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Autore: YourSisterX    08/08/2013    4 recensioni
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Morta da 50 anni, ancorata alle mura di una casa.
L'anima di una quindicenne vive dentro un appartamento in maniera tranquilla, ogni giorno nulla di nuovo, niente di cui meravigliarsi, nulla che risvegli la sua curiosità.
Poi un giorno qualcuno va ad abitare quella casa.
è il 21 Dicembre 2011. Il giorno in cui finisce la solitudine e inizia la vita, anche per una morta.
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Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3.
 
I giorni passavano ed io ero sempre più felice. Certo, quando i ragazzi se ne andavano, chi a scuola, chi ad allenarsi, la casa era molto vuota, ma quando tornavano tutto tornava colorato.
Era come una continua festa, ogni giorno passavo ore a parlare con Jun, ormai conoscevamo tutto l’uno dell’altra.
Lui ancora però non sapeva come chiamarmi. Non si rivolgeva quasi mai a me chiamandomi Noona o fantasma, mi chiamava “Tu”, “Te” o faceva domande indirette, comunicare era ai limiti dell’impossibile e quindi si finiva che o io gli raccontavo episodi della mia vita o della mia morte oppure lui mi raccontava la sua giornata fingendo di parlare con i suoi genitori al cellulare.
Un giorno Jun stava uscendo, potevo arrivare fino al pianerottolo, non un passo oltre il primo scalino, di solito li seguivo fin là, poi li salutavo e tornavo dentro, quella mattina come al solito li seguii, il palazzo aveva una pianta antica, quasi in stile liberty, nonostante fosse molto difficile trovarne a Seoul, piena oggi di edifici ultramoderni o case tradizionali e modeste, questa pianta caratteristica prevedeva un cortile interno, che facesse entrare la luce di giorno, negli anni la gente aveva cominciato a porre dei vasi con fiori o piante di ogni tipo sul davanzale delle scale, in cima piano, così da accudirle meglio grazie alla luce solare e all’aria migliore rispetto all’aria pregna di smog fuori dalle finestre. Viveva una famiglia abbastanza numerosa all’ultimo piano, avevano quattro figli, due dei quali, Song JiHoo e Song Jiyoung, molto irrequieti, stavano giocando sul pianerottolo quel giorno, erano le sette e mezzo e presto sarebbero usciti per andare a scuola.
JiHoo urtò contro il davanzale dopo essere stato spinto da Jiyoung.
Fu un attimo. Un vaso cadde. Me ne accorsi subito e mi protrassi in avanti, la forza che mi aveva sempre impedito di oltrepassare la soglia mi trattenne anche stavolta. Gridai per avvisare almeno Jun, il ragazzo mi vide, ma non capì.
Il tempo sembrò dilatarsi. Continuai a spingere verso l’esterno, senza riuscire a penetrare la barriera.
Poi qualcosa si ruppe, ci fu come il rumore di vetro che si infrangeva.
Scivolai in avanti, rotolai per le scale e senza prendere coscienza del traguardo a cui ero arrivata mi precipitai a spingere via Yongguk, la cui testa era in direzione del vaso che cadeva.
Non so cosa mi passasse per la testa in quel momento, nessuno, a parte un attonito Junhong si era accorto di quello che stava succedendo, in ogni caso io, dimentica del fatto che fossi un fantasma, tentai di poggiare i palmi delle mie mani sul petto di Yongguk per spingerlo in avanti.
Qualcosa funzionò. Non capii molto, ma un attimo dopo Yongguk era a terra, dall’altra parte del pianerottolo, finito addosso ad Himchan all’improvviso.
Il vaso era caduto, proprio nel punto in cui si trovava il ragazzo prima, proprio il punto dove mi trovavo io in quel momento, ma non mi aveva sfiorato, tecnicamente mi aveva attraversata.
Jun si era protratto verso di me, ma spaventato dal vaso si era istintivamente protetto la faccia per evitare di essere colpito.
 
«Devi stare attenta là fuori» mi disse mia nonna mentre infornava i biscotti «C’è pieno di gente che non vuole altro che il tuo male»
«Ma perché? Non ho fatto del male a nessuno io, perché la gente vorrebbe farmi del male?»
«Se non cominci tu cominciano loro, qualcuno deve cominciare la catena dell’odio»
«Ma nonna noi stiamo facendo dei biscotti adesso… cosa centra con l’odio?»
«I biscotti sono la cura.»
La guardai interrogativa, convinta che fosse l’ennesimo segno della sua innata pazzia, mia nonna era una pensatrice, una donna di mondo, piena di idee rivoluzionarie e decisamente prive di barriere, solo che spesso si esprimeva così, in termini molto casalinghi, una volta se l’era uscita con “La gente è come il formaggio sulla pasta al sugo, ad alcuni non piace, ad altri sembra indispensabile, ma in fondo è quella a condire la vita più del sugo” e nella mia innocenza le avevo detto “Nonna a me il formaggio fa schifo”, dopotutto avevo sette anni.
«Perché proprio i biscotti nonna?» le chiesi allora
«Un biscotto equivale alla spinta che dai per aiutare qualcuno»
«E come fanno a far guarire dalla cattiveria?»
«Oh sono cotti»
 
Yongguk era immobile, guardava esterrefatto il punto in cui era caduto il vaso, probabilmente si stava chiedendo come mai lui un attimo prima fosse là e adesso si trovasse da tutt’altra parte.
Himchan si era avvicinato, guardando nel punto dove mi trovavo io.
Non poteva vedermi. Non ancora almeno. Questo era quello di cui ero convinta e dopotutto ero ancora abbastanza intontita.
Poi c’era YoungJae che più che del vaso si preoccupava dello hyung attonito e a terra e che gli era subito andato vicino dopo esserselo visto passare a due centimetri dal naso, chiedendogli se si fosse fatto male.
Daehyun si era subito rivolto verso l’alto e dopo aver adocchiato i bambini aveva intimato loro di scendere e chiedere scusa.
E poi c’era JongUp, che guardava il vaso come incantato, come se non si potesse spiegare come mai quello s trovasse là in quel momento.
Infine JunHong mi guardava, esterrefatto, le mani ancora gli circondavano il viso, ma gli occhi erano sbarrati, come se mi vedesse per la prima volta. Abbassò le braccia e mi si avvicinò.
Nel frattempo io avevo a malapena capito cosa fosse successo.
Per prima cosa avevo oltrepassato la soglia. Era stato un tabù per tutti quegli anni e adesso, in un attimo lo avevo oltrepassato, mi girai a guardare la porta, vidi come una lastra infranta e trasparente, quasi impercettibile, circondarla, come una bolla di sapone con una crepa, aveva anche la stessa iridescenza.
Cercai di ricordarmi cosa fosse successo.
Avevo visto il vaso. Avevo deciso di aiutare Yongguk. Avevo spinto Yongguk. Avevo salvato la vita ad una persona. Avevo toccato una persona dopo 50 anni che non toccavo nessuno, fino a pochi minuti prima non riuscivo neanche a toccare la mano di Jun e adesso avevo spinto un uomo a diversi metri di distanza. Mi inginocchiai.
Poi mi accorsi dello sguardo di Yongguk. Mi fissava. Ne ero più che sicura. Ne ero certa, sapevo che mi vedeva, che sapeva della mia presenza. Mi girai verso Jun, interrogativa, lui aveva la bocca aperta dalla sorpresa, ma si stava avvicinando a me.
Si alzò anche Yongguk.
«Hyung tutto bene?» gli chiese YoungJae.
«Si, si… sto bene…raccogliamo i cocci dai…» disse, si avvicinò a dov’ero e mi tese la mano. Come per aiutarmi. Appoggiai la mia mano sopra la mano i Bang, pensando di passarci attraverso, ma non successe. Riuscivo a toccarlo, riuscivo a sentire il calore della sua carne, il sangue pulsare nelle sue vene. Lo vidi rabbrividire, ma ignorò il freddo che dovevo trasmettergli e mi spinse in alto, facendomi alzare. Mi misi in piedi. Notai solo ora che le mie gambe esistevano di nuovo. Per molto tempo non avevano fatto altro che essere delle pallide linee nell’aria, ma ora vedevo i miei piedi, non li vedevo da anni.
Guardai allibita Yongguk, quello mi sorrise impercettibilmente, poi si mise a raccogliere i cocci. Gli sorrisi anche io. Stupita. Mi feci indietro e una persona mi passò attraverso, per un attimo mi sembrò di essere di nuovo un attimo dopo la mia morte. Mi si mozzò il respiro e sembrò che mi stessero succhiando l’anima, ma appena mi superò la sensazione passò. Era Daehyun, insieme ai due bambini. Li aveva rimproverati per bene, in dialetto, come aveva fatto un paio di volte anche con gli altri. Yongguk rimase stupito dal vedere che gli altri non mi avevano notato, ma io non mi accorsi che mi guardava, fissavo JunHong, tentando di darmi una spiegazione a quello che era successo, ci guardavamo interrogativi.
Mi avvicinai a lui, tese la mano per sfiorarmi, ma nulla gli si oppose. Aveva un’aria afflitta, non riusciva a toccarmi e neanche io mi spiegavo il motivo nonostante volessi con tutta la mia anima poterlo abbracciare, poterlo toccare, anche solo sfiorargli la mano. Lo guardai triste e confusa.
Mi rivolse uno sguardo triste, ma dopo un attimo mi sorrise, cercando di tirarmi su il morale, gli sorrisi di rimando, nonostante entrambi i sorrisi fossero incrinati dalla tristezza ci rasserenammo un poco. Yongguk aveva finito di raccogliere i cocci e li aveva dati ai bambini, raccomandando loro di non farsi del male e intimando loro di non giocare più in maniera così sconsiderata. Intanto un uomo abbastanza in carne aveva chiamato gli altri e sul pianerottolo eravamo rimasti solo io, Junhong e Yongguk. I due ragazzi si guardarono, avevano sempre avuto un rapporto simile a quello che c’era tra fratelli, a volte quasi più somigliante a quello tra un padre e il proprio figlio, ma in quel momento sembravano estranei. Guardai Junhong, lui si voltò a fissarmi.
«Cos’è successo?» mi chiese, come se io potessi saperlo.
«Non ne ho idea Jun»
«Yongguk hyung, tu la vedi?»
«Si, lei chi è?»
«Sono un fantasma»
Yongguk impallidì. Poi mi si avvicinò e porgendomi la mano e inchinandosi leggermente disse «Grazie»
Imbarazzata mi inchinai in risposta. Non tesi la mano, sapendo di non poterlo toccare, ma vedendo che non accennava toglierla tesi le mie dita e sfiorai la sua mano. Riuscii a toccarla.
La strinsi e lui si alzò dall’inchino che aveva mantenuto fino a quel momento.
Mi sorrise gentile, facendo sporgere le gengive dalle labbra carnose.
Gli sorrisi a mia volta, poi mi girai verso Junhong.
«Era lei il fantasma di cui ti ho parlato la prima notte che abbiamo dormito qua…» disse il ragazzo rivolgendosi al più grande, quello parve non capire, forse neanche si ricordava del discorso che avevano fatto lui e il più piccolo, poi gli si illuminò lo sguardo e se ne ricordò.
«Oh… pensavo scherzassi, scusami. Scusatemi entrambi.» Sorrise ancora.
«Posso chiederti come ti chiami?» mi chiese, io sorrisi triste «Non me lo ricordo…»
«Non hai una tomba da qualche parte? Potremmo vedere come ti chiami sulla lapide» mi disse il ragazzo. Mi illuminai e sorrisi, guardai Jun, anche lui sorrise. «Visto che adesso riesco ad uscire vi porto io, seguitemi, sempre che non facciate tardi…» dissi felice
«Avviso io il manager, dopotutto noi abbiamo già fatto un paio di showcase prima, non siamo così bisognosi di allenamento…»
«Si, Junhong me ne aveva parlato» dissi sorridendo complice al più piccolo.
Dopo che ebbe chiamato il manager ci dirigemmo verso il cimitero, non era molto lontano e mi ritrovai felicissima di poter passare per le strade, vedere la neve sotto di me, guardare la gente passarmi affianco, le insegne luminose, era da poco passato natale e c’erano ancora degli addobbi.
 
Arrivammo finalmente al cimitero. Non ricordavo precisamente dove si trovasse la mia tomba, ma sapendo che era affianco a quella di mai nonna mi diressi verso di quella. Yongguk e Jun decisero di comprare dei fiori da mettere sulla mia tomba, per dare un senso alla loro visita almeno a vedersi.
Ecco, dovrebbe essere qua… dissi io indicando la tomba affianco a quella di mia nonna.
«E’ molto piccola… quanti anni avevi quando sei morta se posso chiederlo?»
«Quindici…»
Junhong spolverò un po’ la neve che si trovava là sopra, vide la fotografia che avevano messo per ricordarmi, era ingiallita e un po’ sfrangiata, ma la cornice e il vetro lasciavano ancora vedere la mia immagine. Mi guardarono, cercando di capire se la ragazza nella fotografia fossi veramente io.
Sorrisero tristi.
Era la mia tomba.
«Giannini Zoe» Lesse Junhong. Sorrise triste. «Ha un che di comico…» disse
«Perché?» Chiesi io
«Zoe significa “Vita”» disse guardandomi al limite delle lacrime, non che io fossi molto più allegra, sentivo gli occhi pizzicarmi. E stavo per mettermi a piangere nonostante tentassi di sorridere.
«29 Maggio 1946 – 30 Dicembre 1961…» Lesse poi Yongguk «30 Dicembre…E’ oggi» disse poi in un sospiro.
Pose i fiori sopra la tomba. Erano dei garofani, i miei preferiti. Non si vedevano in giro spesso d’inverno. Ma eravamo stati talmente fortunati da trovarne un mazzolino di quelli rossi, quelli che io preferivo in assoluto, a pochi won.
«Allora» disse Yongguk alzandosi e prendendomi la mano «Vediamo di festeggiare per bene il 50° anniversario della morte della nostra bella Zoe…». Mi baciò la mano con galanteria.
Imbarazzata guardai quel ragazzo così gentile porgermi il braccio e incamminarsi per i vialetto trascinandomi con sé.
Mi girai per vedere se Junhong ci stesse seguendo, ma l’unica cosa che vidi con la coda dell’occhio fu che Junhong era impallidito.
 
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  finalmente testo modificato, YAY
  
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