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Autore: Titania    08/08/2013    1 recensioni
[Guida galattica per gli autostoppisti]
(Guida Galattica per autostoppisti) visto che l'angst si può trovare anche nei libri comici, ho scritto una songfic angst.
Sinceramente, non credo che Trillian abbia solo alzato le spalle quando ha saputo che la terra è andata distrutta. Questa storia è un' introspezione sui suoi pensieri quando si accorge di quello che ha perso. Diciamo che è la terza fase del lutto: il dolore.
Avvertenze: ho letto solo il primo libro, quindi se faccio qualche casino perdonatemi. Recupererò presto.
Basata sul testo della canzone "Empty Chairs At Empty Tables" da Les Miserables.
Ah, e in fondo c'è una parte di canzone inventata da me, per stare in tema.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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There's a grief that can't be spoken.
There's a pain goes on and on.
Empty chairs at empty tables
Now my friends are dead and gone

Non riesco a dormire, non ce la faccio.
Ho cercato di pensare che non m’interessa più di tanto di quello che è successo, ma… non ce la faccio.
Io non ho l’ottimismo di Zaphod che a malapena direbbe “va bene, è successo”, faccio finta di essere fredda, ma ora la realtà mi ha travolto come un treno.
La terra, la mia casa, il mio pianeta. Distrutto.
Andato. Morto.
La mia famiglia. Mia madre. I miei amici.
Tutti morti. Senza neanche una tomba.
Senza neanche un posto dove posso andare a piangerli.
Quando mi è stato detto ho stretto le spalle, ma ora…
Nel cuore di questa notte infinita ho sentito dolore.
Un dolore tremendo, come del piombo in petto. E non posso dirlo a nessuno.
Mi sento male, sto male. Mi sento sola in questo vasto universo e non so come colmare il vuoto.
Non posso colmarlo, perché è un vuoto enorme.
Grande come il pianeta che ho lasciato, il pianeta di cui ora non è rimasto che polvere.
I miei amici, ora non sono altro che polvere.
Here they talked of revolution.
Here it was they lit the flame.
Here they sang about `tomorrow'
And tomorrow never came
.
Ricordo le serate al bar, in quella piccola cittadina inglese.
Parlavamo di cambiare il mondo, di migliorarlo.
Di fare un futuro migliore, ma ora dov’è il futuro?
Polvere, come il resto?
Nient’altro che polvere e detriti, ecco com’è ora il futuro.
Il futuro di un mondo che non c’è più.
Le canzoni attorno al falò? Spente.
I progetti per scappare? Andati.
Perfino il Madagascar è sparito per sempre.
Quelle speranze, quei sogni, sono morti e sepolti. Esplosi.
E io sono sola.
From the table in the corner
They could see a world reborn
And they rose with voices ringing
I can hear them now!
The very words that they had sung
Became their last communion
On the lonely barricade at dawn.

Sento ancora il sapore della birra che preferivo in bocca.
E le speranze che nutrivo per la mia vita. Un ragazzo simpatico, una vita lontana dal grigiore della città, una vita felice assieme ai miei amici.
Oh, cavolo! Perché non mi sono portata nemmeno  una foto?
Ora ho paura di dimenticare i loro visi.
Ho paura di dimenticare le loro voci.
Le voci che sto ascoltando adesso. Nella mia testa. Nei miei ricordi.
Avranno cercato di salvarsi? Avranno reagito?
Non importa, ormai.
Quelle voci allegre e quelle risate si sono spente. Inghiottite nel silenzio dello spazio.
L’arrivederci che ho detto loro, ormai è diventato un definitivo e laconico addio.
Oh my friends, my friends forgive me
That I live and you are gone.
There's a grief that can't be spoken.
There's a pain goes on and on.

Oh, amici miei, perdonatemi.
Mamma, papà, perdonatemi.
Perdonatemi se sono ancora viva mentre voi siete morti.
Perdonatemi se mi sono salvata.
Sarei dovuta morire con voi. Sarei dovuta stare con voi.
Mamma, scusami se non ti ho detto “ti voglio bene” un’ultima volta.
Papà, scusami se non sono stata la figlia che volevi.
Ragazzi, scusatemi se non ho cercato con voi un riparo e una via di fuga inesistente.
Non sarebbe dovuto succedere. Sono viva e voi siete morti.
Per un bel viso, anzi due, simpatici e stravaganti, ma che non capiscono come sto soffrendo.
Per un’astronave che non da il calore che darebbe una famiglia e degli amici.
Per la ricerca di una casa e di un affetto che in realtà già avevo.
Com’è triste la vita. Perché succede così?
Perché non ti accorgi di quello che hai finché non sparisce per sempre?
Phantom faces at the window.
Phantom shadows on the floor.
Empty chairs at empty tables
Where my friends will meet no more.

Mi sembra di vedervi. Proprio qui, attorno a me.
I vostri visi, le vostre ombre, in piedi che mi guardano.
Ma se sbatto gli occhi sparite subito.
Forse sto impazzendo?
Tutti questi mesi di vita nello spazio stanno lasciando un segno nella mia testa,
e ora il sapere che siete morti mi ha portato alla follia?
Queste sedie vuote. Questi tavoli vuoti.
Dove non vi rivedrò mai più, e non riesco a darmi pace per essere ancora viva.
Forse impazzire sarebbe la cosa migliore.
Lasciar perdere tutto, abbandonarsi alla follia.
Forse così mi perdonerete, forse non sarete arrabbiati con me.
Perché io sono viva e voi no.
Oh my friends, my friends, don't ask me
What your sacrifice was for
Empty chairs at empty tables
Where my friends will sing no more

Vi prego, non chiedetemi perché.
È tutto così assurdo. Così terribile.
Il mio mondo è finito per un’autostrada.
La mia casa è distrutta per un’autostrada.
La mia famiglia è distrutta per un’autostrada.
I miei amici sono morti per un’autostrada.
Non hanno avuto possibilità di salvarsi.
Non hanno avuto il tempo di scappare.
Non ho avuto il tempo di salutarli.
Di dire loro addio.
Per un’autostrada.
È tutto così orribile e grottesco, che a pensarci ho i brividi.
I miei amici. Morti. Per un’autostrada.
“Trillian” una voce dietro di me.
Mi asciugo le lacrime e mi volto. Non voglio che qualcuno mi veda così.
È Arthur. Ringrazio che sia lui.
Zaphod si sarebbe messo a ridere e mi avrebbe detto di non fare la tragedia.
Ma Arthur no. Arthur può capirmi.
“Arthur” riesco a dire con un filo di voce. E lo dico ad alta voce “sono… morti… tutti…”
Lui si avvicina. Mi accorgo ora di una cosa:
i suoi occhi.
Sono rossi, gonfi, e il suo viso arrossato.
Ha pianto. Anche lui si è accorto di aver perso tutto? Di non avere più nulla?
Mi accarezza la guancia, mi asciuga una lacrima che mi stava scendendo sulle guance.
Ha un groppo alla gola, lo sento dalla sua voce. Quando dice solo due semplici parole.
Che mi fanno capire tutto il suo dolore. Tutto il mio dolore.
“Lo so”
Mi abbraccia.
Mi stringe a sé come se non volesse lasciarmi andare.
Io faccio lo stesso.
Lo stringo.
Lo stringo forte tanto da fargli male.
E mi sfogo in un pianto liberatorio. Ci sfoghiamo.
Il suo è un pianto maschile. Composto. Silenzioso.
Comprensibile solo da leggeri singulti.
Se non fosse per le lacrime che bagnano i miei capelli sembrerebbe stesse ridendo.
E in quel momento, mentre lo abbraccio e piango i miei morti e lui piange i suoi,
che mi accorgo di chi sto tenendo fra le braccia.
Non un amico. Non un compagno di viaggio.
Ma tutto quello che mi rimane.
Tutto quello che è rimasto.
Del mio vasto pianeta.
Oh please friends of us, forgive us
That we live and you are gone
There’s a grief that can’t be spoken
There’s a pain goes on and on
Oh please friends of us, don’t ask us
What you sacrifice was for
Empty chiars at empty tables
Where our friendswill sing no more.
   
 
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