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Autore: _Noodle    08/08/2013    3 recensioni
Era una tiepida mattina di fine maggio. Apollo giaceva addormentato sul letto con addosso i vestiti della sera prima. Si svegliò verso mezzogiorno con un mal di testa allucinante. Gli pulsavano le tempie e gli bruciavano gli occhi; l’evidente vena che scorreva come un fiume sulla sua fronte era più spessa del solito. Si mise a sedere lentamente, cercando di non dar retta al corpo intorpidito e alle mani formicolanti e appena aprì coscientemente gli occhi sobbalzò. Il cuore incominciò a pulsargli compulsivamente e il respiro gli si fece più affannato, cercava di alzarsi da quel letto poco accogliente ma le gambe non sostenevano il suo peso, tremavano come in preda alle convulsioni. Ricadde prono sul pavimento.
Enjolras travolto da un nuovo sentimento e un amore nato tra fiori e inganni.
Coppie: EnjolrasxGrantaire; JeanxEponine.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Siamo stati sulla luna a mezzogiorno;
andata, solo andata, senza mai un ritorno,
e abbiamo fatto piani per un nuovo mondo,
ci siamo attraversati fino nel profondo.
Ma c’è ancora qualcosa che non so di te:
al centro del tuo cuore, che c’è?
[Jovanotti - Come musica]

 
 
 
Nell’esatto momento in cui Jean, tutto tremante, aveva baciato Eponine, Grantaire aveva fatto irruzione al Musain. Enjolras, sorprendentemente e semplicemente, l’aveva guardato, ammirando per un istante la sua camminata fluida e allo stesso tempo scoordinata: l’avrebbe riconosciuto tra mille. Grantaire a sua volta aveva ricambiato l’occhiata, sorridendo maliziosamente come se volesse dire al biondo “Se volessi…”.
Alla notizia che tra di loro, quella fatidica notte, non era successo niente, tutto era tornato normale: i loro corpi sembravano essersi riappropriati delle loro personalità e il caffé non pareva più luogo d’incontri, ma solo un tempio della Rivoluzione, quella con la R maiuscola.
Enjolras gli aveva rivelato la notizia il giorno prima. Gli aveva detto: “Sono stato coinvolto in una rissa” e da quel momento tutto aveva perso d’intensità. Il fatto è, però, che è proprio dalla calma e dalla normalità apparente che nascono le tempeste, e questo lo sapevano benissimo entrambi.
Grantaire si era seduto al tavolo con una bottiglia di vino in mano: classico; Enjolras invece s’infervorava parlando dell’insurrezione imminente con Combeferre e Courfeyrac, indirizzando talvolta lo sguardo verso di lui, che immobile come una statua lo ascoltava, cibandosi del suono della sua voce. Questo un po’ lo inquietava, ma sembrava che le sue vere passioni fossero riaffiorate e che l’amore, quel sentimento stupido e frivolo, fosse andato in letargo tra le braccia di Cupido: qualcosa di più importante stava per accadere e non aveva tempo per pensare a Grantaire; l’avrebbe snobbato, come al solito. Tuttavia, mentre cercava di non badarci e di restare concentrato su altro almeno per quelle poche ore, sapeva che se solo avesse allentato la presa ci sarebbe cascato come aveva fatto da qualche giorno a questa parte. Si sarebbe innamorato di nuovo come fanno tutte le persone intelligenti: come un idiota.
Trascorsero la serata in questo modo: parlando e ascoltando.
Grantaire si stava abbandonando alla dolcezza. Desiderava le sue mani, i suoi capelli e, cosa più libidinosa tra tutte, la sua bocca. Era più rossa della luna che si affaccia sul deserto, più lucente del cristallo, più profumata di tutti i fiori che avesse mai annusato. Lo bramava in modo incontrollabile, sentiva di essere eccitato in tutti i punti più nascosti del suo corpo dal momento la fisicità di Enjolras  era devastante; la sua freddezza lo stava mandando in fiamme e sapeva che litri e litri di vino non avrebbero potuto spegnere quell’incendio.
Pensò che fosse arrivato il momento giusto di agire. Se avesse aspettato ancora un instante sarebbe esploso lacerandosi le interiora, doveva agguantare quell’invincibile demone dalle fattezze angeliche e farlo suo, anche davanti a tutti gli altri: nulla era importante quando si parlava di Enjolras.
Si ricordò delle parole che Prouvaire aveva pronunciato il giorno prima: “Dobbiamo stupirlo: è l’unico modo per impressionare Enjolras”.
Sapeva che era questo quello che doveva fare, ma tutti i bei pensieri che aveva sputato addosso a Jean sembravano valere meno: Grantaire voleva dirgli qualcosa di più forte che “Apollo, mio tutto, non essere cieco”. Voleva letteralmente lasciarlo senza ossigeno nei polmoni, voleva soffocarlo senza mani, voleva soggiogarlo come solitamente faceva Enjolras con lui: con le idee.
 
Si alzò. Scaraventò la bottiglia a terra, fracassandola in mille pezzi e avvicinatosi con passo deciso ad Enjolras lo afferrò per il colletto della camicia, come aveva già fatto in precedenza, ma questa però volta con un qualcosa in più: la tenerezza.
Pochi respiri dividevano i loro volti. R aveva sfoderato lo sguardo più dolce che possedesse e lentamente aveva accarezzato la guancia sinistra del suo Apollo con un lieve timore, quasi preoccupato di profanare tale bellezza. Incosciente e travolto dall’adrenalina che solo l’amore poteva trasmettergli, aveva schiuso le labbra, cercando il completamento di quelle dell’altro; gli atomi che li dividevano erano sempre più piccoli. Enjolras lo scrutava, immobile e pietrificato; avrebbe potuto spostarsi, ma non lo fece. Perchè si comportava in quel modo sotto gli occhi di tutti?
Grantaire era completamente ed assolutamente sbagliato, l’aveva sempre creduto. I suoi capelli arruffati, il suo naso storto, il suo sorriso ubriaco, la sua cicatrice sul mento, la sua schiena morbida, le sue mani bianche, le sue gambe muscolose, la sua voce roca, il suo accento bizzarro, le sue idee confuse, i suoi pensieri contorti, i suoi sogni irrealizzabili: tutto di lui era sbagliato; ma adesso che se lo ritrovava davanti, dannatamente bello nella sua particolare bruttezza e seducente come il diritto e la repubblica non erano mai stati, arrivò a credere che i suoi occhi, dopotutto, non fossero così sbagliati.
 
Forse era per questo che non si spostava. Era caduto nuovamente: chi voleva prendere in giro?
 
Come un tuono, la voce di Grantaire scosse il Musain. Enjolras sperava che si perdesse in uno di quei monologhi privi di senso che il vino gli suggeriva di tenere ogni sera.
Si allontanò di poco dal biondo recuperando l’aria e, senza staccargli mai gli occhi di dosso, cominciò.
Il suo parlare fu tutt’altro che privo di senso.
<< Nella notte desidereremo che le scintille dei nostri occhi non si spengano e che i sogni non si dissolvano. Tra le tenebre e gli incubi, immagineremo il nostro futuro, rubando il sangue a qualche stella e le piume a qualche angelo per poterlo scrivere: io lo farei per te.
Nella notte ti guarderò risplendere, mentre te ne stai lì, con gli occhi persi ad ammirare qualche costellazione lontana e misteriosa. So che il cuore mi esploderà nel petto, so che gli occhi mi bruceranno alla vista delle tue braccia muscolose e venose, so che la bocca mi si asciugherà e che berrò fino alla follia per dimenticare quel tuo maledetto e raro sorriso.
Il mio sangue servirà a dipingere le tue chimere, le tue giacche sporche, i tuoi sogni di rivoluzione; le tue labbra forse, che del mio sangue non si bagneranno mai.
Il mio vino non è rosso quanto i tuoi sguardi che, con l’azzurro degli occhi, incendiano l’aurora.
La tela non si sporcherà delle tue parole taglienti, vere –dolorose-, ma solo del mio sudore, che sgorga abbondante quanto le lacrime che non hai mai versato.
Ti dipingerò sfrontato, ma timidamente, cercando di non tremare al cospetto del tuo labbro sdegnoso: mi fa impazzire, mi fa fremere. Saremo compagni della speranza e dell’ardore e usciremo da questa nostra rivoluzione con le ferite aperte, da cui gocciolerà una linfa che ci rende vivi: l’amore.
Ti ruberò le mani, ti bacerò le nocche, ti pettinerò le vene.
Ti respirerò sul collo, per poi ridere piano, come se tutto fosse un’allucinazione.
Ti sfiorerò i capelli e m’impregnerò del tuo odore, del tuo furore, del tuo orgoglio.
Berrò i tuoi occhi, chiari come l’acqua, torbidi come il sangue.
Divorerò la tua bocca, pura come la ragione, rossa come il peccato.
Ti amerò, senza esitazioni, senza paure.
E se ti dicessi che ti voglio? E se ti rivelassi ciò che sogno? E se tu ti sforzassi di capire? E se mi amassi come ami la tua rivoluzione?
Non saresti Enjolras. E tu vai bene così >>.
Silenzio. Estasi.
Enjolras stava per scoppiare in lacrime, ma i suoi occhi restavano asciutti per colpa dello stupore. Era vergogna o era accettazione, quella famosa sensazione che credeva non avrebbe mai accolto? Lo amava? Si limitò ad inumidirsi le labbra e a nascondere in quel gesto tutti i suoi pensieri più reconditi.
Nella sua mente scorrevano gli infiniti attimi trascorsi con quello scettico: la loro prima stretta di mano, le sere al Musain, i rimproveri, i litigi, la volta in lui cui gli aveva detto “Credo in te!” e il momento in cui l’aveva spedito alla Barriera del Maine per pura pietà. Poi ripensava al risveglio traumatico di quella mattina di fine maggio, a tutte le insicurezze provate, al suo alito, a quel “Bonjour mon am…” che avrebbe sempre interpretato come un “Bonjour mon amour”, ai suoi occhi dannatamente belli e raccapriccianti, al suo corpo così impuro e corrotto, ai pensieri amorfi che avevano poi preso forma alla vista del suo letto: ripensava a Grantaire e al fatto che avrebbe abbandonato qualsiasi rivoluzione pur di restargli accanto, ancora per qualche attimo, prima di sparire tra la polvere.
 
Gli amici dell’ ABC si guardavano stupiti e increduli, ansiosi di scoprire quale sarebbe stata la risposta di Enjolras. Il loro capo si sarebbe finalmente abbassato ad un sentimento tanto complicato come l’amare Grantaire, tradendo la Patria, la sua eterna amante?
Bacco si era seduto al tavolo e aveva impugnato la bottiglia portandosela alle labbra. Teneva lo sguardo basso.
<< Andatevene. >> Questa fu la risposta di Enjolras.
Combeferre lo guardò stupito, Courfeyrac sbigottito, Joly preoccupato, Bossuet divertito e Grantaire incosciente; non riusciva più a catalogare le sue emozioni, ammesso che ne avesse di reali.
 
Non appena tutti i fidi compagni di Enjolras se ne andarono, il biondo dovette constare che Grantaire era rimasto lì seduto al tavolo, da solo, con lo sguardo dissolto nel nulla: non l’aveva abbandonato.
Questo lo fece riflettere. Era uno scettico, convinto di ciò che faceva. Enjolras gli aveva ordinato di andarsene, ebbene, era restato, cosa assolutamente normale per quelli come lui.
Questo comportamento ad Apollo piaceva, perchè Grantaire, tralasciando le sue strambe abitudini e i suoi strani pensieri, aveva una qualche fermezza d’animo che il biondo apprezzava.
Si sedette al tavolo di fronte a lui, togliendosi la giacca.
Grantaire si limitò a sospirare.
Restavano in silenzio, contemplandosi a vicenda, facendo scorrere gli occhi tra i meandri dei loro corpi, curiosi di scoprire il loro opposto: quello che non sarebbero mai stati e che avrebbero sempre voluto essere.
 
Era perfetto, Enjolras era completamente ed assolutamente perfetto. I suoi capelli ordinati, il suo naso drittissimo, il suo sorriso rassicurante, il suo neo sulla spalla, la sua schiena di marmo, le sue mani venose, le sue gambe lunghe, la sua voce brillante, la sua pronuncia impeccabile, i suoi ideali solidi, i suoi pensieri sensati, i suoi obiettivi raggiungibili: tutto di lui era perfetto.
Grantaire sapeva di essere piccolo di fronte a lui, tuttavia riusciva a dominarlo, senza difficoltà, con un solo battito di ciglia.
Ruppe il silenzio.
 
<< Sai, tempo fa sognai di credere. >>
Enjolras diventò serio, cupo, terribilmente bello.
<< Io che credo in qualcosa? Uno scettico come me che si eleva così in alto e che abbandona il dubbio per la fede?
Sedevo su un tavolo marcio e logorato dal tempo e davanti a me sedeva un uomo vestito di rosso. Io lo fissavo e con buone probabilità lo faceva anche lui, ma non riuscivo a capirlo: quell’uomo non aveva un volto.
Abbassai lo sguardo. Gli sussurrai: “Credo in te” e poi tutto svanì.
Credevo di essere diventato pazzo, credevo di aver bevuto troppo persino per i miei standard, credevo… credevo. Dicevo a me stesso che era impossibile, perchè io non ero mai riuscito ad essere convinto di qualcosa. Avevo amato, sì, ma creduto no: il mio amore era sempre stato una fede fasulla. >>
<< Amare non è poi la stessa cosa che credere, Grantaire? >>
Aveva risposto? Aveva detto “amare”? Enjolras era forse sbocciato?
Sorrise compiaciuto. L’altro restava serissimo.
<< Quel sogno mi aveva reso indifeso e vulnerabile. Non volevo più pensarci e non volevo più fare ricorso alla memoria, perchè sapevo che non avrei mai detto quello che avevo sussurrato nel mio sogno. >>
Enjolras sembrava essere tornato improvvisamente ai suoi sedici anni, quando un libro sulla storia francese lo aveva fatto emozionare e provare una strana fitta alla pancia. Si ricordò in quell’attimo che anche lui aveva sognato. Aveva sognato di credere in una strana donna senza volto che lui aveva sempre chiamato Patria; era bella nella sua apatia e irraggiungibile nella sua vicinanza.
La fitta che lo aveva attanagliato a causa delle parole di Grantaire era la stessa.
<< La vita era facile e divertente. Credere era da idioti, credere era da smidollati. Poi sei arrivato tu Enjolras, e mi sono ricreduto. >>
 
Cedette. Si spezzò, volò via come un soffione, cadde come un castello di carte mal fatto. Pianse.
 
Si alzò velocemente recuperando la giacca e si diresse verso la porta per non essere sorpreso in quel momento di fragilità. Grantaire, tuttavia, aveva visto tutto: aveva visto per la prima volta i suoi occhi blu essere inondati dal mare, lo aveva visto vivere, aveva sentito il suo cuore battere, aveva visto Enjolras commuoversi, e questo valeva più di mille parole. Gli sembrava un bambino, l’angelo a cui avrebbe strappato le piume per poter scrivere il loro futuro.  Lo raggiunse rincorrendolo per le scale e lo fermò, immobilizzandolo contro il utilizzando le sue braccia come se fossero due barriere, poi lo interpellò con una voce sottile, sconsolata, quasi malinconica.
<< Perchè fuggi Enjolras? Perchè tremi? Dimmi: perchè l’amore ti spaventa così tanto? Amare non è poi la stessa cosa che credere?Me l’hai detto tu qualche attimo fa, non ricordi? Tu sai credere, non sei come me. E allora perchè fuggi? Perchè tremi, Enjolras? Provi forse repulsione per la mia bruttezza? O per il mio odore? O per le mie idee? Dimmi Enjolras, perchè fuggi davanti ai sentimenti? >> 
Apollo aveva le labbra asciutte e un groppo in gola. Diamine, quel bastardo gli logorava lo stomaco.
Con la voce più dolce e umana che possedeva, lo aveva preso per mano, senza chiedergli il permesso e con estrema fragilità aveva detto: << Perchè se credo amo, se amo spero e se spero voglio. E io non posso volere te >>.
Grantaire aveva stretto la presa. << Perchè non puoi? >>
<< Perchè non c’è niente di più sbagliato che amare uno scettico. Se cambiassi idea anche su di me? Certi tipi di rivoluzione non sono pronto ad affrontarli >>.            
Quella verità spudorata lo aveva disarmato. Non riusciva a controbattere, non riusciva nemmeno più ad immettere aria nei polmoni, non riusciva a mandar giù la saliva. Enjolras si era completamente abbandonato a se stesso. Aveva reclinato la testa verso i piedi e gli aveva lasciato le mani. Si vergognava.
Poi, senza che se ne accorgesse, senza nemmeno riuscendo a spiegarlo a se stesso, si avvicinò a Grantaire e gli baciò la fronte. Era calda, buona.
L’altro non riuscì più a trattenersi e lo prese, buttandolo a terra sulle scale sudice del Musain. Gli scostò i capelli dalla fronte e senza fiatare immerse le sue labbra in quelle di Apollo, riversando il respiro in esse.
Enjolras aveva chiuso gli occhi lentamente, abbandonandosi al sapore di Grantaire: inaspettatamente non sapeva di vino. Impetuosamente aveva aperto la bocca fatto scorrere la sua lingua su quella dell’altro: era impacciato e rigido, ma le rassicuranti carezze di Grantaire lo avevano subito addolcito. Aveva allungato le gambe sulle scale.
R sorrideva. Solo Enjolras avrebbe potuto cogliere quell’espressione di estrema felicità, ma non lo fece perchè era troppo impegnato a profanare la bocca del suo amato.
Grantaire fece scendere la mano destra verso il torace del biondo e con naturalezza gli sbottonò la camicia, scoprendo il petto muscoloso e lucente. Enjolras sobbalzò per un attimo staccandosi da Grantaire e lo guardò spaventato.
<< Che stai facendo? >>
<< Ti sto amando >> rispose l’altro baciandolo sulla bocca.
Enjolras sorrise timidamente. Schiuse la bocca come se volesse parlare, ma poi stette zitto.
<< Che c’è? >>
Grantaire era accovacciato sopra di lui.
Esitò ancora per qualche istante; poi gli afferrò i capelli e, appoggiati fronte contro fronte, gli sussurrò: << Ti amo anche io ‘Taire. >>
Si alzarono in piedi presi dal furore. Si diressero nella stanza retrostante al Musain e sgomberarono il tavolo. Le braccia possenti di Enjolras spinsero Grantaire sulla mensa e le sue mani iniziarono a fremere sotto i vestiti. Toccava la sua pelle e la tastava bacio dopo bacio, non capacitandosi di quanto fosse stato stupido per tutto quel tempo.
Entrambi erano senza camicia sul tavolo, coperti soltanto dai loro fiati. Grantaire non aveva esitato a portare la sua mano verso luoghi inesplorati da Enjolras fino ad allora e quest’ultimo non aveva rinunciato a farseli mostrare. Entrambi erano felici e sentivano di aver raggiunto il loro scopo. Grantaire aveva finalmente conquistato Enjolras ed Enjolras aveva finalmente capito Grantaire.
 
La mattina dopo, quella del 4 giugno 1832, si risvegliarono entrambi tra le lenzuola del letto di Grantaire, nudi, completamente spogliati di qualsiasi pudore. Fu un risveglio molto diverso da quello di maggio: innanzi tutto Enjolras non era solo, perchè al suo fianco c’era colui che lo faceva sentire a casa, e inoltre era cambiato: ora amava. Amava Grantaire, che addormentato al suo fianco gli respirava dolcemente sulla spalla. Non si era mai sentito così sollevato: ora sapeva che non poteva più nascondersi e forse non lo voleva nemmeno. Con lui stava bene, era dotato di quella libertà che aveva ricercato da tanto e che non aveva mai trovato; ora, negli occhi di cobalto di Grantaire, aveva ritrovato il coraggio per affrontare qualsiasi tipo di rivoluzione.
Gli si avvicinò all’orecchio sussurrandogli: << Bonjour mon amour. >>
Grantaire aprì gli occhi lentamente. Vederlo davanti a sé così bello (bello di una bellezza corrotta) e raggiante, non lo trattenne dal baciarlo di nuovo.
<< Enjolras cos’hai sul collo? >> Chiese il moro dopo essersi allontanato dalle sue labbra. Enjolras si guardò il collo e poi rise, mostrando i denti bianchi e perfetti.
<< Che m’importa R? Non ho più paura dei graffi adesso. Sono riuscito ad affrontare la mia Rivoluzione e più nulla potrà impaurirmi. >>
Sprofondarono tra le lenzuola con i corpi, i cuori e gli animi attorcigliati.
 
 
 
 
Signore e signori è finita * lacrimuccia * <3
Che dire? Grazie a tutti per avere letto questa breve fan fiction, grazie per aver recensito, preferito e seguito, non avete idea di quanto mi avete resa felice (:
Non è un addio, perchè sto progettando un AU sempre su questo fandom, quindi spero che ci rivedremo presto. Non ho alcuna osservazione da fare su questo capitolo, se non che la canzone di Jovanotti iniziale mi ha ispirato come una disperata e che avrei voluto esserci io con R e Enjolras in quel momento eheheh .-.
Grazie ancora a tutti, un grosso abbraccio :* <3
  
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