultò e si girò di scatto, le mani ancora sul parapetto.
Qui-Gon Jinn – così alto da essersi dovuto chinare per uscire in balcone – ricambiò il suo sguardo.
Una vampata d’imbarazzo salì alle guance di Obi-Wan. «Scusa, Maestro, non intendevo svegliarti» disse precipitosamente il ragazzino. «Io…»
«Padawan» lo interruppe l’uomo, ma non senza gentilezza. «Puoi rispondere alla mia domanda?»
Obi-Wan si morse il labbro. «Sì, Maestro».
A quel punto, tuttavia, esitò. Se il sogno era davvero una visione, lui era un po’ titubante all’idea di confessarlo al suo mentore, che lo invitava sempre a concentrarsi sul qui e sull’adesso. D’altro canto, non c’era persona all’universo di cui il ragazzino si fidasse di più.
«Io… ho fatto un sogno, Maestro».
Qui-Gon non batté ciglio. «Che genere di sogno?»
Lentamente, Obi-Wan si staccò dal parapetto, così da girarsi completamente verso l’uomo. «Penso che fosse… una visione».
«Vuoi parlarmene?»
Obi-Wan sbatté le palpebre. «Be’, c’era… un bambino. Che piangeva. Non si era spaventato o fatto male, stava solo… nascendo».
Qui-Gon non disse nulla, invitandolo a proseguire con un cenno del mento.
Un po’ più sicuro, Obi-Wan continuò: «Mentre piangeva, io mi sentivo strano. Non solo perché non sapevo cosa fare, ma anche per i miei…» Inghiottì, prima di tirare fuori la parola. «…sentimenti».
Qui-Gon notò lo sforzo, ma non se ne stupì.
Obi-Wan aveva soltanto quindici anni, eppure pretendeva da se stesso il controllo di un apprendista ben più vecchio ed esperto.
Preso dall’ansia di essere il Padawan perfetto, tentava di celare qualsiasi debolezza… e anche qualsiasi cosa che potesse essere ritenuta tale.
Talvolta, Qui-Gon avrebbe voluto dirgli che Obi-Wan Kenobi – con tanto di pregi e difetti – valeva mille volte un Padawan perfetto.
Siccome il ragazzino continuava a tacere, l’uomo prese parola. «Che cosa provavi?» domandò, osservandolo intensamente.
Obi-Wan deglutì. «Io… È strano, Maestro. Da una parte, era… era come se avessi aspettato quel bambino da tanto tempo». Abbassò lo sguardo, sforzandosi di ricordare. «Era come se lui fosse il… il dono più grande che potessi ricevere. Dall’altra parte… mi faceva paura».
Quell’ammissione fu poco più di un sussurro.
Obi-Wan si morse il labbro, poi alzò gli occhi, e Qui-Gon sbatté le palpebre.
Quell’Obi-Wan sembrava così giovane e vulnerabile, avvolto nei propri abiti chiari contro il buio della notte, ma il suo sguardo… il suo sguardo era greve e tormentato, e lo faceva sembrare in qualche modo più vecchio.
Come se avesse visto tutto, dell’universo, incluso ciò che non poteva ancora capire.
Sembrava più vecchio, tenace… e spaventato.
Con un passo, Qui-Gon annullò la distanza tra loro. Mettendo le mani sulle spalle del ragazzino, si abbassò appena per incrociare il suo sguardo.
«Ricordi cosa ti ho detto delle visioni, Obi-Wan?»
Il ragazzino inspirò. «Di non pensarci troppo» rispose. «Di non lasciare che mi condizionino. Se è volere della Forza che si realizzino, si realizzeranno, che io cerchi di ostacolarle o meno».
Verificato – senza meravigliarsene troppo – che Obi-Wan ricordava quel suo discorso quasi parola per parola, Qui-Gon annuì. «Molto bene».
Il ragazzino si mosse appena. «Però, Maestro…» cominciò, per poi bloccarsi subito.
Qui-Gon aggrottò la fronte. «Cosa?»
«Questa visione era… strana». Obi-Wan esitò, cercando le parole più adatte per spiegarsi. «Sembrava che fosse creata dalla Forza Vivente, non da quella Unificante. Io credo che quel bambino sia nato oggi».
Qui-Gon tacque, stringendo appena le spalle di Obi-Wan.
Di consueto, la Forza Vivente comunicava emozioni, avvertimenti… non visioni.
Quel fatto reclamava una riflessione, ma l’uomo lasciò da parte quei pensieri, concentrandosi sul compito davanti a lui: tranquillizzare il suo allievo.
«Se questo è vero, Obi-Wan, e la tua visione si è già avverata, dovresti preoccuparti ancora meno».
«Ma il…» Obi-Wan deglutì. «Il bambino. È come se la sua esistenza avesse cambiato tutto, ma il presente non dovrebbe influenzare così tanto il futuro. Una nascita non dovrebbe essere così rumorosa».
Il suo sguardo cadde, e lui si ritrovò a fissare gli stivali del suo mentore.
“Una luce simile dovrebbe essere bella, non accecante”.
Sentendo quel pensiero al pari delle parole del ragazzino, Qui-Gon mise una mano sotto il mento di Obi-Wan. «Padawan, guardami».
Due riluttanti occhi grigio-azzurri si alzarono su di lui.
«Il presente condiziona sempre il futuro. Ed il futuro è sempre incerto».
Obi-Wan parve rilassarsi appena, ma sembrava ci fosse un pensiero che lo turbava. «È solo che… Il bambino» disse, quasi addolorato. «Perché qualcosa di così bello dovrebbe portare tanta sofferenza?»
Qui-Gon lo guardò, mantenendo un’espressione calma. «Che genere di sofferenza?»
Il ragazzino si strinse nelle spalle. «Non… non ne sono sicuro, Maestro» ammise. «Una grande sofferenza. Non ne ho mai sentita una simile».
Ci fu un istante di silenzio.
Qui-Gon sfiorò la mente di Obi-Wan. Non riuscì a percepire nemmeno un brandello del dolore di cui parlava il ragazzino, ma avvertì quanto l’apprendista ne era turbato.
«Di fronte a quella sofferenza» riprese infine Obi-Wan, in tono piatto, «ho pensato… ho pensato che avrei dovuto rinunciare al dono… Anche se sembrava terribile, fare una cosa simile… Anche se sembrava un prezzo ingiusto».
Qui-Gon guardò l’espressione del ragazzino, e fu tentato di allungare una mano, di passargli le dita sulla fronte per cancellare le rughe dalla pelle morbida.
«Sai cosa credo, Obi-Wan?» chiese invece, quietamente. «Che chi riceve un dono debba accettarlo, non rinunciare alla felicità per la preoccupazione di un domani che potrebbe non arrivare».
Obi-Wan alzò gli occhi su di lui, esitante.
«La felicità del presente non dovrebbe essere schiacciata dal dolore del futuro. Il presente è reale, il futuro è intangibile».
«Ma il futuro diventa il presente, Maestro» obiettò il ragazzino. «Alla fine».
Qui-Gon quasi sorrise. «Non tutti i futuri, però».
Obi-Wan distolse lo sguardo, pensieroso. Parve ponderare a lungo le parole del suo Maestro, e l’uomo attese senza impazienza, concedendogli tutto il tempo che gli serviva.
Alla fine, fu come se un gran peso fosse stato tolto dalle spalle di Obi-Wan – e Qui-Gon temette il giorno in cui su quel ragazzino sarebbero stati posti dei macigni che lui non avrebbe potuto alleggerire.
Lentamente, Obi-Wan gli sorrise, con una malizia che l’uomo riconobbe immediatamente. «Ma Maestro, mi hai suggerito di accettare doni?» chiese, quasi petulante. «Non va contro le regole dei Jedi sul possesso?»
Qui-Gon cercò di indirizzargli un’occhiata severa invece di lasciarsi scappare un sorriso, ma il brillio negli occhi di Obi-Wan lo informò che aveva fallito miseramente.
«Credo sia ora che tu torni a dormire, Padawan» dichiarò, assumendo un tono ammonitore. «O domattina non mi premurerò di chiedere che il tuo cibo sia morto, prima di essere servito».
L’orrore passò sul viso di Obi-Wan.
Non appena Qui-Gon si fece da parte e gli fece cenno di passare, il ragazzino si affrettò ad entrare nella stanza.
Intimamente divertito dal risultato ottenuto, Qui-Gon lo seguì.
Obi-Wan si era seduto sul letto, ed aveva già infilato le gambe sotto le coperte.
L’uomo lo osservò. «Ne deduco che la cena non ti è piaciuta».
Il ragazzino parve un po’ contrariato dal commento, e Qui-Gon fu tentato di dirgli che era stato proprio lui – con le sue eterne battutacce – ad inspirargli un simile senso dell’umorismo.
Invece scosse la testa ed affermò: «La colazione di domani non si muoverà, Obi-Wan. Oppure, ancora meglio, potrebbe essere costituita da cereali».
Obi-Wan lo guardò con aria riconoscente. «Grazie, Maestro».
Qui-Gon sorrise appena. «Ah, Obi-Wan?»
«Sì, Maestro?»
L’uomo incrociò con fermezza il suo sguardo. «Non preoccuparti per quella visione».
Obi-Wan abbozzò un sorriso. «Sì, Maestro. Ci proverò».
«Ci proverai?» replicò Qui-Gon, inarcando un sopracciglio. «Sai cosa direbbe il Maestro Yoda, vero?»
«Certo che lo so» rispose il ragazzino. «Ma tu non sei il Maestro Yoda».
L’uomo annuì. «Per tua fortuna. Ed ora farai meglio a metterti a dormire».
Il ragazzino si sdraiò, tirandosi le coperte sin sotto il mento. Rimase fermo, lo sguardo puntato verso il soffitto, e Qui-Gon percepì la sua malinconia.
Andò a sedersi silenziosamente sul proprio materasso. «Buonanotte, Obi-Wan» augurò, usando un alito di Forza per chetare la mente dell’apprendista.
«Buonanotte, Maestro» rispose Obi-Wan, trattenendo uno sbadiglio e girandosi su un fianco.
Sembrava già più tranquillo.
Il suo sguardo trovò quello dell’uomo, ma dopo qualche istante le sue palpebre iniziarono a calare ed il suo respiro rallentò.
Nel giro di poco tempo, il ragazzino scivolò in un sonno profondo.
Siccome la treccia da Padawan gli ricadeva sul viso, Qui-Gon si alzò dal proprio letto e si avvicinò per scostargliela dalla faccia.
Obi-Wan non si mosse, e l’uomo lasciò che la sua mano indugiasse davanti alle labbra dischiuse del suo apprendista.
Il respiro di Obi-Wan, caldo e regolare, gli sfiorò la pelle.
Qui-Gon osservò in silenzio quel volto familiare. Con gli occhi chiusi e la guancia affondata contro il cuscino, Obi-Wan sembrava poco più di un bambino.
Come se gran parte dei suoi quindici anni fossero stati dispersi dalla notte.
Il Maestro Jedi rimase in piedi accanto al suo letto, vegliando in silenzio su di lui.
Pensò al sogno che aveva avuto il ragazzino, e la preoccupazione offuscò i suoi occhi penetranti.
“Oh, Forza, ti prego… Dagli la felicità, dagli qualsiasi dono tu voglia. Ma non il dolore di cui parlava. La vita di un Jedi è sempre difficoltosa, non aggiungere altri ostacoli sul suo cammino”.
Quella notte, le preghiere di Qui-Gon Jinn rimasero inascoltate.

A pianeti e pianeti di distanza, Anakin Skywalker dormiva profondamente.
Teneva un pugnetto accanto alla bocca, soddisfatto dalla poppata che gli aveva riempito il pancino.
E forse, chissà, sognava un ragazzino dai capelli rossicci e gli occhi chiari.






















Note:
Questa one-shot risale a giugno… Mi auguro soltanto di non aver fatto male a riesumarla dalla mia cartella…
Spero vi sia piaciuta, insomma.
(P. S. Vuol dire che la mia pignoleria è giunta a livelli tossici, se soffro per il fatto che al nome di Qui-Gon, nella lista dei personaggi, manca il cognome e una lettera maiuscola?)
  
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