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Autore: lousoulmate    08/08/2013    2 recensioni
[Hipster!Harry] [Lawyer!Louis] AU
Louis, ventidue anni, ha la vita che non sente sua, pianificata. E chi è lui per dire di no a quegli occhi troppo verdi per essere veri?
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La prima parola che Louis Tomlinson ha detto è stata “papà”.
Da quel momento tutta la sua vita ha iniziato a girare intorno a suo padre.
Ha imparato proprio per lui ad andare in bicicletta da solo anche dopo essere caduto diverse volte, per non ottenere altro che una pacca sulla spalla e un “Bene, era ora.”
E’ per lui che a scuola ottiene i voti migliori per sentirsi dire “Beh, è il tuo dovere”.
E’ per lui che a quindici anni porta a casa una ragazza, Hannah, carina tutto sommato, perché “E quando me la porti una ragazzetta?” anche se non ci trova niente di speciale nelle forme delicate e nei lunghi capelli biondi mentre pensa ai muscoli dei suoi compagni.
Non è durata molto, giusto il tempo di un’estate per poi incolpare le scuole diverse e gli orari che non s’incontrano.
Tutto ciò che Louis Tomlinson ha fatto nella sua vita l’ha fatto per guadagnarsi la stima e l’affetto di suo padre che non perde occasione per ricordargli di non essere mai abbastanza.
“Eeeh io alla tua età avevo già un lavoro” oppure “Eehh io mi sono laureato con il massimo dei voti” dice comodo nella sua poltrona leggendo il giornale.
Si chiede se diventerà mai come lui, se sarà quello che ha sempre odiato.
Louis Tomlinson giura che suo figlio non dovrà mai domandarsi se sarà amato o se sarà abbastanza. Perché suo figlio andrà benissimo così come sarà.
Louis s’iscrive a legge per diventare un buon avvocato come vuole la tradizione di famiglia. Avendo quattro figlie femmine si aspettano molto da lui.
Louis desidererebbe non avere la vita “confezionata”, non dover essere sempre all’altezza delle aspettative degli altri e di poter sbagliare qualche volta perché diamine, anche lui è umano.
Non sia mai che il figlio di un importante avvocato diventi un pittore o qualsiasi altra cosa lui voglia, non è quello che si aspetta la gente da uno come lui.
Lui in fondo com’è? E’ un groviglio d’insicurezze, idee confuse, moti di ribellione al suo interno. Louis è voglia di vivere. Correre libero sul prato senza la paura di macchiare i pantaloni nuovi o fare brutta figura. Louis è un bambino cresciuto troppo in fretta, c’è una vocina dentro di lui che vorrebbe sempre osare tentare, vivere. E non vorrebbe crescere, ovviamente. Scusatelo se più diventa grande e più sente le responsabilità sulle sue spalle, se vorrebbe ancora giocare in giardino ai pirati con Stan, o se vorrebbe diventare un calciatore invece che un prestigioso avvocato e passare la vita in ufficio, un posto troppo stretto per lui.
Tutto quello che chiede è la libertà. Vorrebbe svegliarsi la mattina e poter stare a letto tutto il giorno oppure andare al parco per giocare con i bambini, lui ama i bambini, c’è qualcosa che lo colpisce nel loro modo di fare.Sono così ingenui, veri, non indossano maschere. Al suo contrario che deve fingersi felice di una vita che non è come vuole.
Così Louis è semplicemente stanco, vorrebbe essere finalmente se stesso e sentirsi libero, ma non può. Magari un giorno, si ripete, magari.
Sta uscendo da casa che gli ha regalato suo padre, mentre tutto quello che vorrebbe è solo un po’ di affetto.
Cammina distratto, stanco per la notte passata a studiare e con i capelli che proprio non volevano stare al loro posto, i libri nella borsa a tracollo e la testa da tutt’altra parte.
Percorre la solita strada tutti i giorni, incontra Wendy, si proprio come la Wendy di Peter Pan che fa jogging e le sorride. E’ una ragazza carina, è sicuro che gli piacerebbe.
Va quasi a sbattere contro una signora, ma dove ha la testa in questi giorni?
Strizza gli occhi, si passa una mano sul volto e riprende a camminare con passo spedito.
Alla metro c’è il solito trambusto di sempre, ragazzini che piangono per mano alle loro madri, Dio solo sa quanto Louis li invidi, uomini con la ventiquattrore in mano e l’auricolare nelle orecchie, Louis s’immagina così tra vent’anni.
Capelli brizzolati, poco tempo per la famiglia, sempre occupato dal lavoro.
Anche se non sarebbe mai questo ciò che vuole.
Cammina, si mischia tra la gente, prova a confondersi quando gira l’angolo e deve chiudere e riaprire gli occhi per crederci.
Dai non è possibile, proprio davanti a lui c’è un ragazzo con una chitarra in mano.
Un gruppo di persone che suonano e cantano con lui, sembra la scena di un film.
Il ragazzo è alto, robusto, le spalle larghe e i fianchi stretti, tatuaggi sulle braccia, e gambe che sembrano voler continuare all’infinito. Una canottiera bianca aderente sotto una camicia a quadri rossa, un cappello di panama color panna in testa e dei jeans talmente stretti che sembrano una seconda pelle. Ricci ribelli escono dal cappello e un paio di occhi verdi scrutano il mondo.
Louis sente cadere i pezzi dentro di se, quello non è nient’altro che un ragazzino con una chitarra in mano e lui si sente letto dentro. Forse perché il ragazzo non smette di fissarlo, forse perché lo guarda per la prima volta e lo vede e gli piace così com’è senza farsi troppi problemi.
È costretto a fare un lungo respiro, aggiustarsi i pantaloni e scuotere la testa.
Ha smesso di respirare e nemmeno se ne era accorto. Com’è possibile?
Quando si accorge di essersi bloccato in mezzo a tutte le persone in quel ritmo frenetico, con gli occhi del ragazzo ancora puntati addosso, si sente improvvisamente ridicolo. Lui, ventidue anni, che studia legge e che ha la vita preparata si sente spaesato perché un paio di occhi verdi misti al colore del cielo lo sta guardando.
“Cos’hai da guardare?” viene spontaneo chiedergli, dopotutto lo sta fissando. Anche se l’altro potrebbe dire la stessa cosa.
“Esci con me?” risponde invece. Una voce bassa, roca, non è certo questo che si aspettava da un ragazzino troppo cresciuto che non ha nemmeno un accenno di barba.
 
 
 
È costretto di nuovo ad aggiustarsi i pantaloni. Deve darsi un contegno.
E poi cosa dovrebbe rispondere ora? Dopo che uno sconosciuto gli ha chiesto di uscire? Ovviamente di no. Come potrebbe fidarsi? Non sa nemmeno il suo nome, suona per strada con un gruppo di amici ancora più strani di lui che sembrano usciti da un fumetto e poi non ha tempo per queste cose. Quando mai ha avuto tempo per se stesso?
“No, certo che no” risponde come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Il ragazzo continua a fissarlo, si sente leggere dentro, occhi come quelli dovrebbero essere illegali.
“Passi qui tutti i giorni?” chiede allora senza smettere di guardarlo nemmeno un attimo.
“Sì, perché cosa vuoi? Sei uno stalker per caso?” decide di usare il sarcasmo questa volta, dopotutto lo fa sempre per difendersi.
“Ti chiederò di uscire tutti i giorni allora fino a quando non mi dirai di si”.
Risponde con naturalezza, la voce ancora più bassa. Sembra che i passanti non sia si accorgano nemmeno dell’incontro o meglio scontro di queste due anime, il mondo continua a continuare.
“Comunque io sono Harry” sorride e quelle sono fossette?
Louis è sul punto di gongolare in piedi e deve resistere alla tentazione di allungare un braccio e toccarle.
“Ciao Harry” riprende a camminare, senza voltarsi indietro mentre tutto ciò che vede è verde.
 
 
I pranzi da suo padre sono sempre stati uguali gli uni agli altri.
Lucy la cameriera gli rivolge uno dei migliori sorrisi, l’ha cresciuto lei  tra il padre troppo preso dal lavoro e la madre a giocare a carte con le amiche.
Louis pensa sia una delle persone che lo conosce meglio. Sa che dietro quella maschera si cela un mondo d’insicurezze e paure.
Lui  è abituato non ricorda nemmeno da quando, sorride e tira avanti.
“Polpettone caro?” gli chiede sua madre che non è cambiata affatto da quando se n’è andato di casa, deve ammettere. Beh dopotutto quei pacchetti al centro benessere devono pur servire a qualcosa, no?
“Si grazie mamma” risponde sorridendole.
È stato costretto a indossare una delle sue camicie migliori quando questo era il suo giorno libero che avrebbe potuto usare per vedere Zayn o per poltrire sul divano tutto il giorno, invece che stare lì a fingersi felice.
Zayn è un tipo particolare, un ammasso di tatuaggi che gli permettono di esprimere se stesso, pelle ambrata e lunghe ciglia su degli occhi color cioccolato. A primo impatto potrebbe sembrar presuntuoso, diffidente. Invece è riservato e non riesce a fidarsi subito delle persone, ma se abbatte questo muro è una di quelli con cui si sta proprio agio in silenzio, e sono veramente pochi. Zayn conosce e accetta Louis per com’è, è proprio lui a incoraggiarlo a non cambiare, perché a esser se stessi non c’è niente di male.
Louis gli sarà sempre grato per questo.           
“Allora? Come vanno gli esami?” chiede suo padre dall’alto dei suoi occhiali, servendosi del suo vino migliore importato dalla Francia. Suo padre e la sua mania per i vini, i francobolli e le monete. Ha sempre avuto più passione per le cose che per le persone.
Conti, cause e pratiche. Di questo si è occupato tutta la vita e non se n’è mai reso conto.
E come vanno gli esami? Louis dovrebbe parlargli del corso, degli studenti così diversi da lui, di come si sente fuori posto tra quelle persone che gli ricordano tanto suo padre. Precisi, organizzati, fiscali, “Il venticinque un aperitivo con Thomas per festeggiare la sua laurea”. “Tesoro, attenta alla mia camicetta, è di Armani”.
Come potrebbe trovarsi bene quando si sente nella tela di un ragno?
E poi dovrebbe parlargli delle ore spese a studiare materie che non lo appassionano, non lo coinvolgono e che soprattutto non lo rappresentano.
Louis è colore, vivo, è voglia di vivere, Louis ha grandi sogni in cassetti troppo stretti.
Non potrebbe dirgli tutto questo, no?
Si limita ad annuire e sorridere “Alla grande papà, all’ultimo ho preso trenta”.
“Bene figliolo, ho sempre saputo che questo era quello che faceva per te”.
Ne è così convinto che sarebbe un peccato dirgli di no, pensa Louis.
 
 
Louis è stanco dopo un’altra nottata passata a studiare, le occhiaie e la borsa a tracolla mentre cammina tra la gente verso la metro.
Si ricorda di quel ragazzo e di quel suo gruppo di amici particolari che cantavano e suonavano con lui. Beh in realtà non ha smesso di pensarci un attimo da quando l’ha visto.
A lezione, mentre tornava a casa, mentre guidava verso casa dei suoi, sotto la doccia e mentre ansimava il suo nome ma ovviamente questo non lo sa nessuno.
Che colpa ne ha lui se due occhi l’hanno fatto sentire vivo? Se l’hanno visto per com’è e non per come deve sembrare? Se una voce bassa e roca gli ha causato brividi sulla schiena e un fastidio nei jeans? Che colpa ne ha lui? Nessuna, continua a ripetersi, mentre spera di rivederlo.
E come un dejavù eccolo lì, sempre nello stesso posto con una camicia a righe verticali azzurre, un cappello di panama color panna come l’ultima volta, jeans chiari (che Louis si ostina a considerare come una seconda pelle) e una chitarra in mano mentre canta una canzone di qualche band sconosciuta al resto del mondo.
Louis resta incantato a guardarlo. Nota che ha delle mani enormi. Chissà come sarebbe stringerle, lasciarsi abbracciare e toccare.
Ha sempre amato le mani grandi, gli danno un senso di protezione, di casa, di sicurezza. Forse è quello che cerca nella vita?
Harry finisce la canzone, borbotta qualcosa e alza lo sguardo e finalmente lo vede.
“Ciao” una luce gli accende gli occhi, rendendoli ancora più verdi, e compaiono le fossette. Louis si sente mancare la terra sotto i piedi.
“Hm, ciao, sei ancora qui?” risponde mordendosi la lingua subito dopo. Che domanda sciocca? È logico che sia ancora qui se è di fronte a lui. Vorrebbe sotterrarsi.
“A quanto pare” risponde, infatti. “Esci con me?”
Louis sta per strozzarsi con la sua stessa saliva. Uscirebbe con lui? Certo che lo farebbe, ogni cellula del suo corpo lo farebbe all’istante, ma ancora una volta “Certo che no, Harry” si limita a dire.
“Non so ancora come ti chiami ma mi dai l’idea di essere un bravo ragazzo, oltre che bello”. Aspettate un momento, gli ha detto che è bello? Non può essere.
E improvvisamente non sente più niente, il rumore della metro, il vociare delle persone, lo squillo dei telefonini, più niente. Perché Harry gli ha detto che è bello.
“E così chiedi a ogni ragazzo bello di uscire con te?” aggiunge di nuovo del sarcasmo, è più forte di lui, non potrebbe semplicemente abbassare le difese.
“No, solamente quelli che mi guardano come hai fatto tu e finora sei stato l’unico”.
Risponde senza alcun tipo d’incertezza nella voce, senza togliere lo sguardo dal suo, il verde che lo legge dentro.
“E come ti ho guardato io?” chiede Louis con la voce più alta di un’ottava.
“Come se io fossi solo Harry non uno che suona in metro chiedendo l’elemosina”.
La sua schiettezza è disarmante, Louis si sente così piccolo d’un tratto.
Lui che studia legge, figlio di un importante avvocato, con la vita pianificata si ritrova a essere spiazzato da un ragazzo che suona per strada. Non gli sembra vero e non gli è mai sembrato. Così dice “Sì, esco con te” mentre un paio di occhi verdi gli sorride.
 
 
Sono al Babylon, solito locale dove vanno a prendersi una birra, per parlare e scherzare, dove va Louis dopo le lezioni e Zayn dopo che stacca dal lavoro al negozio di fumetti. Ha sempre amato disegnare fin da piccolo. È parte di sé, spiega a chiunque.
Gli viene naturale come respirare, non ricorda nemmeno quando ha iniziato, è come se fosse stato così da sempre. E appena ha potuto con i risparmi di una vita e l’aiuto dei suoi ha comprato questo negozio, che giura è tutto ciò che ha sempre voluto.
Beato lui, pensa Louis, che ha potuto inseguire i suoi sogni.
“Cosa, ma sei matto?” lo guarda incredulo Zayn, “Non dirai sul serio”.
Che cosa dovrebbe rispondergli? Sì, sono matto perché due occhi troppo verdi per essere veri mi hanno chiesto di vederci? Perché mi sono sentito vivo per la prima volta dopo tantissimo tempo? Perché mi è sembrata la cosa più scioccia della mia vita ma la più giusta da fare? Così si limita a rispondere “Zayn, è solo un’uscita. E poi è un ragazzino, avrà si e no diciannove anni, che potrebbe farmi?”
Zayn se possibile ha una faccia ancora più sconvolta “Va bene, va bene, ma se ti succederà qualcosa non contare su di me, te l’avevo detto.”
Ma Louis sa che anche se si rompesse solamente un’unghia Zayn sarebbe subito da lui ad aiutarlo, perché sotto quella maschera c’è qualcuno che farebbe qualsiasi cosa per le persone che ama, così sorride “Grazie Zaynie”.
 
 
 
Sono le sei del pomeriggio e Louis Tomlinson si passa una mano tra i capelli, l’ansia lo sta divorando. E se non venisse? Ha passato le ultime due ore a lavarsi, telefonare a Zayn per sentirsi dire che “Andrà tutto bene” parole sue, a trovare qualcosa di carino da mettersi ma non troppo appariscente, come se lo facesse apposta per farsi notare.
Così ha scelto una maglia nera scollata ma non troppo, dei jeans e le solite scarpe, i capelli spettinati col gel e ha deciso di darsi una calmata. Ora è seduto sul divano del suo appartamento passandosi una mano dietro il collo e una sulla faccia. Sembra una ragazzina al primo appuntamento. Ma cosa gli prende? Si alza, cammina per il salone tra quei mobili firmati che ha acquistato suo padre, che non sente nemmeno suoi, anzi nemmeno la casa gli sembra sua ma ora non può permettersi di pensarci. Non ora che Harry... un momento, Harry come? Vabbè non importa, sta per venire a prenderlo per uscire.
Cioè ci rendiamo conto? Qualcuno è interessato a lui, Louis, quando nemmeno lui stesso si concede un po’ di amor proprio.
Sente il campanello, o se lo sarà immaginato? No, dev’essere lui per forza.
Scatta in piedi dal divano, sente la gola asciutta ma non importa e con le gambe che tremano, arriva al citofono, si schiarisce la voce e “Si?”
“Lou, sono io, aspettavi qualcun altro?” la voce roca gli causa i soliti brividi sulla schiena e fermi tutti, l’ha veramente chiamato “Lou”? Le mani gli tremano e diamine, deve darsi un contegno.
“No certo che no, scendo subito” si stupisce di se stesso, non è mai stato così deciso in vita sua. Fa un respiro profondo, prende portafogli, cellulare apre la porta di casa.
Fa le scale di corsa, senza accorgersene trattiene il respiro e arriva davanti al portone. Sospira e ormai è tardi per ripensarci, così esce dal palazzo.
Ad aspettarlo c’è un ammasso di capelli ricci, degli occhi verdi misti al grigio, gambe strette in jeans neri che sembrano voler continuare all’infinito e una maglia bianca scollata, che lascia intravedere dei tatuaggi sul petto, sembrano delle rondini, ma non ne è sicuro.
“Beh, ciao, andiamo?” Louis non sa esattamente dove, anzi non lo sa affatto ma con quegli occhi verdi andrebbe ovunque.
 
 
Camminano in una strada affollata, vicini al punto che Louis può sentire il braccio sinistro andare a fuoco, in una zona di Londra in cui non è mai stato, sentendosi vivo per la prima volta non ricordandosi nemmeno da quando.
Non sa dove guardare, ovunque c’è qualche dettaglio che cattura la sua attenzione.
Chi ha i capelli fuxia, chi delle borchie sul giubbetto, chi un dilatatore all’orecchio grande quanto un mandarino. Sono a Candem Town nel nord di Londra.
Bancarelle con oggetti particolari, personaggi di ogni tipo, ma tutti liberi.
In tutta quella confusione, in quella massa di colore, dagli edifici blu a quelli rossi gli uni attaccati agli altri, ai fili sopra le loro teste su cui sono appesi degli striscioni insieme a panni al sole, insieme a tutta quella gente, in quella strada che sembra essere in festa, Louis si sente vivo. Senza maschere, obblighi o regole da rispettare, senza doversi preoccupare di dover fare bella figura davanti agli altri potendo semplicemente essere Louis e basta, ragazzo ventiduenne innamorato della vita che troppe volte gli è stata negata. Sente scorrere il sangue nelle vene, sente di essere nel posto giusto. Come quando si sente un cd e si capisce che è proprio quello che stavi cercando. Non si sente sbagliato, nessun senso d’inadeguatezza o imbarazzo. Ogni cellula del suo corpo percepisce di sentirsi bene, finalmente.  Louis si sente giusto di essere così com’è, lì dov’è. Ed è giusto che sia così, in una via troppo colorata e che non conosce affatto, se lo fa sentire vivo e giusto.
E Harry? Harry sembra adeguarsi completamente all’ambiente, parte integrante della vita stessa. Tra tutte quelle forme, colori, odori sembra adattarsi perfettamente, come la tessera mancante di un puzzle, sembra cucita sulla sua pelle quell’atmosfera.
La strada è piena zeppa di turisti, passanti curiosi e di chi la conosce come le proprie tasche. Forse è proprio quella diversità a farla così compatta, a renderla unita.
Alle pareti colorate dei palazzi sono appesi dei cartelloni enormi e la cosa bella è che non sembrano stonare, non potrebbero starci meglio.
C’è il mercato con i suoi passanti, acquirenti, curiosi e commercianti che cercano in tutti i modi di venderti l’affare del secolo.
Alcune pareti dei palazzi sono dipinte da murales che in qualsiasi altro posto sarebbe inadatti mentre qui sembrano brillare sotto quel sole primaverile.
Macchine d’epoca, dipinte, bus colorati, sembra carnevale. Si respira vita.
Lì non sembra nemmeno di essere a Londra, nella sua grigia e fredda Londra che non lo conosce affatto. E in un momento Louis realizza di non aver mai vissuto fin’ora, o non così almeno.                                             
“Sai” dice Harry avvicinandosi di più a Louis che ormai cammina tre metri da terra “Qui ci vengo sempre quando voglio mescolarmi tra la gente, quando voglio essere Harry e non quello che suona in metro per qualche spicciolo e che tutti guardano come se facessi pena. Tutti tranne te” tende a specificare “Ed è qui che ho conosciuto i miei amici. Gente un po’ strana a prima vista ma sono bravi ragazzi e sono la mia famiglia qui a Londra, capisci che intendo?” Louis può vagamente capire dato che non si è mai sentito vagamente a “casa” o “in famiglia” in vita sua. A parte quando è con Zayn con cui si sente protetto e se stesso. Zayn è una sorta di fratello maggiore per lui, sa ascoltare e sa mantenere un segreto e sa prendersi cura degli altri. Dopotutto è questo ciò che fanno le famiglie, no? Quindi si, Louis può capire ciò che intende Harry.
Annuisce e il ragazzo continua “Nick, quello che parla sempre e che l’altra volta aveva i capelli tinti di rosa - meglio che non ti dica perché, fidati- è il mio migliore amico. Potevi scegliertelo meglio il tuo migliore amico starai pensando no? Ecco, non me lo sono scelto, mi è capitato. Camminavo per strada e come uno dei peggiori cliché mi è venuto addosso    - no, non in quel senso, che hai capito- vabbè insomma abbiamo iniziato a parlare e a vederci sempre quando io capitavo qui, lui ha casa da queste parti e mi ha fatto conoscere le sue migliori amiche che ora sono le nostre migliori amiche, quelle che facevano da coriste per così dire. E questo è quanto, non ho molto da dire, non ho una vita pienacome la tua immagino, Lou”.
Louis ha la vita piena di cosa? Di regole, di date di scadenza, di esami da affrontare, di pranzi imbarazzanti con la sua famiglia che non lo conosce affatto?
Louis sente di avere una vita vuota, priva di tutta quella forza, di quel colore, di quella scintilla che t’invoglia ad alzarti al mattino. La sua non è altro che una routine, una stupida routine dalla quale non riesce a uscire fuori.
“Piena di cosa Harry esattamente? D’insicurezze? Di obblighi? Di regole e di qualcosa o qualcuno da rispettare? Di gente vuota che non sa parlare d’altro che di Prada, o dell’ultima collezione di Armani? Di chi mi dice cosa devo fare, come la devo fare, o quando la devo fare? Piena di tutto questo?” sbotta Louis, si sente più leggero, perché un conto è pensarle queste cose e un conto è dirle ad alta voce.
E sente anche di aver rovinato tutto. Stava andando troppo bene perché non succedesse qualcosa, perché Louis è destinato a sbagliare, glielo dice sempre suo padre d’altronde.   “S-scusa Harry, io davvero non so perché ho detto questo, davvero non volevo. Non ti biasimerei se ora ti girassi all’altra parte e te ne andassi.”. Prova a scusarsi a occhi bassi Louis.
“Cinque” lo guarda Harry “Cinque cosa?” forse non è il solo a essere matto, si ritrova a pensare “Cinque posti per riempirti la vita dove farti essere quello che sei e basta”.
Louis non crede ai suoi occhi. Di fronte a sé c’è un ragazzo bellissimo, che ha appena trattato male, ha appena rovinato il loro appuntamento che lo vuole rivedere per altre cinque volte per farlo essere quello che è e basta.
“I-io devo andare” sussurra Louis con il cuore che sembra esplodergli perché nessuno l’ha mai fatto sentire così voluto, con gli occhi sulle sue scarpe che improvvisamente sono diventate la cosa più interessante che ci sia e una mano sul collo.
“Okay, Lou” Harry è così deciso, vivo, è tutto quello che Louis non è.
E questo gli fa anche un po’ paura perché potrebbe abbattere i suoi muri e i suoi schemi. Fa per andarsene quando si sente chiamare “Ah, Lou” ecco ci avrà ripensato, non vorrà più vederlo, come biasimarlo oltretutto.
Louis si gira già pronto a una batosta, Harry lo raggiunge e in tutto quel caos, quei colori, quei suoni, lo bacia. Lo sta baciando in mezzo alla gente e a Louis sembra di volare, di cadere da un burrone, di essere bagnato da un secchio d’acqua gelida in estate. Lo sta baciando e wow, perché uno come Harry che si ferma, ed è come se tutto il mondo si fosse fermato, a baciare lui. Harry vuole di più come se non fossero abbastanza vicini, come se non fossero a  contatto dalla vita in su e ogni cellula di Louis volesse esplodere. Se non fosse il momento più inopportuno del mondo Louis smetterebbe di baciarlo e gli chiederebbe di amarlo perché non ne ha mai avuto così tanto bisogno prima d’ora.    
 
 
“Cosa? Come ti è venuto in mente di uscirtene in quel modo al primo appuntamento? E lui ti ha baciato? Sta messo peggio di te a quanto vedo! Bene, almeno vi siete trovati.” Zayn non sta un attimo zitto da quando ha saputo le vicende del primo appuntamento del suo migliore amico Louis Tomlinson e per poco non si strozzava quando ha saputo che Harry Styles, si ecco è questo il suo cognome, l’ha baciato nel bel mezzo di una strada affollata, dopo che Louis ha praticamente mandato all’aria tutto. “E ora vuole uscire con te per altre cinque volte? Per farti sentire “vivo”?” chiede l’amico guardandolo e Louis non può che annuire con una luce negli occhi.
“Beh, allora Louis tienitelo stretto se ti fa brillare gli occhi in questo modo”.
 
 
 
Sono davanti ad una cabina rossa come tutte le altre. Louis non capisce perché Harry abbia deciso di portarlo proprio a questa cabina. Ci sono arrivati dopo le mille scuse del ragazzo per essere sparito ma in metro stavano facendo controlli ed era meglio cambiare fermata. Con grande sollievo di Louis quindi non è scomparso di sua spontanea volontà. Comunque sia ora sono sotto il sole, Harry in pantaloncini perché - Louis non puoi capire che caldo che ho- e Louis con occhiali da sole e una maglia a maniche corte, davanti a una cabina rossa come tutte le altre nella Royal Academy, senza sapere perché.
“Allora Louis vuoi sapere perché ti ho portato qui?”
Chiede Harry come se fosse una cosa normalissima starsene lì così.
“Beh, direi proprio di sì poiché non devo telefonare a nessuno e mi hai trascinato qui senza farmi sapere nulla.” Si trattiene dallo sbuffare, guardandolo.
“Bene, questa è la cabina rossa più antica di Londra.” Louis lo guarda scettico, continua a non capire.  Che cosa può farsene di una cabina telefonica se non deve telefonare a nessuno? È da matti. Ma Harry è come un sole, ha un’energia tutta sua, qualcosa che si differenzia da tutto, forse è in quegli occhi verdi che scrutano il mondo, forse in quel cappello di panama che sembra far parte di lui, forse è lui e basta. Lui ad avere una luce diversa. È tutto quello che Louis ha sempre cercato, un qualcosa che rompesse tutte le regole e gli schemi della sua vita, che gli facesse vivere momento per momento, che lo facesse sentire libero. E con lui la libertà si può toccare con le mani perché nessuno l’ha mai guardato in quel modo, nessuno ha mai prestato attenzione a ciò che aveva da dire e ciò chevoleva dire, non ciò che doveva dire. Nessuno l’ha mai visto così com’è, nessuno ha mai visto la sua voglia di vivere perché troppo intenti a spegnerla.
Con Harry sembra di respirare di nuovo dopo anni, di iniziare solo adesso a godersi la vita e le cose belle e sentire di meritarsele.
“Sai, Louis, se si venisse a sapere che abbiamo solo cinque minuti di vita le cabine telefoniche di tutto il mondo sarebbero intasate di persone che vogliono dire agli altri ciò che pensano. Se li amano, li odiano, li perdonano, se gli mancano. Perché se si rischia di perdere si gioca fino all’ultimo.”
Harry si volta a guardarlo, trovandosi davanti due occhi che hanno rubato al cielo un po’ della sua vernice e un’espressione stupita sul volto. Ora Louis ha capito perché l’ha portato lì. Se non si rischia non si saprà mai, se non si prova non si riesce a prescindere, se le cose non le cambiamo non si cambiano da sole. È come se fosse una sorta di angelo custode, si ritrova a pensare. Non è possibile che un ragazzo così pieno di vita, così pieno di cose da dare e da dire sia capitato a Louis che sembrava stesse per scomparire.
“E tu cosa diresti, Lou?” e lo chiede con una tale sincerità e schiettezza che sente crollare i muri dentro di sé, le barriere crollano come un castello di carta.
“Direi che per tutta la vita ho vissuto in un castello di vetro, con chi ti dice cosa devi fare, quando la devi fare e come la devi fare. Fregandosene di ciò che pensi, ciò che provi e ciò che sei. E  non sono quello che pensano che io sia o quello che vogliono che io sia.”. Harry non smette di guardarlo ed è forse orgoglio quello che legge nei suoi occhi? “Ma ora ho capito che non sono cosi, non è questa la mia vita, quello che voglio per me. E se ad avermelo fatto capire e sentire è un ragazzo che suona una chitarra che ha gli occhi più verdi dei prati dell’Irlanda e che è qualcosa di diverso da tutto ciò che ho mai visto, ben venga. Ecco, questo direi se telefonassi adesso.”
Harry non dice nulla e lo bacia.
 
 
Dopo tre giorni in cui Louis non ha fatto altro che pensare a Harry, alla sensazione di essergli accanto e alle sue labbra perché diciamocelo Louis già ama le labbra di Harry così piene e morbide, ci ha già fantasticato troppo l’altra mattina quando si è svegliato con un particolare fastidio, riceve un messaggio, le mani iniziano a tremare, pensa “Regolati hai ventidue anni, mica dodici”,  apre il messaggio e trova scritto “Ti passo a prendere alle tre xx”. Quindi non ha mollato, quindi fa sul serio e vuole rivederlo, ancora una volta e Louis non riesce ancora a crederci. Si passa una mano tra i capelli, si strofina gli occhi senza riuscire a contenere un sorriso, senza nemmeno provarci veramente.
 
 
 
Alle tre, come previsto, suona il campanello e a momenti Louis non si strozza con la sua stessa saliva. Prende il cellulare, portafoglio e scende.
Ad aspettarlo c’è Harry con il solito cappello di panama (Louis inizia a credere che gli si sia incollato ai capelli) e una camicia viola larga sul petto infinito e con gli ultimi tre bottoni sbottonati, emerge il tatuaggio che ha già visto e a questo punto non può fare a meno di chiedere “Sono uccelli quelli sul petto?” Harry si volta a guardarlo e si rende conto di non averlo nemmeno salutato. “Innanzitutto, vieni qui” avvicinandolo fino a quando non sono abbastanza vicini da potersi guardare occhi negli occhi “Si sono uccelli. Vuoi sapere cosa significano?” continua senza nemmeno dare a Louis il tempo di rispondere “Sai cosa fanno gli uccelli? Volano, migrano verso posti più caldi e poi tornano dove sono partiti. E’ questo che significa, cerchiamo tutti di allontanarci da quello che siamo, da dove veniamo, dalle nostre origini. Ma mentiamo a noi stessi. Non possiamo scappare da ciò che siamo.” E lo spiega così tranquillamente, come se avesse appena detto qual è il suo colore preferito che Louis non riesce a trovare nulla da dire, qualcosa di sufficientemente interessante da rispondergli. Così si limita ad annuire, con un bagaglio di domande in testa.
Sono a Kensington Gardens, hanno camminato per qualche ora e ovviamente Harry non ha detto nulla a Louis del perché sono lì. 
Tutto a un tratto si trovano davanti a una statua contornata da un recinto.
Louis ci prova, ma proprio non ci riesce. Non capisce il senso, perché Harry lo ha fatto camminare per ore in un enorme parco, solo per fargli vedere una statua che sembra anonima ma che ha qualcosa di familiare. Si passa una mano sul viso, l’altra è decisamente troppo vicina a quella di Harry ma nessuno dei due se ne preoccupa, anzi.
Quindi aggrotta le sopracciglia e guarda Harry come per chiedere spiegazioni, neanche fosse un arcano segreto. “Peter Pan” dice il ragazzo come se fosse la cosa più ovvia e scontata del mondo. Peter Pan, ma certo come ha fatto a non pensarci?
Harry ha portato Louis a visitare la statua di Peter Pan, ora non resta che scoprire il motivo. Così Louis, con le idee un po’ più chiare, torna a guardare quegli occhi verdi dove legge solo sicurezza, “Ora ti starai chiedendo il perché immagino. Ecco hai presente la storia di Peter Pan no? Dai su, chi non la conosce. Ecco, beh..” spiega senza sosta il riccio, sembra quasi si diverta “Tutti vorremmo essere lui o no? Non crescere, non avere responsabilità, non dover scegliere chi siamo e cosa vogliamo dalla vita. E’ tutto più semplice. E chiunque preferisce le cose semplici a quelle complicate.
Ma la vita non è così. Non è mai facile e non è mai giusta. Ci mette davanti a delle responsabilità, a delle scelte. Perché sono le scelte a decretare chi siamo, non le nostre origini. Tocca a noi e solamente a noi decidere chi siamo e cosa vogliamo dalla vita. Cosa vogliamo essere, chi vogliamo essere. Non è detto che se tu vieni da una cattiva famiglia tu sia una cattiva persona. Come non è detto che se nasci in una famiglia perfetta sarai un figlio perfetto. Capisci che intendo? Sta a te decidere, e sei ancora in tempo per farlo.”  E per Harry è chiaro, semplice come bere un bicchier d’acqua. Lui non ha vincoli, obblighi o quant’altro. Louis sì. Quello che Harry vuole fargli capire adesso è che può ancora scegliere se essere Peter Pan e non avere controllo sul proprio futuro o può avere il coraggio di cambiarlo. E poter fare ciò che vuole fare nella vita. E allora Louis sceglie di poter cambiare, di non buttare tutto all’aria e di voler vivere davvero affianco a Harry. Perché no?
 
 
Camminano ancora, sempre più vicini. Sembra ci sia una specie di alchimia tra i loro corpi che proprio non ne voglio sapere di stare lontani adesso che si sono trovati.
Louis deve ancora capire come Harry l’abbia convinto a salire su una collina senza nemmeno spiegargli il motivo. Harry ha un’influenza incredibile sul ragazzo, come se Louis fosse un satellite che si muove in orbita attorno al suo pianeta. Harry ha un’energia tutta sua, forse nascosta negli occhi che non smettono di brillare nemmeno sotto il cielo grigio di Londra o forse nei ricci che sono più ribelli di lui e che non ne vogliono sapere di starsene al loro posto. O forse è semplicemente Harry.
Harry che è la persona più viva, eccentrica, vera e genuina che Louis abbia mai incontrato. Tutto di lui sembra vivo. E’ come avere al proprio fianco un raggio di sole, si ritrova a pensare Louis.  E’ come tornare a respirare dopo minuti di agonia, come fare un salto nel vuoto, come quello che ha sempre cercato. E’ come se avesse riacceso una parte di Louis che per troppo tempo è rimasta nascosta, spenta. Ed è così semplice con lui, così semplice ridere, scherzare, parlare di tutto, dalla politica alla musica ed Harry ha una fissa particolare, non ha alcun genere o cantante preferito, “Basta che mi dia qualcosa” dice così ascolta davvero ogni genere di cantante, molti dei quali sconosciuti al resto del mondo.
Si raccontano aneddoti divertenti - Harry non puoi capire che casino quella volta che ho lanciato i limoni al vetro della vicina - oppure  –Dio Harry poi quando ho dato fuoco al divano mio padre è andato su tutte le furie, era importato dall’Italia, avresti dovuto vedere la sua faccia, non la scorderò mai- e Harry gli racconta di quella volta che un signora sulla sessantina, vestita di blu, non smetteva di fissarlo incutendogli anche un po’di timore per poi chiedergli se volesse uscire con lui.
“Louis è assurdo, non pensavo nemmeno facesse sul serio ma vedevo che non smetteva di guardarmi e ho capito che si, faceva sul serio. Quindi niente, mi sono alzato e me ne sono andato. Roba da pazzi.”
Arrivano sulla cima della collina. Ci sono bambini che corrono guardando il cielo, anzi seguendo qualcosa nel cielo. Mettendo a fuoco Louis scopre che si tratta di aquiloni, ci sono decine di aquiloni che colorano quel cielo grigio, di tutte le forme e dimensioni.
“Allora? Che ne pensi?”
“Che ne penso Harry? Tutto questo è incredibile.”
“In che senso?”
“Nel senso che mai nessuno ha mai fatto tutto questo per me. Mi tratti come se fossi qualcosa di prezioso.” Prova a spiegare Louis, certo che non troverà mai le parole giuste.
“Ma tu sei prezioso. Sei così tanto, e non te ne rendi conto.”
“Si ma intendo, perché io? Ci sono migliaia di persone che ti passano davanti ogni giorno, perché io?”
“Te l’ho detto. Per come mi guardavi. E per il tuo culo che ho notato quando te ne sei andato la prima volta che ci siamo visti.” Spiega Harry mostrando le fossette per niente imbarazzato con gli occhi che gli brillano.
“P-per il mio c-culo? Scherzi Harry?” risponde Louis torturandosi le mani, rosso in volto guardando in basso come se l’erba fosse la cosa più interessante del mondo in questo momento.
“Mmm, può darsi” continua sogghignando “Comunque questo è il tuo terzo posto, ti piace?” un’incertezza nella voce, non sa che ora come ora Louis lo seguirebbe dappertutto.
“Certo che mi piace”
“Bene Louis, andiamo ad affittare il nostro aquilone allora” risponde afferrandolo per mano così spontaneamente che Louis stenta a crederci.
 
“Dove mi porterai per completare la giornata?” chiede Louis senza smettere di fissarlo sentendo il corpo andare a fuoco.
“Indovina? Dato che non ti ho ancora portato fuori a cena direi che è d’obbligo.”
Non gli lascia nemmeno il tempo di replicare e lo trascina via, lontano da tutti e da tutti.
Louis non crede all’amore. Non ci ha mai creduto. Forse perché vedendo suo padre così preso dal lavoro e dalle cene con i colleghi e sua madre dalle partite a carte con le amiche non credeva che ci si potesse sentire così bene solo stando accanto a una persona tenendola per mano.
Suo nonno una volta glielo disse: “Non sono le cose che tocchi che ti fanno vivere”.
Louis non può toccare la sensazione che prova con Harry ma la sente nelle vene, si sente vivo e nel posto giusto. Ha aspettato tutta la vita qualcuno che lo facesse sentire bene. Louis, ventidue anni, si lascia trasportare da tutto questo che gli sembra nuovo ma se si sente così perché è sbagliato?
Attraversano vie, viottole e grandi strade, piene di persone, si sentono padroni del mondo, per poi arrivare a Kensington Street sempre tenendosi per mano, in un locale “Maggie Jone’s”, rivestito di vernice blu all’esterno, dei fiori fanno da cornice su porte finestre dalla vernice corrosa dal tempo che sembra essersi fermato. Sembra un edificio degli anni ‘50 a prima vista, non intaccato dallo scorrere frenetico della vita che lo circonda. Danno un’altra occhiata e dopo che Louis gli ha sorriso e stretto più forte la mano Harry lo guida all’interno.
Un uomo sulla cinquantina, capelli brizzolati, mani rese ruvide dallo scorrere degli anni, guance arrossate come chi non si nega qualche bicchiere di vino, espressione rilassata in viso si avvicina ai due. Dev’essere il proprietario pensa Louis.
“Posso fare qualcosa per voi?” chiede gentilmente senza perdere il sorriso.
“Sì, abbiamo una prenotazione a mio nome, Styles” risponde senza alcuna esitazione il riccio. Quindi tutto questo era organizzato. Tutto questo era pronto per lui e Louis pensa che non si sia mai sentito più amato di così prima d’ora.
“Ah si certo, seguitemi” risponde l’uomo.
Nel frattempo Louis nota che l’interno del locale rispetta le sue aspettative.
Rustico, accogliente, pareti marroni dove sono affisse decorazioni che ricordano la vita di campagna, quadri raffiguranti paesaggi, un posto dove ci si sente a casa.
Tutto molto semplice, nulla di sofisticato, non c’è né bisogno. Tavoli di legno, spighe di grano appese alle pareti e cesti pendenti dal soffitto. È un posto in cui ci si sente a proprio agio, Harry deve aver capito questo suo bisogno.
L’uomo li porta in un tavolo tranquillo, lontano dall’entrata e dalla cucina per evitare occhiatacce e cattivi commenti da parte di chi ancora non ha capito come funziona amare.
Come in ogni film d’amore che si rispetti Harry tira indietro la sedia per permettere a Louis di sedersi che si sente avvampare come fosse una ragazzina di dodici anni.
E poi c’è Harry. Harry di fronte a lui che non smette di sorridergli, che lo guarda come fosse la cosa più bella del mondo e questo è veramente troppo per lui. Così si sporge sul tavolo e lo bacia. Non dura molto dato che qualcuno li ha interrotti chiedendo loro le ordinazioni, lasciando un Louis più imbarazzato che mai.
Per tutto il tempo non smettono di parlare, come se fossero vecchi amici che non si vedono da anni e che devono raccontarsi tutto. Ma hanno tutta la vita davanti.
Finiscono per condividere il “dolce della casa” sotto insistenza del riccio perché “Louis non puoi capire che buono che è” e chi è lui per dire di no a degli occhi così verdi?
 
“E ora?”
“Ora ti porto via con me”. Non dicendo altro lo trascina fuori dal ristorante dopo aver pagato il conto ovviamente, correndo come se non avessero abbastanza tempo sotto le stelle di una notte che è appena cominciata.
“Eccoci, siamo arrivati” ansima Harry ancora scosso dal fiatone per la corsa.
Sono davanti a un portone di quello che sembra un vecchio edificio abbandonato
“Avanti, entra” gli fa strada il ragazzo e anche se sembra impossibile ci sono ancora scale perché Styles, Louis ha scoperto che gli piace chiamarlo così, ha avuto la brillante idea di abitare all’ultimo piano di un edificio senza ascensore.
Dopo le numerose lamentele di Louis il riccio l’ha convinto a salire perché “Dai Louis, sembri una femminuccia” e di certo questo non voleva sentirselo ripetere.
L’ultimo piano si rivela essere un ex magazzino ora adibito ad appartamento, al modo di Harry. “Sai, stavano per distruggere tutto, il proprietario è un mio amico. Era la fabbrica di suo padre e quando è morto non sapeva che farsene così gli ho chiesto di lasciarla a me, ed ecco qui.” È veramente un posto enorme, con travi a vista, pareti colorate di blu, rosso, verde, quadri di qualche autore sconosciuto alle pareti e arredamento basilare, ma è bello, incredibilmente bello. Più che altro sembra cucito apposta per Harry, come se lui fosse parte integrante dell’insieme. Non potrebbe appartenere a nessun altro se non a lui. Un letto matrimoniale in fondo alla sala, un angolo cottura a destra e sulla parete di sinistra immense vetrate che permettono alle stelle di far parte dell’appartamento. Tutto quello che si respira è libertà, voglia di esprimersi e dopotutto sempre a modo suo, Harry è un artista, quindi non poteva essere altrimenti. E Louis? Lui non si è mai sentito più a casa di così anche se la casa è di un quasi sconosciuto che ha scoperto di amare a poco a poco.
“E adesso Harry?”
“Ho detto che ti avrei fatto sentire vivo, vero?
Dice avvicinandosi guardandolo negli occhi, leggendolo dentro.
Louis si limita ad annuire, avendo paura che la sua voce non basti quando sente crollare la terra sotto i piedi e i pantaloni ad un tratto troppo stretti.
“Quindi adesso amami, Lou.”
 
Quando si sveglia il mattino dopo Louis non si sente la stessa persona che è stata fino a quel momento, anzi a dire il vero non si sente tale da un bel pezzo.
È come se avesse vissuto fino ad ora in apnea e fosse appena uscito fuori dall’acqua, cominciando a respirare. Si gira a destra e gli fa strano dato che era abituato a svegliarsi da solo in un letto troppo grande per lui. Ma da ora in poi non sarà più cosi pensa, da ora in poi tutto è cambiato.
   
 
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